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sabato 26 ottobre 2019

SANREMO 2020: ECCO IL REGOLAMENTO. BIG PRECETTATI PER "I SOLITI IGNOTI" DEL 6 GENNAIO. MISCUGLIO INCOMPRENSIBILE FRA BRANI INEDITI E COVER


Ora che il regolamento è stato finalmente pubblicato, si può ragionare un po' più concretamente sul Sanremo che verrà. Registriamo innanzitutto l'ennesimo ritorno allo schema-base che più di tutti ha decretato le massime fortune del Festivalone, quantomeno a far data dalla rinascita iniziata nei primi anni Ottanta. La formula Ravera, dal nome dell'organizzatore dell'epoca, o formula Baudo, visto che il Pippo nazionale l'ha più volte riproposta nelle edizioni di cui ha avuto la responsabilità. E dunque, subito accantonata la categoria unica riesumata da Baglioni nella kermesse 2019, ecco di nuovo la suddivisione fra Big e Giovani. Lo si sapeva già da qualche settimana: ciò che non si sapeva era il tipo di competizione studiata per gli artisti vip. Ebbene, nessuna eliminazione: i venti prescelti (ma forse qualcuno in più, è il settantennale e ci saranno moltissime richieste) saranno tutti ammessi alla finalissima di sabato 8 febbraio, mentre toccherà agli otto esordienti-emergenti tornare a scannarsi senza esclusione di colpi, riducendosi a due per la sfida conclusiva di venerdì dopo una serie di scontri diretti. 
TRADIZIONALISMO - Insomma, su questo piano nulla di particolarmente coraggioso da parte del neo direttore artistico Amadeus, ma del resto era difficile prevedere azzardi particolari, alla luce delle inclinazioni tendenzialmente tradizionaliste di un conduttore ormai lontano dagli spigliati esordi televisivi e, diciamo così, "cannibalizzato" dalla media e rassicurante normalità dello standard delle produzioni targate Rai 1. Ma non è il caso di rammaricarsene: è un'edizione importante, quella del 2020, forse la più importante di sempre, anche solo per il fatto che si festeggia un compleanno di rilievo, un traguardo storico e impensabile per una rassegna canora che a più riprese è stata data per morta, decotta, superata anche da insigni critici con la penna perennemente avvelenata. Non era perciò utile imbarcarsi in avventure pericolose, proponendo una struttura del Festival rivoluzionaria e rivoluzionata: per quello ci sarà il tempo dal 2021 in poi, nel caso si rendessero necessarie. Certo, magari una fase eliminatoria "morbida" come quella adottata da Carlo Conti nel triennio 2015-2017 poteva anche starci, giusto per dare un po' di pepe in più alla competizione, ma negli ultimi anni la platea catodica ha dimostrato di poter "sopportare" anche una gara annacquata, senza rischi per i Campioni, e allora...
IL PASTICCIO COVER - Spulciamo fior da fiore dal regolamento: ritornano le cover, e anche questo non era un mistero. Erano la passione di Carlo Conti, cresciuto a pane e "Migliori anni", ma almeno questa volta la loro presenza ha un senso preciso nell'ambito della natura anche celebrativa di questo Festival numero 70. Perlomeno discutibile invece, e questa è invece una grossa novità, l'idea di far pesare i rifacimenti dei brani del passato sulla classifica generale dei Campioni. Anzi, diciamolo pure: lo trovo un non senso regolamentare e tecnico. Si mischiano pere e mele, come si suol dire: il concorso deve premiare la miglior canzone in gara, che senso ha "inquinare" la graduatoria con le valutazioni legate alle composizioni già edite (e famosissime) proposte dai cantanti? Valutazioni che, in quest'ultimo caso, non potranno che riguardare esclusivamente la performance dell'interprete e l'originalità del nuovo arrangiamento, tutti elementi che nulla hanno a che fare con il brano inedito scelto dal direttore artistico. Sinceramente non riesco a trovare una valida spiegazione a questa bizzarra innovazione regolamentare: ecco, quando prima parlavo di mancanza di formule nuove e alternative, non mi riferivo certo a una cosa del genere, che mi pare invece un pasticcio e nulla più, destinato però a sollevare polemiche prima, durante e dopo l'evento. Altra cosa, e molto più lineare, far pesare sulla classifica generale le versioni dei medesimi pezzi in gara rivedute e corrette con la partecipazione di cantanti e musicisti ospiti, come avvenuto nella gestione Baglioni. Mah. 
