Powered By Blogger

mercoledì 14 febbraio 2024

FESTIVAL DI SANREMO, IL DOPO AMADEUS: ALCUNI NOMI PER IL FUTURO. CHI DIRIGERA'? CHI PRESENTERA'?

 


Diamo per assodata l'avvenuta conclusione del quinquennale ciclo sanremese di Amadeus, anche se l'amministratore delegato della Rai Roberto Sergio si è ripromesso di discuterne con l'interessato fra una quindicina di giorni, quando le emozioni della 74esima kermesse si saranno sopite. Ma l'anchorman è parso fermo nei suoi propositi, per quanto il mondo dello spettacolo ci abbia abituati a stravolgimenti e cambi di posizione repentini. Certo le pressioni nei suoi confronti  non sono lievi: come scrivevo nei giorni scorsi, si è mosso anche Enzo Mazza, CEO della Fimi, la "confindustria" della discografia italiana, chiedendo già prima di questa edizione una riconferma dell'attuale direttore artistico, alla luce dello straordinario impatto sul mercato musicale prodotto dai suoi festival. E Mazza ieri è tornato sull'argomento, chiarendo comunque che da questo modello di Sanremo non si potrà più tornare indietro.

SANREMO DI NUOVO CENTRALE - Per ora, si può considerare aperta la fase di successione. Una successione che non sarà indolore. Chi assumerà le redini vivrà  col peso di una enorme responsabilità, quella di dover quantomeno essere all'altezza dei tanti primati raggiunti e battuti dalla gestione che si è appena chiusa. E questo sarebbe già un grosso errore, che spero la dirigenza Rai non commetta: certi risultati non sono ripetibili come se fossero una routine. Mi riferisco soprattutto al discorso audience, mentre potrebbe essere più facile confermare l'ottimo trend commerciale della gara, ma ci arriviamo fra poco. Riguardo agli ascolti, quanto è accaduto quest'anno ha del miracoloso: cifre quasi da festival baudiani, nonostante dagli anni Ottanta e Novanta il panorama televisivo sia radicalmente cambiato, con la parcellizzazione della platea dovuta al moltiplicarsi di canali e piattaforme web. Dati del genere dicono che la rassegna ligure ha definitivamente riacquistato in toto la propria centralità nelle dinamiche mediatiche, musicali, di costume e, ebbene sì, sociali del paese. Una centralità che non è nata per caso, ma che è il frutto del mastodontico lavoro di rinnovamento della kermesse, in tutte le sue componenti, attuato da Amadeus e dai suoi collaboratori. Un restyling che ha avuto un merito enorme, il vero investimento sul futuro: Sanremo è tornato ad appassionare le nuove generazioni in modo totale, come forse non accadeva dall'età dell'oro degli anni Sessanta, coinvolgendole e affascinandole, ma non ha rinnegato alcuni elementi classici dell'evento, garantendosi la continuità di attenzione del pubblico più tradizionalista. Un'opera di ammodernamento che, lo si è detto più volte in questi giorni, ha riportato con  autorevolezza la kermesse nell'attualità del mondo musicale italiano, cogliendo e amplificando le tendenze e i sound più à la page. 

LE BASI SOLIDE LASCIATE DA AMA - Un patrimonio di ritrovata rilevanza, affetto popolare e credibilità canora che rappresenta una solidissima polizza a garanzia dell'avvenire della manifestazione. Che continuerà a registrare periodiche, inevitabili oscillazioni nel gradimento popolare televisivo e nella quantità di dischi d'oro e di platino che potrà portare ai partecipanti, ma che comunque può ora contare su fondamenta granitiche. Insomma, bisognerà proprio mettersi d'impegno per smontare un congegno così ben funzionante. Ciò non toglie, e torniamo al punto di partenza, che il confronto con Amadeus non potrà non esserci, situazione non nuova del resto, perché negli ultimi anni, a parte Fazio, tutti hanno avuto l'accortezza di lasciare all'apice della gloria e del successo, chiamando i successori a sforzi immani. Ed eccoci dunque al cuore della questione: chi dopo Ama? I nomi circolati negli ultimi giorni sono quelli più scontati e banali, il che non vuol dire che siano anche i più probabili. Facciamo un breve giro d'orizzonte, al momento forzatamente parziale, e in ordine sparso, senza dare percentuali di probabilità. 

CARLO CONTI: la sicurezza assoluta. Con lui è cominciato il riavvicinamento del Festivalone alla musica che si ascolta oggi, il ritorno alla realtà. Le sue tre edizioni hanno avuto ottimi esiti in termini di ascolti, buone canzoni, il lancio di emergenti poi divenuti big veri, su tutti Gabbani e Meta. Gli è mancato forse un pizzico di coraggio in più nell'andare a cercare nomi interessanti  e poco noti nel mondo indie; si è insomma collocato a metà strada fra la prudenza ecumenica di Baudo e gli istinti rivoluzionari di Amadeus. Però ha dimostrato di sapere fare il mestiere di gestore del Festival: tornasse, dovrebbe solo lasciare da parte la prudenza di cui si è detto e "buttarsi" maggiormente. 

CLAUDIO BAGLIONI: Sembra difficile, ma al momento di terminare il suo biennio festivaliero non chiuse totalmente le porta a un eventuale terzo impegno. In questi anni che lo separano dall'annunciato ritiro dalle scene, potrebbe tornare a dare una mano in Riviera. I suoi Sanremo, soprattutto il secondo, hanno rappresentato l'apripista ideale per l'avvento di "Ama", con nomi mainstream affiancati a un drappello di personaggi di nicchia portati per la prima volta alla ribalta generalista, da Motta agli Ex Otago a Ghemon. 

FIORELLA MANNOIA: è una candidatura che ho lanciato io, e credo io solo, quindi è un'idea che difficilmente si concretizzerà. Però si tratta di un'artista fra le più esperte e preparate della scena musicale italiana, un mostro sacro che ormai, a livello discografico, non ha più nulla da dimostrare, e potrebbe mettere la sua competenza al servizio di una rassegna che le ha dato tantissimo, anche se il suo percorso professionale si è sviluppato ampiamente anche lontano dall'Ariston. La sua sensibilità le permetterebbe di guardare con una certa attenzione a quel mondo cantautorale che negli ultimi tempi è stato un po' lasciato da parte, la sua intelligenza la porterebbe comunque a tenere nella massima considerazione i criteri di scelta schiettamente pop, e vincenti, adottati dal direttore uscente. 

LAURA PAUSINI: un altro nome forte, anzi fortissimo, della discografia italiana, che invece sta girando parecchio in questi giorni. Rispetto a Baglioni e Mannoia, paga il fatto di essere ancora parte più che mai attiva del mercato musicale nazionale e internazionale, nel pieno della carriera, e insomma, ricordiamo cosa avvenne ai tempi della direzione del cantautore romano, allorché si parlò neanche troppo velatamente di conflitto d'interessi. Ma Laura avrebbe comunque tutte le carte in regola per costruire un cast musicale e spettacolare di prim'ordine, anche per i suoi contatti nel mondo dello showbusiness planetario, e per la diretta conoscenza delle nuove tendenze sonore che stanno facendosi largo anche al di fuori dei nostri confini. 

MIKA: e già. Perché no? Cantante e musicista di spessore, innamorato dell'Italia, già protagonista di show televisivi in Rai, dotato di indubbia fantasia e sensibilità artistica. Certo mettendosi nelle sue mani si "rischierebbe" un Sanremo fuori dagli schemi, ma opportunamente spalleggiato potrebbe anche stupire.

ALESSANDRO CATTELAN: eternamente avvicinato alla kermesse sanremese, eternamente lontano da essa. La Rai lo sta sperimentando in vari modi; col programma in prime time, pur godibile, non è andata benissimo, in seconda serata ha la sua comfort zone, ma sarebbe giunto il momento di alzare il tiro. Cresciuto nel mondo delle radio e della musica in tv, conosce il panorama canoro nostrano in maniera sufficientemente ampia, credo, per potersela sbrigare sia come conduttore che come organizzatore dello spettacolo nel suo complesso. Del resto, lo abbiamo già visto alla guida del nostro Eurovision, proprio con la Pausini e con Mika, fra l'altro. Certo, sarebbe un piccolo azzardo per Sanremo, una novità, ma qui dipende dalla Rai, perché dopo il quinquennio d'oro degli "Amarello" le strade sono due: o la continuità o l'innovazione ulteriore. Credo comunque che, come orientamenti musicali, Cattelan si avvicinerebbe molto a quelli di Ama. 

