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venerdì 18 dicembre 2020

VERSO SANREMO 2021: ECCO I 26 CAMPIONI! SARA' UN FESTIVAL FUTURISTA, CON AMPIO SPAZIO INDIE. LA MUSICA ITALIANA SI RINNOVA


Il Festivalone scoppia di salute. E' un grido quasi disperato di vitalità, quello che prorompe dal megalistone di 26 Campioni diramato ieri sera da Amadeus durante la lunga diretta di Sanremo Giovani. Gli aggettivi "spiazzante" e "contemporaneo" per descrivere il cast sono stati utilizzati già più volte, negli ultimi anni. Non a sproposito, intendiamoci, visto che la linea artistica intrapresa da almeno un lustro va proprio nella direzione di un'innovazione rivoluzionaria. Perché lo svecchiamento dei ranghi, ad essere precisi, è in atto pienamente già dall'inizio di questa decade (andatevi a leggere i Campioni di Sanremo 2010 confrontandoli con quelli di appena due anni prima, per dire), ma nelle ultime edizioni si è andati oltre, molto oltre, osando come non mai. Prima timidamente con Conti, poi sempre più convintamente col secondo Baglioni e col primo "Ama", le porte dell'Ariston sono state aperte a indie e rapper. Ecco, il cartellone del Festival numero 71 rappresenta l'apice di questa foga futurista: il sottobosco della nuova musica italiana non è mai stato così massicciamente rappresentato fra gli ammessi alla gara più prestigiosa. Se prima pareva un azzardo presentare anche i soli Stato Sociale (che ritroveremo in Riviera a marzo), nel 2021 almeno una decina di caselle sono occupate da nomi che faranno sobbalzare sulla sedia i "benpensanti", o più modestamente il pubblico classico della kermesse, quello un po' più attempato, sia detto senza offesa, ma non solo, perché anche molti della mia generazione, quarantenni o giù di lì, guardano l'elenco di cantanti e non capiscono, trasecolano, si voltano dall'altra parte con una smorfia di disgusto. 

IL FERMENTO DELLA NUOVA MUSICA ITALIANA - Ecco, mi spiace, ma indietro non si torna. Vivaddio, il mondo cambia e la musica con esso. L'universo indie (inteso come ambito di provenienza e origine di tanti emergenti che saranno in lizza), l'immensa galassia rap e trap sono in profondo fermento, mai come adesso, e reclamano giustamente spazio mainstream dopo esserselo conquistato attraverso altri canali. Sanremo 2021 somiglia enormemente al festival ideale vagheggiato per anni da molti, non solo dai critici di professione: cioè una rassegna che non sia passerella dei soliti noti, spesso ormai a corto di argomenti, fuori mercato e ignoti alle nuove generazioni, ai Millennials. I Campioni di marzo sono anche un invito alla curiosità, uno stimolo intellettuale all'appassionato canoro italiano solitamente pigro: uscite dal vostro microcosmo fatto dei tre-quattro artisti straconosciuti e amati, apritevi alle nuove tendenze, ascoltate, conoscete, approfondite. e, se è il caso, apprezzate.  Lo dice uno che all'inizio di questo secolo era caduto vittima di un pericoloso nostalgismo canoro fine a se stesso, per poi scoprire che è bello e importante stare al passo coi tempi, sforzarsi di capire il nuovo che avanza. Tutto questo per dire che personaggi come La Rappresentante di lista, Aiello, Coma_Cose, Madame, Colapesce-Dimartino, Fulminacci hanno tanto da raccontare, e lo sanno raccontare bene. Portano avanti sonorità affascinanti e nuovi modi di scrivere, ma nella maggior parte dei casi si tratta di stili e generi che possono comunque risultare tutt'altro che indigesti anche ai più tradizionalisti, sol che non si alzi un muro pregiudiziale davanti a loro. 

BIG O NON BIG? - Anche gli interrogativi del tipo "ma questi sono big?", lasciano il tempo che trovano. A Sanremo, la categoria regina ha spesso avuto confini elastici: nell'84 erano forse big Fiordaliso, Castelnuovo, la Mannoia, Garbo, gli Stadio? Certo già abbastanza conosciuti, ma non venditori di dischi in quantità, ciò che all'epoca era il parametro principale per misurare il livello di affermazione di un cantante. Nell''86 erano Big Marco Armani, Zucchero e Flavia Fortunato? Non scherziamo. E nel '97, erano big i Dirotta su Cuba, Nek, i Cattivi Pensieri, i Ragazzi italiani? Il discorso è che gli organizzatori di turno hanno spesso forzato la mano, promuovendo a "Campione" chi ancora non lo era, ma aveva indubbio talento e una proposta artistica interessante, e quindi era giusto metterlo sotto la luce dei riflettori, imporlo al grande pubblico e farlo decollare. Qualche volta ha funzionato, altre no, ma storicamente è sempre stato così e sorprendersi adesso è sintomo di pessima memoria. 

LE PRIMEDONNE E I FAVORITI - L'allargamento del listone "vip" a una quantità record di cantanti, che era stata raggiunta solo in occasione dello splendido Sanremo '88, ha avuto del resto anche questa funzione: immettere nella colossale macchina promozionale della kermesse un numero elevato di volti parzialmente nuovi, riequilibrando però con tanti personaggi familiari e rassicuranti. Se su 26 cantanti ce ne sono quindici - sedici ampiamente collaudati sui palchi generalisti, credo ci sia poco spazio per le recriminazioni. Abbiamo dunque la miglior voce maschile pop degli ultimi quindici anni, quel Francesco Renga che deve farsi perdonare la fiacca partecipazione del 2019 e, magari, anche l'infelice uscita dell'epoca, nella notte del Dopofestival, sulle voci femminili; a proposito di gentil sesso, ecco tutte insieme le primedonne del ventunesimo secolo, Malika Ayane e Annalisa, Noemi e soprattutto un' Arisa che è sempre garanzia di qualità, portando in dote la voce più tecnicamente perfetta, armoniosa, emozionante, sperando ovviamente sia sorretta da una canzone decente. E poi non dimentichiamoci di Francesca Michielin, il cui ritorno avevo auspicato poche settimane fa su questo blog, che alza la posta facendosi accompagnare addirittura da Fedez, ricostituendo un'accoppiata ammazza-classifiche e prenotando fin da ora la poltrona riservata ai favoritissimi, anche se la battaglia per il primato promette di essere accesissima, e dovrebbe coinvolgere anche Ermal Meta e, perché no, lo Stato Sociale, ossia due fra le più belle realtà emerse dai Festival recenti. Le caselle dedicate ai divi pop del momento sono state adeguatamente riempite con Irama, Gaia Gozzi e Maneskin, e direi che si possa essere abbastanza soddisfatti, mentre la valorizzazione di Sanremo Giovani passa per il nome di Fasma, che dopo l'edizione 2020 è stato più convincente del vincitore Leo Gassman, rimasto al palo. Mi piace rimarcare il ritorno di Ghemon, incompreso nel 2019 con la splendida e suggestiva "Rose viola". 

OSTRACISMO PER I '90 - Pochi veterani, secondo consolidata tendenza degli ultimi anni. Dispiacerà a qualcuno, ma anche questa scelta mi trova in larga parte d'accordo: ci siamo sorbiti per anni, e senza validi motivi discografici, Al Bano e Patty Pravo, possiamo tranquillamente farne a meno, d'ora in poi. C'è un giusto tributo a una certa età dell'oro dell'italica melodia col ripescaggio di Orietta Berti, peraltro divenuta nel tempo personaggio televisivo tout court ma sicuramente non prezzemolino festivaliero, mentre ci sarebbe casomai da ridire sull'insistito ostracismo ai protagonisti degli anni Novanta, che personalmente non mi spiego. Alti lamenti, in tal senso, si stanno già levando da più parti, ma la proclamazione di presunte ingiustizie subìte è forse l'aspetto più triste, da sempre, delle lunghe vigilie sanremesi. Io avevo chiesto, in tempi non sospetti, un'edizione partecipata, ossia allargata al più alto numero possibile di artisti, perché dopo un anno così terribile era necessario aprire a tanti cantanti la fondamentale ribalta ligure. Avevo anche auspicato si superasse la... soglia psicologica di 26 big, come detto numero massimo di ammessi nella storia della kermesse toccato in precedenza solo nell'88, ma mi rendo conto che, per esigenze televisive, non si possa andare oltre certi limiti, se non correndo il rischio di allungare il brodo e di creare uno sgradevole effetto ammucchiata. Ma, insomma, tutto è stato fatto per rendere Sanremo 2021 "open": dopodiché, se le domande di partecipazione sono oltre 300, bisogna avere anche il buon gusto di accettare una esclusione che, mai come questa volta, rientrava ampiamente nel calcolo delle probabilità. 

MORGAN E GLI OSPITI EVITABILI - Qualche annotazione a margine: giustizia è fatta per Bugo, che già a febbraio aveva presentato un pezzo interessante, a cavallo fra vintage e contemporaneità, e che potrà agire liberamente senza l'ombra insopportabile di Morgan, il quale ieri, in apertura di serata, è stato giustamente "cazziato" e liquidato da Amadeus dopo le affermazioni a proposito della sua esclusione dai Campioni. Ricordiamo che l'ex Bluvertigo, nonostante l'imbarazzante sceneggiata di Sanremo 2020, era stato ripescato inconcepibilmente dallo stesso direttore artistico, che lo aveva inserito nella giuria di Ama Sanremo. Ma il discorso è più complesso e riguarda non solo il Festival, non solo "Ama", non solo la Rai, ma tutto il sistema comunicativo italiano, soprattutto televisivo: ci sono personaggi inqualificabili che, ormai è noto, ovunque vadano fanno "casino" e mandano tutto a carte quarantotto. Uno di questi è proprio Morgan, ma in altro ambito potrei citare Sgarbi, ad esempio: perché continuare ad invitarli, a dare loro importanti tribune mediatiche, a consentire loro addirittura la promozione delle rispettive attività? Se lo si fa, poi è persino inutile inalberarsi e prendere provvedimenti disciplinari. Vorrei rassicurare la Rai: il pubblico italiano può tranquillamente fare a meno di Morgan, Sgarbi e compagnia sbraitante. Per sempre. 

