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lunedì 19 dicembre 2022

QATAR 2022: TRIONFA CON MERITO L'ARGENTINA IN UNA FINALE EPOCALE. BILANCIO TECNICO E SGUARDO D'ASSIEME SUL PRIMO MONDIALE "NATALIZIO"

 

C'era mai stata, prima di oggi, una finale mondiale così? Fra quelle che ho potuto personalmente vedere, in diretta o a distanza di anni, sicuramente no. Sfide ben giocate, intense, combattute, come Germania-Olanda del '74; sfide non bellissime ma ugualmente incerte, tese ed equilibrate, come quella che ci ha condotto al nostro ultimo titolo iridato nel 2006; atti conclusivi a senso unico dall'inizio, come Francia - Brasile del '98, o indirizzatisi nettamente solo dopo l'intervallo, come la notte azzurra di Madrid '82. Ma nessuna, nessuna come questa Argentina-Francia che ha riportato la Coppa FIFA nelle pampas dopo ben 36 anni, un digiuno inaccettabile per un Paese che, anche in questo lungo intervallo, è sempre rimasto ai vertici planetari per capacità di produrre talenti del pallone. 

LA FINALE PIU' BELLA - Unica, unica davvero questa memorabile finalissima: per emozioni, altalena nel punteggio, classe dei protagonisti, spettacolo, qualità di gioco, siamo su livelli di eccellenza. Forse, andando molto indietro nel tempo e affidandoci alle cronache d'epoca dei giornali, qualcosa di simile può essersi visto in occasione del celebre "miracolo di Berna", il confronto del 1954 fra Germania Ovest e Ungheria, da 0-2 a 3-2 con tante occasioni, gol mancati di un soffio o annullati, prodezze d'alta scuola soprattutto da parte dei maestri magiari. Un incontro che però si concluse nei tempi regolamentari, senza prolungamenti. Quello del Lusail Stadium è stato un match infinito, ma senza cali di tensione, senza fasi di stanca neanche quando si sono superate le due ore di gioco, contando anche gli abbondanti recuperi. Un inno al calcio a cui non è mancato nulla, nemmeno la sfida nella sfida fra i due trascinatori. E sì, perché spesso in queste gare ultimative accade che i personaggi più attesi e più dotati stecchino, o comunque rendano al di sotto delle aspettative. Non vorrei risultare blasfemo, ma persino il Maradona dell'Azteca '86, ingabbiato tatticamente dai tedeschi, soffrì in apnea per larga parte di gara, prima di offrire a Burruchaga il pallone della sudatissima vittoria. 

SCONTRO FRA TITANI - Ieri no, ieri i due assi, Messi e Mbappè, si sono presi la scena quasi per intero, lasciando briciole di gloria ad altri degnissimi campioni. Ha fatto  letteralmente faville Di Maria, fin quando il fisico ha retto e fin quando il suo cittì l'ha tolto troppo frettolosamente dal campo, ma a pilotare la partita sono stati loro, gli attuali padroni del calcio mondiale a livello individuale, appurato che Cristiano Ronaldo pare ormai in parabola discendente. Due gol l'argentino, addirittura tre il francese, come Hurst dell'Inghilterra '66. E una presenza costante nel vivo dell'azione per Leo, mentre Kylian è stato, semplicemente, la Francia: si è preso sulle spalle una squadra smunta, spaurita, smarrita, rassegnata, e l'ha condotta a un passo da un un'impresa epocale, che avrebbe però rappresentato un premio eccessivo. 

TANTE PARTITE IN UNA - La magnificenza forse inarrivabile di questa finalissima '22 è stata data anche dai suoi molteplici volti: tante partite in una sola, ognuna delle quali carica di significati tattici, psicologici, morali destinati a diventare argomento di studio, in futuro, per chi vorrà fare calcio ai massimi livelli. La prima partita è durata per tutto il primo tempo, e sembrava la citata Francia-Brasile di 24 anni fa: troppa Argentina per i Bleus, indemoniata, motivata, feroce, brillante, agile, rapida. Con le spalle ben coperte da un'impostazione tattica perfetta, in avanti il solito Messi faceva faville e si accendeva uno straripante Di Maria, che prima si procurava il rigore dell'1-0 e poi siglava il raddoppio finalizzando una vertiginosa azione corale in contropiede. Quell'Argentina dominava al punto da ridurre i rivali a spente comparse. Ma nella prima parte della ripresa commetteva il tremendo errore di cercare con scarsa convinzione il tris, che era ampiamente alla portata, mentre il trainer Scaloni rinunciava precipitosamente a Di Maria rimpiazzandolo con Acuna, dichiarando apertamente il proprio intento conservativo. 

Facile adesso parlare di errore, in realtà poteva benissimo funzionare, come mossa strategica, anche perché dall'altra parte i campioni uscenti marciavano in folle e avevano già vissuto un piccolo psicodramma, con la sostituzione-bocciatura di Giroud e Dembelè prima del 45'. La verità è che, nonostante il risultato non fosse ancora al sicuro, non era assolutamente nell'aria la rinascita dei galletti. E' bastata una disattenzione difensiva, il rigore su Kolo Muani e la trasformazione di Mbappè, per dare inizio alla terza partita, invero piuttosto breve, quella in cui in francesi prendevano a volare presi per mano da Mbappè, che trovava fulmineamente il pari con un gran destro al volo. Ancora tanta Francia fino all'occasionissima sottomisura di Rabiot su cross di Tchouameni, ma già prima della fine dei regolamentari la Seléccion rimetteva la testa fuori con un gran sinistro dalla distanza di Messi alzato da Lloris. 

MEZZ'ORA STREPITOSA - Era l'inizio dell'ultima mini-partita, la più bella, quella in cui le due splendide rivali si sono scambiate colpi su colpi come due pugili indemoniati, ma erano colpi di finissima grana tecnica. Anche in questa fase equilibrata, incertissima, si vedeva però che l'Argentina aveva superato lo shock per la rimonta, mandava Lautaro due volte a un passo dal gol, e la terza, su respinta di Lloris, era pronto al tap-in l'impagabile Leo per quello che pareva essere il sigillo sulla finale. Niente affatto, incredibile braccio in area di Montiel su tiro di Mbappè, ancora lui, che trasforma il penalty resuscitando nuovamente i transalpini, prima che, nel finale del secondo supplementare, Emiliano Martinez si erga a salvatore della patria murando Kolo Muani presentatosi solo davanti a lui per il 3-4; il portiere completerà poi l'opera col rigore parato a Coman nella lotteria finale.  

ARGENTINA CON MERITO - Una giostra mozzafiato che ha emozionato anche chi, come me, era fuori dalla mischia, senza simpatie particolari. E che ha premiato, alla fine, chi più lo meritava. L'Argentina ha fatto un signor Mondiale: non era facile rialzare la testa dopo la tremenda batosta al debutto con l'Arabia, e non tutti i cittì hanno la personalità e l'autorevolezza per togliere di squadra, senza colpo ferire, alcuni titolarissimi per dare spazio a ragazzi con meno fama ma più in palla. La squadra, fino ai quarti, non sempre ha incantato, anzi, ma ha mostrato pragmatismo, ordine tattico, saldezza mentale, trovando un Messi costantemente ispirato come mai  nei precedenti Mondiali, e due giovani esplosi nel momento cruciale, Enzo Fernandez e Alvarez. Nelle ultime due uscite, e soprattutto ieri, i biancocelesti, ormai liberi dall'incubo dell'ennesimo fallimento iridato, hanno ritrovato compiutamente il gusto della manovra di qualità, dello svolazzo peraltro mai fine a se stesso. 

FRANCIA IN CHIAROSCURO - Anche se sono sfumature, il cammino del team di Deschamps mi è parso leggermente meno brillante: buonissimo esordio con l'Australia, splendido ottavo con la Polonia (altra seratona magica di Mbappè), ma per il resto un'alternanza di momenti di altissimo spessore e altri di sofferenza e di pagnotta portata a casa col mestiere: perché nei quarti l'Inghilterra ha ben giocato, e ha lasciato il campo fra mille recriminazioni, non solo per il rigore fallito da Kane. E in semifinale, nella prima mezz'ora del secondo tempo, il Marocco ha fatto vedere i sorci verdi a Varane e compagni. Insomma, una Francia dalle potenzialità enormi ma solo parzialmente espresse, con l'ombra colossale di una finalissima giocata in totale sottomissione fino a dieci minuti dalla fine, perché al tirar delle somme solo il suo fuoriclasse l'ha tirata fuori dalle sabbie mobili regalandole un'altra ora di speranza. Ma il secondo titolo consecutivo non sarebbe stato del tutto meritato. 

LIVELLO COMPLESSIVO: BUONO MA NON ECCELSO - La superfinale ha innalzato in extremis il livello qualitativo di un torneo senza dubbio piacevole ma non eccezionale, sul piano delle espressioni tecniche. Si diceva che la collocazione tardo autunnale avrebbe consentito di vedere le migliori rappresentative, e i campioni più attesi, al top della forma e quindi al massimo del rendimento possibile. Alla resa dei conti, mi pare non sia accaduto nulla di diverso rispetto al tradizionale andazzo dei Mondiali estivi, diventati improvvisamente oggetto di disprezzo quando in realtà la leggenda di questa manifestazione, e la leggenda del calcio tout court, è nata, cresciuta e si è consolidata proprio grazie a ventuno edizioni tenutesi a cavallo fra primavera ed estate europea. Fra le Nazionali in prima linea, son state più le delusioni che le conferme: il Belgio è giunto al capolinea di una straordinaria fioritura generazionale che ha però partorito il topolino, quanto a conquiste concrete; la Germania, seconda eliminazione consecutiva ai gironi, ha problemi di ricambio e lacune di organico non minori di quelle che affliggono l''Italia; loro, alla fase finale ci sono arrivati grazie a un gruppo eliminatorio senza avversari, in cui sono riusciti perfino ad ammortizzare una sconfitta interna con quella Macedonia che poi ha ripetuto lo scherzetto ai danni degli azzurri, i quali invece non hanno avuto possibilità di riscatto e, contrariamente ai teutonici, si sono trovati fra i piedi una Svizzera confermatasi ruvida e indigesta anche in Qatar, prima del crollo al cospetto dei lusitani. 

SPAGNA E INGHILTERRA: LE INCOMPIUTE - E ancora: la Spagna è partita in pompa magna goleando la Costarica, ma negli impegni più probanti ha manifestato una sconfortante tendenza al "tutto fumo e niente arrosto", possesso palla e palleggio insistito ma con scarsissima forza penetrativa. L'Inghilterra, secondo gli esperti, era la squadra che più avrebbe dovuto avvantaggiarsi della nuova collocazione del torneo, ma, come tante volte in passato, non ha cavato un ragno dal buco: è rotolata quasi per inerzia fino ai quarti, grazie a un primo turno di tutto riposo e a un ottavo comodo contro il non trascendentale Senegal; con la Francia, lo si è detto, ha ben giocato ma ha mostrato le solite stimmate dell'incompiuta, già fatali nell'Europeo perso in casa: perché, ad esempio, Saka è un attaccante davvero interessante, rapido, sgusciante, pieno di iniziativa, ma ancora troppo poco incisivo e cattivo sotto porta, quando la posta in palio è pesante. 

BALLETTI PREMATURI - Il gruppone delle grandi deluse ha avuto, ancora una volta, il suo esponente di punta nel Brasile. Quando ho visto il buon Tite mettersi a ballare coi suoi ragazzi nel bel mezzo della scampagnata con la Corea del Sud (altro ottavo facile facile) ho capito che era tornata la solita Seleçao, o meglio quella vista troppe volte in passato, prigioniera del suo mito, troppo impegnata a specchiarsi in una bellezza solo presunta, perché i verdeoro hanno faticato per piegare la Svizzera e hanno anche perso contro il Camerun, per poi, dopo aver preso a pallonate i coreani (promossi al secondo turno in maniera rocambolesca), andarsi a infilzare sulla praticità estrema dei croati, con la genialata finale di non far battere a Neymar uno dei primi rigori (quando avrebbe dovuto, infine, andare sul dischetto, i giochi erano già fatti). Era un buon Brasile, non un grande Brasile, con alcuni elementi troppo stagionati, alcuni ruoli non adeguatamente coperti (Richarlison va bene per le prime partite, ma quando il gioco si fa duro...), tanti ottimi giocatori ma non più di due-tre capaci di spostare gli equilibri nelle sfide al vertice, nessun trascinatore alla Messi o alla Mbappè: Neymar è uno splendido giocoliere e un finalizzatore micidiale, ma raramente prende per mano la squadra nei momenti topici o in quelli delicati; ha segnato ai croati uno dei gol più belli della kermesse, ma è stato l'unico vero acuto di un'avventura condizionata ancora una volta dai guai fisici. 

