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venerdì 28 giugno 2019

EURO UNDER 21: GERMANIA E SPAGNA FANNO IL BIS DUE ANNI DOPO. ROJA PIÙ BELLA, MANNSCHAFT SUPER CONCRETA: CHI LA SPUNTERÀ?

                             Il tedesco Dahoud: su di lui il rigore del 2-2 (foto Guerin Sportivo)

In due anni non sono mutati i valori di vertice del calcio europeo Under 21. A  Udine, domenica prossima, andrà in scena la medesima finale di Cracovia 2017, Germania - Spagna. E' il verdetto più lineare, sulla base di quanto mostrato dal complesso delle rappresentative in gara: poteva forse starci la Romania e non sarebbe stato uno scandalo, ma comunque le due reginette sono arrivate in fondo sostanzialmente meritandolo. Se un'intrusa c'era, fra le quattro semifinaliste, questa era la Francia, nettamente inferiore alle altre superstiti e trovatasi nel gruppo per una serie di circostanze fortunate, dalla rocambolesca vittoria in zona Cesarini sull'Inghilterra al placido pareggio proprio coi romeni, approfittando nella circostanza di una situazione di punteggio che stava benissimo a lei come all'avversaria; ma torneremo sull'argomento, così indigesto ai nostri azzurri, magari in sede di bilancio conclusivo del torneo.
FRANCIA, LA FIAMMA SI SPEGNE PRESTO - La sfida serale di Reggio Emilia tra i transalpini e i ragazzi di De La Fuente è stata quasi senza storia. Quasi, perché nel primo quarto di gara i galletti per poco non facevano il colpaccio, col loro gioco al risparmio, teso unicamente ad attendere la Roja per cercare di sorprenderla d'infilata: rigore trasformato da Mateta per un fallo di Firpo, e pochissimo dopo ancora Mateta sfiora il bis in contropiede, calciando addosso a Sivera da posizione favorevolissima. I Bleus, in pratica, finiscono qui: dopo, è solo Spagna, una Spagna di nuovo bella a vedersi (al contrario di come era parsa nell'infelice esordio con gli azzurri), produttiva ed efficace in fase propositiva. Bernardoni, portiere già pronto per le grandi ribalte, salva miracolosamente su una conclusione a colpo sicuro di Oyarzabal da pochi passi, poi si ripete sul susseguente corner respingendo una girata di Roca, abile però a riconquistare il pallone e a mettere dentro. E' solo l'1-1, ma nell'aria si avverte chiara la sensazione che sia finita: la Spagna manovra al centro con abilità e verticalizza celermente, Junior Firpo sulla sinistra è devastante e buca ripetutamente la muraglia francese, così prima dell'intervallo Oyarzabal si procura un penalty e lo trasforma. 
SCHIACCIANTE SUPERIORITÀ - Come se non bastasse, Ceballos e compagni aumentano ancora i giri del motore in avvio di ripresa e prendono il largo, fornendo un saggio della verticalità ed essenzialità di un gioco meno manovriero di un tempo ma estremamente redditizio: perentorio affondo di Fabian Ruiz che mette al centro per Olmo, il quale non imita Mateta nell'errore del primo tempo e insacca. Di lì in poi è solo accademia iberica, interrotta da una bella punizione di Ikoné che Silvera toglie dal sette; solo che, prima, era già arrivato il 4-1 di Mayoral, abile a raccogliere un traversone da sinistra e a scaraventare in rete libero da marcature. Altre occasioni sono state mancate di un soffio, e a tutti gli spettatori, da casa e presenti in loco, è rimasto alla fine un unico dubbio: che diavolo ci faceva la Francia in semifinale? 
ROMANIA: OCCASIONE SPRECATA - Maggiormente combattuto il duello pomeridiano di Bologna, con più di un rimpianto per la Romania, protagonista di un gran primo tempo chiuso con un vantaggio che poteva anche essere più ampio del 2-1, se il portiere tedesco Nubel non avesse letteralmente tolto dalla porta uno splendido colpo di testa di Puscas. Proprio l'attaccante del Palermo è stato una autentica Iradiddio, toccato dalla grazia: suo il rigore del pari concesso per fallo su Hagi, suo il punto del sorpasso realizzato con una precisa inzuccata su cross da sinistra. I bianchi avevano sbloccato il risultato con un'iniziativa personale di Amiri, partito in percussione centrale e bravo a trafiggere Radu con un destro dal limite. Ma era stato un lampo nel buio: a fare la partita erano quasi costantemente i gialli, trascinati dai tanti sostenitori che affollavano gli spalti del Dall'Ara. E anche il secondo tempo mostrava gli uomini di Radoi in perfetto controllo del match, fin quando una "follia" di Hagi junior ha rimesso tutto in discussione: una inutile strattonata su Dahoud, a bordo area e con l'avversario spalle alla porta. Frittata fatta, rigore e trasformazione di Waldschmidt.
Mai elargire certi regali alla Germania, che sa approfittarne anche quando, come in questo caso, non l'avrebbe affatto meritato. Fatto sta che il 2-2 toglie baldanza ai rumeni, i campioni in carica alzano il baricentro ma falliscono il sorpasso con due "scempi" sotto porta dello stesso Waldschimdt e di Nmecha, che svirgolano in maniera improbabile a tu per tu con Radu. Il quale tuttavia deve inchinarsi due volte nei minuti conclusivi, quando già si prospettavano quei supplementari che sarebbero stati la conclusione moralmente più giusta; sono due punizioni a far pendere la bilancia dalla parte teutonica: quella del 3-2 la realizza l'implacabile Waldschmidt anche con un po' di fortuna, riuscendo a far passare il suo rasoterra fra una selva di gambe, la seconda è una palombella stilisticamente impeccabile di Amiri. 
GERMANIA CONCRETA, MA... - Ripeto: qualificazione non certo immeritata, quella del team di Kuntz, ma formazione convincente solo per l'estrema praticità in fase realizzativa (a parte i due "orrori" sopra citati): rimane il fatto che, su quattro gol, due sono venuti su tiro piazzato, uno su rigore gratuito e uno grazie a un'improvvisa alzata d'ingegno di Amiri. Insomma, nessuna azione elaborata, ma quattro spunti singoli, e ciò deve far riflettere su una squadra che potrebbe terribilmente patire il confronto con le Furie Rosse, le quali hanno invece proprio nel naturale fluire della manovra la chiave di volta per scardinare le difese avversarie. Ma fa comunque paura, una Mannschaft forse poco brillante ma con tre armi letali quali concretezza, abilità nei tiri da fermo e buona sorte, perché sì, anche gli "irriducibili" per antonomasia ogni tanto hanno bisogno di qualche aiuto della Dea Bendata: dove sarebbero, infatti, senza la prodezza di Nubel a evitare il 3-1 (quasi un colpo di grazia, a pochi istanti dalla pausa) e senza il black out mentale di Hagi che ha portato al 2-2, in una fase in cui la Germania era in totale stallo? Domande con poco senso, in un mondo in cui coi se e con i ma non si va lontano, ma servono comunque a inquadrare le circostanze in cui la conquista della finale è maturata. Così come è altrettanto certo che difficilmente gli spagnoli troveranno, domenica prossima, un'opposizione così labile come quella offerta da Mateta e compagni. Alla Romania rimane la soddisfazione di un Europeo oltre le aspettative, all'insegna della produttività offensiva e con la consacrazione di un drappello di ragazzi (Radu, Manea, Ivan, Cicaldau, Puscas) che potranno diventare protagonisti anche nella Selezione A. 

mercoledì 26 giugno 2019

MONDIALI CALCIO DONNE: È UN'ITALIA DA RECORD. QUARTI DI FINALE RAGGIUNTI DOPO 28 ANNI!