 GIANMARCO MAZZI: ipotesi per il momento abbastanza lunare, ma neanche tanto. Chiaro che qui si sconfina in ambito politico: Mazzi è attualmente sottosegretario alla Cultura, ed è stato eletto alla Camera nelle file di Fratelli d'Italia. Ha però ricoperto il ruolo di direttore artistico (o direttore artistico musicale) in ben sei Festival, 2005, 2006 e dal 2009 al 2012. Furono edizioni importanti, significative: sia nel 2005 che nel 2009, la sua direzione letteralmente salvò il Sanremone, reduce da annate critiche e, si diceva da più parti, ormai destinato a rapida estinzione. Soprattutto nel suo ultimo quadriennio, ebbe il grande merito di riavvicinare la platea dei giovani alla manifestazione, anche se lo fece in maniera meno strutturata e più immediata rispetto ad Amadeus, cioè grazie al ricorso massiccio ai cantanti dei talent e al televoto. Però seppe anche dare un contributo fondamentale allo svecchiamento del carrozzone festivaliero, che non riusciva a slegarsi dai soliti, datati totem della canzone tricolore: con lui, nel cast entrarono massicciamente i nomi nuovi di allora, Arisa e Malika Ayane, Cristicchi e Noemi, Emma e Dolcenera, per citarne solo alcuni. Certo quei festival avevano anche un meccanismo di gara e una formula di spettacolo che oggi sarebbe, giustamente, improponibile, con eliminazioni a go go anche per i big e con finali a cui partecipava solo una decina di artisti. 

Il discorso su Mazzi ci porta direttamente nell'area presentatori, perché non è detto che un direttore artistico sia poi anche in grado di ricoprire il ruolo di padrone di casa, e viceversa: e con Mazzi, due Festival li ha condotti PAOLO BONOLIS, una candidatura che al momento mi lascia perplesso, sia perché l'anchorman si è ormai focalizzato su una serie di varietà e quiz di matrice schiettamente popolaresca a cui da anni sta dedicando anima e corpo, sia perché, in tempi recenti, aveva dichiarato possibile un suo ritorno al Festival solo se, nel frattempo, fosse stato garantito alla rassegna un palcoscenico più ampio e avveniristico rispetto al Teatro Ariston, un'arena che consentisse all'evento di avvicinarsi agli standard spettacolari dell'Eurovision. La cosa non è successa e mi pare che non si intraveda nemmeno all'orizzonte. Anche in uscite più recenti, del resto, non è parso particolarmente entusiasta all'idea di una "terza volta". 

Si è fatto il nome di ANTONELLA CLERICI, che il suo Sanremo in solitaria (2010) lo fece bene e con buoni esiti di audience, ma che da troppo tempo non si cimenta con eventi di tale portata. Se si parla di donne, il mio pallino, chi mi conosce lo sa, è SERENA ROSSI, che ha dimostrato un talento poliedrico, sa cantare, recitare e intrattenere, solo che negli ultimi tempi le sue presenze sul piccolo schermo si sono diradate. In tal senso, una garanzia sarebbe rappresentata da MICHELLE HUNZIKER, a suo agio nell'ultimo Festival presentato (2018) e poi ulteriormente perfezionatasi nella conduzione di show kolossal col suo "Michelle impossible" su Canale 5. Ma, appunto, è un personaggio strettamente Mediaset, così come GERRY SCOTTI, un altro che un Sanremo nella vita lo meriterebbe e che potrebbe ricoprire il duplice ruolo di organizzatore e padrone di casa; anche lui, però, da lustri bazzica più il mondo dei quiz che quello della musica. Sarebbe un rischio insomma, mentre stuzzica il nome di STEFANO DE MARTINO, uno dei pochi volti nuovi a disposizione della Rai, che su di lui sta puntando in maniera sempre più massiccia. E c'è da dire che il ragazzo mostra assoluta disinvoltura, innata simpatia e capacità di creare feeling coi suoi ospiti e col pubblico. Senza dimenticare l'opzione MARCO LIORNI, una vita da conduttore low profile ma da qualche tempo iper-impiegato da parte della Rai (dal quiz estivo Reazione a catena all'Eredità senza fermarsi un attimo), senza contare che da anni è presente a Sanremo nei giorni del Festival col suo pomeridiano "Italia sì", trasmissione che, all'epoca della prima edizione targata Amadeus, ospitò le selezioni delle Nuove proposte; insomma, un curriculum in vorticoso sviluppo, e una serie di segnali che, in casa della tv pubblica, hanno sempre un peso significativo. Il limite, non da poco: pochissima esperienza a livello di grossi eventi e di spettacoli di prima serata. 

domenica 11 febbraio 2024

SANREMO 2024: ANGELINA MANGO VINCE UNA GARA MOZZAFIATO, LA PIU' INCERTA DEGLI ULTIMI ANNI. NESSUN PICCO CANORO EPOCALE MA TANTI PEZZI DA HIT PARADE. GHALI E' ORA UN BIG PER TUTTI


E' caduta (letteralmente), si è rialzata, ha trionfato. La serata di Angelina Mango è stata un caleidoscopio di emozioni fortissime: prima il capitombolo in chiusura di esibizione, dovuto al grande trasporto con cui sempre interpreta "La noia" (e la mente è subito andata a un analogo patatrac che vide protagonista Loredana Bertè in un altro momento felice, quando si aggiudicò il Festivalbar '82), poi, a notte fonda, il traguardo tagliato per prima, un risultato da molti atteso ma tutt'altro che scontato, anzi. E così, si può proprio dire che la figlia d'arte sia passata in poche ore dal... tonfo al trionfo, e mi sarà permesso di scherzarci su, visto che la ragazza non si è fatta assolutamente nulla. 

ANGELINA, PERSONALITA' E NUOVO SOUND - Una vittoria significativa, sotto molti punti di vista. In primis, perché segna il decollo di un astro nascente della musica italiana, un talento puro che, personalmente, "inquadrai" per bene già nell'agosto scorso, in sede di commento qui sul blog della finalissima di Power Hits, la rassegna estiva di RTL 102.5: già allora, scrissi che la sua "Ci pensiamo domani" era per me il vero tormentone balneare, più della decoratissima "Italodisco". Da lì in poi, ho sempre data per certa la partecipazione di Angelina a questa edizione del Festival, ma non pensavo che potesse già arrivare a conquistare la medaglia più pregiata. Aggiudicarsi Sanremo così presto è sempre un rischio, un'arma a doppio taglio: solo il tempo ci dirà se sia stato un bene; oggi, all'indomani dell'evento, posso solo riconoscere l'indubbia unicità artistica di questa fanciulla. E qui veniamo a un altro aspetto rilevante del risultato di poche ore fa: Angelina, ben spalleggiata da un team di autori di prim'ordine, ha portato in gara un pezzo totalmente fuori dagli schemi festivalieri, ma anche non propriamente in linea con certe tendenze radiofoniche, perché la cumbia, per quanto adattata a certi stilemi contemporanei, non è il genere che va per la maggiore nel nostro Paese. E però funziona, è di impatto, grazie a una scrittura astuta, a un sound vivace e dai colori mediterranei e arabeggianti, e, torniamo al punto di partenza, alle doti performanti della cantante, che riesce a dare un'anima genuina e spontanea alle sue canzoni, e le "porge" con energia, aggressività positiva, personalità da autentico animale da palcoscenico e voce tutt'altro che anonima. 

ANNALISA POTEVA VINCERE DEGNAMENTE - In ogni caso, una vincitrice degna, il che non esclude un'altra considerazione: in misura diversa, molti altri avrebbero avuto titolo per occupare il gradino più alto del podio. Limitandoci alla cinquina finale, forse a mettere d'accordo tutti, o quasi, poteva essere Annalisa, che personalmente ritenevo la più meritevole, sia pur di un'incollatura, per titoli acquisiti in quasi quindici anni di carriera, per mole di consensi recenti e per abilità di un pezzo che, alla fine, rinnova con successo il filone inaugurato con  "Bellissima" e ne consolida la posizione di diva pop glamour del momento. E se Irama si è confermato uno splendido cantore moderno di atmosfere romantiche retrò eppure sempre di moda, con il suo struggente urlo d'amore, Ghali si è ripresentato al grande pubblico vincendo la sua sfida e guadagnando una credibilità che va oltre il suo consueto bacino di fruitori, abbattendo il muro del residuo scetticismo: "Casa mia" è una proposta fresca per eccellente grado di cantabilità in ogni sua parte, giusto compromesso fra lo stile ruvido di certa sua produzione passata e una maggiore immediatezza elettropop, e contiene un importante e ben chiaro messaggio pacifista, ribadito anche ieri sera in chiusura di esibizione con uno "stop al genocidio" che finalmente, dopo tante remore e timidezze, alla lunga ha fatto almeno parzialmente breccia sul palco dell'Ariston. 

