Uno a uno e palla al centro. Venerdì scorso, la Nazionale azzurra aveva rovinato ai polacchi il loro anniversario dell'indipendenza; ieri sera, è toccato agli uruguagi rovinare a noi la festa finale per i nostri 150 anni. Pari e patta, dopodiché restano le considerazioni tecniche su ciò che questo doppio impegno amichevole ha aggiunto e tolto al quadro della ricostruzione azzurra.
Sarò sincero: anche nelle serate meno felici, sul piano del gioco e soprattutto del risultato, come quella di ieri, questa Nazionale non riesce proprio a non piacermi del tutto. C'è sempre qualche sprazzo, qualche idea, qualche trama che mi induce a pensare che non tutto sia da buttare, che ci siano basi più che solide per continuare a crescere. E per quanto mi riguarda non è poco, anzi è tantissimo. Seguo gli azzurri dagli anni Ottanta, raramente mi sono persa una partita, amichevole o "vera" che fosse; ho una memoria piuttosto solida e ricordo lunghi periodi della storia recente di questa squadra in cui, già prima del fischio d'inizio, c'era la discreta certezza di doversi mettere davanti al televisore per assistere a novanta minuti di noia, improvvisazione, gioco di disarmante povertà. E' avvenuto, e questo non lo perdonerò mai, anche con Nazionali assai più attrezzate di quella attuale sul piano del talento.
Ora non è più così: ieri sera l'Italia ha perso, ma, Dio bono, ha lottato con animosità (certo non paragonabile a quella dei sudamericani, che anche in una fase storicamente favorevole come quella che stanno attraversando non riescono proprio a lasciarsi alle spalle antichi vizietti come quello dell'eccessiva fisicità e delle manfrine: peccato, roba da "mediocri", quali essi non sono), e, pur mancando della brillantezza altre volte sfoderata, ha tenuto pallino con insistenza, ha cercato il pari e lo ha sfiorato ripetutamente. Se in certe circostanze recenti (vedasi trasferta in Serbia) era emersa una certa difficoltà a produrre palle gol in proporzione alla gran mole di gioco creata, all'Olimpico è accaduto il contrario: dopo aver mancato il vantaggio con Balotelli in avvio, i nostri hanno collezionato occasioni: ancora due con Mario e una ciascuno per De Rossi e Osvaldo (quest'ultima clamorosa) nel primo tempo, poi con Pepe (grande parata di Muslera), Maggio e Balzaretti nella ripresa, per un pari che ci stava tutto. Quando si crea tanto, al di là del risultato che non ti sorride (ma occorrerebbe ricordare la caratura di un avversario che alla fine ha solo confermato la sua superiorità attuale, quarta al mondo e prima in Sudamerica, ricordiamolo), si può continuare a lavorare tranquilli.
Lo stesso era accaduto a Cracovia, in una situazione tattica diversa: a fronte di avversari aggressivi, i nostri hanno saputo soffrire riducendo al minimo i rischi (i polacchi caricavano, ma di pericoli veri ne creavano pochi) e mostrato un gioco essenziale e pratico, per poi, una volta trovato il vantaggio, tornare a tratti a dispiegare un gioco arioso e un contropiede micidiale: raddoppio di Pazzini a parte, due errori di Matri hanno impedito al nostro primo successo da quelle parti di assumere proporzioni trionfali, prima che nel finale, col punteggio al sicuro, i biancorossi trovassero tardivamente continuità di gioco d'attacco sfiorando il gol della bandiera, fra un rigore sbagliato e un florilegio di tiri fuori bersaglio.
E poi, beh, finalmente Balotelli. Arrivo tardi e tutti ne hanno già parlato: dicono che un giornalista che si rispetti non debba mai scrivere: "Io l'avevo detto, avevo ragione io". Non è elegante. Bene, siccome io non sono un vero giornalista e probabilmente mai lo diventerò, quest'obbligo di eleganza non ce l'ho e quindi dico che sull'attaccante del City avevo ragione, quando già c'era chi lo aveva scaricato dopo due anni di mattane. Non so quanti altri giovani italiani di talento del passato, giunti alla sua età, abbiano vinto quanto ha vinto lui, incidendo così tanto in tali vittorie. Già solo per questo, e per la verdissima età che porta inevitabilmente con sé mattane e inquietudini, poi certamente accresciute dal particolare carattere, un'apertura di credito era doverosa, visto che gli stessi giornalisti hanno avuto in passato molta più pazienza e indulgenza nei confronti di giocatori che non la meritavano, e che nel frattempo a furia di promesse non mantenute son diventati vecchi. Per tutto quanto detto, e per un talento che emerge evidente da ogni giocata, in Mario bisognava credere di più. Non che adesso il dado sia tratto e che le magnifiche sorti e progressive siano per lui segnate, ma l'efficacia, la personalità, la voglia mostrate in queste due gare ne fanno fin da ora uno dei potenziali craques di Euro 2012.
Insomma, la nuova Italia c'è sempre, nelle serate felici e in quelle un po' più opache. E sta facendo riscoprire agli italiani il fascino e l'importanza delle amichevoli, considerate oggi dannose dai più. Un tempo non troppo lontano, queste gare "senza nulla in palio" avevano comunque una loro dignità, erano occasione per allenarsi, trovare l'amalgama, provare nuovi schemi e nuovi giocatori, aumentare l'esperienza internazionale. Per la verità in larga parte del mondo civile è così anche oggi, e le recenti serate dimostrano che si possono ancora organizzare sfide extralusso come Inghilterra - Spagna e Germania - Olanda riuscendo a dar loro dignità agonistica e decente contorno di pubblico, mentre dalle nostra parti l'atteggiamento dei club, avallato colpevolmente da certa stampa, prevede l'obbligo di storcere la bocca di fronte a partite azzurre "inutili". Ecco, se la nuova Italia di Prandelli e Balotelli riuscirà a limitare anche questo disdicevole andazzo, figlio diretto delle brutture del calcio contemporaneo, da parte mia avrà un applauso in più.
Nonostante la sconfitta (peraltro inflittaci da una grande nazionale, la più in forma), sono contento dei progressi fatti dall'Italia di Prandelli, che ha dimostrato di avere un gioco, una filosofia di calcio, nonostante le assenze di Rossi e Cassano e il cambio di modulo e di interpreti. Balotelli, poi, in questa forma può essere devastante; spero solo che questo momento duri e che la testa sia stata messa a posto definitivamente. Bene così, comunque: però non bisogna montarsi la testa in vista dell'Europeo, sarebbe un grosso errore.
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