                                   Aurora Galli: ha segnato il 2-0 (foto Guerin Sportivo)

Le azzurre del calcio fra le prime otto nazionali del pianeta.  Miglior risultato di sempre eguagliato, accadde l'unica volta nel 1991, una vita fa. Ma oggi vale di più, molto di più: perché all'epoca, e sia detto senza offesa alcuna ma come mera constatazione, il football femminile italiano era un mondo distante anni luce da ciò che è diventato quasi trent'anni dopo. Era un'impresa portata coraggiosamente avanti da un drappello di volenterose appassionate, quasi senza alcuna copertura mediatica, fra diffidenze e sarcasmi che, in parte, sono tuttora duri a morire; un continuo remare controcorrente alla ricerca di un progresso, di un salto di qualità che non arrivava mai. Nel 2019 il "pallone in rosa" non è improvvisamente diventato un fenomeno colossale, ovunque radicato, per il quale Paesi interi si fermano. Ma è cresciuto, l'ho già scritto qualche giorno fa: si è sviluppato tatticamente e tecnicamente, e proprio grazie a questa crescita ha guadagnato appeal e conquistato una visibilità che sembrava impossibile da raggiungere appena qualche mese addietro. 
CON LA CINA RISCHI PIU' TEORICI CHE REALI - Per tutto questo, i quarti di finale centrati nel "Mondial" in corso in Francia hanno un peso specifico enorme, come risultato immediato e in prospettiva, se il movimento del calciodonne nazionale saprà adeguatamente valorizzare tale traguardo. Sul campo, l'ostacolo Cina è stato superato con qualche difficoltà. Più teorica che reale, perché le asiatiche non hanno certo collezionato palle gol in serie, anzi. La sofferenza ha avuto origine, in parte, dall'atteggiamento delle nostre, già palesatosi in precedenti gare ma molto più evidente in quella di ieri a Montpellier: ossia una certa tendenza alla passività, all'attesa delle mosse avversarie. Il tanto vituperato ma sempre efficace "calcio all'italiana", che però  ha anche le sue controindicazioni, perché se si concede troppo margine di manovra a chi ti sta di fronte, si finisce poi col cedere l'iniziativa e faticare terribilmente a riprenderla. Un gioco che aveva funzionato egregiamente al debutto con l'Australia, fra chiusure puntuali e ripartenze rapide e ficcanti, ed era servito a limitare i danni contro il forte Brasile. Al cospetto delle cinesi, complice anche un calo fisico di Sara Gama e compagne, la saggia prudenza si è trasformata troppo spesso in difesa affannosa, con la squadra schiacciata davanti alla propria area. 
AZZURRE SULLA DIFENSIVA - Per carità, va bene tutto e il risultato raggiunto è tutto grasso che cola: io stesso avrei messo la firma su un quarto di finale. Ma, visto che il calciodonne è diventato adulto, è giusto che... cominci ad essere sottoposto a critiche simili a quelle che noi incontentabili riversiamo sugli illustri colleghi maschietti. Lo dico perché l'Italia di Milena Bertolini ha dimostrato un certo camaleontismo di schemi, ossia la capacità di mutare atteggiamento tattico sia nei novanta minuti sia da un match all'altro. Ad esempio, contro la Giamaica, cioè quando c'era la necessità di aggredire per rimpinguare la differenza reti, le nostre lo hanno fatto, trovando con una certa disinvoltura la via del gol, per quanto, anche in quella gara, nelle battute iniziali della ripresa e già sul 3-0, sia riemersa la natura "italianista" del complesso, con il pallino ceduto alle peraltro innocue centroamericane. Gianni Brera ai suoi tempi avrebbe parlato di "squadra femmina", senza sapere che un giorno tali concetti si sarebbero potuti applicare proprio al football in rosa...
GLI EPISODI SALIENTI - Probabilmente, lo ripeto, hanno recitato un ruolo decisivo il caldo e la tensione per la partita più importante (finora) della carriera di queste ragazze, che oltretutto stanno dando il 101 per cento e ci sta quindi che tirino un attimo il fiato. Dopodiché, come accennato, i pericoli sono stati pochi, e tutti concentrati nel primo tempo: un tiro di Yan dal limite alzato sopra la traversa da Giuliani, un palo colpito di testa da Ying e un tentativo in diagonale della stessa Ying smorzato in corner da Bartoli. A quel punto, peraltro, le azzurre avevano già sbloccato il risultato: fuga di Giacinti sulla destra dopo aver recuperato palla e preciso passaggio per Bonansea che tentava il lancio per Bartoli, su cui usciva il portiere; la palla schizzava verso la stessa Giacinti, che aveva seguito l'azione portandosi dentro l'area e che di sinistro trovava lo spiraglio giusto per l'1-0. Prima dell'intervallo Bergamaschi sfiorava anche il raddoppio in contropiede, ma il suo destro era respinto da Shimeng. La ripresa si apriva con la rete del 2-0 che chiudeva il conto, un'invenzione di Galli che, da fuori area, lasciava partire un tiro non fortissimo ma estremamente preciso, che si insaccava nell'angolino basso. 
LINARI SUPER - Poi, come detto, il forcing continuo, monotono, privo di idee delle cinesi, che un'Italia atleticamente più in palla avrebbe eluso con agilità portando altre minacce negli spazi lasciati liberi dalle rosse. In trincea, emergeva una colossale Linari, che si è presa sulle spalle il grosso del lavoro difensivo, con anticipi e chiusure innumerevoli e impeccabili. Molto bene Bartoli nelle due fasi, tanto da aver messo lo zampino anche nell'azione della prima rete, mentre Giuliani ha brillantemente superato gli impacci iniziali coi piedi, dando sicurezza alle compagne con uno stile magari non ineccepibile ma funzionale al raggiungimento dello scopo. 
BONANSEA E GIRELLI IN PANNE, GIACINTI SUGLI SCUDI - Si è poi vista, nel mezzo, la solita Giugliano generosissima e dinamica, mentre Girelli ha questa volta girato a vuoto e la stessa Bonansea non ha saputo estrarre dal cilindro le alzate d'ingegno e le accelerazioni spesso decisive nelle precedenti uscite. E' in compenso salita in cattedra Giacinti, che ha impostato e concluso l'azione dell'1-0 e sfiorato un'altra segnatura nel recupero, con un rasoterra deviato in angolo dal portiere. Va bene così, va più che bene. Perché, lo ripeto in chiusura, qui non siamo di fronte a un semplice superamento del turno: queste ragazze stanno realizzando un'impresa che potrebbe avere valenza epocale per il futuro del calcio femminile in Italia. E seguirle con trepidazione alla tv, impararne a memoria nomi, fattezze e caratteristiche tecniche, fa parte in fondo di questo balzo in avanti di cui, probabilmente, solo fra molti anni apprezzeremo appieno la portata. 