GEOLIER E IL REGOLAMENTO - Discorso a parte per Geolier, sul quale comunque mi confermo: sul piano prettamente musicale, una sua affermazione non sarebbe stata scandalosa, anche se mi avrebbe lasciato un po' di amaro in bocca. Una trap urban ammorbidita con accenti  da neomelodico napoletano e un refrain ficcante, ossessionante. Il punto è che la sua ammissione in gara è frutto di un'interpretazione del regolamento assolutamente lecita (ci mancherebbe) ma attuata sul filo del rasoio e dell'equilibrio; nelle "tavole della legge" rivierasche, al paragrafo A del capitolo "Canzoni", si legge che il testo delle suddette "dovrà essere in lingua italiana. Si considera in lingua italiana anche il testo che contenga parole e/o locuzioni e/o brevi frasi in lingua dialettale e/o straniera (o di neo-idiomi o locuzioni verbali non aventi alcun significato letterale/linguistico), purché tali da non snaturarne il complessivo carattere italiano, sulla base delle valutazioni artistiche/editoriali del Direttore Artistico". Ecco, quest'ultima frase salva capra e cavoli, attribuendo peso dirimente alla sensibilità, al sentire e alla linea del responsabile massimo della manifestazione, ma è chiaro che, appunto, si ricama in punto di diritto, ed è ovvio che, dopo la vicenda che ha coinvolto il giovane partenopeo, il regolamento dell'anno prossimo dovrà essere adeguatamente aggiornato. 

INUTILE SCAGLIARSI CONTRO LE GIURIE - Sempre a proposito di Geolier, che come si vede ha catalizzato le poche polemiche di questa edizione relativamente alla gara, trovo tutto sommato stucchevoli le grida di dolore per il rovesciamento del verdetto del televoto da parte di sala stampa e radio: si è giunti a questo complesso sistema di "bilanciamento fra giurie" negli ultimi lustri, proprio per attutire l'impatto devastante e non sempre positivo che il voto tramite sms ebbe nei primi anni della sua introduzione, decretando vincitori senza grossi meriti e rivelatisi spesso effimeri. E' così da tempo, c'è un regolamento che cantanti, management e discografici leggono e accettano prima di affrontare la tenzone, e che, dai primi anni di questo secolo, la Rai mette giustamente on line, rendendone disponibile la consultazione a chiunque; cadere oggi dal pero e fare gli scandalizzati è fuori dal mondo. Insomma, questo meccanismo di riequilibrio è nei poteri delle giurie presenti in loco (in tempi più lontani se ne avvalse con disinvoltura anche la giuria di qualità, oggi non più esistente), a volte può avere esiti apprezzabili, altri più infelici, ma, insomma, fa legalmente parte del gioco. 

SANREMO THRILLING - E così, a notte fonda si è chiuso uno dei Festival più incerti e combattuti di sempre. Del resto, l'avevamo detto alla vigilia: almeno la metà dei concorrenti poteva legittimamente ambire a centrare il bersaglio grosso, sia pur con argomenti diversi e di diversa consistenza. Amadeus aveva allestito quest'anno un cast ricco di nomi di primissimo piano, soprattutto di big del momento, assolutamente sulla cresta dell'onda, nel cuore degli appassionati. Cast del genere danno prestigio all'evento e, indubbiamente, moltiplicano il loro potere promozionale a favore dei partecipanti, ma hanno anche il rovescio della medaglia, ossia che, in un mare immenso di proposte, fatalmente anche delle opere di pregio rischiano di perdersi e di scomparire nella massa. Ed ecco quindi che la melodia tradizionale a pieni polmoni del Volo, ariosa e d'impatto, non è mai riuscita a entrare nei giochi di alta classifica, clamoroso se si pensa alla popolarità internazionale del trio e ai risultati colti dallo stesso nelle due precedenti partecipazioni. E ancor più clamoroso è stato il buco nell'acqua in graduatoria dei Negramaro, il nome di spicco che il direttore aveva estratto quest'anno dal cilindro, sulla scia dei grandi ritorni recenti dei grossi calibri dell'ultimo ventennio, pensiamo a Elisa (2022) e Giorgia (2023). Erano nel lotto dei papabili, sono finiti nelle retrovie, colpa di una "Ricominciamo tutto" raffinata e complessa, non facile all'ascolto, che è salita di tono nel corso delle serate ma non abbastanza per tornare in lizza; una composizione di cui comunque torno a sottolineare le buone qualità, con il tocco di quell'omaggio al Dalla di fine Settanta - primi Ottanta, di cui non era facile riprodurre le atmosfere evocative e nostalgiche. 

DANCE, BALLAD E IMPEGNO - Dovrei citare molti altri artisti, fra chi ha raccolto meno di quanto seminato, ma per i dettagli rimando al pagellone audiovideo realizzato con Markus del canale You Tube "Profumo di Sanremo e non solo". Accenno solo alla sofisticata architettura sonora dei Santi Francesi, a cavallo fra attualità e riscoperta del passato con quel bel sintetizzatore eighties, la dance sostenuta in salsa Lazza, ma con una propria originalità, della bravissima Clara, il sound estivo di Emma, la cui "Apnea" potrebbe diventare un tormentone balneare, se riuscirà ad arrivare ai mesi caldi senza essere travolta dai tanti nuovi dischi che usciranno nel frattempo; e ancora la ballad di pregio di Maninni, che ha appreso, con intelligenza, le lezioni di tanti habitué del genere, Il Tre con un'altra operazione nostalgia rivolta in questo caso al sapore di rap-pop in salsa novantiana, e aggiungiamoci l'azzardata operazione di Dargen D'Amico, che per lanciare un importante messaggio di pace ha optato per un pezzo nelle sue corde, fatto di ritmi martellanti e massima orecchiabilità che rischiano di sommergere e far passare in secondo piano il significato del testo. Ad ogni modo, Dargen è stato il primo, martedì notte, a esporsi nella sua richiesta di cessate il fuoco, e con il passare delle serate qualcuno si è fatto avanti con coraggio, ma, dicevo, sempre troppo pochi, con il picco dello "stop al genocidio" invocato da Ghali. 

BUON LIVELLO MEDIO, TANTE HIT IN PECTORE, RISCHIO OMOLOGAZIONE - Ho citato tante canzoni, e altre ancora avrei potuto citarne (penso a quelle di Mahmood, Mr. Rain e Diodato, sulle quali mi ero comunque espresso positivamente nei giorni scorsi), ma, nel mio proverbiale ottimismo, credo di avere individuato un buon livello medio della proposta festivaliera appena ascoltata. Senza picchi come in anni passati, penso al Mengoni pigliatutto, ma con tante canzoni costruite con  astuzia, ben confezionate, con tutti i crismi per "spaccare" in radio, nelle charts, in streaming. Capolavori? A naso direi di no, ma brani con una loro precisa dignità e con la possibilità di farsi ricordare. Non vi piace un Sanremo così? Ci sarà modo di parlarne nel dettaglio. Troppa dance, si era detto quest'anno, e poi abbiamo visto che le proposte classiche, le melodie, le ballate hanno comunque avuto il loro vasto spazio. Poco spazio per certi generi più di nicchia, e su questo si può essere anche d'accordo, è uno degli aspetti su cui maggiormente si dovrà lavorare in futuro per non offrire una produzione troppo omologata. In questo senso, è balzata agli occhi la presenza massiccia di un ristretto numero di autori a firmare un elevato numero di canzoni; non è una novità, certi nomi che ricorrevano con costanza sono stati una caratteristica anche di Festival molto lontani nel tempo, forse nel 2024 si è un tantinello esagerato, ecco. Senza entrare in meccanismi di management, collaborazioni e rapporti professionali che non mi appartengono e che non conosco, penso sia normale che un interprete si affidi ai compositori più in voga, i re Mida della canzonetta che trasformano in oro tutto quel che scrivono; casomai posso rimproverare loro scarso coraggio nel non affidarsi anche a qualche autore emergente o comunque meno "sfruttato".

FESTIVAL COMMERCIALE, COME SEMPRE - Ma molti sembrano dimenticare cosa sia davvero Sanremo: una rassegna a carattere commerciale, che deve offrire essenzialmente (non esclusivamente) musica da classifica, "da canticchiare", composizioni che fanno vendere, che danno popolarità e riscontri economici ai cantanti e che quindi aiutano l'industria discografica a girare e a poter investire denaro su nuove produzioni e, si spera, su sempre più emergenti. E' sempre stato così, il Festivalone non è né il Tenco né Musicultura. Del resto, proprio sul piano discografico, gli esiti dei cinque anni di gestione Amadeus sono stati un crescendo rossiniano di certificazioni oro e platino; i cantanti fanno la fila sempre più numerosi per entrare nel cast, che dal 2020 si è allargato a dismisura anche per fare il minor numero di scontenti possibile; e qualche settimana fa Enzo Mazza, il presidente della Fimi, colui che a fine anni zero aveva pronosticato l'estinzione del Festival nel giro di poco tempo, ha chiesto a gran voce la riconferma di "Ama" alla luce degli straordinari risultati conseguiti. Questi sono dati oggettivi, che dimostrano come la gestione appena conclusasi, la linea editoriale emersa, pur con tutti i suoi limiti, era e rimane una delle migliori per la salute dell'universo canoro nostrano. 