IL TRAMONTO DI RED - Considerazioni che ci riportano anche al caso Red Ronnie, quello che non parla mai di Sanremo ma che, pochi giorni fa, ha spoilerato una presunta lista di Big dalla quale mancavano otto nomi e nella quale era presente Leo Gassman, mentre gli altri erano grosso modo personaggi più volte citati dai mezzi di comunicazione, quindi sai che scoop. E soprattutto c'era Achille Lauro, annunciato pomposamente come probabile vincitore del Festival e che, invece, non è manco in gara. Una figuraccia epocale, dopo la quale ci si andrebbe a nascondere per il resto dei propri giorni, se fossimo in un Paese normale, ma ahimé non lo siamo. Resta il gesto antipatico, sgradevole, di voler  bruciare l'annuncio di Amadeus e una prima serata Rai, quella Rai che fino a qualche tempo fa dava spesso e volentieri ospitalità a Ronnie, nella tribuna domenicale di Mattina in famiglia, giusto per ricollegarsi a quanto detto su Morgan e Sgarbi. 

NUOVE PROPOSTE - Flash sui giovani: spiace per l'esclusione di Hu, contemporanea e originale anche se frenata da un modo di cantare imperfetto e con una pronuncia troppo spiccatamente adolescenziale, nonché con pesanti inflessioni dialettali. Era comunque una proposta interessante così come lo scricciolo Galea, rimasta esclusa già nella fase eliminatoria. Per il resto, i verdetti sono stati equi: Folcast e Davide Shorty portano avanti con coraggio generi non più tanto praticati dalla gioventù italiana, oscillando fra jazz, soul, rhythm and blues, Gaudiano ha un testo intenso, forte, crudo, sostenuto da una struttura melodica in linea col cantautorato moderno, la sua "Polvere da sparo" può essere una delle canzoni top di Sanremo 2021. Avincola sfodera un certo spirito ingenuo e naif ma al contempo furbetto, con un'orecchiabilità che poggia però su di un testo abbastanza insolito. Al passo coi tempi la canzone di Wrongonyou, uno che ha idee chiare e capacità di scrittura nonché un brano di buona cantabilità, più classicheggiante e "sanremese" Greta Zuccoli, da riascoltare i due di Area Sanremo, Elena Faggi e i gemelli Dellai. Si parte (forse) il 2 marzo. 

giovedì 10 dicembre 2020

PABLITO PER SEMPRE. ADDIO A ROSSI, FUORICLASSE VERO, MITO GENERAZIONALE, SIMBOLO ETERNO DI UN PAESE E DEL SUO CALCIO

                 Pablito con la Coppa del Mondo a Madrid, e dedica per i lettori del Guerin Sportivo

Pablito Rossi, il suo mito, l'epopea dell'Italia '82, io li ho scoperti e amati in differita. In quell'estate "spagnola" ero un bimbo di otto anni che seguiva il pallone solo distrattamente, aveva altri interessi, anche se si rendeva perfettamente conto che attorno a lui stava accadendo qualcosa di grosso, di importante, di gioioso, una festa collettiva che riempiva di allegria le case e le strade. Ma la cosa finì lì. Anni dopo, quando ho cominciato ad appassionarmi di calcio, ho anche voluto costruirmi una conoscenza profonda della storia di questo sport, e il punto di partenza, il caposaldo dei miei "studi", non poté che essere la vicenda, per certi versi incredibile, del terzo Mondiale azzurro. Fu così che iniziai a viaggiare fra le mille sfaccettature di quell'impresa: non solo capolavoro tecnico e agonistico, ma evento che incise profondamente nella storia sociale e culturale del nostro Paese. La banda Bearzot restituì a un popolo la voglia di sorridere, di fare gruppo e comunità, di ritrovarsi insieme per condividere passioni sane e genuine, dopo lustri gonfi di tristezza, di tensione, di terrore quotidiano. Il segreto dell'immortalità del nostro Mundial '82, dei suoi protagonisti, è in fondo tutto qui: nel fatto di trascendere le questioni di campo, di non essere stato un trionfo esclusivamente sportivo, come tanti precedenti e successivi, tutti belli, tutti indimenticabili, ma probabilmente nessuno così legato a filo doppio alla storia "seria" della nazione Italia. 

Per chi, al contrario di me, lo visse con consapevolezza e maturità, quell'82 fu probabilmente uno degli anni più belli di sempre. Questo 2020, invece, sembra proprio il peggiore anno della nostra vita, quantomeno di chi è nato a partire dalle decadi dei Sessanta - Settanta. Una sciagura inconcepibile si è abbattuta sull'umanità, seminando morte e angoscia, e a far da triste, beffardo corollario una ininterrotta sequela di lutti per la scomparsa di figure popolari e universalmente apprezzate. Ultimo della lista, il nostro caro Paolo. Leggendo la notizia nel cuore della notte, sono rimasto a lungo inebetito di fronte allo schermo del pc: si può essere addolorati e amareggiati anche per la perdita di una persona che non era né parente, né amico, né conoscente, se questa persona è stata comunque il simbolo di una parte importante della nostra vita, di un amore come quello per il calcio, di un'epoca felice che oggi sembra a distanza siderale dall'inferno che stiamo attraversando. A maggior ragione posso capire quanto dolore stia provando chi le imprese di Barcellona e Madrid, e ancor prima di Baires '78, le ha viste e vissute pienamente, avendo l'età giusta per godersele. 

La frase più ricorrente, nei post che compaiono in queste ore sulla mia bacheca Facebook, è: "Se ne è andato un pezzo della mia giovinezza". E' proprio così, e in fondo lo è anche per me. I nostri eroi calcistici degli anni Ottanta - Novanta stanno invecchiando, com'è nella natura delle cose, alcuni purtroppo sono anche malati, ma noi ancora non siamo pronti, non possiamo, non vogliamo nemmeno concepire l'idea che uno di loro se ne vada via, soprattutto se la scomparsa avviene così presto, troppo presto, e quasi all'improvviso, inattesa, come un fulmine a ciel sereno. Io non sapevo che Rossi stesse lottando contro il cancro, fino a poche settimane fa lo si vedeva sugli schermi Rai a commentare calcio italiano e internazionale. Per questo lo shock è stato ancora più profondo, violento. 

L'unica consolazione, ora, è parlare del Rossi calciatore. Tutto, è ovvio, ruota attorno a Italia - Brasile 3-2, per me la vera partita del ventesimo secolo, più di Italia - Germania '70 perché, anche nel suo andamento fatto di emozioni fortissime, con quel ripetuto botta e risposta e l'altalena nel punteggio, fu gara che si sviluppò secondo una propria logica, una razionalità, senza momenti di totale follia, anarchia e imperfezione tecnica come invece accadde all'Azteca. Ma la leggenda di Pablito non è racchiusa solo in quel pomeriggio del Sarrià e nei due che seguirono, al Nou Camp con la Polonia e a Madrid coi soliti tedeschi. Rossi calciatore è stato piedi buoni e classe purissima, è stato soprattutto un nuovo modo di concepire il gioco d'attacco. La Nazionale di Bearzot segnava il passo, prima del Mundial argentino: era diventata fiacca e prevedibile. Il Vecio mise dentro Paolino, non ancora Pablito, e quell'inserimento rivoluzionò totalmente il quadro offensivo della nostra squadra. La sua intelligenza tattica si sposò alla perfezione con quella più matura di Bettega, la sua vitalità movimentò la nostra prima linea aprendo varchi, suggerendo passaggi, creando spazi dal nulla, moltiplicando le soluzioni di inserimento e tiro, assistendo i compagni. E poi, ovviamente, c'era la sua dote principale, quella di risolutore mortifero nei sedici metri finali: il guizzo da opportunista, la giocata d'anticipo, il tocco maligno, la capacità di essere sempre al posto giusto nel momento giusto: e i gol fioccavano copiosi. Uno scricciolo la cui prolificità aveva già trasformato il Lanerossi Vicenza in provinciale di lusso, in lizza, per pochi fantastici mesi, addirittura per lo scudetto. 

Dopo il Mundial '78 che lo rivelò alla grande ribalta planetaria, ci furono molte amarezze: sul campo, con lo stesso Vicenza e col Perugia, e fuori, per via di un coinvolgimento nel calcioscandalo dell'80  a proposito del quale Paolo sempre si proclamò innocente. Nel frattempo passato alla Juve, fece in tempo a dare un piccolo contributo alla conquista del ventesimo scudetto, pochi mesi prima del "suo mitico mondiale", parafrasando l'autobiografia uscita qualche anno fa. Il mito di Rossi venne costruito in una settimana, dal 5 all'11 luglio 1982. Pare assurdo dirlo, ma per certi versi è stato anche un peccato: perché Paolo aveva le stimmate del fuoriclasse. Checché se ne dica, e già mi è capitato di leggerlo in queste ore, non era affatto un calciatore normale che raggiunse il top unicamente grazie all'impegno e all'applicazione. Era un talento sopra la media, tanto che la stampa dell'epoca lo considerava l'unico vero campionissimo prodotto da quella generazione di "pedatori" italiani, il solo in grado di tenere la rappresentativa azzurra ai vertici mondiali, di trasformare la truppa di Bearzot da buona squadra a grande squadra. 