domenica 23 giugno 2019

EURO UNDER 21: BASTERA' IL 3-1 AL BELGIO? QUESTA ITALIA RISCHIA DI ESSERE L'ENNESIMA INCOMPIUTA TARGATA DI BIAGIO


                                         Cutrone, autore del 2-0 (foto Guerin Sportivo)

L'Europeo azzurro è finito ieri sera a Reggio Emilia? Temo di sì, anche se mai come in questo caso sarei felicissimo di essere smentito. Ma il fatto di doverci aggrappare, ancora una volta, ad astrusi calcoli matematici e a più o meno improbabili risultati favorevoli su altri campi, è già una mezza sconfitta per un torneo casalingo che si era affrontato col chiaro obiettivo di arrivare fino in fondo. La Spagna ha vinto il girone nonostante la netta sconfitta patita contro di noi all'esordio; l'ha fatto sommergendo sotto un imbarazzante pokerissimo (o manita, come si dice da quelle parti e purtroppo anche da noi) quella Polonia alla quale i nostri baldi giovanotti non sono stati in grado di fare lo straccio di un gol. Un risultato che ha fatto giustizia del non gioco praticato dai biancorossi snudandone gli enormi limiti tecnici, ma che ha nel contempo messo ancor più in risalto l'assoluta mediocrità della nostra prova contro i medesimi avversari, qualche giorno fa. 
COL BELGIO? BENE MA NON BENISSIMO... - Dopodiché, certo, l'Italia ha chiuso il primo turno battendo il Belgio, e lo ha fatto tutto sommato bene. Bene, ma non benissimo, ecco. Sono stato forse un po' severo fin dall'inizio con questa nostra Under, ma sto limitandomi a giudicare prestazioni mai del tutto convincenti. Anche contro i Diavoli Rossi, per dire, il rendimento complessivo è stato all'altezza sono in alcuni momenti della gara. Una partenza bruciante, con un gol sfiorato di testa in tuffo da Barella su cross di Pezzella e un diagonale di Chiesa di poco alto, poi una lunga fase centrale di stanca, con ritmi bassi e poche idee, fino al provvidenziale gol del citato Barella, bravo a riprendere una respinta del portiere su sua precedente conclusione. L'1-0 ha sbloccato i nostri anche psicologicamente, la manovra ha preso a fluire con maggiore continuità, grazie al buon lavoro del pacchetto di mezzo, in primis il cagliaritano già perno della Maggiore e Locatelli, che ha giocato molti palloni con intelligenza e proprietà e dato a Pellegrini maggior libertà di spaziare più a ridosso della prima linea. 
DOPO IL 2-0 LA MIGLIORE ITALIA - All'8' della ripresa Cutrone ha raddoppiato con una deviazione di testa su cross dello scatenato Pezzella, dai cui piedi era già partito il traversone per il vantaggio, poi ci sono state occasioni per Mandragora (gran sinistro e gran risposta del portiere De Wolf), ancora Cutrone e Locatelli. E' stato, quello, il miglior momento della nostra selezione, che poi è incappata in un nuovo black out (forse per le notizie che giungevano da Bologna?) permettendo ai belgi di accorciare le distanze grazie a una prodezza balistica di Verschaeren, prima di un ritorno di fiamma nel finale, con Mancini che colpiva il palo con un'inzuccata sugli sviluppi di un corner e Chiesa che andava a sigillare il risultato con uno splendido destro che, senza l'aiuto del Var, l'arbitro avrebbe incautamente annullato per fuorigioco: questione di centimetri, forse millimetri, in questo caso come in quello di Orsolini contro la Polonia. 
BARELLA LEADER, PEZZELLA RIVELAZIONE - Al di là della vittoria, comunque meritata, restano alcune risultanze inquietanti. Una difesa che, come nella precedente partita, ha di fatto concesso agli avversari uno stupefacente 50 per cento di percentuale realizzativa (due palle gol create, una finalizzata: l'altra l'aveva salvata Meret in respinta su Lukebakio, nella fase iniziale del match). Poi, un gioco troppo discontinuo e intermittente, quando si è manifestato, o più spesso improvvisato (e mi riferisco soprattutto alle prime due gare), affidato agli spunti degli uomini di maggior classe distribuiti fra seconda e prima linea. Ieri Barella si è preso sulle spalle la squadra, lottando nel mezzo, inserendosi, tirando, ben coadiuvato da Locatelli e da un Mandragora più in vena rispetto all'infausta serata polacca. In compenso, in avanti si è un po' eclissato Chiesa, che ha giocato la peggiore delle sue tre partite in questo Europeo riscattandosi parzialmente in chiusura con la perla del 3-1. Degli altri azzurri, è piaciuto soprattutto Pezzella, abile a fare ciò che non ha fatto Dimarco nelle precedenti uscite: spingere con costanza sulla sinistra e mettere palloni precisi nel mezzo. C'è semmai da chiedersi dove l'avessero nascosto, Udinese e Genoa, nel corso dell'ultima stagione, un'annata che il giocatore ha vissuto quasi interamente da spettatore. 
I LIMITI DELLA GESTIONE DI BIAGIO - Ma la sensazione che lascia questa Under è quella di essere l'ennesima incompiuta targata Di Biagio. Ottimo calciatore in passato, bravissimo ragazzo da sempre, come allenatore non ha ancora mostrato di valere la panchina di una Nazionale, ancorché giovanile. Gli auguriamo di prendersi le sue rivincite già nei prossimi giorni, se la Dea bendata gli offrirà la chance di un ripescaggio, ma non si può non sottolineare come certe défaillance si siano puntualmente ripresentate, nel corso dei suoi tre bienni azzurri. Difficoltà a correggere la squadra in corsa durante un match, evidente soprattutto nel ko con la Polonia, quando si è continuato fino alla fine con un approccio offensivo monocorde, prevedibile e innocuo; e poi il puntuale calo nella seconda partita, incidente in cui gli azzurrini incapparono già due anni fa, riuscendo all'epoca a salvare perlomeno la semifinale (che però non valeva come qualificazione olimpica). Quest'ultima pare peraltro una tara ereditaria per il Club Italia nel suo complesso, un handicap che mette a rischio o vanifica del tutto qualificazioni in apparenza ipotecate con partenze brucianti. Succede da decenni anche a livello di selezione maggiore: ricordiamo Euro '96, o i Mondiali del 2002 e del 2014. Troppi indizi per non costituire una prova: prova solida di una errata gestione del gruppo quantomeno sul piano psicologico, caratteriale. 
IL PROBLEMA DELLA SECONDA PARTITA - Questo è un punto su cui si dovrà lavorare molto in futuro, in tutte le nostre Nazionali: è impensabile che dei professionisti... mollino i pappafichi dopo appena novanta minuti, senza rimanere mentalmente sul pezzo. In questo stesso torneo, Francia e Germania hanno cominciato vincendo e hanno proseguito nella stessa maniera, dimostrandoci per l'ennesima volta come si fa. Non dovrebbe essere difficile: tanto meno lo era quest'anno, perché il roster con cui ci siamo presentati al via era davvero di primo piano. Forse non la migliore Under di tutti i tempi (cosa già scritta a vanvera da certa stampa nel 2017, fra l'altro), perché le differenze qualitative fra la difesa e gli altri reparti sono stridenti, ma sicuramente una squadra ricca di talento dalla cintola in su e soprattutto con elementi di buona esperienza, non più i ragazzi costretti a fare panchina nei club, come spesso accadeva nel recente passato. E qualche dubbio sulla gestione del gruppo viene, quando si apprende del ritardo all'allenamento da parte di Kean e Zaniolo alla vigilia di un match decisivo, con conseguente punizione che è l'unico aspetto positivo della vicenda, perché se certi "pulcini" alzano troppo presto la cresta, è bene richiamarli severamente all'ordine prima che il loro patrimonio di classe venga dilapidato da comportamenti sopra le righe. Questo per dire che, al di là di eventuali, ennesimi biscottoni confezionati da altre squadre (ma si sa, poi i furbetti sono sempre gli italiani...), una eventuale eliminazione peserebbe questa volta esclusivamente sulle spalle del Club Italia, giocatori e tecnici.