CROAZIA: TERZA MA IN REGRESSO - Abbiamo citato la Croazia, straordinaria nell'ultimo quadriennio per continuità di risultati ai massimi livelli (mettiamoci anche il raggiungimento della prossima Final four di Nations League, tutto fa) ma regredita rispetto a Russia '18: arrivata in semifinale vincendo una sola gara nei tempi di gioco (col Canada), sovente in sofferenza (persino col Giappone e col decadente Belgio), salvata da singole fiammate, da una difesa di ferro raccolta attorno al fenomenale Gvardiol e dalle prodezze di un portiere di spessore, Livakovic, con Modric nel mezzo a dettare il suo immenso magistero calcistico, sprecato però da una prima linea non all'altezza. Anche se era dall'altra parte del tabellone, fra le semifinaliste avrebbe meritato di figurare maggiormente il Portogallo, che strada facendo stava acquisendo la sicurezza della grande squadra e si era anche elegantemente liberato della presenza ormai troppo ingombrante di un CR7 a scartamento ridotto, trovando nuove e fruttuose strade offensive. Ma poi è arrivato il Marocco...

RISCOSSA AFRICANA - Già, il Marocco. Attendevamo la riscossa dell'Africa dal Mundial '82, dagli sfortunati exploit di Algeria  e Camerun. Nel frattempo, persino l'Asia aveva preceduto il Continente nero nella corsa alle semifinali, raggiungendole nel 2002 con la Corea del Sud, peraltro attraverso un percorso discutibile. Una lunga marcia durata 40 anni, decisamente troppi per un movimento calcistico ricchissimo di talenti, pieno di giocatori formatisi al calor bianco dei principali tornei di club europei, e con rappresentative allenate da coach di prestigio internazionale. Dovevano arrivare ben prima là in alto, il Marocco ha infine centrato il traguardo perché, in mezzo alle tante "piccole" Nazionali che hanno offerto prodezze più o meno isolate in Qatar, Hakimi e compagni sono stati i più continui, e i più sagaci tatticamente. Calcio tradizionale, di matrice difensiva ma senza mai indulgere al catenaccio, anzi, con "esplosioni" offensive travolgenti e mortifere. Hanno messo in difficoltà tutti, anche la Francia, come abbiamo visto. Tra l'altro, è dagli anni Ottanta che il Marocco si propone periodicamente per ospitare il massimo evento calcistico, venendo regolarmente bocciato. Non sarebbe il caso, prima o poi, di dargli una chance, visto che ora può anche vantare meriti acquisiti sul campo, al contrario del Qatar o del Sudafrica 2010? 

POCA CONTINUITA', GIOCO DI STAMPO DIFENSIVO - Continuità: l'ha avuta il Marocco, è mancata a quasi tutte le protagoniste più attese, e soprattutto per questo non mi sento di parlare di Mondiale di alto livello, nel momento in cui le Selezioni-pilastro del calcio planetario alternano prove convincenti ad altre all'insegna del grigiore. Mancanza di continuità anche nell'ambito delle singole partite, in cui spesso si è assistito a isolate vampate di gioco che scaturivano da lunghi momenti di stasi. Tatticamente poche novità: si è tornati a curare maggiormente la copertura, ed è un bene, mentre latitano le idee per lo sviluppo della manovra d'attacco: a parte il citato Portogallo che, ripeto, aveva trovato una chiave di gioco offensiva che coinvolgeva diversi uomini e prescindeva dal suo ex trascinatore, le altre grandi hanno dovuto fare affidamento sugli estri delle loro star, che accendendosi facevano girare l'intero reparto, come Messi per tutto il Mondiale, come Di Maria nella finale, come Mbappè prima di ieri, perché contro l'Argentina, ribadiamolo, il futuro imperatore del calcio mondiale ha fatto tutto, proprio tutto, da solo. A proposito di Francia: in finale ha steccato come buona parte dei compagni, ma nelle gare precedenti ho visto un Griezmann sontuoso, il vero tuttocampista, fondamentale in appoggio ai compagni di attacco e utilissimo nei ripiegamenti; ancora una volta, come all'Euro 2016, gli è mancata la consacrazione conclusiva. 

CHE ITALIA SAREBBE STATA?  - Nell'ultimo numero del Guerin Sportivo, un bell'articolo di Tucidide affronta il tema della Nazionale italiana sotto vari aspetti, ma partendo da un punto: che Italia avremmo visto al Mondiale? Secondo l'autore del pezzo, non avremmo superato il primo turno, soprattutto, mi è parso di capire, per questioni atletiche. Rispetto l'opinione, ma non la condivido (del resto stiamo parlando del nulla: solo ipotesi, una vale l'altra): i campioni d'Europa non sarebbero diventati campioni del mondo, ma avrebbero trovato il modo di farsi onore. Come già scritto ripetutamente, e d'ora in poi vorrei non tornarci più sopra, la nostra seconda esclusione consecutiva è stata frutto più di circostanze contingenti, forse irripetibili, che dell'indubbia crisi che attanaglia il nostro movimento (e che nessuno pare voglia decidersi a prendere di petto, per cui prepariamoci ad altre delusioni). Ma, con la qualificazione in tasca, Mancini avrebbe sperimentato molto meno e si sarebbe presentato in Qatar con una squadra fatta più di esperti che di scommesse, e come per l'Euro, avrebbe senz'altro schierato giocatori in buone condizioni fisiche (a maggior ragione, essendo nel pieno della stagione agonistica). Dopodiché avremmo probabilmente pagato l'assenza di uno Spinazzola che chissà se tornerà l'imprendibile freccia di un tempo, e la precarietà di un Chiesa appena rientrato dal grave infortunio, ma, insomma, ce la saremmo giocata. 

lunedì 5 dicembre 2022

SANREMO 2023: NEL CAST DEI BIG LE DUE ANIME ARTISTICHE DI AMADEUS. RITORNANO LE SCOMMESSE VINTE, ARRIVANO I CAMPIONISSIMI. GIORGIA, MENGONI E ULTIMO, MA ANCHE MADAME, COMA_COSE, COLAPESCE-DIMARTINO E LEVANTE

 

                      Amadeus annuncia il cast sanremese durante il Tg1 delle 13.30 del 4 dicembre

Cosa sta diventando il Sanremo di Amadeus? La domanda non è né cattiva né maliziosa, ma cerca semplicemente di definire la linea artistica andata delineandosi in questi quattro anni di gestione dell'evento. Ecco, a caldo, poche ore dopo l'annuncio del listone dei 22 Big, mi pare di poter dire che la tendenza sposata dal patron sia quella avviata con l'ultima edizione, ossia il "festival grandi firme". Lo posso dire forse con un pizzico di amarezza, pensando al coraggioso e spiccato sperimentalismo che caratterizzò invece le prime due edizioni targate Ama, e che mi aveva letteralmente entusiasmato. 

IL RITORNO DELLE SCOMMESSE VINTE - La realtà è che c'è un tempo per tutto: e per il popolare anchorman c'è stato il tempo della ricerca, quello in cui ha setacciato il sottobosco della musica leggera nostrana alla ricerca di nomi inediti o poco conosciuti, anche se con una lunga gavetta alle spalle, da mettere alla prova sul massimo palcoscenico pop della Penisola, sfidando perplessità, gusti nazionalpopolari e gerarchie consolidate. Un po' come la fase attuale della gestione Mancini alla guida della Rappresentativa azzurra: ricerca di nuovi talenti, di calciatori in sboccio che possano ridare fiato a una squadra in crisi di risultati. 

A seguire, arriva il secondo step, quello in cui si raccoglie quanto seminato per poi alzare il livello, consolidando la struttura. Ecco, con Sanremo 2023 siamo a questo punto della marcia: in primis, il direttore artistico riporta in gara alcune delle scommesse vinte nel '20 e nel '21. Ritornano Colapesce e Dimartino consegnati all'immortalità canzonettistica da un tormentone epocale, Madame nobilitata persino dal Premio Tenco, i Coma_Cose che meritavano il bis sulla ribalta ligure, la coraggiosa cantautrice Levante, che due anni fa aveva già un suo pubblico ma che con "Tikibombom" passò dalla nicchia (una nicchia, lo ripetiamo, già... piuttosto larga) alla celebrità autentica. E non si tratta di ripescaggi gratuiti, ma tutti fondati su solidi argomenti, dalla credibilità musicale al mero successo commerciale. 

LA CONQUISTA DEI SUPERVIP - In questi nomi c'è il consolidamento del Sanremo formula Amadeus nella sua accezione "primordiale" e genuina. Una volta vinta questa sfida, il secondo passo non poteva che prevedere un innalzamento della posta, l'inseguimento dei superbig veri, i campioni di vendita. In tanti ci hanno provato, in pochissimi ci sono riusciti, se non con qualche exploit isolato. Nel 2022 ci sono stati il ritorno in competizione di una primadonna come Elisa, dopo ventun anni di assenza, poi una coppia di esponenti della nouvelle vague sulla cresta dell'onda, il duo pigliatutto Mahmood - Blanco, e la ricomparsa di due glorie assolute della canzone tricolore, Morandi e Ranieri. Adesso si è andati perfino oltre, perché un cast che può allineare ai nastri di partenza Giorgia, Marco Mengoni e Ultimo è un cast di prim'ordine, non si discute. 

TRIS D'ASSI - Poi, per carità, ci sarà sempre qualcuno pronto a obiettare che i veri grandissimi sono altri. Chi, onestamente? Qualcuno l'ho citato nel precedente post, e sono quasi convinto che il direttore artistico le abbia provate tutte per ottenerne la presenza, penso ad Antonacci o ai Negramaro, ad esempio. Ma, caspita, Mengoni e Ultimo monopolizzano le classifiche e fanno il pienone ai concerti, mentre Giorgia è Giorgia, una fuoriclasse assoluta, ed evito di fare paragoni pesanti che in realtà ci starebbero tutti ma che mi attirerebbero probabilmente molti strali. Oltretutto, grosso merito ad Ama per aver abbattuto quel muro cui ho fatto cenno l'altroieri, le remore psicologiche che da due decenni tenevano lontana dall'Ariston l'interprete romana. Insomma, si può sempre ambire a qualcosa di ancora più prestigioso, ma ogni tanto bisogna pure accontentarsi. Ma poi accontentarsi "de che"? Quanti Sanremo ci sono stati, nel passato più o meno recente, con tre-campionissimi-tre come questi pronti a darsi battaglia? Certo, se qualcuno continua ad aspettare i Venditti e i De Gregori, campa cavallo, e si metta l'animo in pace. 

Questi tre "fuori categoria", poi il duo siculo di "Musica leggerissima", Madame, Levante e la super glamour Elodie sono ora come ora i più accreditati a giocarsi la medaglia d'oro, e visto un tale livellamento verso l'alto sarà più che mai decisiva la qualità dei pezzi, perché, per dire, nel 99 per cento dei Festival "O forse sei tu" di Elisa avrebbe prevalso in scioltezza, ma dieci mesi fa trovò sulla sua strada una composizione altrettanto valida, e io scrissi di "ex aequo morale" per sottolineare la bontà di entrambe le proposte.

SPERIMENTAZIONE ADDIO, O QUASI - L'individuazione di queste due nette tendenze artistiche, ossia il consolidamento degli azzardi passati e il pensare in grande con il ricorso alle prime firme, fanno passare in secondo piano altre caratteristiche di un cast che però meritano di essere sviscerate. Come detto, la sperimentazione, l'audacia, la ricerca dell'insolito sono quasi sparite: i nomi "strani" sono giusto quelli di Rosa Chemical, che però, come abbiamo visto, circolava da settimane fra gli addetti ai lavori, e Mr. Rain, che da anni viene inserito fra i papabili per la rassegna e, insomma, prima o poi doveva arrivarci. Non sono sorprendenti, tutt'altro, le presenze di due dei tre artefici del martellamento balneare di "La dolce vita", ossia la debuttante Mara Sattei e Tananai che è, semplicemente, una Nuova Proposta sanremese che ce l'ha fatta, come tanti ragazzi prima di lui in passato. 

LAZZA COME BLANCO? - Era più arduo, parlando di sezione debuttanti, prevedere il ritorno di Leo Gassman, del resto uno che la categoria l'ha vinta senza però riuscire a dare seguito alla sua affermazione. Ci sta, insomma, ed è anzi giusto che sia stato preso in considerazione almeno un "virgulto" di una delle due edizioni più sfortunate di Sanremo Giovani, 2020 e 2021. Allo stesso modo, l'emergente Ariete era in rampa di lancio già dall'anno scorso, Lazza è uno dei fenomeni discografici di questo 2022 ed anzi, va sottolineato, è un altro colpaccio di Amadeus, visto che forse in questo momento il rapper non aveva immediato bisogno della vetrina rivierasca (ha accumulato in brevissimo tempo una quantità impressionante di dischi d'oro e di platino, da solo o in featuring). Da non escludere, anche se al momento la vedo difficile, che possa ripercorrere le orme di Blanco, giovanissimo protagonista della stagione calda e poi sugli scudi in febbraio. Quanto a LDA, lo avevo preventivato: meno Amici rispetto al passato, perché meno essenziali per la buona riuscita dell'evento, ma almeno uno ci sarebbe stato, ed eccolo lì... 