Di certo fu un fuoriclasse d'attacco, per le doti che ho elencato prima: centravanti moderno che nacque come ala, e del vecchio ruolo mantenne fiammate, velocità, intuizioni, imprevedibilità; uomo capace di annusare nell'aria l'impresa e di siglare gol pesantissimi, quelli che servivano per entrare negli albi d'oro. Senza i gravi infortuni che lo minarono a più riprese portandolo infine al ritiro a soli 31 anni, senza i due anni di stop per il calcioscommesse, senza avventure infelici come quella di Perugia, come l'ultima stagione bianconera, come il fugace passaggio nel Milan pre-berlusconiano, quale Pablito racconteremmo oggi? Probabilmente un calciatore ugualmente epocale, ma non indissolubilmente legato a una sola estate da leone. Oggi parleremmo di un Rossi grandissimo per continuità ai massimi livelli, di certo con qualche alloro in più in bacheca, magari con un contributo ancor più sostanzioso alla Nazionale, con l'Euro '80 regolarmente disputato e col suo terzo Mondiale, nel 1986, giocato da protagonista e non vissuto da malinconico spettatore in viaggio premio. Sì, sembra incredibile, eppure perfino una carriera straordinaria come quella del numero 20 dell'Italia '82 può lasciare ampio spazio ai rimpianti. Ma forse conta poco, nel momento in cui esci dalla dimensione sportiva per diventare eroe di un Paese, simbolo nazionale ai quattro angoli del mondo, sinonimo di Italia vincente contro ostacoli apparentemente insormontabili. Nei cinque continenti, per tutti, solo e sempre "Paolorossi", e tanto basta.

venerdì 27 novembre 2020

SANREMO 2021 O FESTIVALBAR DI SANREMO? I DUBBI SULLE DATE, COMPRENSIBILI FINO A UN CERTO PUNTO, E UN'ANALISI SUI BIG PAPABILI

 Sanremo 2021 è al momento un enorme punto interrogativo. In tempi di pandemia, probabilmente, non potrebbe essere altrimenti, ma un po' di magone e di preoccupazione ci sono. L'appuntamento, si sa, è per la prima settimana di marzo, ma nei giorni scorsi sono circolate con insistenza le voci di un possibile, ulteriore rinvio. Ulteriore perché, lo ricordiamo, negli ultimi anni il Festivalone era tornato nella collocazione storica di inizio febbraio, e lo spostamento di un mese rappresentava, nelle intenzioni degli organizzatori, la volontà di mettersi a... distanza di sicurezza dagli ultimi colpi di coda del Covid. Poi, certo, la situazione è peggiorata, ma la recrudescenza non è stata proprio un fulmine a ciel sereno. Si è trascorsa l'estate a discutere di seconda ondata, il quadro si è aggravato oltre le previsioni per tutta una serie di motivi che non sarebbe corretto esporre qui. Al di là di tutto, previsioni circa l'andamento di lungo periodo di questo flagello sanitario pare impossibile farne anche per gli esperti, e si naviga dunque a vista in tutti i campi. 

PALETTI - Dei paletti, dei punti fermi, è pero necessario mantenerli, perché in un quadro così fluttuante è doveroso ancorarsi a un minimo di programmazione. I principali tornei di calcio professionistici nazionali e internazionali, per fare un esempio a me caro, si giocano, pur con enormi limitazioni, con rinunce, con protocolli rigidi, con gli stadi vuoti, ma si va avanti anche in queste settimane così dure e angosciose per il Paese. Una rassegna canora è già qualcosa di diverso, per carità, ma è stata comunque apprezzabile la scelta della Rai di fissare con largo anticipo delle date e di tracciare una road map molto precisa e rigorosa, un percorso di avvicinamento che ruota essenzialmente attorno alla selezione delle Nuove Proposte tramite la trasmissione AmaSanremo, conclusasi ieri, e la finalissima del 17 dicembre al Teatro del Casinò rivierasco. 

MEGLIO MARZO O APRILE? - Tutto questo per dire che, ora come ora, i balletti e i tentennamenti attorno a un progetto già deciso mi sembrano fuori luogo, perché una data stabilita oggi potrebbe non essere più plausibile domani. Spostare la kermesse ad aprile, come in molti quasi esigevano? Sì, forse ad aprile la situazione sarà migliore rispetto a marzo sul fronte virus, anzi è possibilissimo sia così, ma potrebbe anche essere il contrario, potremmo stare meglio a marzo e peggio ad aprile, nella deprecata eventualità di una terza ondata di cui qualcuno comincia a sussurrare. Certo, nel frattempo è arrivata la gioiosa novità del vaccino (anzi, dei vaccini), ma, al di là dell'ottimismo forse eccessivo di certe cronache, sono tutti da verificare tempi e modalità di somministrazione. 

Il mio parere, già espresso nelle scorse settimane, è che Sanremo si "deve" fare: mai come in questo momento sarebbe determinante, quasi vitale, per far ripartire il mondo dello spettacolo e quello della discografia, che stanno pagando un prezzo esorbitante, direi drammatico, allo stop pandemico. Sul punto secondo me c'è stato un grave errore comunicativo di Amadeus, che tanti meriti ha accumulato finora nella sua gestione festivaliera ma che spesso incappa in disavventure verbali di non poco conto. Il direttore artistico ha iniziato la marcia di avvicinamento affermando di non voler pensare a un Sanremo in tono minore, dimezzato, ridimensionato. Ma dire così significa semplicemente salutare Sanremo 2021 e dare direttamente l'arrivederci al 2022. Perché nel 2021, perlomeno nella prima metà, non potrà esserci alcun evento spettacolare in forma "normale". Ecco perché, in teoria, aprile vale marzo. Anche con la rassegna spostata in primavera, ritengo dovranno comunque essere seguiti rigidi protocolli sanitari di sicurezza, non si potrà riempire totalmente l'Ariston, non si potrà consentire l'afflusso in massa di cittadini, turisti e addetti ai lavori nelle strade della località ligure. 

IL... FESTIVALBAR DI SANREMO? - Perché il punto dolente sta anche qui: un Festival senza pubblico, senza indotto, senza "casino" di contorno (un casino remunerativo per tante attività commerciali) sarebbe un Festival assai depotenziato. Se ci si illude che passando da marzo ad aprile la situazione cambierà radicalmente, come per magia, va bene tutto e, sia ben chiaro, io me lo auguro caldamente, ma, per l'appunto, temo sia un'illusione e nulla più. Forse solo una rassegna a ridosso dell'estate potrebbe rappresentare una soluzione con basi più solide. Certo, diventerebbe il Festivalbar di Sanremo, ma in un'epoca così assurda ci starebbe anche. Ciò che conta è l'ufficialità: il direttore di Rai 1 Claudio Fasulo prima, e Amadeus poche ore fa, hanno confermato la manifestazione nelle date previste, e il sindaco della città Alberto Biancheri ha sottolineato di non aver indirizzato a viale Mazzini alcuna richiesta di spostamento, contrariamente a quanto molte testate si erano affrettate a scrivere, ma è evidente che il quadro sia in divenire e imprevedibile.

PRONOSTICI DIFFICILI - Ha senso, alla luce di tutto ciò, cominciare ad azzardare pronostici sui possibili Big in gara, come da piacevole tradizione di questo periodo dell'anno? Non molto, direi. Anche qui, indicazioni contrastanti: in sede di presentazione di AmaSanremo, il direttore artistico si era detto soddisfatto perché a quel momento era arrivato più del doppio delle proposte ricevute dodici mesi prima alla stessa data, fra le quali c'erano anche i provini di qualche nome di rilievo. Poi, voci peraltro non confermate hanno parlato di pezzi scadenti e di nessun grosso calibro in lizza. Ora l'orizzonte sembra essersi di nuovo rasserenato: trecento le proposte arrivate sul tavolo di "Ama" e, parole sue, almeno cento "bellissime". Chi ci capisce è bravo. Proprio sul fronte dell'allestimento del cast, ça va sans dire, l'incertezza sulle date potrebbe risultare esiziale, perché pur in periodo di blocco o semi blocco, gli artisti e i loro entourage non possono fissare impegni da un giorno all'altro, devono sapere quando muoversi, avere un programma definito: non vanno lì a prendere semplicemente un microfono in mano, c'è dietro un'organizzazione lunga e complessa. 

I RITORNI E LE DONNE - In ogni caso, proviamo a dare qualche indicazione di massima, perché anche qui c'è una data ufficiale, impressa a chiare lettere sul regolamento: il 17 dicembre, giorno della selezione finale dei giovani, dovrebbe anche essere comunicato il listone dei Campioni, in teoria venti, ma nella realtà destinati a lievitare di qualche unità, secondo consuetudine. E dunque: come al solito, guardiamo a chi manca da parecchie edizioni e sarebbe tempo che tornasse. Da Malika Ayane a Francesca Michielin, da Ermal Meta a Fabrizio Moro tre anni dopo la loro vittoria in coppia, e poi l'estrosa Dolcenera, la raffinata Simona Molinari, e perché no una Emma che potrebbe pure rimettersi in gioco, visto che la sua ultima partecipazione in concorso (con annesso trionfo) risale al 2012. Tanti nomi femminili, come si vede, perché Sanremo 2021 dovrà necessariamente essere più "rosa" dopo le presenze ridotte delle ultime kermesse. A tal proposito, i grossissimi nomi, fra le rappresentanti della cosiddetta "altra metà del cielo", potrebbero essere Carmen Consoli o Gianna Nannini, mentre è arduo sperare in un ripensamento di Giorgia, tipica cantante da Festival, nata artisticamente all'Ariston ma che, nel tempo, ha sviluppato una certa idiosincrasia alle gare, e ho quasi perso le speranze per Alessandra Amoroso, ma quest'anno è così particolare che mai dire mai.... 

Poi ci sono Baby K. e Giusy Ferreri che, magari stanche della routine dei tormentoni estivi, potrebbero cimentarsi nelle più ovattate atmosfere invernali o primaverili, il che per la siciliana non sarebbe una primizia, ma casomai un tentativo di rivincita dopo troppe delusioni canore patite in Liguria. Il nome più gettonato, e non potrebbe essere altrimenti, è quello dell'ultima "amica" di Maria De Filippi, ossia Gaia. Il mio sogno? Levante, una delle vincitrici morali di Sanremo 2020, che torna con un pezzo ancora più forte di "Tikibombom" e conquista medaglia d'oro e consacrazione definitiva. Anche Elodie potrebbe provare a battere il ferro finché è caldo. 

I MASCHIETTI - Capitolo maschietti: detto di Meta e Moro, ovviamente separati, il nome relativamente nuovo potrebbe essere quello di Pago, mai visto al Festival ma rilanciato prepotentemente dall'ultima edizione di Tale e Quale Show. In quota cantautorato attendiamo speranzosi un ritorno di Samuele Bersani, ultima presenza nel 2012, del sofisticato jazz di Cammariere o di Niccolò Fabi, autore fra i più sensibili assente da tempo immemore dalla ribalta festivaliera, mentre c'è un Gianluca Grignani in cerca dell'ennesimo rilancio, così come Kekko Silvestre e i suoi Modà, fino a pochissimi anni fa dominatori delle classifiche, ma la musica pop consuma in fretta i suoi miti... Chissà che, a due anni dall'imprevedibile vittoria di "Soldi", non si riveda un Mahmood  la cui popolarità necessita comunque di una certa rinfrescata, mentre Rocco Hunt ricomparirebbe più maturo e sicuro di sé, dopo gli ultimi successi discografici in coppia con Ana Mena.  