giovedì 20 giugno 2019

EURO UNDER 21: ITALIA SFORTUNATA E OPACA CONTRO UNA POLONIA CHIUSA A RICCIO. ORA TUTTO SI COMPLICA

                                        Zaniolo, ieri deludente (foto Guerin Sportivo)

Siamo alle solite. La sindrome azzurra della seconda partita ha colpito ancora, ormai più prevedibile dell'uscita di un tormentone estivo di J-Ax o di Takagi & Ketra. Ciò non toglie che ogni volta faccia rabbia, terribilmente rabbia. Si era superato, in qualche modo, l'ostacolo di gran lunga più insidioso del girone per qualità tecniche e tradizione, e si crolla di fronte a una Polonia poco più che mediocre. Di certo c'è che la nostra Under 21 sta seguendo, in questo Europeo casalingo, un sentiero quantomai bizzarro: ha distanziato di due gol la forte Spagna senza brillare sul piano del gioco, anzi, poggiandosi in gran parte sullo stato di grazia di Chiesa e su quella rabbia agonistica che le nostre rappresentative sanno spesso tirare fuori nei momenti difficili; sull'onda dell'entusiasmo, è riuscita a perdere una gara che i polacchi non hanno comunque meritato di vincere, giocando un calcio vecchio e persino irritante, un catenaccio estremo e insistito, con la squadra abbarbicata a ridosso della difesa, gli spazi intasati, perdite di tempo plateali che l'arbitro è riuscito solo in parte a frenare. 
POCO GIOCO, TANTE OCCASIONI - I biancorossi hanno vinto sfruttando una palla gol sulle due costruite in totale, profittando di un rimpallo fortunoso su punizione con susseguente tiro di Bielik carambolato sul palo prima di finire in fondo al sacco. Parlare dunque di fortuna è doveroso, e non deve suonare offensivo per i nostri avversari, perché in questi tornei brevi la Dea bendata recita spesso un ruolo decisivo. La sliding door dell'incontro c'è stata pochi minuti prima dell'intervallo, quando Orsolini ha finalizzato un bello spunto personale col sinistro del pareggio: disdetta, metà del suo corpo era in fuorigioco e annullamento ineccepibile, certo, ma c'è di che mordersi le mani, perché con l'1-1 ottenuto in quel momento avremmo di certo assistito a un secondo tempo diverso. 
Prima e dopo quell'episodio, i ragazzi di Di Biagio hanno costruito paradossalmente più di quanto fatto nel match d'esordio: ci sono state due occasioni d'oro per Chiesa, neutralizzate da Grabara con tuffi da campione, Mandragora ha sprecato clamorosamente una sorta di rigore in movimento su assist dello scatenato Federico,  e nella ripresa hanno avuto buone opportunità Bastoni e Pellegrini su azioni susseguenti ad angolo; a corollario, una sequela di tiri dalla distanza quasi sempre fuori bersaglio, i più pericolosi dei quali da parte del subentrato Tonali, di poco alto, e del citato Pellegrini, che ha colpito il palo. 
CI SONO I GIOCATORI, LA SQUADRA LATITA - Ribadiamo, dunque, che per la mole di opportunità prodotta dai nostri e per la pericolosità, al cospetto di quanto fatto da Jagiello e compagni, il pari ci stava tutto. Ciò non toglie che, sul piano della qualità della manovra, la prova dell'Italia sia stata del tutto incolore, così come lo era stata, e l'avevo sottolineato, nel pur vittorioso vernissage. Del resto, lo si sapeva: questa Nazionale era un'incognita, in quanto reduce da due anni di amichevoli con risultati non certo rassicuranti. Ha classe, talento ed esperienza in dosi che da tempo non si vedevano, ma rimane, al momento, un insieme di ottimi prospetti, non una somma di valori. E' un team che va a folate, che si regge molto sugli spunti personali degli elementi più dotati (ed è già un progresso, ci mancherebbe, rispetto a certe edizioni recenti dell'Under drammaticamente a corto di argomenti tecnici), ma non mi pare di scorgere un filo logico, un'idea di gioco costante, un canovaccio tattico a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà. 
NON TUTTI SONO DI LIVELLO INTERNAZIONALE - Latita anche la capacità di cambiare in corsa, una volta preso atto dell'atteggiamento dell'avversario e dei propri limiti: si è continuato pervicacemente a crossare nel mezzo, per la felicità dei difensori e del portiere polacchi. Strategia ancor più suicida se si pensa che, fin dall'inizio, si era palesata l'enorme difficoltà dei nostri esterni bassi nel mettere palloni giocabili in area. E qui si aprirebbe un altro capitolo: la mole di traversoni sbagliati, soprattutto da Dimarco, ha mostrato che non tutti, in questa selezione, sono all'altezza sul piano della... bontà dei piedi: ragazzi come il citato Dimarco e Adjapong non sono ancora di statura internazionale, e non c'è nulla di male perché hanno tutto il tempo per diventarlo, ma scoprirlo nella fase finale del torneo preparato da due anni fa abbastanza male, perché non c'è più il tempo per sperimentare soluzioni alternative. 
CERCASI KEAN E ZANIOLO - Prova inquietante anche sotto gli aspetti psicologico e fisico, perché nell'ultimo quarto d'ora dell'incontro, dopo il legno colpito da Pellegrini, cioè proprio quando vi era la necessità di alzare i ritmi e di portare il forcing per stringere i tempi, gli azzurrini si sono come dissolti, andando al passo e non dando più, fino al termine, l'impressione di poter raddrizzare la situazione. Visto che manca il collettivo, ci vorrebbero prestazioni sopra le righe dei nostri big per fare strada, ma finora il solo Chiesa ha fatto in pieno il suo dovere; Pellegrini e Barella sono andati a corrente alternata, pur facendo balenare il loro talento e l'intelligenza tattica, mentre deve di fatto ancora iniziare il torneo di Kean e, soprattutto, Zaniolo, il cui ingresso in campo ieri ha addirittura abbassato l''incisività di una manovra già faticosa. Insomma, è incredibile scriverlo dopo il successo sulla Spagna, ma il quadro si è fatto fosco: si può ancora passare il turno, ma a questo punto, oltre al fatto che il successo sul Belgio è tutt'altro che scontato, siamo in balìa di complicati calcoli algebrici (frutto di una formula cervellotica, ma lo si sapeva dall'inizio e occorreva regolarsi di conseguenza) e dei risultati degli altri, quanto di più frustrante possa esistere nello sport. Non era questo che sognavamo, per l'Europeo sui campi di casa. 