SUI GIOVANI UN AZZARDO ECCESSIVO - La ricerca del nuovo, per il Sanremo prossimo venturo, il direttore artistico la perseguirà in altro modo, ossia con una colossale, forse eccessiva, responsabilizzazione del vivaio festivaliero tout court. L'altroieri avevo ipotizzato un allargamento del numero di partecipanti per tornare alla classica cifra tonda, 26, ma pensavo all'aggiunta di un nome famoso. Invece, si è saliti addirittura a 28, con ben sei esordienti, sui dodici che parteciperanno alla kermesse pre natalizia. Ecco, questo è un azzardo che compensa una certa ordinarietà (di alto livello) nella scelta dei Big. E' evidente che "Ama" creda in questi giovani come forse non ci ha mai creduto in passato, ma rimango del medesimo parere espresso tante volte, ossia che il gareggiare coi vip rischi di schiacciare e bruciare le nuove leve: nel '19, sotto Baglioni, ce la fece Mahmood ma fu un caso eccezionale, l'anno scorso Tananai è venuto fuori in maniera piuttosto avventurosa (parliamoci chiaro, nella settimana sanremese non aveva destato grossissima impressione), Yuman e Matteo Romano hanno fatto balenare buonissime doti, pur diverse fra loro, ma, per l'appunto, sono rimasti schiacciati fra i grossissimi calibri e la personalità degli illustri rivali, quasi scomparendo, e la loro carriera, per quanto ben avviata, è ancora tutta da costruire.

PAOLA E CHIARA: RITORNO GRADITISSIMO - Gira che ti rigira, le uniche scelte del tutto o parzialmente inattese hanno riguardato il settore veterani: penso che nessuno potesse immaginare un ritorno di Anna Oxa, se non i suoi fans più irriducibili, non prevedibilissima neppure la prima volta assoluta dei Cugini di Campagna, che conservano discreto appeal televisivo, innata simpatia, buon seguito soprattutto presso un pubblico maturo, ma quanto a successi discografici sono fermi agli anni Ottanta: cosa potranno proporre, musicalmente, all'alba del 2023? Anche in questo caso nessuna domanda maliziosa, solo curiosità credo legittima per una band conosciuta e amata soprattutto grazie a una manciata di evergreen assai datate. Era nell'aria la rentrée di Paola e Chiara, che riempie di gioia sia chi ricorda il loro picco di popolarità del periodo "esotico-erotico" di Vamos a bailar e Kamasutra, sia chi, come me, è indissolubilmente legato ai dischi degli esordi, a piccoli gioielli come "Bella", "Per te" e "Non puoi dire di no". 

MODA': RINASCE UN MITO? - Sapore di Nineties con le sorelline, con Grignani che tenta l'ennesima resurrezione  e la canalizzazione di un talento troppo spesso a briglie sciolte, e gli Articolo 31: mi aspettavo J-Ax da solo sorprendendomi anzi della sua perdurante assenza dalla gara canora, ci sarà invece anche Dj Jad e, chissà, magari perfino Paola Folli. E dagli anni zero di questo secolo riemergono i Modà, dal percorso assai strano e tortuoso: campioni assoluti di vendita e riempi-stadi fino a un lustro fa, poi scivolati inesorabilmente nelle retrovie dei gusti del pubblico; potenza nefasta di un mercato musicale che, oggi più di ieri, consuma in fretta i propri miti. Ma hanno solida carriera ed esperienza, e se hanno mantenuto la buona ispirazione poetica dei momenti belli, potrebbero rinfrescare il repertorio con qualche nuova hit memorabile, perché no? 

IL ROCK ASSENTE E LA QUESTIONE SUPEROSPITI: GRANDI MITI E STRANIERI? - Manca il rock, dicono. Vero ed è un'assenza che si sente, ma il rock ha sempre avuto difficoltà ad attecchire sulla scena ligure. Non sono bastate neppure due vittorie di peso, quella di un Ruggeri all'apice della maturità nel '93, e quella del fenomeno planetario Maneskin. E' una tara genetica del Festival, il suo cuore tradizionale che cede a tante nuove tendenze ma, stranamente, non a questa. E però il rock italiano esiste, ha solo bisogno di tempo per prendere piede... Vediamo ora se Amadeus terrà fede a quanto fatto intuire sul discorso dei Big fuori concorso. In sintesi: supercampioni solo in competizione, ospiti solo i mostri sacri over 70. Ebbene, tre colossi in gara li ha conquistati, come visto. Nonostante l'affollamento di concorrenti, 28, gli ospiti ci saranno lo stesso come da struttura dello show ormai consolidatasi, ed è giusto che siano personaggi degni di celebrazioni vere, non premature come quelle toccate di recente, da quelle parti, a Ghali e Amoroso, fra gli altri. Così, una Marcella di nuovo al palo potrebbe venire a riproporre i suoi tantissimi successi non solo sanremesi, si potrebbe dedicare un cospicuo pezzo di una serata al grandissimo Peppino Di Capri, a Bobby Solo, a Nada, altra che sembrava in procinto di entrare nel cast. Meno italiani fuori dalla tenzone, e speriamo qualche vedette d'oltrefrontiera in più. Dai Sessanta in poi hanno sempre dato grosso lustro al Sanremone, e negli ultimi tempi sono mancati terribilmente. 

sabato 3 dicembre 2022

VERSO SANREMO 2023: GIRO D'ORIZZONTE SUI POSSIBILI BIG A POCHE ORE DALL'ANNUNCIO

 


Meno di 48 ore all'annuncio del cast di Sanremo 2023. Il TG1 dell'ora di pranzo di domenica 4 dicembre è l'insolita ribalta scelta da Amadeus per la comunicazione che gli appassionati del Festivalone attendono, ogni anno, quanto e forse più del nome del vincitore. Un rituale che ha ritrovato di recente la sua giusta sacralità, alimentata da indiscrezioni più o meno attendibili che, oltretutto, prendono a circolare con sempre maggior anticipo, spesso persino nei mesi estivi. Ormai le chiacchiere stanno quasi a zero, dunque, e io arrivo buon ultimo, nella consapevolezza di espormi a prevedibili e colossali brutte figure. Come cambiano i tempi: una decina d'anni fa ero fra i pochi sul web a cercare di "indovinare" il cartellone festivaliero, sulla base di ragionamenti legati all'andamento del mercato musicale; oggi si sono moltiplicati siti, testate, esperti e pseudo esperti, bene informati autentici e presunti, hanno capito tutti che la.... caccia al Big sanremese è redditizia sul versante "click" e ci si sono buttati a pesce, anche se le persone degne di credibilità si contano sulle dita di mezza mano. 

Il mio metodo in fase di pronostico è sempre stato lo stesso: dare un occhio alle più recenti partecipazioni sanremesi per valutare le possibilità di ritorni in gara a stretto giro di posta, scandagliare il panorama degli emergenti, dei veterani che non compaiono da tempo, dei non più giovanissimi che avrebbero bisogno di un rilancio in grande stile, ma soprattutto analizzare le tendenze del panorama discografico nell'anno solare che conduce alla kermesse: cartina di tornasole quasi infallibile per capire, almeno, chi avrebbe convenienza a tentare la carta rivierasca. 

SANREMO GRANDI FIRME? - Facciamo dunque un breve giro d'orizzonte. Con una premessa: i Big saranno di nuovo 22 più 3 giovani, o aumenteranno almeno di una unità per tornare al classico numero pari tipico di quasi tutte le edizioni? Fin da questa estate, il quarto Sanremo di Amadeus è stato etichettato (affrettatamente?) come il Festival delle grandi firme. Nel senso che sono stati snocciolati, man mano, i nomi più grossi della scena nostrana come concorrenti più che plausibili. Nomi che, fino ad appena due-tre anni fa, nessuno avrebbe mai potuto accostare alla gara sanremese senza venir preso per pazzo. Eppure, di settimana in settimana, abbiamo sentito parlare di Tiziano Ferro (follia), Antonacci, Giorgia, Gianna Nannini, Negramaro, e ora, uno dei rumors delle ultime ore, Renato Zero. Un tempo avrei fatto spallucce, ora si può ammettere che, forse, un paio di questi vip potrebbero persino esserci: nell'ultima edizione, del resto, non c'è forse stata la clamorosa ricomparsa di Elisa? Qualcosa può accadere, quindi, ma senza metterci il cuore sopra... Giorgia è da sempre frenata da limiti psicologici nei confronti del palco dell'Ariston, troppa tensione personale per una competizione che, in effetti, non frequenta dal 2001, Biagio pare abbia smentito, ma la sua carriera avrebbe bisogno di una rinfrescata, di una nuova hit epocale, e perché non celebrare il trentennale dalla sua seconda e ultima partecipazione, quel "Non so più a chi credere" del '93 che lo fece uscire dal limbo delle grandi promesse consacrandolo a big autentico? 

DA SANGIORGI A MENGONI - Chi avrebbe tutte le ragioni per non tornare più in concorso sarebbe Giuliano Sangiorgi coi suoi Negramaro, visto il trattamento indecoroso che le giurie riservarono a "Mentre tutto scorre" nel 2005, eppure non mi sento di escluderne la presenza. Si parla di Giuliano in coppia con Madame, che da rivelazione del Sanremo '21 e poi trionfatrice al Tenco, tornerebbe al Festivalone per puntare alla vittoria, forte di una partnership di lusso da cui avrebbero da guadagnare sia lei sia l'estemporaneo compagno d'avventura. Superbig a tutti gli effetti è anche Marco Mengoni: Sanremo 2023 potrebbe essere l'occasione giusta per un'altra celebrazione, il decennale del trionfo con "L'essenziale". Il secondo disco della sua trilogia "Materia" è nei negozi da poco, ma una apparizione al Festival non implicherebbe necessariamente un'accelerazione per l'uscita del terzo album: il mercato oggi è più elastico, soprattutto sforna prodotti a getto continuo, e un singolo-anteprima di Marco, lanciato in un contesto così prestigioso, avrebbe un suo senso e non andrebbe a danneggiare in alcun modo la normale marcia di avvicinamento verso il successivo "33 giri". Come esordiente illustre, non è da scartare l'ipotesi di un J-Ax sempre più mainstream, al punto che personalmente mi stupisce non abbia ancora messo piede nella più importante tenzone canora italiana. 

STELLE RECENTI - Veniamo a papabili più "terrestri": potrebbe esserci un ritorno in blocco dal 2020, primo atto dell'attuale gestione artistica, con Gabbani che chiederebbe la rivincita a Diodato, e con Elodie e Levante pronte a inserirsi nella lotta al vertice. Dal '21, detto di Madame, ecco riaffacciarsi Francesca Michielin, questa volta da sola e decisa a centrare il bersaglio grosso dopo due medaglie d'argento, nonché la strana coppia Colapesce-Dimartino, anche se sarebbe ingeneroso attendersi un bis del tormentone epocale "Musica leggerissima". Qualche speranza anche per i deliziosi Coma_Cose, un po' meno per Gaia Gozzi, mentre il discorso Annalisa rappresenta un caso a parte: la cantante savonese ha ormai raggiunto una credibilità tale da non potersi più permettere di approdare a Sanremo con una "canzoncina". Se torna, deve farlo con un pezzone, all'altezza o superiore alle sue migliori espressioni su quel palco (Scintille, Una finestra tra le stelle, Dieci). Il singolo lanciato per l'autunno, "Bellissima", è... bellissimo, per l'appunto, avrebbe forse fatto meglio a tenerlo in fresco per febbraio, visto che si è parlato di difficoltà nel trovare il brano giusto, ma tant'è. Perché, è bene chiarirlo, se Annalisa va, deve andare per inseguire il primo posto. Nel caso non avesse la composizione adatta, sarebbe più giusto che restasse ferma un giro. 

TORNA EMMA? E LA AMOROSO DEBUTTERA'? - Parli di Annalisa e pensi ad altre figure simbolo dell'età dell'oro dei talent: Emma è tornata nel 2022 con una "Ogni volta è così" davvero sostanziosa e ottimamente interpretata, giustamente premiata dal disco di platino; perché non provare ad alzare ulteriormente la posta con una nuova partecipazione "importante"? E poi c'è l'affaire Alessandra Amoroso, eternamente accostata al Festivalone ma mai in concorso, a volte duettante e una volta superospite. Ecco, siccome quest''anno la categoria dei big fuori concorso dovrebbe andare incontro a un salutare snellimento, venendo riservata solo ad artisti "attempati" che hanno dato lustro alla rassegna e alla musica italiana nell'arco di decenni, per molti giovani allergici alle classifiche i margini di manovra si ridurrebbero: della serie, o competizione o niente, e addio a una finestra promozionale di capitale rilevanza. Lo stesso discorso varrebbe per Ghali, anche lui inspiegabilmente superospite tre anni fa. 

DA SANGIO A TANANAI: TORNANO LE RIVELAZIONI '22? - Dell'ultima edizione, quella della parziale rinascita post Pandemia, potremmo rivedere Ditonellapiaga e l'imprevedibile rivelazione Tananai, anche se le ultime quotazioni li vedono un po' in ribasso, mentre più probabile è il ritorno di un Sangiovanni che in estate ha dato continuità al successo ottenuto in Liguria. L'anno solare ha riservato buone soddisfazioni a Lazza, Rhove, Bresh, Carl Brave, Fred De Palma, Mara Sattei, Myss Keta, tutti nomi assolutamente plausibili, mentre nelle ultime ore sta emergendo con decisione l'indiscrezione che porta a Sfera Ebbasta, possibile debuttante di lusso. Altri personaggi graditi al pubblico giovane potrebbero essere i Boomdabash (protagonisti nel 2019), Coez e Tommaso Paradiso, quest'ultimo assolutamente bisognoso di un exploit ai massimi livelli che la sua carriera solista non gli ha ancora riservato. E perché non un Fabri Fibra, "padre nobile" del rap italiano  del 21esimo secolo? Fra le voci femminili emergenti, pur distanti anni luce fra loro, da tenere in considerazione Ariete e la ruvida rapper Anna, più difficile vedere l'originalissima Casadilego. E i ragazzi di "Amici"? La loro presenza è sempre importante, ma non più fondamentale per il buon esito del Festivalone come avveniva fino a poco tempo fa. I nomi sono quelli di Luigi Strangis, LDA e Sissi: almeno uno potrebbe entrare nel cast. 