TUTTI A "I SOLITI IGNOTI" - L'altra grande novità riguarda invece il periodo pre sanremese. Vediamo: com'era prevedibile, il cast dei Big verrà annunciato il 6 gennaio, in occasione della trasmissione che ha decretato il grande ritorno in auge di Amadeus, ossia "I soliti ignoti". Essendo anche il programma abbinato alla Lotteria Italia, di cui quel giorno verranno estratti i biglietti vincenti, è facilmente prevedibile un boom dell'Auditel. Annuncio cast e distribuzione di milioni di euro, abbinata imperdibile. E fin qui tutto normale: ma i venti o più cantanti noti selezionati dovranno partecipare come ospiti a quella puntata, rischiando, in caso contrario, una clamorosa esclusione per far posto ad altro artista. Rai e direzione artistica inflessibili, dunque, ma c'è da dire che questa passerella aggiuntiva conviene a tutti: alla tv per aumentare ulteriormente l'appeal di quella prima serata di fine vacanze natalizie, ai cantanti perché un passaggio sul piccolo schermo in più, di questi tempi, è tutto grasso che cola, non essendoci più le vetrine di un tempo tipo Discoring, Superclassifica o, in periodi più recenti, Top of the Pops. Si richiede loro, insomma, un piccolo sacrificio però molto vantaggioso. L'amico poeta e sanremologo Luca Valerio, grande memoria storica del Festivalone, mi fa notare che non si tratta di una prima volta assoluta, e che già Paolo Bonolis, alla vigilia del Festival 2005, fece sfilare i suoi Campioni ad "Affari tuoi" il giorno della comunicazione del listone. Si tratta in ogni caso di un evento assai raro, una trovata alla quale in pochi hanno pensato anche in tempi di totale spettacolarizzazione mediatica: dal Giletti dell'Arena ai conduttori degli ultimi Sanremo Giovani autunnali, la "rivelazione" dei concorrenti è sempre avvenuta tramite semplice lettura dei nomi, e tutto finiva più o meno lì. 
RISCHIO FUGA DI NOTIZIE - Se il 6 gennaio 2020 è la data in cui tutte le riserve verranno sciolte, gli inviti ufficiali ai cantanti e ai loro management giungeranno nel periodo fra il 16 dicembre e il 3 gennaio: ciò apre una sorta di "buco" temporale, giorni durante i quali potrebbero esservi fughe di notizie in quantità tale da bruciare l'annuncio in diretta tv, un po' come accadde ad esempio nel 1994 quando una gola profonda spifferò a "Striscia la notizia" l'intero elenco dei Big scelti da Baudo. Ed è fin troppo evidente che, con il web e con la moltiplicazione di testate e testatine giornalistiche online, tale rischio aumenti in misura esponenziale. 
STRANIERI IN GARA E MINUTAGGIO - A una prima lettura, non si fa cenno alla nazionalità dei partecipanti (ma non è la prima volta), ergo potrebbe esserci spazio per qualche concorrente di fuorivia, il che non sarebbe male per celebrare l'eccezionalità dell'edizione. Si è fatto in tal senso il nome di Dionne Warwick in coppia con Silvia Mezzanotte, duetto di grande suggestione vocale ma di scarso appeal commerciale. Vedremo. Si torna all'antico, infine, riguardo alla durata delle canzoni, scendendo dai quattro minuti ai tre e mezzo, con qualche minima tolleranza: un peccato perché bisognerebbe lasciare la massima libertà espressiva agli autori. Gli appassionati ricorderanno che uno dei momenti più alti nella storia della kermesse fu l'esibizione dei Dire Straits, nell'81, con la lunghissima "Tunnel of love": senza arrivare a certi eccessi, ci vorrebbe più elasticità, e Baglioni l'aveva concessa... 