mercoledì 19 giugno 2019

MONDIALI CALCIO DONNE, PER L'ITALIA PRIMO TURNO SUPERATO E PRIMA SERATA SU RAI UNO. UN EXPLOIT EPOCALE

                                           Barbara Bonansea (foto Guerin Sportivo)

Comunque vada, sarà un successo: era il tormentone inventato da Piero Chiambretti per un Festival di Sanremo di parecchi anni fa. Una massima che, oggi, possiamo tranquillamente applicare alle azzurre del pallone. A prescindere da come finirà il Mondiale francese, infatti, in pochi giorni il nostro movimento calcistico femminile ha compiuto un balzo in avanti enorme, sul piano della visibilità e della credibilità interna e internazionale, e tutto questo grazie al cittì Milena Bertolini e alle sue ragazze. E' diventato adulto, è maturato tutto d'un colpo: con i pro e anche i contro che uno sviluppo così rapido comporta, certo, ma intanto può dire di aver finalmente fatto la voce grossa, dopo anni sottotraccia a inseguire progressi che tardavano a venire. 
NON E' UNA BOLLA DI SAPONE - Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: non si tratta, almeno a mio parere, di un boom artefatto, di una montatura pubblicitaria. La crescita del calciodonne italico è vera e genuina, perché nasce con delle basi, ossia dalla passione di praticanti e semplici appassionati, da una evidente evoluzione tattica e tecnica e, conseguentemente, da risultati pratici che sono sotto gli occhi di tutti, mostrati al mondo intero da una Nazionale che ha superato il primo turno con una partita di anticipo, vincendo il proprio girone davanti ad avversarie più reputate come Australia e Brasile. Serata storica, quella di ieri, non solo per l'obiettivo sportivo centrato: con il duello fra l'Italia e la Seleçao, il calcio femminile è approdato per la prima volta alla prima serata sulla rete ammiraglia Rai, ed è stato un approdo trionfale, con oltre sei milioni e cinquecentomila spettatori, una cifra pazzesca, incredibile. Chi avrebbe mai potuto immaginarlo, fino a pochissimi anni fa?
SERATA TV TUTTA ROSA - Ma anche questa oceanica attenzione del pubblico, le nostre prodi fanciulle se la sono guadagnate e sudate, senza alcuna spintarella, senza campagne di stampa compiacenti. Lo hanno fatto dimostrando il loro valore sul campo, che alla fine è la sola cosa che conti, nello sport. Così, abbiamo assistito a una serata tutta in rosa: Tiziana Alla, Patrizia Panico e Giorgia Cardinaletti per cronaca e interviste allo stadio di Valenciennes, in studio Monica Matano e Cristiana Capotondi, che è vicepresidente della Lega Pro e che sta prendendo molto sul serio questo incarico così insolito per un'attrice professionista. Unici maschietti intrusi, Tiziano Pieri per l'inevitabile moviola e, soprattutto, Pablito Rossi, ossia un mostro sacro del calcio mondiale, scelto probabilmente non a caso, proprio per rendere appieno l'idea dell'importanza dell'evento. Chiaro, è solo un punto di partenza, tanto è ancora il terreno da recuperare nei confronti delle grandi potenze del football in rosa, ma certi traguardi non si raggiungono per caso. 
CRESCITA TECNICA E TATTICA - Dicevo del livello tecnico: il progresso rispetto agli anni Novanta, epoca in cui per lavoro mi capitò spesso di assistere a partite di calciodonne, è stato esponenziale. Il Mondiale francese ci sta mostrando una squadra italiana organizzata, con un'idea di gioco ben visibile, a tratti persino camaleontica nella strategia di gara, un team formato da giocatrici capaci di trattare il pallone con proprietà, e financo dotate di una discreta tenuta atletica. Una squadra matura perché ha sostanzialmente superato tre test molto diversi: contro l'Australia si è esaltata in un gioco molto scarno e semplice, all'italiana vecchia maniera, basato su una salda tenuta delle posizioni difensive per poi scattare in rapidi affondo; contro la Giamaica, l'avversaria più abbordabile, si è trovata invece a dover fare la partita dando un occhio alla differenza reti, e ci è riuscita appieno, concedendo giusto qualche minuto di innocuo sfogo alle rivali dopo il 3-0 per poi mettere a segno altri due gol. Infine, contro il Brasile, nel match che ha acceso i grandi riflettori televisivi sulle nostre rappresentanti, l'interpretazione tatticamente più sottile e difficile: gestire un risultato che ci dava il primo posto nel raggruppamento senza però abbandonarsi alla spinta offensiva delle sudamericane, ma cercando comunque di alzare il baricentro ogni volta che se ne presentava l'occasione e di tenere sul chi vive la terza linea verdeoro. Missione compiuta, tutto sommato: le nostre sono andate in sofferenza autentica unicamente in due periodi, grosso modo nelle fasi centrali dei due tempi, ma senza ammassarsi nella loro area, senza chiudersi a riccio; sono state infilate su un rigore molto dubbio, per un contrasto spalla contro spalla, mentre nel primo tempo, dopo una parata d'istinto di Giuliani sulla fuoriclasse Marta, avevano sfiorato il vantaggio con una bella volée di Bonansea su cross di Guagni al culmine di una elegante trama sulla destra, senza dubbio la più bella azione dell'incontro.  
BONANSEA E LE ALTRE - Già che ci siamo, facciamo un po' di nomi: la difesa azzurra è chiusa con autorità da Gama, Linari e Bartoli, col portiere Giuliani che sa anche compiere interventi prodigiosi come in occasione del tacco di Marta nella prima frazione; a centrocampo c'è lo scricciolo Giugliano che è il classico mastino, e che ieri è cresciuta dopo un avvio un po' incerto; Bonansea è un incursore di classe, continuo e decisivo, Girelli una punta opportunista, efficace e generosa. Sono valori di assoluto rispetto che, onestamente, non so dove possano portarci, ma un quarto di finale credo sia alla portata, tanto per cominciare, e rappresenterebbe un volano promozionale ancora più efficace per il nostro calciodonne, che di questo soprattutto continua ad aver bisogno, per abbattere quanto resta del muro di perplessità eretto da chi, evidentemente non guardando le partite, continua a sostenere che il football non sia sport da donne. Ai maschietti, le ragazze cedono qualcosa dal punto di vista del tono fisico e del dinamismo, ma si assiste così a un gioco meno veloce, meno frenetico di quello a cui ci siamo abituati in questi ultimi lustri. Un calcio forse un po' "agé" sul piano stilistico, ma non per questo brutto a vedersi e in ogni caso, lo ripeto, con una precisa dignità tecnico - tattica. E allora, che l'avventura in terra di Francia continui. 