CANTAUTORI, ALTERNATIVI E LO "STRANIERO" - Nomi "alternativi": occhio a Franco 126, ben riuscito il suo duetto estivo con Loredana Bertè, poi Margherita Vicario, da anni in rampa di lancio, Vasco Brondi, Rosa Chemical che a febbraio ha fatto coppia con Tananai nella serata delle cover (il che a volte ha rappresentato il primo passo verso la partecipazione vera e propria, vedi La Rappresentante di Lista), i Baustelle, per i quali si tratterebbe di un debutto troppo a lungo atteso ma estremamente gradito. Potrebbe perfino essere l'anno giusto per l'anglo-genovese Jack Savoretti, qui su Note d'Azzurro spesso caldeggiato e che andrebbe ad occupare la casella "straniera" lasciata libera da Ana Mena. E chissà, magari ci riproverà l'Orchestraccia, che nel 2022 pare sia stata a un passo dall'inserimento nel cast. Pazza idea ma neanche tanto? Matteo Bocelli, accostato al Sanremo già in un paio di edizioni recenti. Gradevoli costanti? Da Arisa ad Ermal Meta a Malika, forse qualcuno ci proverà, ma non dovesse entrare non sarebbe un dramma: li ritroveremo comunque nelle edizioni venture.

VETERANI DELL'ALTROIERI... - E infine i veterani: sarà finalmente dato spazio a Marcella, dopo tanti tentativi andati a vuoto? Lo meriterebbe, per la costanza ma anche per l'indubbio prestigio apportato alla musica leggera nostrana dagli anni Settanta in poi. Difficile ma non impossibile vedere i Ricchi e Poveri, alla luce del lutto che li ha colpiti poche settimane fa con la scomparsa di Franco Gatti, ancor più difficile la via sanremese per i Matia Bazar new version di Fabio Perversi (più probabilità, ma non tantissime, per il duo Silvia Mezzanotte-Carlo Marrale, altra costola dei gloriosi Matia). Darei una chance a Gigliola Cinquetti, che avrebbe tutto per ripetere le "rinascite" di Orietta Berti e Iva Zanicchi, mentre non è da escludersi una clamorosa presenza di Edoardo Vianello, peraltro quasi 85enne, con tutti i limiti del caso per la partecipazione attiva a una settimana di lavoro intenso, continuo, massacrante come quella festivaliera. Attenzione anche a Nada, peraltro anche lei uscita in autunno con un nuovo album, fattore che potrebbe frenarne la rentrée. 

... E DI IERI - Veterani anch'essi, ma di più fresco conio, Raf, anche lui come Giorgia spesso tenuto lontano dal Festival da motivi caratteriali (stress eccessivo), e la coppia Renga-Nek, che ha quotazioni molto consistenti. Di Nek, peraltro, va ricordata la firma, nel 2020, di una petizione che proponeva Red Ronnie come direttore artistico futuro del Festival, in contrapposizione alla prima gestione Amadeus travolta dalle polemiche per l'inserimento nel cast del discusso rapper Junior Cally. Nel frattempo, Nek è diventato addirittura un volto televisivo Rai e il conduttore dei Soliti ignoti è persona che non porta rancore, come è giusto che sia nell'ambiente dello spettacolo. Si è parlato molto della clamorosa réunion di Paola e Chiara, e Sanremo 2023 dovrebbe essere il posto migliore per celebrarla. In lizza anche Paola Turci, mentre per le brave e meritevoli Mietta, Syria, Lisa e Nava ho ormai perso la speranza, ma chissà. Dopodiché, postilla da tenere sempre in considerazione, occhio alle sorprese autentiche, ai nomi mai fatti da nessuno. Ci sono sempre stati, da quando c'è Amadeus sulla tolda di comando sono ancora di più. Nel 2021 si raggiunse il top, ma dieci mesi fa chi si sarebbe mai aspettati Dargen D'Amico o Highsnob e Hu? 


mercoledì 16 novembre 2022

CLUB ITALIA: BASTA COI PIAGNISTEI. ALBANIA E AUSTRIA OCCASIONI PER CRESCERE, NON TAPPE DI UNA VIA CRUCIS GIA' FINITA. E DOMENICA SCATTA UN MONDIALE SENZA POESIA

 

Più Tirana, meno Doha. Ebbene sì: seguirò con più interesse le due amichevoli azzurre di questa settimana, rispetto al plastificato Mondiale qatariota, e pazienza se mi si prende per pazzo. I motivi li ho già spiegati mesi fa. In estrema sintesi: le fasi di ricostruzione della Nazionale mi affascinano, e ce ne sono state già tante, nella sua storia ultracentenaria. A otto mesi dalla sciagurata notte palermitana, è perfettamente inutile continuare a fustigarsi, e secondo me sbaglia Mancini  a sottolineare a ripetizione quanto sia duro per noi questo periodo in cui gli altri affrontano la sfida iridata, e quanto sia importante psicologicamente superare novembre e dicembre. Basta, è successo, guardiamo avanti, i mezzi e gli uomini per farlo li abbiamo, ancorché sempre più ridotti all'osso. 

Allo stesso modo, sono ormai fuori luogo e fuori tempo le ironie spicciole di certi frequentatori del web: le battutine sulla presunta inutilità dei nostri impegni del 2022 potevano esser tollerate all'inizio, alla lunga diventano stracche e ripetitive, e del resto i social non hanno mai sfornato nuovi geni della satira calcistica. Sulla seconda eliminazione mondiale ho scritto chilometri di blog. Sintetizzo ancora: le ragioni contingenti sono state decisive assai più dei guai strutturali del nostro calcio, innegabili e da me denunciati da lustri. Episodi di campo: bastava uno dei due rigori sbagliati per evitare persino gli spareggi. Contingenze stagionali: il calo fisico e mentale post Europeo non adeguatamente intercettato dal CT, che avrebbe avuto tempo e modo di porre rimedio immettendo forze fresche (e meno fresche, ma più in palla) in luogo di certi campioni spompati e appagati.

ILLUSTRI PRECEDENTI - Basta così, la frittata è fatta, amen. Del resto, l’Inghilterra saltò due Mondiali di seguito nel ’74 e nel ’78, e andò vicina al clamoroso tris anche nel 1982, salvata unicamente dai risultati degli altri; la Francia ne saltò due nel ’90 e nel ’94, e vi tornò nel ’98, senza passare attraverso le insidie della fase eliminatoria, perché giocò in casa; la Spagna ne mancò due nel ’70 e nel ’74. Insomma, non siamo casi umani unici: l’importante è saper ripartire senza piangersi addosso. Mi sembra che questa Italia l’abbia in parte già fatto, più solida e più fiduciosa di tanti tifosi piagnucolanti: dopo il tonfo macedone, ha vinto il suo girone di Nations League, un girone di ferro in cui, secondo i soliti satiri improvvisati della rete, sarebbe sicuramente stata il vaso di coccio, persino dietro l’Ungheria. 

QUELLE CHE PENSAVANO AL QATAR - Dicono: la Nations non conta nulla. Sono gli stessi che hanno intonato il de profundis dopo lo 0-3 contro l’Argentina nella comica “finalissima” londinese, quello sì un trofeo importante e storico, no? Per la cronaca, le semifinaliste della precedente edizione del nuovo torneo europeo sono state Francia (vincitrice), Spagna, Italia e Belgio, di quella in corso Italia, Spagna, Olanda e Croazia, cioè i campioni d’Europa e tre squadre qualificate per gli imminenti Mondiali, fra le quali la finalista sconfitta di Russia 2018. Sarà anche un torneo burletta, ma è onorato da molte grandi Selezioni, per cui diventa anche patetico giustificare i fallimenti di certe big (Francia e Inghilterra, disastrose, quest’ultima perfino retrocessa) dicendo che tanto “pensavano al Qatar”. Può essere, ma si può pensare al Qatar anche vincendo e giocando bene, come hanno fatto Furie Rosse e Furie… arancioni.

PAFUNDI? MAH... - Tornando a noi: dopo Palermo nessuna partita è stata inutile, non lo saranno nemmeno le prossime due. Anzi, raramente, dopo un obiettivo così sciaguratamente mancato, c’è stato tanto tempo e spazio di manovra per rimettere insieme i cocci. Tempo che non venne concesso per preparare la sfida alla Macedonia, ma questo è un altro discorso. Mancini sta facendo ciò che deve, avrebbe forse dovuto cominciare a farlo dopo le prime due infelici uscite post Euro, ma non si può avere tutto dalla vita: sta ristrutturando il gruppo, ha ripescato uomini di valore che erano ingiustamente rimasti fuori dal vittorioso listone del 2021, ha spalancato le porte ai giovani, talvolta esagerando. La convocazione di Pafundi ha scarsa logica, e lo scrive uno che la linea verde per il Club Italia l’ha sempre sposata in pieno, Note d’azzurro me ne è testimone dal 2011 a oggi. 

Pafundi è, a detta di tutti gli esperti di calcio giovanile, una delle massime speranze del nostro vivaio. Ma ha 16 anni e una sola presenza in A, nessuna in altri campionati professionistici, cinque in rappresentativa Under 17. Penso che pochi come me possano capire l’ansia, il desiderio di scoprire e lanciare gli azzurri del domani, ma questo mi sembra davvero il classico passo più lungo della gamba, che rischia di fare più male che bene al ragazzino. A meno che non siano tutti già convinti di essere di fronte a un potenziale crack, crack vero, ma di nuovi Maradona, nuovi Van Basten e nuovi Maldini ne ho già visti tanti, dacché seguo il calcio, e il più delle volte non è finita bene. Discorso diverso per Miretti e Fagioli, che di presenze in A ne stanno mettendo insieme un bel gruzzoletto e hanno già avuto modo di risultare decisivi nelle sorti della Juve, non propriamente l’ultimo dei club. 

SPIRAGLI DI LUCE GIOVANE - Al di là di tutto, questi nomi dimostrano ciò che ho sempre scritto: nonostante le politiche giovanili folli, nonostante l’esterofilia perniciosa, il vivaio  nostrano continua a sfornare prospetti di valore. Il guaio è che, spesso e volentieri, ai massimi livelli li aspetta la panchina, e non per colpa loro. Qualche spiraglio si sta intravedendo quest’anno (gli exploit dei suddetti juventini, di Casale, di Parisi, di Scalvini, di Udogie, le conferme di Pobega e Frattesi) ma sono casi singoli, non il frutto di una strategia pianificata volta a valorizzare capillarmente il “prodotto interno”. Rimane il problema di alcuni ruoli scoperti: poca gente per il centro della difesa (sperando che Okoli opti definitivamente per l’azzurro), e un pauroso vuoto generazionale per gli attaccanti di peso, una carenza mai vista e secondo me non casuale, ma frutto di concezioni tattiche a livello giovanile che andrebbero analizzate e rimodellate. Speriamo comunque nell’esplosione di almeno qualcuno fra i vari Lucca, Pellegri, Vignato, Cambiaghi, Colombo, Oristanio, e, per quanto riguarda il medio termine, nella consacrazione del bel Raspadori visto in Nations; poi, che Scamacca possa al più presto togliersi di dosso le ruggini azzurre e che Kean continui nella risalita intrapresa nelle ultime uscite bianconere.

MONDIALE SENZA GIOIA - Ritorno al Mondiale. Aspetto domenica con tanta malinconia, e non solo per l’assenza dei nostri. Oggi appare come il Mondiale più falso e insensato di sempre. A partire dalle modalità di assegnazione, sulle quali molti giornalisti investigativi hanno scritto parole di pietra, fino alla fase organizzativa che ha richiesto un colossale tributo di sangue, per chiudere con la questione dei diritti umani in loco. E ancora, la manifestazione assegnata a un Paese senza alcuna tradizione calcistica (e credo che neanche comincerà a costruirla a partire da questo torneo, come invece accadde negli Stati Uniti dopo il ’94), la collocazione nell’autunno – quasi inverno europeo, con conseguente brusca interruzione dei campionati nazionali del Vecchio Continente, che potrebbero ripartire con equilibri falsati dagli strascichi della kermesse. Tornei che sono andati avanti fino a una settimana prima del match inaugurale, e convocazioni diramate dieci giorni scarsi prima dell’evento. Una vigilia, cioè, praticamente inesistente, pathos e attese ridotte all’osso. 