OCCORRERÀ UN CAST TRASVERSALE - Poi, al di là di regole e cavilli, anche se in molti tendono a dimenticarlo l'importante è il contenuto, più del contenitore, e quest'anno più che mai occorrerà essere trasversali, dare spazio alla più ampia gamma possibile di tendenze musicali: pop d'attualità, rap e trap, talent, cantautorato moderno, indie, super veterani e reduci anni Novanta, questi ultimi magari sfruttando l'onda lunga del successo di "Ora o mai più", altra trasmissione ottimamente pilotata da Amadeus e che l'ente tv di Stato ha tutto l'interesse a valorizzare ulteriormente. Una o due caselle nel cast festivaliero potrebbero dunque essere occupate dai vari Vallesi, Lisa, Morlacchi, Salemi ecc., beninteso se presenteranno produzioni qualitative, ma è ancora presto per azzardare ipotesi. Dopodiché, speriamo in un incremento delle quote rosa, nell'ultimo biennio fin troppo trascurate.

domenica 13 ottobre 2019

VERSO EURO 2020: L'ITALIA "IN VERDE" È GIÀ QUALIFICATA. PIÙ FORTI DEL CATENACCIO GRECO, MA SENSI E PELLEGRINI PAIONO INDISPENSABILI

                      Bernardeschi: il suo ingresso ha cambiato marcia all'Italia (foto Guerin Sportivo)

Siamo fuori dal tunnel, direbbe Caparezza. Pronti per l'Europa, in attesa di riconquistare un posticino al sole anche... nel mondo. Un passetto alla volta, ma la qualificazione al torneo continentale (con tre turni di anticipo!) è già tanta manna, se pensiamo ai due anni terribili lasciati alle spalle. Nel novembre 2017, dopo il play off iridato perso con la Svezia, eravamo il nulla calcistico o quasi, un'entità tecnicamente trascurabile nel panorama planetario. Da Ventura a Mancini, passando per l'oscuro interregno di Di Biagio, eccoci qua. Non era scontato, non poteva esserci nulla di scontato dopo un'apocalisse (la definizione fu dell'allora presidente federale Tavecchio), come quella che ci precluse il viaggio in Russia. 
Ricostruire una squadra nazionale da zero è impresa che richiede tempo, fatica, esperimenti falliti, delusioni: è la storia a dirlo, basti pensare alla lunga incubazione che ebbe, negli anni Settanta, la rappresentativa del duo Bernardini - Bearzot prima di assurgere ai trionfali livelli argentini e spagnoli. Bobby gol è ancora lontano dal raggiungere quella perfezione, ma intanto un primo traguardo l'ha centrato. Poi si potrà dire tutto: che il girone non proponeva ostacoli insormontabili, che il pass per Euro 2020 è stato ufficialmente staccato in una serata tutto sommato grigia della nostra formazione. Però sette partite consecutive bisogna comunque vincerle sul campo, ed è ancora una volta il passato a venirci in soccorso ricordandoci che niente è scontato per il Club Italia, spessissimo in difficoltà soprattutto contro compagini anche estremamente modeste. 