lunedì 17 giugno 2019

EURO UNDER 21: SUPER CHIESA TRASCINA UN'ITALIA IMPERFETTA

                                      Chiesa, hombre del partido (foto Guerin Sportivo)

Sul piano del risultato, l'Europeo degli azzurrini non poteva iniziare in maniera migliore. Battuta, anche piuttosto nettamente, la Spagna dei nostri incubi, che sulla carta rappresentava l'ostacolo più duro del girone. Il tabù iberico cancellato dopo tempo immemore, soprattutto dopo le amarezze della finale 2013 e della semifinale 2017 (in particolare quest'ultima, in cui la Roja era parsa meno inarrivabile rispetto a quattro anni prima). Sul piano del gioco, invece, ci sarebbe oltremodo da eccepire. Certo, il 3-1 conclusivo mitiga la delusione per quei lunghi tratti di gara in cui la squadra di Di Biagio ha girato a vuoto, contratta, prevedibile, con errori ripetuti nelle due fasi. E tuttavia non si può far finta di nulla: perché se l'obiettivo primario è vincere il girone per conquistare un posto fra le prime quattro e la qualificazione olimpica, e se il sogno neanche troppo recondito è di arrivare a giocarsi la finalissima, beh, occorre sottolineare che con prestazioni come quelle di ieri sera non si potrà puntare al bersaglio grosso.
CHIESA UBER ALLES - Stranezze del calcio, certo: si è battuta l'avversaria più forte e temuta giocando sì e no al 30 per cento delle nostre possibilità. E non è nemmeno il caso di parlare di fortuna, anzi: trovarsi sotto dopo pochi minuti non è propriamente un favore della buona sorte, e nel complesso quanto raccolto da Barella e compagni è stato farina del loro sacco, non regali trovati per strada. Diciamo allora che per "spaccare la partita", come si dice oggi, ci è voluto un Chiesa monumentale, fuori categoria, che si è inventato dal nulla il gol del pari con una ficcante iniziativa sulla sinistra, chiusa con un diagonale chirurgico da posizione defilatissima, e che nella ripresa, dopo aver sfiorato il palo con un morbido tocco di piatto destro, ha completato la rimonta raccogliendo una palla vagante in area dopo un tentativo in girata di Cutrone, per poi battere Simòn da distanza ravvicinata. Dicono sia il campioncino più atteso dell'Europeo, il figlio del grande Enrico, ma non ha avvertito il peso della responsabilità e, anzi, si è caricato sulle spalle un'Italia che, fino alla sua prodezza per l'1-1, sembrava aver imboccato un vicolo cieco. Non si può neanche dire che sia pronto per la Nazionale maggiore, perché è già fra gli intoccabili di Roberto Mancini. Semmai, questo torneo gli potrà servire per ritrovare confidenza col fondo della rete, che nell'ultima stagione in maglia viola ha visto raramente.
UNA SPAGNA ANTICA E MODERNA - Resta il fatto, però, che non si può andare avanti sperando nelle prodezze di uno dei nostri assi già promossi al piano superiore, dei Barella e dei Kean, oltre a Chiesa. Ci vuole un'idea di gioco e, onestamente, ieri ho faticato a vederla. Una prima mezz'ora abbondante in soggezione di fronte alle Furie Rosse che, pur sciorinando la consueta maestria nel far girare palla e nell'assumere il controllo delle operazioni in ogni zona del campo, nella circostanza hanno saputo anche rispolverare la filosofia "pre tiki taka". nel senso che, a tratti, si è vista una squadra corta e compatta sulla propria trequarti, davanti alla difesa, abile a intasare i corridoi ai nostri, a puntare sull'agonismo molto più di quanto abbia fatto negli ultimi lustri (sia a livello giovanile che "adulto"), a venire avanti con azioni manovrate rapide ed essenziali. Una Spagna che peraltro, sul piano della dotazione complessiva di classe, mi è parsa inferiore a quella del precedente Europeo, anche se non mancano picchi di eccellenza, soprattutto quel Ceballos che ha sollecitamente sbloccato il risultato con un gran destro da fuori ed è stato il principale animatore delle azioni offensive iberiche.
CONCRETEZZA AZZURRA - Dopo il pari e dopo la fiammata di puro orgoglio che ne è seguita, con finale di tempo all'assalto, anche la nostra seconda frazione non è stata immune da pecche, e Meret si è ritagliato il suo spicchio di gloria alzando sulla traversa un tiro dalla distanza di Soler quando il punteggio era ancora sull'1-1; ma se non altro, dopo l'intervallo, l'Italia è parsa nel complesso più viva e continua, anche se raramente ordinata e non sempre con le idee chiare sul da farsi. A sigillare il risultato è stato un rigore via VAR, concesso per trattenuta in area su Pellegrini e trasformato con freddezza dallo stesso romanista. In definitiva, una vittoria giunta soprattutto col cuore e grazie a una mirabile concretezza, che ha consentito di finalizzare la quasi totalità delle occasioni create: concretezza frutto dell'esperienza ad alto livello maturata da alcuni di questi ragazzi, sia nei club sia nella Nazionale A, un atout che troppo spesso ci è mancato in tante recenti edizioni della kermesse Under 21.
CENTROCAMPO SOTTOTONO - Gaudio per una vittoria che fa morale e classifica, dunque, ma è doveroso pretendere di più dal team di Di Biagio. Se Chiesa ha cantato e portato la croce con eccellenti risultati, e se il subentrato Cutrone ha confermato la sua enorme incisività in area mettendo lo zampino nella rete del sorpasso, Kean ha girato quasi sempre a vuoto pur dannandosi l'anima, smarcandosi, dettando il passaggio. Chiaro che le responsabilità degli impacci in fase di attacco ricadano principalmente su centrocampisti e trequartisti, con Barella che si è acceso solo a tratti e con un Zaniolo poco ispirato, prima dell'infortunio che lo ha costretto all'abbandono. Con un reparto di mezzo più in palla, non avremmo subìto il possesso palla e le trame di avversari che, lo ripeto, non mi sono parsi su livelli stratosferici. Le défaillances in fase creativa hanno pesato pure sulla difesa, reparto in cui nessuno, a parte il citato Meret, è stato indenne da sbavature, anche se non getterei la croce addosso al criticato Dimarco, che ha sbagliato molto ma ci ha messo l'anima, difendendo, ripartendo e cercando pure la conclusione personale.
DOPO DUE ANNI DI AMICHEVOLI... - Ricordiamo poi che questa selezione azzurra, sul piano del rendimento complessivo,  rappresentava la autentica incognita del torneo, era una favorita più che altro teorica, grazie all'indubbia ricchezza di talento: ma il biennio trascorso a giocare amichevoli, spesso con risultati tutt'altro che esaltanti, non poteva rappresentare una attendibile cartina tornasole per valutare il peso effettivo del nostro organico. Il fattore campo (col pubblico bolognese che si è acceso a intermittenza, ma quando lo ha fatto ha saputo spingere autenticamente i nostri), le ritrovate motivazioni dettate dall'impegno ufficiale, la voglia di ribaltare la tradizione negativa con gli spagnoli hanno portato al fondamentale successo. Ma per arrivare a Udine, sede della finalissima, ci vorrà ben altro. E occhio alla sindrome della seconda partita, troppo spesso in passato fatale sia all'Under (Europeo 2015 in particolare), che alla Maggiore.