E IL FUTURO? - Per tutto questo, l'abbandono ormai quasi sicuro dell'attuale responsabile (ma i vertici Rai sperano ancora di convincerlo a tornare sui suoi passi) apre problematiche non di poco conto. Innanzitutto perché non è facile scegliere un successore credibile (il ritorno della sicurezza Conti? Il clamoroso ripescaggio di Baglioni prima dell'annunciato ritiro? L'idea da me lanciata di Fiorella Mannoia? Una Pausini però ancora in piena attività, fra dischi e live?), e perché chi verrà dovrà ovviamente avere liberta di scelta e di realizzazione della sua idea di Festival, ma anche l'estrema umiltà, e direi l'intelligenza, di non toccare alcuni meccanismi e alcuni criteri di selezione messi a punto da Amadeus, che ha allineato Sanremo alla realtà musicale del nostro Paese come era riuscito a pochissimi prima di lui . E' di nuovo l'appuntamento più ambito da tutti, e chi ci va, soprattutto se nome di primo piano, lo fa con brani di spessore, mentre in epoche passate accadeva spesso che i big arrivassero con produzione di seconda scelta, riservandosi il meglio per altre occasioni. Si apre una successione difficile, insomma, forse la più difficile, perché l'anchorman siciliano non è stato il primo a sbancare l'Auditel (certo, questi livelli non si raggiungevano dai tempi del miglior Baudo), ma l'eredità principale del suo operato è appunto l'aver ridato all'evento assoluta centralità nell'andamento del mercato musicale. 

sabato 10 febbraio 2024

SANREMO 2024: LA SOLITA SERATA COVER, POCHI PICCHI DI BELLEZZA E TROPPE CONCESSIONI AL FACILE CONSENSO. ANNALISA E ANGELINA IL TOP CON VOLO E SANTI FRANCESI, NON SCANDALOSO IL PRIMATO DI GEOLIER

 


Lo scrivo e lo dico da anni: la serata cover è il più grande "buco nero" della gestione festivaliera targata Amadeus. Soprattutto perché è musicalmente un corpo estraneo alla gara di inediti, e però finisce con l'incidere tecnicamente sull'esito della gara stessa, una distorsione regolamentare a cui nessuno è mai riuscito a fornire una spiegazione artisticamente accettabile, semplicemente perché non ne esiste alcuna. Ma non è solo questo: c'è la sensazione che questo happening di indubbio fascino si muova all'interno di schemi fin troppo elastici, in cui tutto è consentito, con lacci e lacciuoli normativi ridotti al minimo sindacale. Il che sarebbe anche accettabile se, ripeto, rimanesse un concorso a sé stante, che esaurisce la sua funzione nella notte del venerdì (o del giovedì, come è successo in altre edizioni). 

Sul piano squisitamente musical-spettacolare, questa kermesse nella kermesse ha confermato tutti i suoi pochi pregi e i tanti difetti. Un kolossal animato da circa settanta fra cantanti e musicisti, con alcuni indubbi picchi di bellezza ma anche performance banali e dimenticabili e qualche furberia di troppo. Mi si dirà: ma è esattamente ciò che avviene, sempre, al Festival di Sanremo nel suo complesso. Vero solo in parte, perché almeno nel concorso canoro tutti partono più o meno alla pari, vale a dire con una canzone nuova di zecca e sconosciuta, che è ciò che conta nella tenzone ligure. Quando scatta il momento delle cover, invece, c'è chi rischia e si mette alla prova e chi va sul sicuro ammiccando eccessivamente al pubblico e, di conseguenza, ai votanti. 

Alle corte: veramente discutibile il karaoke simil Arena Suzuki con medley e pout pourri assortiti, ai limiti dell'inaccettabile l'autocelebrazione. Lo ripeterò allo sfinimento: è veramente grottesco che evergreen del pop italiano e internazionale vadano a incidere sul verdetto finale del Festivalone. Questo è il vero scandalo, non la vittoria di tappa di Geolier, che può essere discutibile come tanti altri primi posti nella storia della manifestazione, ma che rientra nel gioco spesso imperscrutabile delle giurie. Del resto il ragazzo di Secondigliano ha presentato, per la specifica occasione, un progetto dignitoso e con una linea ben precisa, un rapido excursus lungo i sentieri della trap e delle nuove frontiere sonore partenopee. Avrei preferito un'altra medaglia d'oro, ma meglio questo ensemble napoletano del best of di Renga e Nek, o di Sangiovanni che addirittura ha riproposto il suo precedente successo sanremese, "Farfalle", in versione spagnola (mai tante "mariposas" all'Ariston come quest'anno). E spiace che Geolier se la sia presa per i fischi, perché anch'essi vanno messi in preventivo in circostanze simili: non è che il pubblico in sala debba sempre e costantemente accettare pacificamente tutto, e il fischio è il modo più classico per manifestare il proprio disaccordo, da che mondo è mondo. Sennò certi atleti dovrebbero passare la vita a piangere, e del resto è accaduto, spesso e volentieri, anche nei teatri lirici, contro autentici mostri sacri del canto.

Senza sale gli omaggi di Rose Villain e The Kolors ai loro partners Gianna Nannini e Umberto Tozzi; meglio, per intensità, il duetto Vecchioni-Alfa in "Sogna ragazzo sogna", scelta azzeccata perché è un brano che, fin dal titolo, sa tanto di passaggio di consegne fra vecchia e nuova generazione canora. Il ragazzino genovese ha chiuso il pezzo con una strofa rappata scritta di suo pugno, una soluzione che è stata spesso praticata in questi anni di cover rivierasche e che personalmente trovo originale e azzeccata: lo stesso ieri, hanno (ben) fatto i Bnkr44 per dare una veste nuova a "Ma quale idea" di Pino D'Angiò,  rivisto con piacere a proprio agio sul palco, nonostante le difficoltà vocali. Personalmente, pur senza delirare per l'entusiasmo, ho apprezzato la rilettura sommessa e intimista di "Notte prima degli esami" da parte di Gazzelle e del bravo Fulminacci, che spero di rivedere in gara quanto prima, e anche il delicato omaggio di Mahmood a Dalla in "Com'è profondo il mare". Tutto sommato gradevole anche il duo Emma-Bresh, rispettoso del Tiziano Ferro originale, e all'insegna della totale spensieratezza la rimpatriata sanremese Gabbani-Mannoia, con lei che guardava lui con aria scettica mentre intonava "Occidentali's karma", reo di averle "soffiato" la medaglia d'oro nel 2017. 

Pollice in su per chi è stato coraggioso e non banale, si diceva. Il coraggio può essere declinato in tanti modi, a partire dalla scelta del brano da coverizzare fino al modo di metterlo in scena e di eseguirlo. Coraggio ha mostrato Ghali, che ha portato il suo universo musicale ricco di contaminazioni, il suo essere cittadino del mondo, con l'intro in lingua araba, ma anche profondamente italiano, con l'omaggio a Toto Cutugno. E coraggiosa è stata Angelina Mango, perché non è facile reinterpretare un evergreen di un padre prematuramente scomparso e amatissimo dagli appassionati: lei l'ha fatto riuscendo a dare di "La rondine" una lettura nuova, più delicata, di grande suggestione, impattante quanto l'originale. Probabilmente il top della serata, assieme ad altre tre performance che hanno raggiunto livelli di perfezione, forza emotiva e professionalità elevatissimi, ossia Annalisa e Rappresentante di lista in una "Sweet dreams" ricca di feeling, Il Volo con Stef Burns alle prese, nientemeno, con "Who wants to live forever", e i Santi Francesi, poco considerate rivelazioni di questa edizione, con una versione impeccabile dell'Hallelujah di Cohen, ben spalleggiati dalla sempreverde Skin. Di contro, assolutamente dimenticabile l'ennesima riproposizione, ad opera di Bigmama, Gaia, Sissi e La Nina, di una "Lady Marmalade" che negli ultimi vent'anni ci è stata propinata in tutte le salse in ogni tipo di trasmissione non solo Rai, una hit di grandissimo successo ma di cui mi sfugge il fascino talmente dirompente da imporne la necessità di inserirla nelle scalette di show, contenitori musicali e quant'altro, a ogni piè sospinto. 

In mezzo a una proposta così sovrabbondante, tutti gli elementi extra hanno avuto pochissimo spazio, ma merita la citazione una Arisa in superba forma fisica e soprattutto vocale, per la quale spero arrivino presto nuove canzoni in grado di valorizzarla e di riportarla al successo di qualche anno fa. Nessuna sorpresa per una Cuccarini a proprio agio nelle vesti di presentatrice che già tante volte ha indossato, anche all'Ariston, e che potrebbe essere un'idea per conduzioni future del Sanremone, chissà. Per i Jalisse è arrivato infine il ritorno all'Ariston, ma solo come contentino. E contenti loro, contenti tutti, ma diciamo che per ripartire davvero serve qualcosa di più. Non credo ai complotti contro di loro, e non credo nemmeno che dal '98 a oggi abbiano presentato solo brutte canzoni; bisogna che ci sia davvero l'occasione, il momento giusto per il rilancio, e non è facile individuarlo e intercettarlo, questo magic moment, soprattutto per chi è fuori dal grande giro discografico da tempo. Guardate quanto tempo hanno dovuto attendere Paola e Chiara... E stasera? Sarà difficile non trovare nella cinquina finale Geolier, Annalisa e Angelina, ma a notte fonda tutto si azzererà e molto potrà ancora accadere, anche se il consiglio, a chi non lo conosce, è di... cominciare a imparare il napoletano.

venerdì 9 febbraio 2024

SANREMO '24, LA TERZA SERATA: PICCOLA RIVINCITA PER BALLAD E MELODIE TRADIZIONALI. ANGELINA LANCIATISSIMA, MR. RAIN AL CULMINE DELL'ISPIRAZIONE, BENE CROWE E MANNINO

 


E' un Sanremo dance, si dice. Beh, è vero, ma solo in parte. La serata di ieri, con il riascolto del secondo gruppo di canzoni, ci ha un po' riportati indietro nel tempo, nel solco della tradizione festivaliera propriamente detta. I riflettori si sono accesi su quello che quest'anno è considerato il lato oscuro della rassegna, un mondo canoro mediaticamente sommerso, popolato dagli irriducibili delle ballad e dell'amore romantico declamato a ugole spiegate, del profluvio di archi e pianoforte. 