IL MATCH PIÙ DELICATO - La gara dell'Olimpico romano era la più delicata fin qui nel percorso netto del cittì. Non certo per la caratura degli ellenici, quanto per tutti i significati che essa racchiudeva: vincere voleva dire uscire definitivamente dal limbo per tornare a battersi contro la créme internazionale del pallone, e occorreva dimostrare di essere pronti ai nuovi impegnativi confronti, quelli che dovremo sostenere nell'Europeo itinerante del giugno prossimo. Non conquistare la qualificazione ieri sera avrebbe avuto scarsa rilevanza sul piano prettamente matematico (i punti necessari sarebbero comunque arrivati più avanti), ma enorme su quello della credibilità dei nostri e del processo di crescita del gruppo, che avrebbe smarrito più di una certezza. Ci attendeva un impegno ricco di insidie, dunque, ma pochi se ne sono accorti, passando questi ultimi giorni a baloccarsi polemicamente col "caso" della casacca verde, del quale tornerò a parlare in chiusura. 
GRECIA CATENACCIARA - Poi, certo, la gara in sé per sé non ha offerto un bello spettacolo, anzi. Da quando l'Italia ha cominciato a ridiventare una squadra, direi quindi dall'ottima trasferta polacca in Nations League, quella di ieri sera è stata la sua peggior prestazione. Con una postilla, però, già più volte sottolineata in passato su questo blog in circostanze analoghe: per veder giocare del buon calcio occorre il contributo di entrambe le contendenti. La Grecia è giunta nella Capitale a fare catenaccio duro e puro, un'orrenda ammucchiata fra area e trequarti. Se questo è il modulo su cui il buon Johnny Van't Schip vuole impostare il rilancio della sua selezione, per il calcio ellenico si prospettano tempi grami: nemmeno la formazione-miracolo del 2004, quella di Dellas e Charisteas che pur non brillava per luminarie di manovra, si arroccava così davanti al proprio portiere. E dunque, per far saltare certi dispositivi difensivi, la strada è una sola, a meno che non si posseggano il fuoriclasse alla Baggio in grado di inventare la super giocata estemporanea o il bomber alla Vieri capace di far centro alla prima palla gol che gli capita tra i piedi: palleggiare in velocità fino a slabbrare gli avversari e poi cogliere il primo varco utile fiondandocisi dentro. 
LENTEZZA E FASCE POCO ISPIRATE - Una strategia che non è riuscita ieri ai nostri, quantomeno nel primo tempo, fatto di avanzate lente e prevedibili, facilmente rintuzzate. E nemmeno le manovre di aggiramento hanno avuto efficacia: è stato cercato fin troppo Chiesa sulla destra, nonostante il fiorentino avesse mostrato fin dall'inizio scarsa vena, tanto da non esser quasi mai in grado di saltare l'uomo, il che è invece una delle sue caratteristiche migliori. Sulla sinistra, Spinazzola ha spinto come un forsennato, e di questo gliene va dato atto, ma raramente ha saputo mettere cross apprezzabili in area, mentre l'altro esterno basso, D'Ambrosio, forse menomato per un infortunio subìto nelle battute iniziali, si è limitato ad adempiere ai suoi compiti di copertura ed è stato un peccato, perché l'unica volta che è andato al traversone ha messo sulla testa di Immobile una delle migliori opportunità della gara: sull'inzuccata del laziale, il guardiano Paschalakis si è esibito in una affannosa deviazione in corner. 
RIPRESA: INSIGNE E BERNA SUGLI SCUDI - Morale della favola: primo tempo senza occasioni per i nostri, e, anzi, con un brivido per Donnarumma, abile a deviare una botta di Koulouris. La ripresa ha mostrato un'Italia più rapida e precisa negli affondo, anche se non ci voleva molto e anche se ciò ha comportato qualche problema di equilibri tattici, stante il contropiede vanificato ancora da Koulouris con una conclusione sull'esterno della rete. Bernardeschi ha portato più verve rispetto allo spento Chiesa, Verratti e Insigne han cominciato a giostrare con la perizia che è loro propria e il napoletano si è procurato il rigore sblocca punteggio, costringendo Bouchalakis al fallo di mano: l'ha trasformato Jorginho, che per tutta la partita si è dato un gran da fare nella zona nevralgica senza però attingere ai consueti livelli di lucidità. Dopo, la difesa ellenica ha allargato le maglie e sono arrivati i tanto sospirati spazi per i nostri, al prezzo di qualche rischio in più in retroguardia, con Bakasetas che, da posizione favorevolissima a centro area, si è prodotto in un tiraccio fuori bersaglio. Parte finale tutta tricolore: Bernardeschi ha trovato il meritato sigillo personale con un bel sinistro da fuori (e leggera deviazione di Giannoulis), poi ha attivato con uno splendido lancio Insigne, il cui destro al volo è stato deviato in angolo dal portiere. Lo stesso Insigne aveva in precedenza sfiorato il raddoppio con una bordata dalla distanza, meritandosi la palma di azzurro più attivo e insidioso in fase offensiva, assieme al citato juventino ed ex fiorentino che pare stia superando il suo prolungato momento difficile: dopo il gol in Champions col Bayer, questa volta gol e rendimento personale di tutto rispetto. Avanti così. 