Niente più poesia, per quanto mi riguarda. E non è una questione di età, di tempo che passa: ancora nel 2014, e avevo già 40 anni, contavo con emozione i giorni che mancavano all'inizio della festa. Quell’anno, poi, avevo grande fiducia nell’Italia, vice campione d’Europa, qualificatasi con due partite di anticipo (mai accaduto prima), con elementi validi in ogni reparto: fiducia che venne tradita da tutti, da Prandelli in primis, ma è inutile riaprire la ferita. Però la voglia di calcio e di Mondiale c’era sempre, nonostante gli anni, i pensieri, le delusioni. Ora no. Ovviamente vedrò qualcosa, sempre se me lo consentiranno impegni lavorativi e problematiche familiari che negli ultimi tempi si sono moltiplicati, ma senza l’ansia di un tempo di dover correre a casa per non perdere la tal partita. Dai quarti in poi, quello sì, cercherò di seguire tutto. Ma la magia, la poesia di un appuntamento unico, non riesco più a percepirle. 

 

mercoledì 15 giugno 2022

NATIONS LEAGUE: IN GERMANIA CROLLA UN'ITALIA-CANTIERE, DE PROFUNDIS INGIUSTI E SUPERFICIALI. IL PROGETTO CONTINUA E HA BUONE BASI


C'è chi già non crede più nel nuovo corso azzurro inaugurato da appena quattro partite, con colpevole ritardo, dal cittì Mancini. Forse perché non ci ha mai davvero creduto, se basta una serata nerissima per consegnarsi mani e piedi al disfattismo più spinto. Liberissimi, ci mancherebbe, ma sarebbe opportuno, almeno, ancorare il proprio pessimismo cosmico ad argomenti tecnici sostanziosi, piuttosto che a luoghi comuni ripetuti come un mantra e a falsi storici evidenti. 
Già è dura sopportare lo scempio che è stato fatto del titolo europeo 2021: il primo a non rispettare quell'impresa, intendiamoci, è stato lo stesso Club Italia, ma oggi è in atto addirittura una colossale opera di minimizzazione del trionfo, derubricato ad evento casuale o impresa in stile Grecia 2004 (roba da querela, per chi mastica un po' di calcio). Del resto, chi ha buona memoria ricorderà che casuale venne considerato da molti anche il mitologico successo spagnolo dell'82, di cui in questi giorni si celebra il quarantennale: quattro vittorie epiche precedute e seguite da sequele di partite brutte, pareggi e sconfitte, così si scriveva. Non cambia mai nulla e, soprattutto, non si impara mai nulla: è avvilente. 
OTTIMISMO - Personalmente, quei pochi che mi leggono l'avranno capito, ho sposato la causa dell'ottimismo: cauto e realista, sì, ma pur sempre ottimismo. Un po' perché le fasi di ricostruzione azzurra mi affascinano e mi appassionano da sempre, un po' perché la fiducia è ben riposta, in un trainer che ha già creato una volta una Nazionale vincente dalle macerie lasciate da altri, e in un bacino di giocatori numericamente esiguo ma tutt'altro che malvagio sul piano qualitativo, in fin dei conti lo stesso dal quale sono usciti i campioni continentali, nonché un altro drappello di validissimi elementi non compresi nel listone dei 26 dell'estate scorsa (ne ho parlato nel post di pochi giorni fa); un bacino che oltretutto, nonostante i colossali ostacoli strutturali, si sta allargando, grazie a nuove, credibili leve che si stanno facendo onore in Serie B, nelle Under azzurre e, ora, persino nella massima rappresentativa. 
PARTITA PER PARTITA - Era ciò che chiedevamo, no? A casa chi si è sentito precocemente appagato, e ha chiuso ingloriosamente il suo ciclo con la "finalissima" di cartapesta contro l'Argentina, e vigorose iniezioni di benzina verde. E invece, ecco ancora minimizzazioni e capovolgimenti di realtà; perché qui bisogna davvero cominciare a intendersi: il k.o. in Germania è l'unica, attendibile cartina di tornasole dello stato pietoso del nostro calcio? Il brillante pari di Wolverhampton è stato ottenuto contro un'Inghilterra carica di problemi, tanto da essere poi asfaltata dall'Ungheria? Benissimo, ma allora che si esalti il  nostro bel successo, in dominio quasi assoluto, contro gli stessi ungheresi, senza dimenticare la buona prova nell'andata contro i tedeschi. Non se ne può davvero più di questo strabismo critico volto, sempre e comunque, al tafazzismo, "Oh come siamo brutti, oh come siamo messi male". 
La verità è che ogni partita fa storia a sé, sempre, a maggior ragione quando si parla di partite ravvicinate buttate lì a fine stagione, da affrontare senza preparazione specifica come accade per Mondiali ed Europei, ai quali si arriva dopo settimane di ritiro e con progetti tecnici ben definiti. Certo, quella di ieri sera è stata una brutta, bruttissima storia, che però, personalmente, non mi ha sorpreso, come non mi aveva sorpreso la disfatta londinese, per altri motivi. 
COME FUNZIONA UNA RICOSTRUZIONE - Lo ha detto a più riprese il nostro trainer, molto più modestamente l'ho scritto io pochi giorni fa: nelle fasi iniziali di ricostruzione di una Nazionale non può esserci continuità di risultati e di prestazioni. Basta andare indietro di pochi anni, alle prime, timide uscite della nuova Selezione manciniana nel 2018. Ma, per i tanti nostalgici in servizio permanente effettivo, quelli per i quali la storia del calcio si è fermata all'82, non sarà difficile ricordare i vagiti dell'Italia di Bernardini e Bearzot, dallo 0-0 casalingo contro l'allora materasso Finlandia all'1-4 incassato dal Brasile nell'iconico torneo del Bicentenario americano, con gente che già chiedeva le dimissioni del Vecio proponendo candidature più o meno improbabili, da Vinicio a Giagnoni. 
E' assolutamente normale: gli undici titolari cambiano di partita in partita, non c'è amalgama, le formazioni vengono spesso stravolte a gare in corso, vengono immessi in gruppo giovanissimi alle prime armi, tutti privi di esperienza internazionale, alcuni persino digiuni di partite in  Serie A. Ma davvero, e scusate se mi altero: che cavolo pretendete da questa Italia che ancora non è squadra, ma solo un laboratorio in fermento, e che lotta contro i mulini a vento di campionati nazionali votati alla più ottusa esterofilia, totalmente chiusi alla valorizzazione degli emergenti nostrani? 
PERCHE' HA VINTO LA GERMANIA - Chiaro che poi occorra fare dei distinguo. Perché ad esempio in queste congiunture storiche si può vincere e perdere, brillare o deludere, ma non bisogna mai scendere al di sotto della soglia della decenza, cosa che invece gli azzurri ieri hanno fatto per larghissimi tratti dell'incontro di Moenchengladbach. La Germania ha vinto perché ci è stata superiore come atteggiamento mentale, come convinzione, come organizzazione, come tenuta fisica. L'aspetto della classe pura lo lascerei un attimo da parte: affermare perentoriamente "la Germania è più forte" vuol dire tutto e niente; precisare che "in questo momento è più forte" ha già più senso, ma è più forte perché è una squadra, se non proprio fatta e finita, più avanti di noi nell'opera di parziale riedificazione, con una fisionomia chiara e con leader tecnici ben definiti; l'Italia di un anno fa, nel pieno delle sue potenzialità, era superiore a questa Nationalmannschaft, anche come risorse complessive di talento e piedi buoni. 
Tutto cambia, nel calcio, perfino nel giro di pochi mesi, e comunque non è certo questo il momento per stilare graduatorie del valore effettivo di ogni singola rappresentativa: se tenessimo conto dei responsi di questo giugno calcistico un po' pazzerello, la Francia sarebbe relegata a compagine di seconda schiera, la stessa Inghilterra a mediocre formazione allo sbando. Capite che non è credibile, e che per questo la cosa migliore sarebbe giudicare e valutare le risultanze di ogni singolo match, prendendo il buono e il meno buono cercando poi di tracciare un quadro complessivo.
DA BOLOGNA A WOLVERHAMPTON - Questa sequenza di gare a tambur battente ci ha detto che un primo step è stato compiuto, quello più doloroso: l'accantonamento di alcuni mostri sacri non più competitivi, il ripescaggio di eccellenti professionisti rimasti fuori dal gruppone dei campionissimi 2021, e il lancio di una manciata di interessanti virgulti ai quali da settembre, ci scommetto, se ne aggiungeranno altri. 
Abbiamo visto un'Azzurra coriacea a Bologna nel primo rendez vous col team di Flick, poi dominante contro i magiari a Cesena (bugiardissimo il 2-1 finale), coraggiosa e propositiva al Molineux, ove si è mostrata sostanzialmente sicura dietro, agile e manovriera dalla cintola in su, più vicina alla vittoria di quanto non lo siano stati i padroni di casa, soprattutto in un  primo tempo di grana finissima, con opportunità clamorose per Frattesi, Tonali e Pessina e un buono spunto sprecato da Scamacca nell'area piccola, il tutto solo parzialmente bilanciato dal tiro di Mount deviato sulla traversa da Donnarumma, dal salvataggio in corner di Locatelli su passaggio avventato dello stesso portiere e dall'errore di Sterling davanti alla porta, perché contro i grandi avversari (e l'Inghilerra ancora lo è, o no?) ci sta di concedere occasioni, meno scontato è crearle, e per giunta crearle nitide. 
NON C'E' ANCORA UN'ITALIA TITOLARE - Di ieri c'è poco da dire e poca voglia di parlare: non si può neanche sostenere che con i titolari avremmo fatto miglior figura, semplicemente perché la nuova formazione titolare ancora non c'è, mentre quella dell'Europeo, lo abbiamo detto e ridetto, si è addormentata sugli allori e non è più in grado di darci alcunché. Ribadisco: la sconfitta, al di là della provvisorietà della nostra Selezione, è stata soprattutto di testa e di gambe. Ed è mancato un po' di amor proprio, quello sì, perché l'Italia cinque gol non dovrebbe permettersi di prenderli da nessuno, e la concentrazione deve rimanere alta anche sullo 0-3 per limitare i danni: spero lo capisca soprattutto Donnarumma, che ha chiuso una stagione per tanti versi disgraziata e che ora deve resettare, lavorando sui suoi pochi limiti, che però ci sono e che rischiano di essere esiziali (e Tiziana Alla della Rai aveva tutto il diritto di sottolinearlo: ci lamentiamo sempre di giornalisti che fanno domande  accomodanti, e una volta che ne troviamo una un po' "puntuta" la crocifiggiamo?). 
PUNTI FERMI DA CUI RIPARTIRE - Fatto un deferente ringraziamento a Gnonto e Bastoni, che coi loro gol hanno reso il tonfo meno pesante sul piano strettamente numerico (anche le statistiche contano), aggrappiamoci ad alcuni punti fermi: questa sessione di Nations League ha detto che l'Italia attuale non può fare a meno, nel reparto centrale e sulla trequarti, di Cristante, Tonali e soprattutto Lorenzo Pellegrini, che secondo me è un fior di campione, abile in tutte le fasi di gioco e utilissimo anche sotto porta, mentre Pessina è parso in crescendo e Frattesi rappresenta un'alternativa da coltivare accuratamente; che, in retroguardia, il citato Bastoni è comunque una certezza ma occorre lavorare sull'intesa con Mancini, mentre ci è spuntata quasi dal nulla una soluzione fresca e credibile come Gatti, preciso e autorevole in Inghilterra, e risulterà sicuramente utile anche Scalvini, che ha debuttato in una serata orribile come quella di ieri senza macchiarsi di colpe specifiche. Rimanendo in terza linea, Calabria ha avanzato una candidatura prepotente, mentre Dimarco, pur sottoutilizzato nell'Inter, si è messo in mostra con buoni spunti e intraprendenza (ieri, tanto per gradire, ha anche costretto al miracolo Neuer su punizione, anche se non sarebbe servito a nulla). 
IMMOBILE, GLI INFORTUNATI E LE FUTURE NEW ENTRY - I problemi davanti permangono: al di là delle sportellate e del palo colpito nell'andata coi tedeschi, Scamacca non incide, così come Raspadori, che lavora bene in rifinitura e in appoggio ma conclude poco, troppo poco. Meglio Gnonto, che fra alti e bassi ha dato un contributo perfino inaspettato: generosità, tanta esuberanza (a tratti eccessiva), buoni movimenti, un assist e un gol; e tuttavia, rimango del parere che si imponga un rilancio di Immobile, come del resto si puntò sullo stagionato Quagliarella all'inizio del primo ciclo manciniano. No, non possiamo proprio permetterci di rinunciare a un bottino di gol potenzialmente elevatissimo per mere questioni di adattabilità tattica: non sarà più un'Italia ancorata a un solo schema, si è provata la difesa a tre e si possono pertanto provare strade offensive diverse.
 Dopodiché, recuperiamo Spinazzola alla piena efficienza fisica, attendiamo con ansia il ritorno di Verratti e Chiesa, speriamo che Zaniolo confermi i recenti progressi, e vedremo incrementarsi nettamente le vie di accesso alla porta avversaria. Altri baby arriveranno, si diceva: Carnesecchi, Bellanova e Udogie i primi che mi vengono in mente, ma non solo. Poche ore prima del crollo dei grandi in Germania, i fratellini minori della sub-21 hanno conquistato trionfalmente la qualificazione nel torneo europeo. Non è vero, dunque, che c'è il vuoto generazionale assoluto: ci sarà se si continuerà a non far nulla per evitarlo e si continuerà a bloccare la crescita di chi esce dal nostro vivaio, ma questo è un discorso fatto e rifatto un milione di volte qui sul blog. 

mercoledì 8 giugno 2022

NAZIONALE RIVITALIZZATA DAI GRANDI ESCLUSI DI EURO 2020: CALABRIA, PELLEGRINI E POLITANO SUGLI SCUDI. ED E' UN'ITALIA "ROMANISTA"

 Nella mia ingenuità, rimango convinto che un'opera di ricostruzione azzurra come quella appena iniziata debba coinvolgere tutti, proprio tutti, dal vertice federale all'ultimo dei tifosi. Perché la Nazionale è il cardine di un movimento sportivo e cartina di tornasole del suo grado di sviluppo (o sottosviluppo). Riguardo ai tifosi, ho ormai perso qualsiasi speranza (quanto infantile accanimento, dopo Italia-Argentina, che squallida corsa alla denigrazione e all'insulto), ma un ruolo decisivo dovrebbe averlo anche l'apparato informativo, e qui cadono le braccia. Si invitano gli organi di stampa ad avere meno trasporto per le bufale d'oltrefrontiera e più attenzione per il vivaio nostrano, e loro interpretano la supplica con mentalità da seconda elementare: Gnonto azzecca un cross vincente al debutto in rappresentativa e diventa il possibile Messi italiano. Non contenti di aver contribuito, con la loro pressione, a frenare la crescita di Lucca, da possibile salvatore della patria nell'autunno scorso a mediocre protagonista cadetto, tentano ora di ripetersi rovinando la punta del Basilea, che in effetti ieri, a Cesena, ha commesso errori persino clamorosi nei sedici metri finali, pur non lesinando corsa e impegno. 