E sì, Sanremo '24 è anche questo, ed è quasi sempre un buon sentire. Poi, certo, le opere ad alto tasso di ballabilità sono preponderanti come forse mai da queste parti, ma non c'è nulla di male perché, come ho già scritto nel pezzo di presentazione, in epoche nemmeno troppo lontane si era esagerato nel senso opposto, con un'offerta eccedente di ipermelodici che avevano allontanato la kermesse ligure dalla realtà discografica nostrana, dalle nuove tendenze all'epoca à la page. E tuttavia, almeno per una sera è tornata a dominare la dolcezza canora: ed ecco quindi la melodia un po' convenzionale di Alessandra Amoroso, ma anche la struggente, soffusa delicatezza  delle "Due altalene" di Mr. Rain, al vertice della vena ispiratrice nella capacità di mettere in musica le esperienze di vita proprie e altrui. Nel suo cambiamento di registro, allontanandosi dalla giocosità delle prime hit come aveva fatto Arisa a suo tempo, Sangiovanni si propone in "Finiscimi" sul filo dei canoni tradizionali sanremesi riguardo all'architettura strumentale, aprendosi invece nelle liriche a un linguaggio giovanilistico più nelle sue corde, risultando comunque comprensibile a tutti. Ed è una bella sorpresa Maninni, che ha saputo far proprie le lezioni di tanti maghi del genere, da Meta a Zarrillo, da Renga a Ultimo, adattandole alla propria indole e producendo una "Spettacolare" di notevole impatto emozionale. 

In questa... isola perduta in mezzo al mare di radiofonicità martellante, i più ardimentosi sono stati, e la cosa non sorprende, i Negramaro, che potevano arrivare e vincere facile e invece hanno scelto la difficile strada della raffinatezza, di una canzone complessa e articolata, in crescendo, impreziosita da evocative pennellate di un Dalla fine Settanta - primi Ottanta, con la sola trovata infelice del countdown stile Cape Canaveral piazzato nel finale. "Ricominciamo tutto", fosse stata in gara nelle edizioni del '99 o del 2000, con la giuria di qualità a dettare legge o quasi, sarebbe stata probabilissima vincitrice. Ugualmente non banale ma più immediata l'incalzante ballata di Diodato, dalla splendida orchestrazione, un ricco tappeto di note che trasmette grande serenità, con l'usuale mix di malinconia e speranza che è parte irrinunciabile della sua cifra compositiva. 

A metà del guado si posiziona Rose Villain, con una proposta spiazzante, da un lato furbetta perché tenta di intercettare fasce di pubblico agli antipodi, dall'altro comunque audace, proprio per la combinazione tra il genere lento nelle strofe, oltretutto eseguito con una voce di gran spessore, e il refrain ispido, duro, quasi di marca techno. Stesso discorso per i Santi Francesi, che però si muovono su stilemi sonori diversi: una via contemporanea al canto d'amore, con arrangiamento variegato e sofisticato e con la gradevole concessione al vintage rappresentato dal ricorso al sintetizzatore, che riproduce atmosfere "computerizzate" da primissimi anni Ottanta. 

Insomma, la "canzone da festival" non è del tutto scomparsa, ma sopravvive, e non è un male, seguendo spesso percorsi di costruzione più articolati e moderni, altre volte consegnandosi senza remore alla sicurezza dei canovacci old school. In questo contesto, stupisce che ad abbandonare le antiche certezze siano stati i Ricchi e Poveri, che nella nuova veste discoteca-style stanno piacendo a molti ma non a me, che li trovo un po' come pesci fuor d'acqua, non troppo credibili, oltre che, mi è parso, in difficoltà vocale in alcuni passaggi della performance. Possiamo parlare di richiami ai tempi che furono anche per due insospettabili: la rivelazione di serata, Il Tre, semplicemente perché ci ha riportati agli albori di certo rap italiano contaminato dal pop, quello acqua di rose che combinava piacevolezza del ritornello e strofe recitate, senza trascendere in versi troppo crudi, e anche i Bnkr44, i più sinceri portatori di una schietta voglia di gioventù, con la riscoperta di una struttura-canzone che ricorda in parte le boyband e più in generale  certi generi canori in voga  a cavallo dei due secoli. 

La serata ha decretato la conferma e il trionfo parziale di Angelina Mango, a questo punto quantomeno sicura piazzata. Convince perché portatrice di un genere raramente esplorato al Festival, e di un brano accattivante, coinvolgente e interpretato con personalità già in rilievo, con una vocalità intensa e sensuale, e con modalità esecutive uniche nel panorama italiano attuale, in cui quasi gigioneggia fra concessioni alla cadenza napoletana e gestualità da attrice. Apprezzabile "Casa mia" di Ghali, un pastiche di sonorità pop, dance ed elettronica decisamente efficace all'ascolto, e con un messaggio pacifista che davvero non guasta, in un Festival in cui sembra davvero un atto di coraggio riuscire a pronunciare qualche parola contro le guerre (è lontano il 2003, in cui i cantanti si presentavano con i colori della bandiera della pace). Non riesce a scalare posizioni Fiorella Mannoia, che non credo se ne adonterà, in quanto ciò che conta è la coerenza di un percorso artistico che la vede sempre su posizioni a favore delle donne, attraverso una canzone di taglio cantautorale vecchia maniera, con venature alla De Andrè, che sicuramente rimarrà nel suo repertorio, a prescindere da come andrà a finire sabato. I La Sad fanno i cattivi ragazzi negli atteggiamenti un po' sopra le righe (ma neanche tanto), ma di "Autodistruttivo" va salvato il messaggio positivo, la volontà di non rinunciare alla vita andando oltre ogni ostacolo, e nella struttura del pezzo il tocco e il piglio grintoso di Zanotti dei Pinguini si avvertono comunque nitidamente. 

Giusto dedicare gran parte dell'articolo alla gara, vera unica grande protagonista, lo ribadisco, del 74esimo festival, ma giusto anche dire che, dopo il clamoroso buco nell'acqua della presenza di John Travolta, ieri qualcosa di meglio si è visto, quanto agli elementi extra. Attorno a Russel Crowe è stato costruito un minishow dignitoso, con un'intervista fatta di poche ma interessanti domande (e altrettanto interessanti risposte), con l'esibizione canora dell'attore, con un clima generalmente più disteso e con una maggiore disponibilità della star, persino pronta a "perculare" Amadeus sul caso Qua qua dance. Conterà poco, ma questa ospitata era stata annunciata da tempo, al contrario di quella del divo di Pulp Fiction, e quindi preparata con cura e senza fretta, un dettaglio non da poco che mi ero permesso di sottolineare ieri. La vicenda legata a Travolta ha comunque aleggiato a lungo sull'Ariston: con l'intro di serata di Ama che ha rivendicato il carattere giocoso e leggero del siparietto, e con altre prese in giro bonarie, quelle di Eros Ramazzotti, al quale è stata concessa un fin troppo breve celebrazione di Terra promessa", eseguita, meraviglia delle meraviglie, con la stessa base del 1984, con quel sound che oggi sembra superato ma con cui noi ragazzi dei Settanta abbiamo convissuto a lungo in armonia e letizia.  