mercoledì 12 giugno 2019

VERSO EURO 2020: L'ITALIA C'E', RIMONTA LA BOSNIA E SCIORINA UN INSIGNE DI SPESSORE INTERNAZIONALE

                                                 Verratti (foto Guerin Sportivo)

Ormai è ufficiale: l'Italia c'è, c'è di nuovo, è ritornata. Io per primo, nel precedente articolo di commento al trionfo in Grecia, avevo sottolineato l'importanza di non esaltarsi e di aspettare  test più probanti, per la giovane selezione di Roberto Mancini. Ebbene, il test impegnativo è arrivato, ed è stato superato con una brillantezza che, ad un certo punto della gara, pareva utopico auspicare. La Bosnia è squadra tosta, scaltra, di elevato tasso tecnico in numerosi elementi, non solo gli arcinoti Pjanic e Dzeko (Besic, Saric e Visca danno del tu al pallone). Per un'ora abbondante ha messo in grave imbarazzo i nostri, che tenevano pallino ma subivano ripetutamente la rapidità e la precisione delle ripartenze avversarie. In questo quadro tattico, il vantaggio ospite era stato quasi inevitabile: già Bonucci aveva salvato in scivolata su un inserimento di Visca, che poi forniva al centravanti della Roma un pallone comodo comodo per il tocco dello 0-1.
REAZIONE DI GIOCO, NON DI NERVI - Ma l'Italia ha saputo reagire, e lo ha fatto non di soli nervi, non solo attingendo a quell'orgoglio che è stato spesso, in passato, l'arma in più della nostra rappresentativa. Lo ha fatto cercando comunque di produrre gioco, nonostante un centrocampo che girava a scartamento ridotto grazie all'abilità dei bosniaci nel neutralizzarne le trame. Ha mantenuto una sua linearità di manovra, dapprima sofferta e spezzettata, poi via via sempre più "centrata", evitando assalti all'arma bianca che avrebbero, probabilmente, creato solo confusione e intasamento nell'area dei rivali. E' sintomo di una lucidità, di una consapevolezza nei propri mezzi che mai si erano palesate nella precedente gestione. Ed è merito di un gruppo di "piedi buoni" che stanno facendo dimenticare le imprecisioni e le incertezze di tocco cui negli ultimi anni ci eravamo tristemente abituati. 
L'INSIGNE CHE ASPETTAVAMO DA TEMPO - La sensazione è che questa giovane Nazionale sappia sempre cosa fare, e sia pronta a opporre le adeguate contromisure ad imprevisti e contrarietà. Così, nella prima ora di gioco, col pacchetto di mezzo sovente saltato dai rapidi tagli in avanti dei biancoblù, si sono rivisti i centrali di difesa alzare il baricentro e giocare in appoggio, in particolare con Chiellini che giungeva spesso fin sulla trequarti e sfiorava addirittura il gol del pari mancando di poco una deviazione ravvicinata su cross di Insigne (ripetendosi poi nel secondo tempo con una poderosa inzuccata respinta d'istinto dal portiere). Già, Insigne: se due indizi possono cominciare a fare una prova, la seconda prestazione super dopo quella di Atene dimostra che il partenopeo si è finalmente preso le chiavi della prima linea azzurra, riesce a dare libero sfogo al suo estro giostrando con efficacia per se stesso e al servizio dei compagni. Ha tirato fuori da ogni impaccio la squadra con la strepitosa rete dell'1-1 in avvio di ripresa, destro al volo di rara potenza sugli sviluppi di un corner, e ha poi continuato a martellare la retroguardia di Prosinecki, chiamando Sehic a un gran intervento su colpo di testa e poi appoggiando a Verratti il pallone per il colpo di biliardo che, in zona Cesarini, è valso la vittoria che ci avvicina ad Euro 2020. 
FINALE SPRINT DI VERRATTI: GIOCASSE SEMPRE COSI'... - Il talento e l'esperienza internazionale della stellina del PSG sono emersi alla lunga, dopo che l'aggressività bosniaca aveva a lungo costretto lui e i compagni di reparto a remare controcorrente. Nella zona nevralgica, il solo Barella ha retto la baracca nel momento peggiore, mostrando il suo volto di combattente che ne completa le doti propositive, ieri meno appariscenti rispetto alla trasferta ellenica; poi è venuto fuori Jorginho, con un gioco scarno ma fondamentale per ricreare equilibrio nel settore, e la chiusura, come detto, è stata tutta del "francese", che se giocasse sempre coi ritmi, la continuità, la precisione e la concretezza degli ultimi venti minuti sarebbe elemento di valore planetario. 
I MERITI DELLA DIFESA; BERNARDESCHI GIU' DI TONO - Pur stregati dall'ondata offensiva finale, che ha visto il fresco Belotti fornire un contributo di notevole spessore fisico e Insigne sfiorare persino il 3 a 1 in contropiede poco prima del triplice fischio, non dobbiamo però dimenticare il ruolo decisivo recitato dalla terza linea per larghi tratti di gara. L'atalantino Mancini ha un po' sofferto nel tenere a bada gli avanti bosniaci, in particolare un Dzeko indiavolato, un perno offensivo che farebbe la fortuna di rappresentative anche più qualificate. Del duo juventino si è detto, mentre Emerson è stato costretto dalle circostanze a rimanere quasi sempre rintanato dietro, essendo invece un laterale che dà il meglio di sé in fase di spinta; ma merita una citazione anche Sirigu, che ha sfoderato sicurezza assoluta e coraggio, come quando è uscito su Dzeko strappandogli il pallone coi piedi. Fra lui, Donnarumma e l'ottimo Meret dell'ultima stagione napoletana, ci troviamo ad essere più coperti nel ruolo di quanto ci aspettassimo, dopo l'addio di Buffon. In avanti, come detto, Insigne uber alles; per il resto, Quagliarella ha avuto un solo pallone giocabile nel primo tempo e l'ha scagliato verso la porta di destro, consentendo a Sehic di prodursi nella miglior parata della serata, mentre ha deluso Bernardeschi, che col centrocampo in crisi avrebbe dovuto prendersi maggiori responsabilità in chiave creativa. Ma sono dettagli; importanti, certo, ma di sicuro nulla di irrimediabile. E poi si è ritrovato il feeling con le vittorie, senza le quali il morale resta sotto i tacchi e di strada se ne fa poca. Avanti così. 