E' la stessa stampa, del resto, che parla di vittoria contro una modesta Ungheria: gli stessi magiari che sabato avevano battuto l'Inghilterra, e che all'Euro 2020 avevano fermato sul pari Francia e Germania. Che scarse, che modeste Inghilterra, Francia e Germania... Ah no, questo non si può dire, giusto? Peraltro, il vizio di diminuire sistematicamente i meriti azzurri, riducendone gli avversari a mere comparse, mi preoccupa un po' meno, anzi mi conforta: è il modus operandi adottato da molti osservatori, professionisti e non, nei tre anni che hanno condotto al trionfo continentale, e quindi è foriero di grandi soddisfazioni nel medio-lungo periodo. 

GIOVANI E ALTERNATIVE: CI SONO - Questa lunga premessa per dire che, ancora una volta, il Club Italia deve far da sé, contro tutto e contro tutti. Nessun vero programma di riforme è all'orizzonte da parte di chi comanda, bisognerà per il momento accontentarsi dei mal tollerati stage per ragazzi di interesse nazionale, comunque meglio di niente, se consentono di allargare in tempi rapidi il bacino di azzurrabili come in effetti sta avvenendo. Perché al di là degli impacci incontrati ieri, Gnonto è ormai parte del gruppo, va atteso e svezzato, e fra Germania e Ungheria hanno assaggiato il campo Cancellieri e Zerbin, oltre a chi già era in anticamera come Dimarco, Pobega e Ricci. 

Bene, molto bene così: era anche questo che chiedevo disperatamente, da Svizzera-Italia di settembre in poi. Ossia rinnovamento profondo muovendosi lungo due direttive: dare il cambio agli stanchi titolarissimi e campionissimi, attingendo alle nutrite retrovie già sperimentate dal Mancio nel suo primo triennio, e scandagliare la Penisola e l'Europa alla ricerca di nuovi prospetti da inserire subito nel giro, dando loro fiducia prima ancora che lo facciano i club di appartenenza. E' l'unica via al momento percorribile, certo rischiosa, ma che il cittì ha dimostrato ampiamente di saper battere con buoni risultati. Certo, dopo Euro 2021 l'ha intrapresa con colpevole ritardo, un ritardo che ci ha fatto perdere una qualificazione Mondiale ampiamente alla portata, e questo non va dimenticato. 

IL TRIONFO DEGLI "ESCLUSI EUROPEI" - Il match di Cesena ha dimostrato la bontà del lavoro di selezione attuato in questi anni dal trainer. Fra i protagonisti del successo sui danubiani ci sono stati Calabria, Lorenzo Pellegrini e Politano, tre che per un nonnulla sono rimasti fuori dal gruppo dei 26 per l'Euro. La conferma che non è vero che siamo di fronte a un deserto di talento. Pensate: avevamo perfino i ricambi per rinfrescare sollecitamente la squadra totem di Wembley, sol che si fossero lasciati da parte i debiti di riconoscenza (che il cittì continua a negare, ma di quello si è trattato). Il terzino neocampione d'Italia è stato molto utile soprattutto in fase di copertura, senza negarsi alcuni sganciamenti, mentre sull'altro versante Spinazzola, coi limiti di autonomia dovuti alla sosta di un anno, ha ripreso a scorrazzare in avanti, a triangolare coi compagni, ad aprire spazi e creare alternative al gioco d'attacco: elemento chiave nel definitivo decollo della prima Azzurra manciniana, la sua assenza è stata esiziale nel tremendo finale delle eliminatorie iridate. Intanto, nell'attesa di riacquisire piena e totale efficienza fisica, ha trovato comunque il modo di incidere sull'esito della gara scodellando il cross da cui è nato l'1-0 di Barella.

PELLEGRINI NUOVO UOMO CHIAVE - Pellegrini è uomo di forma e sostanza: costruisce, rifinisce (sapiente velo a favorire la sventola vincente di Barella) e va al tiro; un gol a Bologna, un altro a Cesena, con in più un eccesso di altruismo a servire in mezzo all'area Gnonto, poi fattosi anticipare, quando avrebbe potuto tranquillamente battere direttamente a rete. Dettagli, certo, che però potrebbero pesare nei confronti con compagini più dotate, quando occorre concretezza assoluta. Però è un fatto che, al momento, l'eclettico romanista sia elemento imprescindibile dalla cintola in su. E, si diceva, ottimo impatto anche per Politano, che ha splendidamente saltato l'uomo sulla destra mettendo proprio Pellegrini nelle condizioni di piazzare il 2-0, e in avvio di ripresa ha colpito la traversa con una staffilata da fuori dopo lunga progressione. Proprio nella mezz'ora a cavallo fra i due tempi si sono rivisti sprazzi della migliore Italia marca Bobby gol, rapida, precisa nel palleggio, ficcante, ancorché a tratti priva di killer instinct in avanti (caratteristica che accompagnò a lungo la Selezione nella fase post disastro 2018, se ben ricordate). Ha funzionato alla perfezione perfino la rischiosissima costruzione dal basso, attuata senza sbavature.

OCCASIONI MANCATE - In effetti, l'Italia avrebbe potuto e dovuto chiudere il match con uno scarto di reti più ampio: oltre alle due segnature e alle due citate occasioni mancate da Gnonto e Politano, ci sono stati altri "quasi gol", a partire dal salvataggio di Dibusz su inzuccata di Mancini, una carambola in area con Barella che ha mancato il tocco decisivo davanti al portiere, e un piattone di Locatelli da buona posizione neutralizzato a terra dal numero uno magiaro. Per gli ospiti, da segnalare due buoni tentativi di Szallai e altrettante efficaci risposte di Donnarumma;  i ragazzi di Marco Rossi, però, sono stati rimessi in corsa solo da un'autorete di Mancini: può capitare e macchia solo in parte la buona prova del romanista, che con Bastoni ha saldato egregiamente la terza linea, facendo sembrare inoffensivi coloro che, solo pochi giorni fa, hanno castigato i sudditi di Elisabetta. 

AZZURRI... GIALLOROSSI - E già, è un'Italia molto romanista, in questo momento: visto quanto vale un trionfo europeo col club, anche se ottenuto nella coppa ultima arrivata, la Conference? Dà autostima e personalità. Detto delle buone/ottime prove di Spina, Mancini e Pellegrini, da rilevare anche il cospicuo contributo di Cristante, prezioso collante  e uomo d'ordine nel mezzo, un ragazzo che sta raggiungendo la piena maturità pur se poco considerato dai media (ma forse è un bene, visti i danni giornalistici di cui si è detto in apertura). Dolenti note? Poche, nella circostanza: Gnonto, come detto, si è "sbattuto" ma ha parzialmente deluso, al di là degli errori di tocco in area. Deve meglio inserirsi nei meccanismi offensivi e giocare con meno foga e più sapienza. Sapienza mostrata da Raspadori, che ha lavorato di cesello, in appoggio ai compagni d'attacco, ma deve assolutamente accentuare il suo peso in fase conclusiva, perché, anche dopo una serata positiva come quella in Romagna, continuiamo a registrare la latitanza dei gol delle  punte pure, ed è un problema che prima o poi andrà risolto anche, come avevo scritto settimana scorsa, non lasciando nel dimenticatoio Immobile. Infine, da Locatelli, subentrato a gara in corso, continuo ad aspettarmi qualcosa di più dell'oscuro contributo da mediano, perché ha i piedi per costruire e tirare, e i tempi di inserimento per offrire un'opzione offensiva in più. 

ROVESCI POSSIBILI - In tutto questo, un punto deve rimanere ben chiaro: si sta ricostruendo, non era tutto nero dopo Wembley (quante lacrime amare piante per una amichevole di prestigio, perché questo era, e per una coppetta di inesistente valore storico), non è tutto roseo ora, ci mancherebbe, e quando si deve reimpostare una Nazionale possono arrivare anche rovesci dolorosissimi, fra un esperimento e l'altro. Ricordiamocelo, perché andremo a chiudere questa soffertissima e amara stagione con due trasferte quasi proibitive, in Inghilterra e in Germania: ma qualche seme è stato comunque gettato, e le basi, pur esigue, ci sono per guardare al medio termine con più ottimismo di quello dei tristi tifosi da tastiera. 

giovedì 2 giugno 2022

CLUB ITALIA: DA WEMBLEY NESSUNA SORPRESA, RIPETUTI GLI ERRORI FATALI DEI MESI SCORSI. CONTROCORRENTE: IL MATERIALE PER RIPARTIRE NON MANCA, MA...

 

                                          Chiesa e Tonali, due da cui ripartire (foto Guerin Sportivo) 

Invece di denigrarlo, sminuirlo e infangarlo stupidamente a ogni piè sospinto, fareste bene a riservare un posto speciale, nel vostro cuore, al trionfo azzurro di Euro 2021, a conservarlo fra i ricordi più belli e cari della vostra vita sportiva. Perché mi pare chiaro che dovranno passare parecchi anni prima di rivedere una Nazionale  italiana vincente, capace di alzare una qualsiasi coppa. Prepariamoci ad altri momenti difficili: le battute d'arresto, quando non le batoste, sono storicamente numerose nelle fasi iniziali di ogni ricostruzione (è stato così anche agli albori di questo ciclo ormai chiuso), e tanto più bisogna attendersi il peggio al momento di approcciarsi a questa rifondazione, nello specifico, che si preannuncia come una delle più difficili della storia calcistica nostrana. 

IL SECONDO TEMPO DELL'IMPOTENZA - La disfatta nella cosiddetta "Finalissima" londinese mi ha avvilito ma non sorpreso: è stata semplicemente il cascame di una ben nota situazione deteriorata, colpevolmente portata avanti dal settembre scorso senza correttivi apprezzabili. Poi, chiaro, i passi falsi nel girone mondiale e nel playoff furono frutto anche di  contingenze sfortunate e irripetibili, il k.o. con la Macedonia talmente assurdo da poter essere assimilato a un Roma-Lecce '86, per intendersi, mentre è ovvio che il confronto con una superpotenza mondiale, in stato di grazia tecnica e con una prima linea da podio iridato, abbia snudato le nostre attuali carenze oltre il limite del sopportabile. L'Argentina è grande, ma noi l'abbiamo resa grandissima, non prima di aver giocato una quarantina di minuti più che dignitosi, nei quali eravamo anzi stati noi a manovrare con buon palleggio e a tentare la via della rete (conclusioni di Raspadori e Belotti, pericoloso cross in mezzo di Bernardeschi), pur con le consuete deficienze in fase conclusiva. Dopo la prodezza di Di Maria, a pochi minuti dall'intervallo, si è spenta la luce, e nella ripresa è andata in scena la non-partita della nostra umiliazione e dell'impotenza manciniana, che ha cambiato formazione e modulo schierando un improbabile undici, fragile e senza riferimenti, ed esponendo a una inutile brutta figura alcuni degli elementi che dovrebbero essere i pilastri della nuova era. 