Promossa a pieni voti la co-co di turno Teresa Mannino, da me sempre apprezzata come performer comica: un vero peccato che negli ultimi anni abbia riservato le sue energie al solo teatro (con spettacoli comunque trasmessi anche sul piccolo schermo), limitando le sue apparizioni tv, dove avrebbe le potenzialità per condurre un one woman show cucitole addosso su misura. E, per noi genoani, commozione a go go grazie all'esibizione di Bresh, che ha lanciato in Eurovisione quella "Guasto d'amore" ormai divenuta inno ufficioso del club rossoblù. L'impegno sociale, che è comunque una delle colonne portanti della linea editoriale dei Sanremo targati Amadeus, ha portato sul palco il dramma delle morti sul lavoro, grazie alla struggente lettera di un padre al figlio che lo conoscerà solo tramite una foto, splendidamente interpretata da Stefano Massini, ormai una delle più importanti voci italiane del teatro di denuncia civile, con l'accompagnamento al piano di Paolo Jannacci. 

giovedì 8 febbraio 2024

SANREMO '24, LA SECONDA SERATA: VINCE GEOLIER, MA COLPISCE L'INTENSITA' DI IRAMA, CRESCE ANNALISA E SI CONFERMANO BERTE' E MAHMOOD. TRAVOLTA... TRAVOLTO DA UNO SKETCH POVERO DI IDEE E FANTASIA


 

Se esistono ancora dubbi sul proseguimento dell'esperienza sanremese di Amadeus (sarà il diretto interessato a sciogliere la riserva a Festival concluso, come è giusto che sia), quanto accaduto ieri sera con e attorno a John Travolta dovrebbe essere interpretato come un segnale che un'epoca sta per chiudersi, o quantomeno come un campanello d'allarme. Chiariamo subito: il fallimento totale di una singola ospitata non può certo essere motivo sufficiente per bocciare in toto una direzione artistica che ha accumulato meriti innumerevoli nel quinquennio (sì, mettiamoci anche l'edizione in corso). Il mio è un discorso di più ampio respiro, che riguarda più la "sceneggiatura" dello show che non la scelta delle canzoni in gara: la costruzione del terribile siparietto con la superstar d'Oltreoceano ha mostrato, in maniera inequivocabile, che le idee cominciano a latitare, che la stanchezza del gruppo di lavoro sta emergendo sempre più nitidamente. Perché Fiorello ha rappresentato spesso, in questi anni, l'ancora di salvezza, la scappatoia con la quale uscire brillantemente da situazioni spinose (ricordate la leggerezza con cui gestì lo scazzo Bugo-Morgan, per non parlare dell'abilità con cui si destreggiò nel clima pesante del teatro vuoto in era Covid?), ma non si può sempre sperare che la sua capacità di improvvisazione e il suo talento comico partoriscano sistematicamente la genialata di turno. Stavolta non è successo, ed è normale che la formula Ama-Fiore possa mostrare la corda dopo un lustro ai massimi livelli. 

Poi, certo, la questione è anche più complicata. Puntare su Fiorello e sulle sue idee finisce col risultare anche un alibi, perché dietro i due padroni di casa dovrebbe esserci una squadra di autori, profumatamente pagata per concepire qualcosa di più presentabile di quanto visto ieri, o comunque in grado di stoppare simili pseudo sketch prima che vadano in onda, capendone il potenziale nefasto. E dire, dopo, "vabbè, ma ci siamo divertiti" è un cavarsi di impiccio che sta cominciando a stufare, oltretutto mi pare che l'avesse sostenuto pure Blanco dopo la malriuscita performance floreale del 2023, quindi non insisterei su queste affermazioni. 

E ancora, tutto questo è il risultato di una scelta di fondo doppiamente sbagliata: la scelta di continuare a cercare vip internazionali del cinema che rarissimamente hanno portato un valore aggiunto alla kermesse (ricordo solo una bella intervista a Sharon Stone nel 2003, poi sicuramente qualcos'altro che mi sfugge, ma in ogni caso poche gocce in un mare di mediocrità), e il fatto di concludere certi contratti a immediato ridosso della rassegna, quindi con pochissimo tempo a disposizione per preparare qualcosa di raffinato, ben costruito, godibile. Peccato davvero, perché il tutto era iniziato in maniera anche azzeccata, con le domande di Giorgia, poi la degenerazione, con la scontata banalità delle canzoni cult da ballare e con l'imbarazzante "Qua qua dance". 

Che poi, intendiamoci, nulla contro la canzoncina di Romina Power che dominò la hit parade fra l'81 e l'82: mi spingo a dire che non c'è scandalo nel balletto "imposto" a Travolta, un divertissement che però avrebbe avuto senso in un altro contesto, inserito in un numero più lungo e articolato, in cui l'attore avrebbe dovuto avere spazio per muoversi su diversi registri, per fare cose serie e meno serie, per poi concludere con questa sorta di "svacco"; è stata invece il fulcro di una presenza di pochi minuti, alla quale, è vero, lo stesso protagonista, a disagio e poco incline ai sorrisi, non ha fornito nemmeno il minimo sindacale di verve. E anche questo è un punto interrogativo: d'accordo l'estrema tristezza della gag, ammessa a tarda notte dallo stesso Fiorello, ma John non era stato avvertito? E' stato colto di sorpresa? E se ne era a conoscenza, non poteva opporsi e dire "no, questa proprio non la faccio"? Misteri della televisione. In tutto questo, continuo a non trovare spiegazioni logiche alla scomparsa, dalla Riviera ligure, dei big del pop internazionale, che avrebbero in cambio una massiccia promozione e non dovrebbero nemmeno prestarsi a scenette senza sale, ma solo cantare uno o due pezzi. Ne basterebbero tre o quattro, di questi grossi nomi, nessuno pretende l'invasione degli anni Ottanta. 

Insomma, una macchia non da poco su una serata che aveva anche mostrato come un'ospitata possa essere realizzata con tutti i crismi e risultare perfino emozionante, grazie al ritorno di Giovanni Allevi che non si è limitato a suonare (bene, per quel che me ne capisco) il pianoforte, ma ha anche raccontato con voce tremante il suo viaggio attraverso la malattia, invitando alla speranza, senza vergognarsi di chiedere comprensione per eventuali incertezze esecutive e plaudendo ai medici e alla ricerca, in una triste epoca in cui i medici sono spesso vittime dell'odio social, a volte addirittura aggrediti fisicamente, e la ricerca oggetto di scherno e derisione da parte dei laureati all'università della vita. E visto che abbiamo cominciato parlando della parte extragara, ma l'attualità lo imponeva, diciamo che la seconda co-co Giorgia è stata impeccabile ma, mi è parso, leggermente meno a suo agio nel ruolo di presentatrice aggiunta rispetto a Mengoni, meno a briglia sciolta, preferendo dare il meglio di sé nelle sue due performance canore. Quanto ai concorrenti che introducono altri concorrenti, è un'idea anche carina ma che non aggiunge nulla al racconto del Festival, se non la dimostrazione plastica che ormai larga parte dei cantanti sanno disimpegnarsi senza eccessivi problemi anche in ruoli che professionalmente non gli appartengono; del resto, la storia televisiva recente parla chiaro, coi vari Ruggeri, Mika e Nek che hanno indossato senza intoppi le vesti degli anchorman. Altri (e altre) seguiranno, scommetto. 

Il secondo ascolto di metà dei brani in concorso ha permesso di schiarire parzialmente le idee, ma non al punto di capire quale potrebbe essere, sabato notte, il vincitore o la vincitrice assoluta. Conferme e sorprese, ma sorprese parziali: perché comunque si sapeva che Geolier avrebbe potuto contare su una massiccia spinta da parte di radio e televoto. Il pezzo ha indubbio sprint e pathos, è contemporaneo, martellante, anche variegato nell'arrangiamento e nell'architettura: può piazzarsi, ma non sarebbe, quanto a genere musicale, il mio trionfatore ideale. Convince sempre più Mahmood, che si rinnova nella continuità e, come accennato ieri, spinge senza compromessi su un linguaggio giovanilistico estremo che rischia di renderlo alieno e incomprensibile alla platea di mezza età. Ha guadagnato credibilità "Sinceramente" di Annalisa, che, come detto, non presenta trovatine acchiappa-ascolto clamorose ma ha una ritmica accattivante e passaggi testuali, come il "quando" ripetuto ossessivamente, che comunque ne fanno un'opera di sicura presa commerciale. 

Conferma per la Bertè, la cui autobiografia ha una costruzione un po' altalenante nella poetica, con parti mature e altre un po' più di grana grossa, mentre la struttura complessiva della canzone rimanda, decisamente, allo stile compositivo di tanta musica leggera anni Ottanta, quella che dentro e fuori Sanremo si appiccicava subito alle orecchie. Pollice in su per Irama, che ha sfoderato una intensa e, direi, splendida canzone d'amore, anche meno scontata rispetto a quella "Ovunque sarai" che tanti consensi gli aveva portato due anni fa. Non mi sorprende il suo secondo posto di serata, mentre non mi aspettavo il fatto che, nelle prime due cinquine di questo Festival, non comparissero i ragazzi del Volo, con un classicone più pop e meno lirico, di grande impatto ed eseguito magistralmente. Per i Kolors è già tormentone totale (devo essere sincero: stanotte, quando stava per essere svelata la prima posizione parziale, mi aspettavo di trovare loro in vetta, e non Geolier, ma non credo che la vittoria sanremese sia in testa ai pensieri di Stash e compagni). 