GLI SCETTICI DEL FESTIVAL - Non dimentichiamoci di Michele Bravi, rivelazione del 2017 poi rimasto al palo per seri motivi personali, e di Bugo, che giustamente vorrebbe farsi risentire per bene e senza intoppi, dopo che la sua bella "Sincero" è stata oscurata dalla surreale diatriba con Morgan, perdonato a tempo di record dalla Rai tanto da diventare uno dei giudici di AmaSanremo. Qui i superbig potrebbero essere i Negramaro, mai più in concorso dopo la clamorosa bocciatura del 2005 ma appena usciti con un nuovo album, un Gigi D'Alessio sempre disponibile con Sanremo, Dodi Battaglia, che secondo le cronache ci aveva provato già due anni fa, irriducibili "scettici" del Festival quali Cesare Cremonini e Luca Carboni, o addirittura un Ultimo smanioso di "vendetta" dopo lo smacco del 2019, e ora campione assoluto delle classifiche. Novità assolute, ma non imprevedibili, sarebbero Tommaso Paradiso, ancora alla ricerca di una precisa identità canora dopo la fine dell'esperienza con The Giornalisti, e Fede senza il fidato Benji. L'amico Luca Valerio, conoscitore e attento analista delle cose sanremesi, mi suggerisce un'eventualità clamorosa, una réunion dei Pooh (magari senza utilizzare il marchio originario, solo con i nomi anagrafici) nel ricordo di Stefano: a mio parere sarebbe una presenza troppo ingombrante per la gara, per un sacco di motivi, principalmente sul piano emozionale, ma forse come superospiti... Vedremo. 

I FRESCHI DELUSI - Più riscatto che rilancio è quello di cui abbisognerebbero Arisa, Nek e Francesco Renga, presenti appena due anni fa ma con una partecipazione assolutamente al di sotto delle aspettative, per motivi diversi che furono qui analizzati all'epoca. Allo stesso modo, non è escluso che ci riprovi qualcuno già in lizza nel 2020 senza riscontri apprezzabili, penso a Giordana Angi, ad Alberto Urso o a Riki. Tornando al 2019, papabili Irama, nel frattempo divenuto protagonista delle chart soprattutto estive,  Shade e i Boomdabash, ottimi all'esordio sanremese. 

GIOVANI, INDIE, RAP - Il vivaio sanremese ha lanciato nell'ultima edizione, oltre al vincitore Leo Gassman, ragazzi di valore come Fasma e gli  Eugenio in via di Gioia. Altamente probabile che qualcuno di loro trovi spazio, minori possibilità per gli emergenti dei Festival precedenti, pur validi, come il multiforme Lorenzo Baglioni, Mirkoeilcane, Zibba, che pure sono artisti meritevoli e originali. Fra gli ex talent, possibili i tentativi di  Lorenzo Fragola, dei Kolors, o la prima volta dei Maneskin. Poi ci sono le due immense galassie delle indie e del mondo rap - trap, dalle quali Amadeus vuole sicuramente attingere a piene mani, nella speranza che arrivino proposte all'altezza. Fra i primi citiamo Calcutta, Fulminacci, Brunori Sas, Colapesce con Dimartino, La Rappresentante di lista, Gazzelle, Roberta Giallo, Patrizia Laquidara, Dente, Cristina Donà, Ginevra Di Marco. Fra i secondi, nomi mainstream come Emis Killa, Myss Keta, Ghali, Marrakash, Fred De Palma, Capo Plaza, Carl Brave, o emergenti già di gran successo come Tedua, Ernia, Tha Supreme, Madame. C'è di che sbizzarrirsi. 

I VETERANI E I DIMENTICATI - E come tralasciare l'immenso catino delle vecchie glorie, dei veterani? Per la verità, negli ultimi anni hanno giustamente avuto meno spazio anche perché, per troppo tempo, molti di loro (quasi sempre gli stessi) sono stati riproposti all'Ariston pur avendo ormai scarsissimo peso sul mercato (Al Bano e Patty Pravo, per dire).  Un nome un po' insolito da "ripescare" potrebbe essere quello dei Matia Bazar, in formazione rinnovatissima col solo "vecchio saggio" Fabio Perversi a tenere saldo il legame col passato, e ora portatori di un pop più fresco, radiofonico, immediato. Andando indietro nel tempo, perché non azzardare una presenza in gara dei ricostituiti Ricchi e Poveri, dopo la trionfale ospitata del febbraio scorso? Da anni auspichiamo la réntrée di Massimo Ranieri, ma è dura; il nome boom in questo campo sarebbe quello di Loretta Goggi, troppo poco presente nella storia di Sanremo, mentre ci sarebbe il solito esercito dei divi anni Novanta e primi Duemila, frettolosamente messi da parte dai circuiti mainstream ma ancora orgogliosamente in pista. Nomi sparsi, tutti plausibili: Lisa e Paolo Vallesi, i delusi dell'ultima edizione perché esclusi nonostante il buon viatico della vittoria a "Ora o mai più", lo show Rai dedicato ai cantanti dimenticati, e poi Francesca Alotta, Massimo Di Cataldo, Jalisse, Syria, Mietta, Silvia Salemi, Marina Rei, fino a Barbara Cola e Jessica Morlacchi, altre protagoniste dell'ultimo Tale e Quale. 

giovedì 19 novembre 2020

NATIONS LEAGUE, COL 2-0 IN BOSNIA ITALIA IN FINAL FOUR ACCANTO ALLA CREMA EUROPEA: BELGIO, FRANCIA E SPAGNA. IL GIOCO, IL GRUPPO E I GIOVANI ILLUMINANO IL FUTURO

Fra meno di un anno, la crema del calcio continentale si ritroverà nel nostro Paese, a Torino e a Milano, per disputarsi il trionfo nella seconda edizione della Nations League. Ci saranno la Francia campione del mondo in carica, il Belgio che da almeno un lustro è la selezione con la miglior continuità di rendimento del globo, tanto da essere prima nel ranking Fifa pur non avendo vinto alcun trofeo, la rinnovata Spagna che ha appena inflitto alla Germania un'umiliazione epocale. E ci sarà, a completare l'illustre lotto, proprio l'Italia. Secondo molti, un'assoluta intrusa al banchetto dell'élite europea: gente che, evidentemente, nell'ultimo biennio si è estraniata dall'attualità del football mondiale rifugiandosi in un pernicioso nostalgismo del tutto fine a se stesso. 

LE ASSENZE DEGLI ALTRI - Ho già dedicato fin troppo spazio agli haters della Nazionale nel mio precedente post e non vorrei più tornarci sopra, se non per rilevare che quanto da me ipotizzato si è ovviamente avverato: secondo molti frequentatori di quell'orrido bar sport virtuale che sono diventati i social, non solo la Polonia, ma anche l'Olanda era una rivale scarsa, per tacere della Bosnia-Erzegovina che oltretutto, ieri sera, era priva di Dzeko. Evidentemente contano solo le assenze degli altri, mai le nostre, che ho sommariamente elencato pochi giorni fa dimenticandomi sicuramente di qualcuno. Non sarebbe neanche necessario spiegare che nessuno, tantomeno qui sul mio blog, ha mai descritto l'Azzurra di Mancini come una ritrovata potenza del football planetario. Ma negare pervicacemente l'evidenza di quanto accaduto dal 2018 ad oggi è fuori dal mondo, ed è un grosso problema soprattutto per chi di questa visione distorta della realtà continua a farsi convinto portatore. 

IL LAVORO AZZURRO PER TUTTO IL CALCIO ITALIANO - Chi non riconosce l'attuale valore del Club Italia, non l'ha probabilmente mai visto giocare. Senza peccare di superbia, al momento attuale non cambierei la nostra rappresentativa con quella tedesca, e non solo alla luce dello 0-6 di due giorni fa incassato dagli sbandati di Low contro le Furie Rosse. Là dove c'è una squadra in declino e bisognosa di ritrovarsi nel corpo (vedi uomini nuovi), nell'anima e nelle motivazioni, cosa che probabilmente le riuscirà visto l'immenso serbatoio cui possono attingere a Berlino e dintorni, qui abbiamo un gruppo fresco, formato da giovani che hanno saputo farsi largo fra nugoli di stranieri mediocri e mestieranti, vincendo la diffidenza di dirigenti e allenatori perlopiù chiusi ad ogni novità. Dopo il disastro della gestione Ventura, la Nazionale ha svolto un lavoro di importanza storica incalcolabile, non solo per se stessa e per i suoi risultati, ma per la rinascita di tutto il movimento nostrano: senza Mancini ed il suo staff, mirabilmente rappresentato in questa settimana da Chicco Evani, i Barella e i Locatelli sarebbero probabilmente ancora a fare anticamera o a riscaldare qualche panchina, magari di prestigio, per carità, ma pur sempre panchina. Il Mancio e i suoi hanno imposto una linea tecnica e operativa ben precisa: se il calcio italiano non la seguirà, torneremo rapidamente in quel limbo dal quale siamo faticosamente emersi.