ERA MEGLIO AFFONDARE COI FEDELISSIMI - Voglio dire: se proprio si vuol essere coerenti, occorre esserlo fino in fondo. Il cittì ha voluto proseguire su una strada già dimostratasi nefasta in stagione, quella della riconoscenza, e affrontare l'Intercontinentale con gli uomini del trionfo europeo, esclusi ovviamente gli acciaccati. E allora, invece di improvvisare la squadra nella ripresa, mandando Scamacca e compagni al massacro in un contesto tattico caotico, avrebbe potuto affondare con i suoi fedelissimi, perché tanto dietro ci pensava un ritrovato Donnarumma, unica nota lieta della serata, ad evitarci il cappotto con prodigi su prodigi. Personalmente, ma non sono nessuno, l'operazione rinnovamento l'avrei iniziata subito,  essendo di evidente urgenza da mesi. Per tutta una serie di motivi, per i meriti accumulati in tre anni, è stato giusto confermare Bobby gol sulla panca azzurra, ma non si può nemmeno pensare che un'eliminazione mondiale possa scorrere via liscia senza lasciare tracce, per quanto, l'ho scritto in altra sede e lo ribadisco qui, qualificarsi in Europa per il torneo iridato, oggi, sia molto più difficile rispetto a quanto accadeva nel secolo scorso, "è fattuale", direbbe Crozza-Feltri. 

LA FINALISSIMA... POMPATISSIMA - Alle corte: la sperimentazione poteva già iniziare ieri sera, perché tanto, figuraccia per figuraccia, tanto valeva consentire ai nuovi e semi-nuovi di accumulare subito esperienza e minutaggio in un confronto di altissimo spessore. Fosse stato un impegno di prestigio e importanza autentiche, poi... Un evento inventato, anzi ripescato dai meandri calcistici degli anni Ottanta e Novanta (ricordate la Coppa Franchi?), e pompato all'inverosimile a livello mediatico. Da onorare, certo, ma non come fosse davvero "la sfida delle sfide" per la supremazia planetaria: per sancire quella, bastano e avanzano i mondiali, quelli a cui noi non parteciperemo per la seconda volta consecutiva. 

GIOVANI PROMETTENTI, STRADE SBARRATE, PROBLEMA POLITICO - Così, ora, è tutto ancor più difficile di quanto già non fosse. La nuova fase comincia sabato  a Bologna, si è detto, e impostare di punto in bianco una formazione nuova in un paio di giorni, con la prospettiva di affrontare la ringalluzzita Germania, non è proprio il massimo della vita, né della programmazione. Detto questo, il quadro della situazione è chiaro. Il vivaio italiano, pur messo nelle peggiori condizioni operative possibili, continua a produrre diversi talenti, anche se non tanti come avveniva fino a qualche lustro fa. Lo stage dei giovani di interesse nazionale organizzato nei giorni scorsi è stato emblematico in tal senso. I nomi su cui puntare a medio termine ci sono: Carnesecchi, Bellanova, Lovato, Gatti, Zanoli, Parisi, Miretti, Okoli, Scalvini, Casale, Fagioli, Rovella, Udogie, Ricci, Vignato, Pafundi, Oristanio, Esposito, Gnonto, Gaetano... La base c'è tutta, e se anche solo la metà dei sopracitati diventassero elementi di caratura internazionale ci sarebbe di che leccarsi i baffi: il problema "di sistema" dell'ultimo decennio è che, ad un certo punto, la crescita dei migliori prospetti si blocca, non perché siano scarsi e inadeguati, ma perché non viene dato loro spazio. La favoletta del "se sono bravi giocano" ormai non se la beve più nessuno, il problema è politico e legislativo, e occorre un intervento, che non credo impossibile, per consentire ai virgulti di casa nostra di emergere adeguatamente. 

COVERCIANO ULTIMO FORTINO - E qui il Commissario Tecnico ha quasi le mani legate, e può fare solo ciò che ha fatto finora: in primis "forzare la mano" agli allenatori dl club, dando lui per primo fiducia agli emergenti, un modus operandi inaugurato da Prandelli e che, dal 2011 a oggi, ha garantito la sopravvivenza della Nazionale maggiore a livelli decenti, al netto delle due gravi disfatte mondiali (un primo e un secondo posto agli Europei, e un'eliminazione ai quarti, dopo i rigori, nel 2016: poteva andare peggio). E ora questi stage, appunto, che i soliti commentatori da bar social hanno accolto con sorrisini sprezzanti ma che rappresentano, al momento, l'unico modo per cominciare a inserire i giovanissimi in un progetto azzurro a lunga scadenza. 

SERIE A STRANIERA, VERGOGNA NAZIONALE - Restano, sullo sfondo, le gravissime lacune organizzative e di mentalità, che hanno trasformato la Serie A in un campionato "straniero" sbarrando la strada ai nostri. Da parte di addetti ai lavori e tifosi (questi ultimi hanno anche doveri, non solo diritti) sarebbe auspicabile una maggiore maturità, che nella fattispecie vuol dire maggior sostegno, fiducia e pazienza per il "prodotto interno" e minori... orgasmi quando si legge dell'arrivo di improbabili calciatori di fuorivia. Da parte delle istituzioni, sportive e politiche, ci vorrebbero le riforme tanto attese, ma mi rendo conto che è come aspettare l'arrivo degli alieni: quasi tutte le grandi nazioni europee, Francia, Spagna e Germania, hanno investito forte nell'allevamento dei calciatori di casa, noi proprio non riusciamo, forse non vogliamo, e allora ci meritiamo tutto il peggio, compresa la vergogna da parte mia, in questo momento, di sentirmi un calciofilo italiano innamorato della Nazionale. 

PER RIPARTIRE SUBITO: PESCARE NEL GRUPPO EUROPEO... - Sul piano strettamente contingente, è chiaro fin dall'autunno scorso che molti "califfi" di questa squadra non siano più all'altezza del compito, a causa di esaurimento fisico e/o psicologico: onestamente, non vedo più un'Azzurra aggrappata a Emerson, Bonucci (sempre più in difficoltà, sempre più falloso), Jorginho, Bernardeschi, Belotti e Insigne, per tacere di Chiellini che lascia per raggiunti limiti di età. Continuo a sostenere che i nomi per ripartire non manchino. Innanzitutto sarà fondamentale il recupero di un drappello di "lungodegenti", parlo di uomini chiave dell'Europeo vinto come Spinazzola (che si sta finalmente riaffacciando in campo) e Chiesa, senza dimenticare il giovane Castrovilli, che era nei 26 dell'estate scorsa ed è stato spazzato via da un grave infortunio. Bastoni sarà promosso d'autorità, per valore suo e mancanza di alternative immediate al centro della difesa, Pessina si è appena affacciato al calcio che conta e si ritroverà dopo una stagione in chiaroscuro, Cristante è un leader della Roma e merita più spazio, Berardi è sempre in gran forma, sempre più prolifico, sa saltare l'uomo, certe sue défaillance in rappresentativa sono state più occasionali che frutto di un evidente logorio, Raspadori sta crescendo e ieri è stato uno dei pochi a rendersi sporadicamente pericoloso dalle parti dell'area argentina.

... E ALLARGARLO - Poi c'è chi non ha fatto parte della vittoriosa spedizione continentale ma era già nel giro, e va provato con più convinzione. Calabria, Lazzari e Mancini in difesa, Tonali, Pobega e Frattesi nel mezzo, Zaniolo, Pellegrini, Zaccagni, Politano, Pinamonti e Scamacca davanti. Non è molto? Forse, ma è comunque sufficiente per fare punto e a capo, se unito al graduale inserimento di alcune delle verdi speranze sopra citate, perché qualcuno, tipo Udogie ma non solo, è già pronto per i primi approcci, e l'atto di coraggio manciniano su Gnonto non deve rimanere un episodio isolato. Certo, è lampante la più grave lacuna tecnica che affligge il nostro calcio: non eravamo mai stati così poveri di attaccanti di razza, disperati al punto che, nell'autunno scorso, in molti (non io) si sono aggrappati alle prime prodezze cadette di Lucca, poi sollecitamente rientrato nei ranghi, forse schiacciato dal peso di responsabilità precoci ed eccessive, oltreché da problemi fisici. 

COME GESTIRE IL CASO IMMOBILE - La situazione è drammatica: i rampanti Scamacca, Raspadori e Pinamonti meritano fiducia, si spera in una risalita di Kean, ma Belotti, come detto, si è involuto e, lo ha dimostrato anche ieri, non pare più proponibile sui massimi palcoscenici, mentre, guardando ai vertici della classifica cannonieri di A, siamo ancora tristemente fermi a Immobile. Il quale ha bisogno di un gioco "su misura" per rendere al meglio come, da anni, sa fare nella Lazio. Ma Mancini ha intrapreso una strada radicalmente diversa sul piano tattico,  una strada che gli ha dato pienamente ragione fino all'11 luglio scorso. L'alternativa sarebbe rimodellare profondamente le concezioni di gioco della sua Italia, costruendo una manovra fondata totalmente su Ciro. 

PER CIRO, MODULO ALTERNATIVO - La domanda è: ne vale la pena? Stiamo parlando di un validissimo elemento, non più di primo pelo, che in campionato fa il diavolo a quattro, ma in Nazionale, anche prima del Mancio, ha sempre segnato col contagocce. Voglio dire: si poteva anche costruire, ai bei tempi andati, una Nazionale Baggio-dipendente, con tutti i rischi del caso, ma Immobile-dipendente, ecco, ci penserei due volte. Ci vorrebbe un po' di elasticità, semplicemente, perché non è detto che una squadra debba giocare sempre allo stesso modo, e forse in tutti questi mesi, i mesi in cui il palleggio azzurro, l'avvolgente gioco di iniziativa marchio di fabbrica manciniano, ha perso via via brillantezza, precisione, efficacia, velocità, sarebbe stato opportuno sposare un modo di stare in campo più prosaico e "verticale", terreno di coltura ideale per il bomber biancoceleste. Che, solo in questo contesto, potrebbe avere ancora qualche anno di utilità nella Selezione. E sarebbe il caso di pensarci, perché non siamo nella condizione di gettare alle ortiche il potenziale bottino di gol che ci garantirebbe il napoletano. 

mercoledì 18 maggio 2022

DOSSIER GENOA: I PERCHE' DI UNA RETROCESSIONE. LE PROBLEMATICHE PRESENTI E FUTURE E LE SALVEZZE "IMMERITATE" DEL PASSATO

 

       Portanova segna e il Genoa batte il Toro: uno dei pochi momenti felici della stagione (foto Guerin Sportivo)

La retrocessione più logica, e al contempo la più illogica. Il Genoa torna in Serie B dopo quindici anni, e nessuno  può dire che non fosse un finale ampiamente prevedibile. Perché il quadro tecnico della rosa rossoblù 2021/22 era quello che era, ossia desolante, e perché nel calcio c'è anche una cosa, un'entità sfuggente e intangibile eppur terribilmente concreta, che si chiama "inerzia", difficile da correggere, quasi impossibile da ribaltare. Ecco, l'inerzia di questa stagione è stata definitivamente chiara fin dai mesi invernali e di inizio primavera: la dieta punti della sciagurata gestione Shevchenko, le sconfitte casalinghe con Samp e Spezia, e poi, nonostante la cura rivitalizzante operata da mister Blessin, gol che arrivavano col contagocce e mancate vittorie in scontri diretti decisivi, sempre fra le mura amiche, con Salernitana, Udinese ed Empoli. Lì la tela è calata definitivamente, e solo chi vive fra le nuvole poteva sperare in improbabili rimonte e, addirittura, in una vittoria sul campo di un Napoli che è perfino eufemistico definire fuori portata. 

QUOTA SALVEZZA IRRISORIA - Tutto nella norma, dunque? Non poteva esserci una miglior sorte per il peggior Genoa dal 2007 ad oggi? Ed eccola, l'illogicità di questa retrocessione. Perché nonostante tutto, nonostante la drammatica assenza di classe, gli errori marchiani nella costruzione della squadra e quelli, meno gravi ma comunque pesanti, in fase di aggiustamento nel mercato di riparazione, la quota salvezza di quest'anno è talmente bassa, e le rivali così modeste, che la permanenza non era un sogno, sarebbe bastata davvero una piccola manciata di punti in più, non da fare al Maradona, però, ma nelle occasioni suddette, alla portata e però gettate alle ortiche. Ecco, diciamo che il Grifone è stato tenuto in corsa dagli altri, ma in fin dei conti non lo meritava. Non perché non ci abbia messo cuore e voglia, soprattutto nel girone di ritorno, ma perché proprio non ci arrivava, non aveva i mezzi per arrivarci. Per fare risultato può bastare una difesa di ferro che inchioda gli altri sullo 0-0, e negli ultimi mesi è capitato spesso: per vincere bisogna fare gol, ed è stato un evento raro, troppo raro. 

IN ESTATE LE BASI DEL DISASTRO - Il succo è tutto qui, al netto di discorsi deliranti (di tifosi altrui, e passi; della stampa nazionale, e questo è un po' più grave) su una giustizia che si è finalmente compiuta, dopo anni di salvezze immeritate. Vedremo più avanti un excursus su queste presunte salvezze più o meno rubacchiate, ma per il momento ciò che conta è l'attualità, le macerie che restano e sulle quali si dovrà ricostruire. La storia di questo campionato, ormai, la conosce qualsiasi genoano: e se la si conosce, non si potranno avere dubbi sulle origini del disastro. Estate 2021: lo smembramento della squadra precedente,  costruita su fondamenta di cartapesta, ossia sui prestiti, quelli di Perin e di Zappacosta, di Strootman e di Scamacca, fino alla cessione dell'unico, piccolo talento di proprietà, Shomurodov, seguita da un mercato all'insegna del piccolo cabotaggio quando non dell'immobilismo (Sabelli, Hernani e poco altro), con annessi malumori del confermato Ballardini che, col senno di poi, avrebbe forse fatto meglio a togliere subito le tende. 