Tanta dance ma anche una rappresentanza tutt'altro che sparuta del melodico tradizionale. Detto dei convincenti Irama e Volo, non deludono sul piano interpretativo e dell'impasto vocale Renga e Nek, con una "Pazzo di te" forse un po' datata, mentre va riascoltato il non banale intimismo cantautorale di Gazzelle. Assolutamente trascinante l'Apnea di Emma, che pare più un brano da rassegne canore estive che da Sanremo, e proprio per questo potrebbe avere vita lunga. Abilmente confezionato per le radio e lo streaming "Il cielo non ci vuole" di Fred De Palma, col tocco di classe di alcuni inserti simil-sinfonici grazie al poderoso sostengo degli archi, ma in questo ambito stilistico si fanno preferire i "Diamanti grezzi" di Clara, con quella intro malinconica che sa tanto di Hooverphonic inizio secolo, spruzzate dello stile  di Mahmood e una generale gradevolezza all'ascolto, così come sta emergendo Bigmama, che porta all'Ariston uno dei refrain più efficaci. Si conferma lo spessore di "Onda alta", un testo impegnato amplificato da un ritmo sostenuto con toni quasi drammatici, un messaggio che può arrivare maggiormente ai cuori delle persone grazie all'utilizzo di una modalità espressiva apprezzata dalle nuove generazioni. Interessante è "Vai" di Alfa, con quel marcato stile country all'americana, ma è un brano su cui va sospeso il giudizio, visto che, da quel che si legge e si sente in giro, non brillerebbe propriamente di originalità. 

mercoledì 7 febbraio 2024

SANREMO 2024, LA PRIMA SERATA: MENO IMMEDIATEZZA E TROVATINE FURBE, MA QUALCHE POTENZIALE TORMENTONE C'E'. IL CORAGGIO DI ANGELINA E IL GIOVANILISMO SPINTO DI MAHMOOD



Sensazioni. Solo a quelle ci si può affidare, una volta superato lo scoglio del primo ascolto del pacchetto-canzoni offerto da Sanremo '24. Una mole imponente di nuove produzioni, succedutesi a ritmo sostenuto lungo uno spettacolo fiume snodatosi per oltre cinque ore televisive. E dunque, ditemi voi come si possa anche solo azzardare un giudizio, sia pur parziale, sui trenta pezzi del 74esimo puzzle rivierasco. Ecco, appunto, sarebbe un azzardo, e non invidio le certezze di chi già ha stilato le proprie pagelle a caldo. Operazione legittima, soprattutto nell'era dei social che richiede di essere sempre "sulla notizia" e di proporre il proprio commento prima degli altri. Legittima ma rischiosa, perché le valutazioni sui primi ascolti di una tale abbondanza di opere non possono che essere affrettate e superficiali, persino se escono dalla tastiera dei critici più smaliziati, non dico da parte di dilettanti come me, che dunque per il momento prudenzialmente mi astengo (anche perché, davvero, per quasi tutte le canzoni sono fermo a quanto sentito ieri sera "on stage"), e mi limito ad annotare, come detto, solo alcune sensazioni immediate avvertite durante la diretta. 

Balza alle orecchie l'assenza di un brano che si stagli nitidamente al di sopra degli altri, come era accaduto per "Due vite" l'anno passato e, in misura minore, per "Brividi" nel '22. Soprattutto quello di Mengoni, era, anzi è, un "pezzone" che tutti, dalla stampa specializzata ai semplici ascoltatori, avevano avuto gioco facile nel pronosticare vincitore fin da subito. Quest'anno non è così, e non è detto che sia un male, anzi, è vero il contrario, perché ciò conferma quanto da me scritto ieri, ossia l'esistenza di un equilibrio esasperato nei quartieri alti, destinato a incrinarsi parzialmente solo dopo le due serate intermedie di oggi e domani. Un equilibrio costruito su fondamenta abbastanza solide, perché quello che si percepisce è un livello sostanzialmente più che dignitoso, pur se non siderale, dell'offerta musicale. In molte canzoni, questo sì, si è avvertita maggiore ricercatezza e minore immediatezza, ed è ciò che ha forse penalizzato i Negramaro, raffinati e nostalgici, in sede di prima, parzialissima classifica; in altre, pur gradevoli, sembra di primo acchito mancare la trovatina furba che assicura i primi posti delle charts, ma anche questo può essere visto come qualcosa di positivo, e in particolare è parsa coraggiosa l'attesissima Annalisa, che non ha la frase tormentone stile "Dove vaaaaai" o "Ho visto lei che bacia lui", ma porta comunque un singolo di notevole impatto, che non dovrebbe faticare a piazzarsi sia all'Ariston che fuori. 

Sensazioni e prime impressioni, dicevamo: è piaciuta la sofisticata dance di Clara, la coerenza artistica di Angelina Mango con un genere che non scimmiotta nessuno e che a Sanremo ha sempre trovato pochissimo spazio, il sapore vintage che ha vagamente colorato di anni Ottanta l'autobiografica "Pazza" della Bertè, trionfatrice di tappa. Più di tutti mi hanno colpito Emma, con un brano di grande incisività radiofonica, e Mahmood, uno dei pochi per i quali ho potuto beneficiare di un secondo ascolto: dopo la parentesi romantica con Blanco, è tornato a cantare di sé e delle sue esperienze giovanili, lo stile è sempre quello ma capace di rinnovarsi costantemente, con un ritmo ipnotico e un uso del linguaggio più estremo di quello di tanti trapper, un vero e proprio slang giovanilistico infarcito di espressioni incomprensibili a chi abbia più di vent'anni. Suggestivo e d'atmosfera Diodato, vocalmente imponente Irama, nel solco della tradizione la sofferta ballad di Alessandra Amoroso, meno lirici e più pop i ragazzi del Volo, che si mantengono comunque nell'alveo dei canoni melodici sanremesi. E anche Mr. Rain, pur senza bambini a supporto, sembra avere le stimmate per ripetere con "Due altalene", almeno parzialmente, l'exploit dell'anno passato, con una composizione delicata e intimistica. 

Queste ultime annotazioni confermano quanto si sospettava ieri, ovvero che ci sarà pure stato un incremento delle proposte ad alto tasso ritmico, ma non mancano, come è ovvio e doveroso che sia, le canzoni di stampo prettamente melodico, vecchia scuola italiana. Riguardo al comparto dance, forse solo ora si apprezza compiutamente l'importanza della partecipazione e del piazzamento di Lazza nell'edizione 2023: la sua ritmica, le sue sonorità, paiono far capolino in diversi brani, e non tutti sono riusciti a rivestirle di abiti nuovi e originali: attenzione, perché non basta appiattirsi su certi modelli per ripeterne il successo. I Kolors, se non altro, rifanno un po' il verso a loro stessi e, ad occhio e croce, si sono assicurati un altro tormentone dopo "Italodisco", vedremo se ugualmente destinato a lunga gloria.

Preferisco dire poco o nulla su chi si è esibito fra mezzanotte e l'una inoltrata: mente annebbiata (la mia), impossibile cogliere pregi e difetti, anche se mi è parso di percepire del buono in Alfa, Gazzelle e Il Tre. Discorso a parte per Dargen D'Amico, con una "Onda alta" straniante, che fa ballare, trascina, ha facile presa e però tratta un tema spinoso, quello dei migranti e dell'inferno nel Mediterraneo. Bene ha fatto il funambolico artista a lanciare un appello per la pace a esibizione conclusa; una presa di posizione che si ritrova anche nel testo di Ghali, per una "Casa mia" che va riascoltata e soppesata per bene. 

Basta così, per ora. Qualche nota sullo spettacolo nel suo complesso, che ha offerto come unica sorpresa l'incursione di Ibrahimovic, di ritorno tre anni dopo la co-presentazione a teatro vuoto, Marco Mengoni ha giganteggiato come performer musicale e ha superato la prova come collaboratore di Amadeus, grazie ad alcuni semplici siparietti alimentati da un modo di fare da ingenuotto un po' a disagio nella grande kermesse. Una "intramuscolo" l'apparizione di Federica Brignone, di cui in questi termini non si avvertiva il bisogno, mentre anche Fiorello è andato sulla comicità "easy", con lo sketch del clone creato dall'intelligenza artificiale: si ride con poco, ma si ride, e al giorno d'oggi non tutti i comici di professione possono dire di sapere suscitare con tale abilità l'ilarità del pubblico. Ma tutto è sostanzialmente rimasto negli argini di una certa prevedibilità: certo, dopo l'apparizione del presidente della Repubblica dodici mesi fa, era difficile poter stupire, e allora ritorniamo a quanto si diceva ieri: la gara è tornata ad assumere centralità assoluta, sia pur diluita nell'arco di tante, troppe ore. Bene così.  Discorso a parte per la presenza della mamma di Giogiò Cutolo, il giovane musicista ucciso a Napoli, che ha suscitato emozione e commozione vere con una lettera al figlio perduto priva di odio e carica di ricordi e di voglia di giustizia. 

martedì 6 febbraio 2024

SANREMO 2024, TUTTI IN CARROZZA! GARA EXTRALARGE PER QUANTITA' E QUALITA': GROSSI NOMI E TANTO EQUILIBRIO, FRA DIVI DEL MOMENTO E VETERANE AGGUERRITE


Credo che raramente, dopo le edizioni kolossal degli anni Sessanta, il Festival di Sanremo abbia presentato ai nastri di partenza un cast di concorrenti di livello così elevato. Parole non usate a caso, le mie: nel concetto di "livello elevato" rientrano vari fattori. Il prestigio, il curriculum, la fama e il successo commerciale conquistati in archi temporali più o meno lunghi, e ovviamente il ruolino di marcia sulla Riviera ligure. Ecco, partiamo da qui: sono pronti a darsi battaglia quattro vincitori in tempi recenti, ossia Emma, Il Volo, Diodato e Mahmood, che la statuetta l'ha conquistata addirittura due volte. A questi vanno aggiunti Francesco Renga, impostosi comunque in un 2005 che sembra ieri e purtroppo non lo è, e i Ricchi e Poveri, trionfatori nel 1985 e per un paio di decenni assidui frequentatori della kermesse, prima di un lungo e inspiegabile oblio che durava dal 1992. 