AZIONI COME SE PIOVESSE - Il successo di Sarajevo è stato ciliegina sulla torta e conferma del buono ammirato in tutto il biennio e in tante uscite recenti, non ultima quella emiliana contro la Polonia. I padroni di casa, privi come detto del centravanti romanista ma trascinati nel mezzo da un Pjanic in cerca di riscatto, sono stati più determinati in fase offensiva rispetto a Lewandowski e compagni. Hanno avuto le loro occasioni, a cavallo fra i due tempi, e poco prima dell'intervallo Donnarumma ha salvato alla grande su una girata di Prevljak che avrebbe potuto fruttare l'1-1 ai locali. Ma si è trattato di lampi, o poco più: ancora una volta, a condurre le danze sono stati i nostri, col solito florilegio di palle gol solo in parte sfruttate. Due reti di notevole fattura, la prima con il tiro sporco di Belotti su cross di Insigne dopo un perentorio recupero palla di Locatelli, che nella ripresa ha messo in area un pallone "parlante" per Berardi, abile a girarlo in porta con una pregevole volée. A corollario, due occasioni iniziali per il Gallo, un salvataggio del portiere Piric su sinistro di Berardi, uno splendido destro liftato di Insigne su cambio gioco di Barella con pallone a lato di un soffio, una deviazione fallita da pochi passi da Emerson e Belotti su tiro cross di Florenzi, un'azione simile nel secondo tempo, questa volta con Acerbi alla conclusione e mancato tocco dentro di Locatelli, e per chiudere una traversa di Bernardeschi, appena entrato. Un mero elenco di azioni che però sintetizza mirabilmente pregi e difetti di questa nostra Nazionale: manovra altamente produttiva e instancabile, facilità di giungere in zona tiro, ma anche drammatica mancanza di killer instinct, rimediabile in gare di difficoltà medio - alta ma ad alto rischio nel momento in cui ci troveremo di fronte i grossissimi calibri, come quelli che affronteremo nelle finali italiane di Nations. 

DONNARUMMA INAPPUNTABILE, LOCATELLI SUPER - Cerchiamo di essere ottimisti: c'è modo e tempo per porre rimedio, soprattutto perché si parte da una base già confortante. Sarajevo ha fornito tante indicazioni positive, a partire da chi sta dietro a tutti, ossia un Donnarumma che, se col Milan ancora "regala" ogni tanto perle al contrario, come nell'ultima uscita di Europa League col Lille, in azzurro non ha finora sbagliato un colpo. L'equivoco, sul suo conto, è aspettarsi un nuovo Buffon, senza considerare che talenti enormi come Gigi non nascono ad ogni generazione: la realtà è che il rossonero è un signor portiere con ampi margini di miglioramento, e che può dare un contributo importante pur senza toccare le vette... celestiali del campione del mondo 2006. Davanti a lui, una squadra che pensa in senso propositivo fin dalla difesa, soprattutto con Acerbi ed Emerson che si sono visti a più riprese proiettarsi in avanti con notevole pericolosità. Riguardo alla zona nevralgica, una domanda: tornerà Verratti, elemento di classe ed esperienza internazionale, ma come si farà a chiedere a Locatelli di farsi da parte? Il cervello del Sassuolo ha fornito un'altra prestazione monstre nelle due fasi, è diventato indispensabile. La soluzione, a ben vedere, è semplice: abbiamo un reparto di mezzo ricco di validissime alternative, e se qualcuno non gira ci sono soluzioni di ricambio prontissime all'uso. Bene, al solito, anche Barella, meno appariscente perché più impegnato anche in copertura, a dimostrazione del fatto che i bosniaci sono stati tutt'altro che arrendevoli. 

BERARDI GENEROSO, INSIGNE SUGLI SCUDI - Non è un caso che ieri sera molti dei nostri uomini più avanzati abbiano brillato anche per la generosità nei rientri, con menzione particolare per Berardi, che oltre ad avere trovato apprezzabile continuità sotto porta ha anche sfoderato doti da gregario tornando a dare sostanza nel mezzo, così come Belotti non ha fatto solo la boa ma si è spesso trovato ad agire in zona leggermente arretrata, aprendo varchi per gli inserimenti degli altri. Fra tutti, dalla trequarti in su, è parso in stato di grazia Insigne, da almeno un paio di stagioni uno degli elementi più incisivi ed affidabili della nostra Serie A e ora costantemente all'altezza anche in azzurro. Ieri, dai piedi di Lorenzo, un campionario di tiri, assist, pregevolezze tecniche, un incursore mortifero che gioca per se stesso e per i compagni, che ha lasciato da parte la timidezza e sfoderato gli artigli. 

FUTURO DI SPERANZA - C'è tanta qualità nel gruppo creato da Bobby gol, e se pensiamo ai tanti, in larga parte giovani, che stanno al momento alla finestra per vari motivi (Zaniolo, Castrovilli...), per tacere dei verdissimi talenti che si stanno mettendo in evidenza nelle selezioni Under 20 e 21, non si può non guardare al futuro con pensieri carichi di speranza. Nel 2018 eravamo scesi al ventesimo posto del ranking FIFA, che snobbano solo i nostalgici di cui si è detto in apertura ma che è il parametro fondamentale, piaccia o meno, attraverso cui misurare lo stato di salute delle varie rappresentative. Ebbene, oggi siamo a un passo dal rientro nella top ten, dopo esserci lasciati alle spalle la Germania. Siamo nella Final Four di Nations, dove, al di là del risultato finale che potrà anche essere negativo, avremo tantissimo da imparare dai tre colossi che ci troveremo di fronte, e la cosa non potrà che portarci ulteriori vantaggi. Affronteremo il sorteggio mondiale da teste di serie e, nel frattempo, abbiamo un Europeo da giocare. Dite quel che volete, ma dopo l'orrido Italia - Svezia di San Siro '17, e anche dopo l'oscuro interregno di Di Biagio, avrei messo non una, ma mille firme, per ritrovarmi a questi livelli 36 mesi dopo. E' consentito un pizzico di retorica, in chiusura di post e di annata azzurra? Ecco: in giugno a Roma per l'Euro, a Milano e Torino per la Nations in ottobre, speriamo di poterci ritrovare tutti, finalmente, nei nostri stadi, per incitare l'Italia, da un anno privata del suo pubblico. Se lo meritano, i Mancio Boys, e ce lo meritiamo anche noi. 

lunedì 16 novembre 2020

NATIONS LEAGUE: ITALIA-POLONIA 2-0. GLI AZZURRI VINCONO E CONVINCONO, IN UN CLIMA DI FRONDA ANTI NAZIONALI

 Sono tempi duri per le Nazionali, e per una in particolare: la nostra. A molti di voi non sarà sfuggita, nelle scorse settimane, la vergognosa alzata di scudi contro la Nations League e più in generale contro le soste dedicate alle rappresentative. Nations League inutile, si dice, come se fossero utili un torneo indecoroso e tecnicamente improponibile quale l'Europa League (che acquista una parvenza di validità solo nei suoi turni conclusivi), o tante partite surreali dei campionati nazionali a cui siamo costretti ad assistere nei mesi primaverili, partite inevitabili in leghe ipertrofiche, ingolfate da squadre che un sistema calcio serio non proporrebbe mai nella massima serie. Viaggi internazionali pericolosi in tempo di pandemia, si sostiene, come se non si fossero registrati contagi e positività anche all'interno dei patri confini. Ma tanto a pagare devono sempre essere le Selezioni e mai i club. Da noi, poi, si aggiunge un problema che temo sia quasi esclusivamente italiano: l'odio aprioristico per la Nazionale. 

L'ITALIA VINCE? GLI AVVERSARI SONO SCARSI  - I social sono tutto un florilegio di attacchi alla squadra di Mancini, paragoni improponibili con un passato spesso ipervalutato e sistematica tendenza allo sminuire le qualità del Club Italia di oggi. Se si perde (e, fra l'altro, da due anni a questa parte non è mai capitato) è perché i nostri sono scarsi; se si vince, sono scarsi gli avversari. Non si scappa: è scarsa anche la Polonia, strabattuta ieri, una compagine che, al contrario di noi, ha partecipato agli ultimi Mondiali, e che poi si è qualificata, come noi, per l'Europeo vincendo il proprio girone, è tuttora in lizza per il primato nel raggruppamento di Nations e schiera molti elementi che sono punti di forza di nostre formazioni di Serie A, oltre a uno dei bomber più quotati a livello planetario, tal Lewandowski. Ma niente da fare, i nostri sono sempre avversari deboli, modesti, mediocri, come anche la Finlandia che è approdata per la prima volta alle fasi finali continentali e che nei giorni scorsi, sia pure in amichevole, ha colto un successo storico in casa della Francia campione iridata. Ah già, le amichevoli: inutili anche quelle a prescindere, figuriamoci poi in epoca di Covid. Molti evidentemente dimenticano che, per restare all'attualità, la gara con l'Estonia a Firenze era fondamentale da vincere per il ranking Fifa, e per mantenere la testa di serie in vista dell'ormai prossimo sorteggio dei gironi di qualificazione a Qatar '22: e li volevo poi sentire, giornaloni e tifosi, se putacaso l'Italia fosse finita in seconda fascia. 

CELEBRAZIONI DISCUTIBILI - Scusate la lunga digressione, ma non ne posso più. Da due anni l'Azzurra del Mancio gioca bene, e gioca un calcio moderno, propositivo, aggressivo, financo elegante. Il cittì ha saputo valorizzare i giovani come pochi suoi successori, ha dato la possibilità di fare minutaggio ed esperienza a elementi che non trovavano spazio nei club, e così abbiamo scoperto che i talenti sono ritornati a fiorire, seppur non in tutti i ruoli e reparti. Non si può essere ciechi di fronte alla crescita esponenziale fatta registrare dal nostro movimento dopo lo scempio dell'esclusione da Russia 2018. A proposito: in questi giorni, molti siti web e pagine social hanno trovato interessante "celebrare" i tre anni dalla Caporetto con la Svezia. A parte la bizzarria dell'anniversario (perché celebrare un triennio? Che senso ha?),  ognuno fa legittimamente le scelte giornalistiche che vuole, ma sinceramente mi è sfuggita l'utilità di certi approfondimenti, in questo particolare momento storico. Personalmente, preferisco soffermarmi sul fatto che abbiamo di nuovo una Selezione degna di questo nome, che inchioda davanti al televisore e che ci fa disperare non per il gioco e per i risultati, ché quelli non mancano quasi mai, ma per l'incapacità di chiudere con buon anticipo i match pur creandone ripetutamente i presupposti 

CONVINCENTI E PROPOSITIVI - E' quanto accaduto ieri a Reggio Emilia, ed è stata l'unica macchia di una gara tra le più brillanti, efficaci e convincenti del nuovo corso azzurro. Conforta soprattutto una cosa: l'Italia può incappare in serate no, come in occasione del recente pareggio con l'Olanda, ma sono eventi episodici. Il trend, da fine 2018 ad oggi, è chiaro: il livello delle prestazioni è quasi costantemente alto, con oscillazioni dovute anche a situazioni contingenti. Poche ore fa, ad esempio, non erano disponibili Bonucci, Chiellini, Spinazzola, Biraghi, Verratti, Sensi, Castrovilli, Zaniolo, Immobile, Pellegrini, Chiesa, Kean. Per un calcio stracolmo di improponibili stranieri, che offre al Commissario Tecnico e al suo staff un bacino di azzurrabili estremamente limitato, sono assenze pesanti. Eppure, si riesce sempre a mettere in campo formazioni competitive, soprattutto in grado di non discostarsi dal DNA originario imposto dal trainer, cioè di non agire "in emergenza" ripiegando su moduli e tattiche più conservative; anche rimaneggiati, la filosofia è sempre quella di tenere il muso puntato verso la porta avversaria, di manovrare, di giocare la palla. E questa Italia lo può fare perché si ritrova un centrocampo dall'altissimo tasso di classe. 