ACQUISTI LAST MINUTE, POCA RESA - Un ultimo giorno di campagna acquisti surreale, con l'arrivo in extremis di alcuni giocatori di nome ma dalla discutibile utilità specifica e pieni comunque di controindicazioni: l'ottimo Maksimovic tormentato da problemi fisici, il discontinuo Fares, che vinse quasi da solo la partita di Cagliari per poi sparire, l'indisponente Caicedo, sul quale è meglio evitare qualsiasi commento, per tacere dell'oscuro Galdames, da qualcuno definito "top player" con notevole senso dell'umorismo: operazioni che confermavano la stanchezza e il distacco con cui Preziosi guardava ormai alla sua creatura un tempo prediletta. Il tutto mentre Destro, dopo l'ottimo torneo precedente e dopo un avvio incoraggiante in questo, tornava il Destro troppe volte "ammirato" in carriera: un attaccante dai buoni mezzi ma dal rendimento troppo altalenante per poter ambire al definitivo salto di qualità che, in effetti, non è mai arrivato, nonostante qualche apparizione anche in azzurro. 

PROCLAMI INUTILI, SOGNI FOLLI - Poi venne l'autunno, ed era nel frattempo arrivata la svolta societaria attesa da lustri, col cambio di proprietà e il passaggio di consegne fra il Joker e gli americani 777 Partners. Tutto, in quei giorni, sembrava bellissimo, e meraviglioso il futuro che si spalancava davanti ai colori rossoblù. Ma la realtà è sempre più complessa di quel che sembra: certo, gli stessi neo proprietari ci hanno messo del loro. Hanno parlato tanto, hanno parlato troppo e non coi toni giusti, questo è stato secondo me il loro principale errore: discorsi su orizzonti di gloria che, guardando alle miserie tecniche del presente, lasciano il tempo che trovano. Certo, colpa anche di certi tifosi che, nonostante anni di amarezze (o forse proprio per quello), continuano a farsi accecare dai proclami che, nello sport, sono parole scritte sulla sabbia; e che hanno creduto a fantascientifici colpi di mercato, a nomi di campioni della Premier League che nella svalutata Serie A non ci verrebbero nemmeno per giocare nei club di vertice, non dico in un Genoa con un piede e mezzo in B: ma di queste voci folli e irrazionali, perlomeno, gli statunitensi non avevano responsabilità alcuna. 

SPORS: TROPPI AZZARDI - Poi, chiaro, fra Yarmolenko e il mercato di giovani promesse nordiche portato avanti dal nuovo manager Spors c'era l'oceano di mezzo, ma qui il discorso rischia di farsi antipatico e di non portare da nessuna parte. Ogni dirigente ha il suo modo di concepire la costruzione di un team: il tedesco, spalleggiato dai nuovi padroni, ha puntato forte su emergenti sconosciuti dalle nostre parti, nella speranza che avessero la freschezza e la personalità per impattare subito nel campionato nostrano, svalutato sì, come detto, ma pur sempre duro, ispido, competitivo. Gli ha detto male: a parte Ostigard e parzialmente Hefti, i vari Gudmundsson e Frendrup hanno lasciato pochi segni, così come Yeboah, promessa del calcio italiano che doveva portare in dote un gruzzoletto di gol da far pesare sulla bilancia della salvezza, e invece non ha battuto chiodo: nessuna rete, poche conclusioni, pericolosità a tasso zero. Ma più di lui, che in fondo ha tutto il tempo per dimostrare il suo ipotetico valore, ha fallito Amiri, ennesimo straniero sopravvalutato arrivato in queste desolate lande (penso ancora con raccapriccio all'accoglienza trionfale riservata al danese Schone al suo arrivo all'aeroporto genovese: non impareremo mai). 

IL FANTASMATICO BOMBER SALVEZZA - E qui torniamo al problema principale di questa lunga via crucis: l'attacco che non punge, l'inoffensività della nostra manovra offensiva, gioco di parole più che mai voluto. Nullo Yeboah, nullo Amiri, Ekuban che ha fatto quel che poteva, cioè molto poco, Piccoli non pervenuto, e Destro entrato in sciopero del gol. Dice: mercato di gennaio fallimentare soprattutto perché occorreva rinforzare la prima linea. Già, ma io ancora non ho capito, in tutti questi mesi, quale fosse questa famosa punta da doppia cifra acquistabile dal Genoa, cioè alla portata delle casse societarie e disposto a venire in una squadra con una situazione di classifica già gravissima, pur se non compromessa. Ecco, questo nome non me l'ha fatto ancora nessuno. Forse perché non esiste, e se esiste non era possibile arrivarci: il riferimento alle casse societarie non è casuale, perché poche settimane dopo la fine del mercato di riparazione è emerso in tutta la sua crudezza, con la pubblicazione dell'ultimo bilancio, lo stato da allarme rosso dei conti del Genoa. 

FINANZE DA INCUBO E POCHI MARGINI DI MANOVRA - Lì si sono capite molte cose, o almeno credo di averle capite, ma magari mi sbaglio, eh? Il Grifone, a gennaio, era in una situazione in cui i margini di manovra erano estremamente limitati: le primi iniezioni di denaro fresco operate da Wander, Blazquez e compagnia sono servite a mettere una toppa alle finanze e a consentire al Genoa di operare in sede di campagna trasferimenti, ma gli ingaggi faraonici vagheggiati da qualcuno erano fuori portata, e forse lo erano anche quelli di medio livello. Oltretutto, il processo di risanamento dei conti e di ristrutturazione gestionale è appena iniziato, temo quindi che ancora per un po' di tempo i soldi, tanti, nella disponibilità di 777 dovranno essere utilizzati per altri e più impellenti scopi che non per scritturare campioni. Di tutto ciò non si può non tenere conto, a mio avviso, nel valutare l'infelice piano di rafforzamento messo faticosamente in piedi da Spors dopo Natale. Si può semmai dire che non abbia avuto mano felicissima nello scegliere i giovani, dovrebbe essere più semplice scovarne altri che possano imporsi in cadetteria, dove peraltro i virgulti prima citati sicuramente troverebbero più spazio per esplodere ed affermarsi, Yeboah su tutti. 

ROTTURA COL PASSATO - Ecco, forse, in questa prima fase della nuova era, non si poteva fare di più, sul piano delle operazioni spicciole, dei singoli acquisti. E sul piano delle strategie societarie, delle linee da seguire, meglio così se la scelta è stata quella di tagliare i ponti con un certo passato, il passato dei prestiti, delle porte girevoli, dei giocatori che andavano e venivano con la necessità di ricostruire ogni volta da zero. All'instant team in stile Salernitana (cit. Iervolino) si è preferito un progetto di prospettiva, nel quale alcune pedine possono anche risultare fuori posto e si possono rimpiazzare, mentre altre vanno doverosamente attese al riscatto con la consapevolezza che sono, comunque patrimonio vero e concreto del Genoa. Dulcis in fundo, oltre ai debiti societari non va dimenticata l'altra, enorme, spada di Damocle che grava sul Grifo: un parco giocatori extralarge, assurdamente sovradimensionato; già a gennaio ne sono stati piazzati alcuni in giro per l'Italia, ne restano altri, e sono situazioni che pesano ed impediscono maggiore libertà di movimento in fase di acquisizione di nuovi elementi. 

I MESTIERANTI? C'ERANO, MA... - Tutto  ciò, beninteso, non esclude lacune e mancanze dei nuovi gestori: dalla scelta suicida di Shevchenko a quella di assumerlo prima di avere un general manager, fino alla scarsa attenzione per il panorama calcistico nostrano: un eccesso di esterofilia laddove sarebbe meglio guardare un po' anche al bacino calciatori italico. Ma, anche qui, non era questione di inserire "mestieranti che conoscono il campionato e abituati a lottare per la salvezza". Li avevamo già, da Criscito a Sturaro, da Masiello a Destro, ma tutti hanno parzialmente o totalmente deluso le attese per larghi tratti di torneo e per motivi diversi. Ergo, non sono mancati né il mestiere, né la gioventù: è mancata la qualità, semplicemente. 

BLESSIN SI' O NO? - Il "manico" giusto, quello era stato forse trovato. I discorsi su ritorni di fiamma con Gasperini, per ora del tutto ipotetici, rischiano di bruciare l'esperienza Blessin che secondo me andrebbe invece portata avanti con coraggio. In fondo, con lui, qualcosa è cambiato: sono arrivate tre vittorie (poche, ma sempre meglio del quasi nulla precedente), sono arrivate prove di sostanza e punti contro le grandi, si è rivista la "garra" rossoblù, ha fatto capolino una parvenza di organizzazione di gioco, certo appiattita eccessivamente sulla fase difensiva, ma forse il tedesco ha fatto due conti una volta resosi conto dell'assenza di attaccanti competitivi, e ha scelto di battere altre strade tattiche, più prudenti e conservative. Vorrei rivederlo all'opera con delle bocche da fuoco attendibili in prima linea, e con elementi nel mezzo, ai lati e sulla trequarti in grado di assisterle ed alimentarle adeguatamente. Sono convinto che potrebbe fare meglio di quanto già non abbia fatto. 

CREDITO FINITO? ANCHE NO - E' la scelta più difficile e delicata di questo immediato post retrocessione, da cui dipendono tutte le scelte future. Dovrà essere fatta in fretta, e la società sembra orientata in questo senso, nonostante lo sfogo napoletano di Zangrillo, più da tifoso che da presidente. Ci sta tutto, ma divisioni e malumori interni a pochi mesi dall'acquisizione del pacchetto societario anche no, dai: per quelli ci sarà eventualmente tempo in futuro, così come, dalla parte dei tifosi, ci sarà tempo per gli ultimatum. Capisco l'amarezza per  il declassamento, ma cominciare già con frasi del tipo "credito finito", quando per anni si è dato credito a chi non lo meritava, mi pare un atto di profonda irriconoscenza, vuol dire aver capito poco del tentativo di cambiamento in atto. L'importante è che sia ben chiaro che in B si va per vincere, non per provarci. Magari spendendo di più oggi per risparmiare domani, ossia allestendo una formazione che potrebbe discretamente figurare anche in  A, e di esempi il campionato cadetto in passato ne ha forniti tanti, senza necessariamente risalire alle due corazzate milaniste dei primi anni Ottanta. 

LE FAMOSE SALVEZZE RUBATE - Chiudo con un doveroso post scriptum. Dicevo prima della leggenda metropolitana di un Genoa che "da anni meritava di retrocedere, ce l'ha sempre fatta immeritatamente e per il rotto della cuffia". Bene, guardiamo i dieci campionati che hanno preceduto questo. 2012: effettivamente la salvezza giunge all'ultima giornata dopo vittoria sul Palermo, ma va detto che quel Genoa mai si viene a trovare nelle ultime tre posizioni di classifica, e la paura viene dettata più che altro dalla poderosa rimonta del Lecce, peraltro fermatasi nell'ultimo mese di torneo. 2013: salvezza con un turno di anticipo grazie a Ballardini, che aveva preso in mano la squadra dopo la disastrosa parentesi Delneri. 2014: salvi con tre turni di anticipo, ma squadra mai concretamente in pericolo, se non nelle prime giornate sotto la guida di Liverani. 2015: il Genoa si qualifica addirittura per l'Europa League, che però non disputa a causa del mancato ottenimento della licenza Uefa. 2016: parlare di salvezza è improprio, anche se aritmeticamente viene ottenuta con un mese di anticipo; in realtà è un torneo di sostanziale relax. 2017: salvezza con una giornata di anticipo. Come nel 2012, il Genoa non finisce mai in zona retrocessione, ossia negli ultimi tre posti in graduatoria: la sua sofferenza è dovuta più che altro al netto calo di rendimento dopo il mercato di gennaio e alla contemporanea rimontona del Crotone. 

2018: salvezza conquistata alla 35esima, e ultimi  tre turni di "svacco", mentalmente già in vacanza. Mai in zona B nel girone di ritorno. 2019: è la più sofferta, ottenuta in extremis grazie allo 0-0 non giocato di Firenze. Che però non è "torta", in quanto conviene solo ai viola. Per il Grifo di Prandelli è un azzardo, che funziona unicamente perché l'Empoli, rivale diretto, perde con l'Inter. A pari punti coi toscani di Andreazzoli, genovesi salvi per aver vinto entrambi gli scontri diretti, e anche questo conta. O no? 2020: altra salvezza col fiatone, conquistata grazie alla rimonta firmata dallo specialista Nicola, che vince il derby di ritorno e poi chiude la pratica con un facile successo su un Verona vacanziero, partita che scandalizza i benpensanti, i quali non ricordano come la rivale Lecce, nel turno precedente, avesse vinto sul campo di un'Udinese anch'essa con la testa all'ombrellone. 2021: permanenza archiviata con due turni di anticipo, e anche in questo caso rischi assai relativi: in tutto il girone di ritorno, Grifone mai in zona B. E allora: dove sono tutte queste salvezze rubacchiate e immeritate?