CAST STELLARE - E poi, come detto, nomi di primissimo piano del panorama musicale italiano di oggi: l'asso pigliatutto delle classifiche Annalisa, diva pop glamour del momento, i debuttanti di lusso Ghali ed Alessandra Amoroso, colossi della discografia nostrana del ventunesimo secolo come i Negramaro, di ritorno dopo quasi vent'anni, giovani rampanti come Sangiovanni e soprattutto Angelina Mango, scintillante rivelazione dell'estate '23, stagione che ha visto spadroneggiare in radio, chart e piazze il tormentone "Italodisco" dei Kolors, ringalluzziti dopo un periodo di appannamento e loro pure pronti a inseguire il sogno dell'alloro più ambito. Ancora: un ragazzo già veterano come Irama, che dopo le incertezze degli esordi non ha più sbagliato un colpo all'Ariston, e i mostri sacri Fiorella Mannoia e Loredana Bertè: finite ai primi posti e con qualche recriminazione in occasione delle loro ultime partecipazioni (2017 e 2019), entrambe pronte ad affrontare la sfida con propositi bellicosi, il che, in campo canoro, significa semplicemente con dei brani di peso e di grande impatto emotivo, perlomeno in questi termini ne hanno parlato gli addetti ai lavori che hanno potuto ascoltarle in anteprima. 

QUANTI FAVORITI! - Questo lungo preambolo per dire che, cantante più cantante meno, la metà dei partecipanti può nutrire, a bocce ferme, legittime ambizioni di vittoria. Un equilibrio esasperato ed emozionante, degno della Serie A italiana di calcio negli anni Ottanta e Novanta; un equilibrio che, ovviamente, comincerà a spezzarsi fra martedì e giovedì, dopo aver ascoltato un paio di volte i pezzi. Perché è chiaro che è sempre la canzone a decidere, ma lo è a maggior ragione in una tenzone in cui i favoriti non sono solo due o tre, ma ben di più. Ora come ora, l'incertezza è assoluta: le stesse sensazioni dei critici, che con le loro pagelle hanno invaso giornali e web un paio di settimane fa, vanno prese con ampio beneficio d'inventario, in quanto non basta sentire una sola volta, e una dopo l'altra, una trentina di composizioni nuove di zecca per poterne fornire un'analisi ampia, oggettiva, dettagliata. Da giovedì cadranno certi favoriti, dicevamo (magari non per inadeguatezza del lavoro presentato, ma solo a causa di proposte meno immediate e incisive) ma forse se ne aggiungeranno altri, penso a emergenti interessantissimi come Rose Villain, Gazzelle, i Santi Francesi, o a un Mr. Rain estremamente coraggioso (ma il sottoscritto l'aveva previsto in tempi non sospetti) nel rimettersi subito in gioco dopo l'inaspettato riscontro di "Supereroi". 

MUSICA DI OGGI - Insomma, il thrilling è garantito, e così tanti bei nomi fra gli interpreti e gli autori dovrebbero assicurare una discreta messe di brani da quartieri alti delle hit parade. C'è ottimismo, è chiaro: un ottimismo giustificato dai risultati sensazionali del poker di edizioni fin qui guidate da Amadeus, edizioni che hanno aiutato il mercato tricolore della  musica leggera e che hanno assicurato al mastodontico carrozzone festivaliero una vigorosa cura ricostituente, realizzando il sogno proibito di tanti organizzatori e direttori artistici del passato, ossia riportare Sanremo nel pieno dell'attualità canora, nella contemporaneità, sia per lo spessore dei partecipanti sia per i generi dei brani in concorso, assolutamente in linea con quanto è oggi apprezzato dai fruitori di musica, soprattutto i più giovani. Certo è pur sempre un'arma a doppio taglio, che porta con sé il rischio di costruire una manifestazione fin troppo mainstream, con poco spazio per le realtà più di nicchia e con un pacchetto canzoni omologato e standardizzato, che va in direzione di uno solo tipo di gusto. Per questo 2024, ad esempio, pare che siamo attesi al varco da una nutrita serie di opere all'insegna del ritmo sostenuto e della ballabilità. 

TROPPA DANCE? - C'è chi teme un Sanremo troppo "dance", in altre parole: ebbene, a costoro direi di non preoccuparsi. A parte che, conoscendo il repertorio dei cantanti in lizza, anche questa volta non mancheranno ballad, pop di maniera e un pizzico di cantautorato. Ma comunque, che male potrà mai fare un po' di dance, di sonorità movimentate e trascinanti? Abbiamo assistito a edizioni del festivalone con una presenza oltremodo invasiva di melodia classica, di brani scritti seguendo i binari dei canoni più tradizionali e del bel canto all'italiana: anche in quel caso, il troppo stroppiava, e oltretutto allontanava Sanremo dal resto del mondo musicale, da ciò che si sentiva e si comprava, portandolo alla  crisi degli anni zero di questo secolo, una crisi non meno grave di quella dei Settanta e che prima o poi andrà approfondita in tutti i suoi aspetti, per evitare il ripetersi di certi errori.

LE ORE PICCOLE - Dunque, nessuna paura: un Sanremo radiofonico, à la page, pronto per download e streaming, è cosa buona, giusta e utile. Perfettibile, questo sicuramente, ma non da stravolgere nel momento, a quanto pare vicinissimo, in cui il conduttore di Affari tuoi passerà la mano. Avremo modo, credo, di tornare sul delicato argomento "successione" nei prossimi giorni. Un po' di timore, questo sì, c'è di fronte all'approccio per niente soft che ci richiede la kermesse numero 74, con tutti gli artisti subito in pista in una prima serata che si annuncia interminabile come una finalissima, per cui sarà difficilissimo apprezzare e comprendere, anche solo parzialmente, ogni singola canzone. Ecco, quello della lunghezza estenuante di tutte le serate, e non solo dell'ultima, è uno degli aspetti su cui il futuro direttore artistico dovrà lavorare, mettendosi una mano sulla coscienza pur salvaguardando le esigenze dell'audience, della Rai e degli investitori. E' anche vero che abbiamo già avuto vernissage pieni di canzoni: 29 nel 1997 e 28 nel 1998, i primi esempi che mi vengono in mente, ma all'epoca, un'epoca in cui il Festival era già molto più spettacolo televisivo e meno gara, c'era comunque una quantità inferiore di elementi di contorno extra, e meno chiacchiere ad allungare il brodo, tanto che ci si poteva permettere un Dopofestival a orari umani. 

PARCO OSPITI NON ESALTANTE - Ecco: parlando dello spettacolo nel senso più generale, non ci sono spunti di particolare interesse. Gli ospiti stranieri cantanti si sono pressoché dileguati (avremo Skin e Jack Savoretti nell'happening dei duetti del venerdì, ma quello è un capitolo a parte), si torna a pescare fra le superstar del cinema d'oltrefrontiera senza nemmeno cercare nomi nuovi, visto che Russel Crowe e John Travolta erano già stati all'Ariston nel 2001 e nel 2006, rispettivamente. Si era detto che che non ci sarebbero stati superospiti italiani, ma fin da subito chi conosce, anche superficialmente, i meccanismi del Festival, poteva immaginare che così non sarebbe stato: c'erano da riempire due palchi aggiunti, quello di Piazza Colombo e quello della nave da crociera, ed ecco quindi pronti a sfilare fuori concorso i vari Lazza, Tananai e Rosa Chemical, protagonisti in misura diversa nel 2023, ma anche Tedua e Bresh, quest'ultimo dato per concorrente quasi certo fino al momento della lettura del listone al Tg1. E poi le celebrazioni di Ramazzotti e della Cinquetti, doverose ma che non profumano certo di novità (entrambi hanno già calcato quel palco durante la gestione di "Ama"), senza contare che Mengoni, Giorgia e Paola e Chiara saranno... multitasking, presentatori (le due sorelline al Primafestival già partito), ospiti canori o duettanti. Ma con tutto il rispetto, il panorama delle guest stars è ben lungi dal suscitare entusiasmi, confermando una tendenza tutto sommato benefica per la salute della rassegna: la gara sempre più monopolizza l'attenzione e oscura tutto il contorno, riportando, ebbene sì, il Sanremo di oggi assai vicino alla filosofia dei suoi primi decenni di vita.