CENTROCAMPO STELLARE, DIFFICOLTA' A FINALIZZARE - Anche questa non è una novità, per chi segue costantemente la Nazionale, ma va ribadito: le doti di palleggio, la capacità di costruzione di gioco della nostra zona nevralgica sono già adesso di caratura europea. Impressionante ed emblematica la ragnatela di passaggi che ha portato al sospirato raddoppio di Berardi su lancio di Insigne. A proposito: il napoletano si è ormai assestato su una quota di rendimento costante e soddisfacente. Ieri è stato il vero animatore di un attacco menomato da Covid e infortuni, ha sfiorato un gol con un tiro ad effetto, un altro lo ha realizzato vedendoselo però cancellato dall'arbitro per fuorigioco di posizione di Belotti. Insomma, dopo tanti dubbi, dopo una lunga attesa, ora abbiamo avuto le conferme che servivano per considerare Lorenzo come elemento chiave della formazione azzurra. Una formazione che è anche tornata a produrre palle gol in quantità: fra il rigore di Jorginho e il 2-0, oltre ad Insigne ci hanno provato Barella con un tiro alto di poco, Emerson sul cui sinistro si è immolato Bereszynski, e due volte Belotti, con una bella girata fuori bersaglio e con una occasione clamorosa fallita a tu per tu con Szczesny, sulla quale peraltro c'è stato un clamoroso mani in area di Bednarek non sanzionato dal direttore di gara francese Turpin. Il Gallo si è anche procurato il rigore dell'1-0 ma, complice una condizione fisica approssimativa, non è ancora la bocca di fuoco di cui questa squadra avrebbe necessità. Lo abbiamo detto: si gioca bene, si produce tanto, ma non si raccoglie in proporzione a quanto seminato. La mente torna anche alla gara vinta in Olanda, che per larghi tratti dominammo uscendo però dal campo con un risicato 1-0. 

MIGLIORARE L'EFFICACIA DEGLI INSERIMENTI DA DIETRO - Se l'immenso Immobile laziale in azzurro perde pericolosità, complice anche un quadro tattico a lui non del tutto congeniale, se Belotti non compie il salto di qualità definitivo, se Caputo abbisogna di ulteriori conferme in campo internazionale, le soluzioni restanti non sono molte: una potrebbe essere Kean, che sta facendo benissimo al Paris Saint Germain e che, dopo i problemi caratteriali, si avvia a diventare una carta forse decisiva per il futuro del nostro calcio. Nel frattempo, per porre parzialmente rimedio ai limiti offensivi, occorrerebbe maggiore efficacia conclusiva da parte di chi si inserisce da dietro. Barella, ad esempio, può arrivare al tiro anche più frequentemente di quanto già non faccia, mentre abbiamo visto in un paio di occasioni un Florenzi che, giunto in posizione di "sparo", ha cincischiato fino a perdere l'attimo propizio, ed è abbastanza strano per un giocatore che, ai tempi della militanza romanista, ha sempre avuto una buona confidenza con la porta avversaria. 

LOCATELLI SUPER, DIFESA BLINDATA - Rimangono però dati di fatto assolutamente confortanti: la citata, poderosa mole di gioco che scaturisce da un centrocampo di qualità, in cui sta emergendo prepotentemente Locatelli, capace di alternare squisitezze tecniche a giocate di cruda efficacia e precisione. E una difesa solida, sicura, a tratti persino disinvolta in certe uscite in palleggio dall'area. Acerbi ha dominato la terza linea in lungo e in largo, sfoderando tratti di leadership tali da non far rimpiangere Bonucci e Chiellini, Al suo fianco Bastoni ha offerto una prova con pochissime sbavature: sarà anche un pochino merito loro se il "Pallone d'oro virtuale" Lewandowski è stato pressoché disinnescato? Sulle fasce è arrivata una spinta costante da Florenzi ed Emerson, con quest'ultimo capace di prodursi anche in preziose chiusure. Dopo tutto questo, però, la final four rimane da conquistare: siamo primi, ma il viaggio in Bosnia non è mai una passeggiata. Dzeko e compagni non hanno avuto una Nations felice, ma all'andata, a inizio stagione, ci bloccarono sul pari, quindi vincere è tutt'altro che scontato. Ah, una cosa, per chiudere il cerchio con quanto detto all'inizio: se, nonostante le premesse, il primato nel gruppo non dovesse essere centrato, cosa possibilissima, niente lamenti, per favore. Questa Italia è mediocre, no? E allora perché pretendere risultati che non è in grado di ottenere? 

giovedì 15 ottobre 2020

NATIONS LEAGUE: ITALIA IN DIFFICOLTA' CON L'OLANDA. CI SALVANO L'ASSE CHIELLINI - BARELLA E UN'OTTIMA TENUTA DIFENSIVA

Non si era mai vista così in difficoltà la Nazionale del Mancio, perlomeno da quando è diventata una squadra vera, ossia dalla trasferta in Polonia per la prima Nations League, gara qui pluricitata in quanto pietra angolare del processo di maturazione del nuovo Club Italia. Nella serata di Bergamo l'Olanda, a tratti, ci ha fatto veder le streghe, e in simili circostanze è sempre meglio guardare alla metà piena del bicchiere: non aver perso è un grande risultato e mantiene intatte le nostre speranze di artigliare il primato nel girone. 

Di più: pur in una situazione di notevole sofferenza, i nostri le hanno prese ma anche date, nel senso che, a fronte dei rischi corsi, hanno avuto almeno tre opportunità clamorose per conquistare l'intera posta, due delle quali, una per tempo, capitate sui piedi di Immobile, per il quale in azzurro continua a mancare il killer instinct laziale. La svolta negativa del match è coincisa proprio con la palla gol fallita da Ciro su perfetto assist di Verratti: dal possibile, e non immeritato, 2-0, si è passati all'1-1 nel volgere di una manciata di minuti, coi tulipani oggettivamente fortunati, visto che il pari di Van de Beek è stato propiziato da un rimpallo a centro area. 

Da quel momento, lo si è detto, Italia in ambasce, ma più per una situazione di imbarazzo tattico che per la classe degli avversari, visto che quanto a livello tecnico, a qualità dei singoli, le due rappresentative grosso modo si equivalgono, a parer mio. I problemi che affliggono il cittì sono noti, al di là delle contingenze della partita: Jorginho ha confermato di attraversare un periodo di scarsa brillantezza, Immobile ha sempre il "braccino" nei sedici metri finali, Chiesa continua ad essere troppo fumo e poco arrosto: qualche giocata la azzecca, ma non basta, e l'incisività in avanti è ancora una chimera. Come vivacità, come spirito di iniziativa, meglio il subentrante Kean, che però parte eccessivamente da lontano non riuscendo a diventare pericoloso in zona tiro. 

E tuttavia, giusto sottolinearlo, non sono mancati i motivi di consolazione. Tre nomi dalla cintola in su: Verratti, per il citato lancio ad Immobile e per aver saputo comunque dare ordine a un reparto di mezzo un po' sballottato, a costo di qualche scorrettezza di troppo in fase di copertura; Barella, ottimo sia in interdizione che in impostazione, scheggia in perenne movimento e autore del geniale passaggio in diagonale che ha mandato in gol Pellegrini; e Lorenzo, appunto, confermatosi incursore di vaglia e il cui contributo al lavoro offensivo è stato questa volta premiato da una meritata segnatura. Ma è naturale e confortante che, in una gara di notevole sofferenza come quella di ieri, le cose migliori siano arrivate dalla difesa. Per una squadra abituata a tenere pallino, ad aggredire, a giocare sempre col muso puntato verso la porta avversaria, un esame di sostanza per la retroguardia era necessario, e va detto che è stato superato tutto sommato a pieni voti. Perché, come detto, il gol del pari è stato favorito da circostanze anche fortuite, mentre altre situazioni spinose sono state risolte con efficacia, spesso anche senza guardare troppo alla forma, all'estetica.

Il calcio italiano, si sa, sconta da almeno un decennio la crisi della sua leggendaria vocazione difensiva, e quando è costretto in trincea deve spesso aggrapparsi a certi vecchi draghi. A Bergamo, ad esempio, è stata la notte di Chiellini, gagliardo come ai bei tempi, tempista e risoluto, decisivo nel tappare falle che potevano risultare esiziali. Attorno a lui un po' tutta la terza linea si è esaltata, e così abbiamo visto, ad esempio, Donnarumma sventare l'1-2 su un preciso diagonale di Depay. Da elogiare anche Spinazzola, che nel primo tempo stava cominciando a carburare e a offrire le sue consuete discese sulla sinistra, anche con una insidiosa conclusione verso Cilessen, mentre nella ripresa ha fatto risaltare le sue doti di contenimento dando un prezioso contributo per arginare le folate Orange. 

In sintesi, sull'asse Chiellini - Barella si è sostanzialmente retta la Nazionale vista poche ore fa: sono stati i più continui ed efficaci nelle rispettive zone d'operazione, i collanti di una formazione che in certi passaggi del match ha rischiato il naufragio ma, con notevole personalità, ha saputo rimanere a galla. Ora però occorre qualcosa di più: se permangono le difficoltà di Jorginho, si può dare spazio con più convinzione a Locatelli, anche ieri abbastanza in palla nel poco minutaggio avuto a disposizione. Per il resto, più che di uomini penso sia questione di condizione atletica e mentale: a novembre dovrebbe registrarsi una crescita e l'Azzurra potrà riappropriarsi delle misure di gioco che le sono consuete. La Nations League è un torneo giovane e forse di scarso appeal, ma dopo tanti anni a secco di trofei non possiamo rinunciare a cuor leggero alla possibilità di giocare in casa nostra la final four. 

martedì 13 ottobre 2020

VERSO SANREMO 2021: ABBIAMO IL REGOLAMENTO. NIENTE PIU' SCONTRI DIRETTI FRA I GIOVANI. SI PARTE CON VENTI BIG, MA...