CON SENSI, PELLEGRINI E BELOTTI LA MUSICA È DIVERSA - Rimane l'impressione di un'Italia che ha comunque faticato non poco a produrre il suo consueto gioco: forse è presto per parlare di intoccabili e imprescindibili, ma la sensazione è che il rendimento di questa squadra possa crescere in maniera esponenziale con l'apporto di Sensi nel mezzo e di Lorenzo Pellegrini nelle sue molteplici vesti tattiche, così come al momento Belotti sembra in grado di offrire più garanzie e maggior killer instinct rispetto a Immobile. Però, ecco, alla fine si è vinto, e anche meritatamente, perché è giusto che chi sta chiuso a riccio (è mancato solo il pallone scagliato in tribuna) alla fine paghi dazio: non accadde due anni fa alla Svezia, perché quella che l'affrontò era un'Azzurra sbagliata nelle idee, in alcuni uomini in campo e nella guida in panchina. Oggi è tutta un'altra storia: il nostro calcio è degnamente rappresentato  da una selezione con ampi margini di crescita e con buone alternative in larga parte dei ruoli. 
VERDE O AZZURRO, L'IMPORTANTE È FARE BENE - Resta da parlare della famigerata maglia verde, che ha scatenato dibattiti incredibili, con opinioni spesso degnissime e in altri casi assolutamente fuori dal mondo, fino a intravedere inquietanti finalità politiche dietro questa scelta. Si tratta di marketing e merchandising, solo questo: chiaro che non verrà mai detto esplicitamente, così come nessuna azienda che si rispetti affermerà chiaramente "lanciamo questo prodotto perché vogliamo incrementare i nostri profitti". Ci sarà sempre lo slogan accattivante a far da paravento, nel caso specifico il verde a simboleggiare la speranza nel futuro e la rinascita del nostro football (il che poi ci può anche stare): è una delle basi della pubblicità e delle attività imprenditoriali, scoprirlo nel 2019 fa un po' specie. Poi si può discutere sull'opportunità dell'iniziativa, senza dimenticare che la nuova casacca non andrà a sostituire tout court il classico azzurro e che comunque questa divisa ha un legame con la storia della nostra Nazionale, basti pensare all'analoga maglietta verde indossata nella lontana amichevole del '54 contro l'Argentina. In fatto di tenute da gioco, abbiamo visto di peggio: ricordo l'incredibile casacca simil - uruguagia indossata dai nostri alla Confederations 2009, o certi arditi esperimenti cromatici adottati da altre nazionali fra anni Ottanta e Novanta (Belgio e Spagna, giusto per citarne due). Ci si scandalizza per altre cose: i prodi che fallirono la qualificazione mondiale nel 2017 indossavano uno sgargiante azzurro, per dire. A me, scusate, preme di più che i calciatori italiani offrano rappresentazioni degne della tradizione del nostro movimento calcistico, e l'Italia di Mancini, fra alti e bassi, lo sta facendo. Poi viva l'azzurro, sempre e comunque, ma per tornare sul podio di una grande competizione internazionale accetterei anche una casacca gialla...