domenica 9 giugno 2019

VERSO EURO 2020: L'ITALIA TRIONFA IN GRECIA. LA CRESCITA CONTINUA, BENE EMERSON E TUTTO IL PACCHETTO DI CENTROCAMPO


Primo comandamento: guai a illudersi. La storia del calcio italiano è ricca di bagliori improvvisi che sembravano annunciare trionfi in serie, salvo poi costringerci a rinfoderare i sogni di gloria per tornare a masticare amaro. Ebbene sì, accadde anche con la Grecia, nostra malcapitata avversaria di poche ore fa: nell'ottobre dell'83, un luccicante 3-0 a Bari colto dagli eredi dei mundialisti spagnoli. Pareva l'inizio di una nuova era di potenza e dominio, ma nel giro di poche settimane Svezia e Cecoslovacchia ci fecero la festa nelle qualificazioni all'Europeo '84, ridimensionando le ambizioni della nuova truppa di Bearzot e preannunciando con largo anticipo la magra a cui la sbiadita compagine azzurra sarebbe andata incontro al Mundial '86. La premessa è forse sgradevole ma necessaria, perché lungo è ancora il cammino verso la totale rinascita, né potrebbe essere diversamente dopo l'onta e l'abisso dell'esclusione da Russia 2018. E tuttavia, ormai la realtà è palese e innegabile: abbiamo di nuovo una Nazionale, una Nazionale che ha ripreso a fare calcio come Dio comanda e che può andare in giro per l'Europa a testa alta. 
BRILLANTE E PROPOSITIVA - Non era scontato, visto il buco nero dal quale eravamo stati inghiottiti. Ma Roberto Mancini, senza proclami, lavorando sottotraccia, preso in mezzo dalle esigenze dei club che riducono sempre più all'osso gli spazi delle rappresentative, ha già dato al gruppo azzurro un'identità ben precisa. Il copione di Grecia - Italia è stato, per i nostri, il medesimo delle precedenti sfide, a partire dall'eccellente trasferta polacca in Nations League: un undici che ha ritrovato il gusto del gioco, del possesso palla non fine a se stesso ma costantemente propositivo, una compagine che sa palleggiare con maestria a centrocampo ma anche cogliere il momento giusto per verticalizzare, per puntare con decisione la porta. D'accordo, la selezione ellenica attuale non è certo ai vertici continentali, anzi; la tara agli avversari va sempre fatta, ma ricordiamoci anche che nel passato recente, contro rivali ben più modesti di quelli di ieri, i nostri prodi hanno spesso stentato penosamente rimediando mezze figuracce o figuracce intere. Per non andare troppo lontano nel tempo, pensiamo alle ultime qualificazioni mondiali, alla doppia sfida con la Macedonia. Ecco, rispetto a quei momenti grami, è come essere passati dalla notte al giorno. 
DOMINIO E AUTOREVOLEZZA - Il nuovo Club Italia è una boccata d'aria fresca per come si propone, per il piglio autorevole con cui assume l'iniziativa, per come riesce ad affondare i colpi. Chiaro che vada atteso a test assai più probanti, ma c'è già uno stile, un'impronta, che emerge a prescindere dal valore di chi gli sta di fronte. Ad Atene, i ragazzi del Mancio hanno subito messo le mani sulle leve di comando del match. Traccheggiando un po' nei primi venti minuti, ma sempre in pieno controllo della situazione, per poi rompere gli indugi e andare a cogliere un successo che hanno ben presto intuito essere alla portata. Il trainer ha saputo sfruttare il momento magico di Emerson, già protagonista della finale di Europa League e ieri instancabile stantuffo sulla fascia sinistra. Ed è stata proprio una vittoria "di sinistra", diciamo così, perché maturata esclusivamente sul versante mancino del campo, percosso con continuità ed efficacia dai nostri azzurri per tutto il primo tempo. Così Belotti, dopo aver sprecato calciando alto su assist di Insigne, ha messo a soqquadro la retroguardia dei blu, arrivando sul fondo e scodellando in mezzo un pallone che Barella ha calciato in rete con decisione. Sempre da sinistra è partita la fuga in contropiede di Insigne, che ha saltato il suo controllore con eleganza per poi trafiggere Barkas con un morbido tocco di destro, ed infine Emerson ha crossato per Bonucci, abile a realizzare di testa confermando la sua fama di difensore goleador. 
SEMPRE PIU' CONCRETI - Altre occasioni sono  state mancate da Barella, giunto a tu per tu col portiere che ne ha neutralizzato il tentativo di pallonetto, e poi da Insigne e Chiesa nel secondo tempo, per tacere di altre iniziative pericolose, ad esempio un tiro a fil di palo del subentrato De Sciglio. Ha tutto sommato ragione, Mancini, a rammaricarsi per non aver trovato il poker: ma se la scarsa efficacia in fase conclusiva è stata a lungo il tallone d'Achille di questa giovane Italia, si può dire che in parte l'handicap sia stato superato. Manca giusto il citato Chiesa, ad accrescere la forza penetrativa della squadra: lavora tanto in prima linea, per sé e per gli altri, ma non riesce a concretizzare come ci si attenderebbe, e sconta forse la stagione disgraziata della Fiorentina. In compenso, si è visto l'Insigne più convincente di sempre in azzurro, proprio quando la sua esplosione stava diventando una chimera, mentre il trio di centrocampo continua a girare a mille: detto di Barella, visto ancora una volta nelle vesti di abile incursore e con una personalità sempre più svettante, tanto da fargli superare con disinvoltura anche i rari momenti di impasse, sia Jorginho che Verratti si sono fatti valere nelle due fasi, a chiudere, cucire e far ripartire l'azione, gestendo il pallone con proprietà tecnica e sapienza tattica. Insomma, la sostanza c'è, più avanti arriveranno impegni più severi, ma è giusto che ad essi ci si avvicini gradualmente, per consentire una tranquilla maturazione dei giovani (anche se ieri l'autentica linea verde in campo è stata rappresentata dai soli Barella e Chiesa): intanto, vincere aiuta a vincere, e vincere brillando aumenta la fiducia nei propri mezzi di un gruppo che partiva con un fardello pesantissimo sulle spalle, lasciato in eredità dalla precedente gestione.