 Sanremo 2021 è ufficialmente partito ieri, con la pubblicazione del regolamento della kermesse. Non è cosa da poco, di questi tempi, avere qualche certezza sul Festival che verrà. Debbo dire che, da parte mia, c'è sempre stato un cauto ottimismo sulle possibilità di svolgimento della manifestazione, ottimismo che permane anche adesso, in presenza di una seconda ondata virale sempre più minacciosa. Ricordiamoci sempre che stiamo parlando di un evento in programma fra cinque mesi: impossibile sapere ora che scenari ci saranno, come del resto, lo si è visto durante questa pandemia, è assai arduo perfino prevedere l'andamento dell'emergenza da una settimana all'altra. Perfettamente inutile, quindi, fasciarsi la testa in anticipo e prospettare quadri funesti. In certi casi, l'importante è programmare tutto in ogni dettaglio. Detto fra noi, perfino lo slittamento di un mese della 71esima edizione mi pare sia stata più una decisione "auto - rassicurante" da parte dell'organizzazione, che non una scelta poggiante su rigorose basi scientifiche, perché a marzo potremmo essere ancora in un periodo di gravi difficoltà, così come, di converso, nel periodo tradizionalmente festivaliero della prima decade di febbraio potremmo perfino trovarci fuori dalla zona di più acuto pericolo, o comunque in fase di discesa dei contagi. Chi può dirlo? 

Domina l'incertezza, dunque, ma, a meno di sviluppi catastrofici simil-bellici che non voglio nemmeno ipotizzare, Sanremo si farà, perché è l'evento cardine della stagione televisiva Rai, un formidabile catalizzatore di spettatori, di introiti pubblicitari, di traffico social. E' un carrozzone che può essere gestito senza panico anche rispettando i rigidi protocolli di sicurezza imposti dal Covid, con ingressi contingentati all'Ariston: chissà, magari vedremo qualche signora in gran soirée in meno, mancherà qualche vippetto in cerca di pubblicità o qualche personaggio politico a cui non frega nulla della gara canora, ma va in prima fila perché farsi vedere è sempre utile. Ecco, il sogno è vedere scomparire queste categorie di spettatori, mentre temo che la riduzione degli spazi per il pubblico sfavorirebbe proprio i veri appassionati, quelli che farebbero carte false per entrare in teatro ed assistere almeno ad una serata... 

Abbiamo il regolamento, dunque. Diciamolo subito, qualche novità ma nulla di particolarmente sconvolgente. Del resto non si poteva non partire dallo "schema Amadeus" che tanto bene ha funzionato nel febbraio scorso. Val la pena ricordare che Sanremo 70 ha prodotto uno spettacolo godibile e sfornato almeno una decina di canzoni di gran pregio, che si sono ben distinte nelle classifiche di vendita ma ancor meglio avrebbero potuto fare se non ci fosse stato il lockdown a frenare tutto. In quelle tristi settimane di marzo e aprile, "Tikibombom" martellava dalle radio, in compagnia di "Fai rumore", "Viceversa", "Andromeda" e "Ringo Starr", ma anche dei pezzi di Elettra Lamborghini, di Achille Lauro e del giovane Fasma. Una buona infornata musicale che avrebbe meritato maggior fortuna, ma tant'è. Però i criteri di scelta adottati dal presentatore de "I soliti ignoti", si sono dimostrati vincenti, e allora occorre insistere. 

All'inizio dell'incubo Coronavirus, avevo auspicato per il 2021 un Sanremo partecipato, ossia con la più ampia affluenza possibile di cantanti, ivi compresi i grossissimi calibri, e tutti alle prese con la gara, per dare una segnale forte di ripresa presentando un massiccio spiegamento delle forze della nostra canzone leggera. Il regolamento fissa invece, al momento, a 20 il numero di Big che saranno ammessi alla competizione. Per ovvie ragioni di prudenza, non può che essere così: il rischio che arrivino provini in larga parte deludenti c'è sempre, con conseguenti difficoltà ad allestire un cartellone anche meno numeroso. Ma credo che, come quasi sistematicamente accaduto negli ultimi anni, alla fine il numero di ammessi lieviterà, e forse neanche di poco. Penso sia necessario superare la quota "psicologica" di 26 nomi noti in concorso, toccata per la prima e unica volta nell'ormai lontano 1988. Sarebbe un azzardo enorme dal punto di vista della costruzione televisiva dell'evento, me ne rendo conto, ma la soluzione ci sarebbe: rinunciare una tantum ai soliti ospiti italiani, quasi sempre gli stessi per un rituale dotato ormai di scarsissimo appeal, e puntare tutto sull'aspetto agonistico, sul "torneo", che era centrale nelle prime edizioni e che resta comunque il principale motivo di interesse della rassegna. 

Il desiderio di vedere più "vip" in lizza non è una semplice fissazione da appassionato sanremologo, e del resto la tendenza dell'ultimo lustro mi ha sempre dato ragione, quanto a modus operandi dei vari direttori artistici. Da Carlo Conti in poi, si è sempre puntato ad ampliare il cast dei Campioni, perché è giusto non riservare a pochi eletti la possibilità di accesso a un così possente veicolo di promozione, affermazione definitiva, conferma o rilancio. Così, dai 14 concorrenti del Fazio 2013--14 si è passati ai 24 del 2020. E nel marzo prossimo, sarebbe importante averne ancora di più in concorso, perché il momento è drammatico per l'industria musicale italiana in tutti i suoi comparti. Sanremo, in un anno così particolare, così cupo, deve essere una vetrina ampia, "open", che serva la causa di quanti più artisti possibile. 

Riguardo al resto del regolamento, scompaiono i terribili duelli a eliminazione diretta fra i giovani, sostituiti dalla classica divisione in due gruppi da quattro, con ammissione alla finale del venerdì dei primi due di ogni eliminatoria. Un po' meglio, visto che la formula precedente poteva portare due proposte di qualità a scornarsi fra di loro, dando via libera ad altre meno meritevoli ma facilitate da abbinamenti "favorevoli". La serata "defatigante" del mercoledì sarà questa volta dedicata alla celebrazione della canzone d'autore nostrana, ma non è stata cancellata l'anomalia dell'ultima edizione: il voto di questa particolare gara, basata sull'interpretazione di canzoni note o stranote, peserà sull'esito finale della competizione dei big, quella con i brani inediti. Una distorsione regolamentare di cui, oggi come l'anno passato, non riesco a trovare una plausibile spiegazione. Sempre per i Campioni, il televoto entrerà in azione anche nelle prime due sere, oltre che per la finale, a portare un pizzico di brio in più e a movimentare le classifiche. 

lunedì 12 ottobre 2020

NATIONS LEAGUE: IN POLONIA UN'ITALIA DEPOTENZIATA DAL TERRENO E DA UN JORGINHO FUORI FASE. I REBUS DI UN ATTACCO POCO INCISIVO

Calma, ragazzi. Quando hai alle spalle un biennio di partite giocate in un certo modo, secondo uno stile ben definito, con una chiara linea tecnica, una gara come Polonia-Italia di ieri non può destare preoccupazione. Qualche perplessità magari sì, ma nessun allarmismo. Non è mai bello aggrapparsi a scusanti che esulano dalla classe e dal valore dei singoli, ma, caspita, fare calcio su un manto erboso (?) come quello visto a Danzica credo sia impresa ai limiti dell'impossibile. Per "fare calcio" si intende manovrare, costruire, trattare la palla con una certa padronanza. Ovvio che bisogna adattarsi a ogni situazione, ma su un campo di patate a rimetterci non può che essere la squadra più ricca di qualità, più propositiva, più portata al fraseggio.

CAMPO DI PATATE - Tutto questo andava detto, perché appiccicare etichette di mediocrità a determinati calciatori dopo novanta minuti così particolari, direi unici, è profondamente ingiusto. Proprio a partire dalla precedente trasferta polacca di Nations League, nell'autunno 2018, Mancini ha plasmato una rappresentativa dall'altissima capacità di palleggio, di tessitura precisa al millimetro, in grado di non sprecare che pochissimi palloni. L'Italia del Mancio è questa, quella dal gioco elegante e privo di sbavature che ha fruttato dieci vittorie su dieci match nelle qualificazioni europee e anche le goleade attese per decenni, ultima della serie il recente 6-0 in amichevole con la Moldavia - Moldova. Alle corte: tutti quei passaggi sbagliati, tutte quelle palle perse, difficilmente li rivedremo ancora da parte dei nostri. Così come è quasi matematico che Jorginho non commetterà mai più tutti quegli errori di misura, di tocco, di controllo visti poche ore fa: mai più, nemmeno se ci si mettesse d'impegno. 

IN MEZZO BRILLA SOLO VERRATTI - Che poi, al di là del terreno, l'italo-brasiliano sia incappato in una serata assai poco brillante è un altro dato di fatto, e apre il capitolo dei lati oscuri della prova di Danzica. Si è rivisto il trio di centrocampo teoricamente titolare, ma solo Verratti ha svolto appieno il suo compito, con buone intuizioni in fase costruttiva e il consueto apporto in copertura, mentre Barella, pur sufficiente, si è visto a tratti e, in particolare, non ha mostrato la risolutezza negli inserimenti sfoderata in altre circostanze. Più in generale, è stata un'Italia frenata da strane titubanze al momento di concludere, poco sbrigativa, più incline al passaggio in eccesso, alla rifinitura superflua, che alla battuta a rete. Limite grave soprattutto in certe gare, nelle quali il dominio della manovra non riesce ad essere continuativo. In effetti, sono stati i nostri a condurre le danze, come quasi sempre capita, ma spesso le loro trame sono state spezzate, vuoi per mancanza di precisione vuoi per le brutture del campo, consentendo ai padroni di casa veloci ripartenze, peraltro approdate a rari pericoli. Ne abbiamo contati due, sostanzialmente, neutralizzati da ottimi interventi difensivi: Emerson ad anticipare su Lewandoski nel primo tempo, e Acerbi che ha deviato di pochi millimetri la conclusione ravvicinata di Linetty, sventando una beffa in extremis che sarebbe stata inaccettabile. 

EMERSON OK, CHIESA NO - Dicevamo di Emerson: pur non sempre preciso, ha sostanzialmente convinto per spinta, buon contributo dietro e un paio di pericolosissime incursioni in avanti, che nella ripresa han fatto gridare al gol. Un suo colpo di testa in tuffo su traversone di Chiesa è finito di poco a lato, poi si è presentato solo davanti a Fabianski, venendo però sbilanciato da un difensore al momento di concludere. Rimango tuttavia del parere che, in questo momento, Spinazzola sia più affidabile per continuità, lucidità e perizia nelle giocate, ma, insomma, sul versante mancino di retroguardia siamo messi piuttosto bene, visto che anche Biraghi il suo lo fa sempre. Buona la prova di Florenzi, più che altro sul piano quantitativo, e discreto Pellegrini, il più attivo e propositivo sul fronte offensivo, ma con la macchia dei tre calci d'angolo sprecati. Chiesa rischia di diventare un problema: incredibile il gol sbagliato in avvio davanti alla porta, poche iniziative degne di nota, tanta confusione. Non è questo il Federico che avevamo conosciuto, rapido, sgusciante, abile nel saltare l'uomo: l'auspicio è che la Juve lo rigeneri e lo trasformi in un campione a tutto tondo, perché ne abbiamo bisogno. 

BUON KEAN E IL REBUS IMMOBILE - Meglio di lui, da subentrato, ha fatto Kean, all'inizio un po' indolente ma cresciuto col passare dei minuti: anche per il neo PSG, però, sono mancate cattiveria e determinazione, che possono arrivare giocando e facendo esperienza ad alto livello. Ancora una prova grigia, infine, da parte di Belotti, e il quadro non è migliorato con Caputo, nello scarso minutaggio avuto a disposizione. Problemi nei sedici metri finali, dunque, e il fatto che le palle gol più nitide della ripresa siano capitate su piede e testa di un difensore (le due citate di Palmieri) deve indurre a severa riflessione. Contro l'Olanda, l'occasione sarà quantomai propizia per lanciare con convinzione Immobile. Per l'ennesima volta: la Scarpa d'oro europea non può avere un ruolo marginale in rappresentativa, a costo di attuare qualche aggiustamento tattico che, peraltro, non porterebbe stravolgimenti radicali allo stile di gioco della squadra. 

martedì 8 settembre 2020

NATIONS LEAGUE: AD AMSTERDAM IL SUCCESSO PIÚ PESANTE DEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI AZZURRI. LA GRAN SERATA DI SPINAZZOLA E LOCATELLI. E ZANIOLO TORNERÀ


La vittoria di Amsterdam è la più "pesante", oltreché prestigiosa e importante, degli ultimi quattro anni azzurri, diciamo a far data dallo strepitoso 2-0 inflitto alla Spagna negli ottavi di Euro 2016. Di sicuro un significativo esame universitario superato, perché dalla prova di maturità delle qualificazioni continentali l'Italia era già uscita a pieni voti, mentre una prova del nove sulla competitività di questa squadra serviva più che altro agli ipercritici, agli scettici ad oltranza, ai San Tommaso calcistici (della serie "se non li vedo battere una grande, non credo alla loro forza"). Discorso che personalmente non mi ha mai riguardato, e l'ho scritto tante volte su queste pagine, anche nei giorni scorsi: al di là della relativa caratura degli avversari, undici vittorie consecutive non si ottengono mai, e sottolineo mai, per caso. Nello specifico, dietro il filotto dei Mancini boys, interrotto venerdì dalla Bosnia, c'era qualcosa di estremamente concreto e sostanzioso, sol che lo si volesse vedere senza abbandonarsi alle trite tiritere sui calciatori italiani che non sono più quelli di una volta: c'era un progetto tattico ben definito, c'erano giocatori con doti di palleggio e personalità in sboccio, c'era uno spirito sbarazzino, aggressivo, propositivo. 
AUTORITARI ALL'ESTERO, NON ACCADE SPESSO - Queste doti si erano intraviste anche al Franchi, pur nelle difficoltà di quella serata, dal ritorno all'impegno agonistico dopo dieci mesi alla condizione fisica approssimativa e all'assenza di uomini chiave. Queste doti son tornate ad emergere nitidamente nell'Arena intitolata a Cruijff. Il Club Italia post disastro Mondiale è un team che non ha paura di prendere l'iniziativa e che sa impadronirsi del gioco anche su campi difficili e contro rivali di rango. In senso assoluto, in quasi quarant'anni che seguo il calcio non mi è capitato spessissimo di vedere la nostra Nazionale andare all'estero a imporsi in maniera così autoritaria, perentoria, senza eccedere in gherminelle difensive. E' una rarità storica, credetemi, e questa giovane Azzurra manciniana l'ha fatto già ripetutamente, a partire da quella esibizione in punta di tecnica in Polonia, nell'autunno 2018, che segnò di fatto la nascita della nuova Selezione. 
OCCASIONI A GO GO E MANOVRE DI PREGIO - Cito spesso la vittoria di Chorzow siglata in extremis da Biraghi, perché è l'esempio plastico di quelle partite che incidono più di altre nel percorso di costruzione e di crescita di una rappresentativa. Da lì è iniziato tutto, da lì si è vista la luce in fondo al tunnel. Da Chorzow 2018 ad Amsterdam 2020 un fil rouge ben definito, fatto di bel gioco e di piedi buoni in quantità persino inaspettata. Recuperato Jorginho e con più benzina nel motore, il che vuol dire maggior velocità di esecuzione e rapidità nel disegnare le azioni, l'Italia ha ripreso a giostrare come sa, prendendo letteralmente a pallonate i Paesi Bassi nel primo tempo per poi controllare con discreta sicurezza nella ripresa almeno fino alla mezz'ora, quando ha rinculato sotto l'ovvia pressione dei locali restando però pericolosissima nelle ripartenze. La splendida girata di Zaniolo alta di poco, i tiri ad effetto di Insigne ed Immobile a sfiorare il palo, infine la perentoria inzuccata di Barella su assist della Scarpa d'oro al culmine di una vertiginosa azione offensiva di ubriacante bellezza; e, nel secondo tempo, altre opportunità per Insigne (con prodezza di Cilessen) e due volte per Kean, che ha sprecato incredibilmente un contropiede ma che va nel complesso elogiato, perché si è calato nella parte con grande disponibilità al sacrificio, rientrando a tamponare nella zona di mezzo. 
SUPER SPINAZZOLA, KEAN IN RIALZO - Kean pare avviato sulla strada del recupero a misure degne del suo talento, ma il discorso va allargato, perché questa Nazionale sta facendo del bene a tanti nostri calciatori e quindi a tutto il movimento. Il Donnarumma azzurro, ad esempio, non sbaglia un colpo, e ieri ha sventato, in avvio di secondo tempo, una clamorosa palla gol deviando in corner una conclusione ravvicinata di Van de Beek; uno dei pochi interventi difficili a cui è stato chiamato il milanista, che però sa mantenere alta la concentrazione anche quando non è sottoposto a "bombardamenti" avversari. E che dire di Spinazzola? Continuo, propositivo, ficcante: batte la corsia sinistra con inesausto furore, sa anche saltare l'uomo oltreché crossare, è un punto di riferimento per i compagni che lo cercano a ripetizione: visto che si indugia spesso in arbitrari accostamenti, spesso figli di nostalgia fine a se stessa, fra gli azzurri di oggi e quelli di ieri, bene, mi sento di poter dire che questo ragazzo sarebbe stato titolare fisso in molti club italiani di alta classifica degli anni Ottanta - Novanta, la nostra età dell'oro, e che al momento, in Nazionale, può giocarsi tranquillamente il posto con Emerson. Meno convincente è stato sull'altro versante D'Ambrosio, i cui limiti tecnici peraltro sono noti, ma ha raggiunto comunque la sufficienza e nel finale ha sbrogliato una situazione spinosa nell'area piccola. Continuo a pensare che, a destra, soluzioni più attendibili siano rappresentate da Di Lorenzo e anche dall'impeccabile Lazzari dell'ultima stagione laziale.  
LOCATELLI, GRANDE "ACQUISTO" - Nel mezzo, come detto, fondamentale è stato il rientro di Jorginho, con la sua paziente tessitura e alcune verticalizzazioni di prima che hanno incrementato l'efficacia della manovra azzurra. Barella è andato più a corrente alternata rispetto a Firenze, ha fornito un contributo più di spada che di fioretto, confermando peraltro la sua straordinaria efficacia negli inserimenti in area, siglando il gol vittoria con un colpo di testa da centravanti vero. Senz'altro più cospicuo è stato l'apporto alla manovra di Locatelli, esemplare nelle due fasi, capace di lavorare una gran quantità di palloni con grande costrutto e pochissime sbavature: un acquisto importante e definitivo, per un reparto che da anni non avevamo così ricco di fosforo e di piedi educati. 
IL PROBLEMA DEL GOL E L'ANNO NERO DI ZANIOLO - Rimane il problema dell'attacco: problema, perché dalla gran mole di gioco e occasioni prodotte è uscita la miseria di un golletto, realizzato per di più da un centrocampista. Intendiamoci: non si può non promuovere la prova di Insigne e Immobile, che hanno martellato la difesa arancione, hanno concluso direttamente, confezionato assist, aperto varchi, ma continua a latitare il killer instinct. Soprattutto Ciro, ora che è cannoniere principe europeo, ha una responsabilità in più e, in accordo con Mancini e coi compagni, deve trovare il modo di diventare una freccia acuminata anche in rappresentativa, così come devono al più presto raddrizzare la mira Kean e Chiesa, che hanno il gol nelle loro corde. Nell'immediato ci si potrebbe anche affidare a Caputo, peraltro tutto da scoprire sui palcoscenici internazionali: un salto nel buio, insomma. Infine, Zaniolo, evidentemente nel suo anno più buio. Si consoli: pagato il tributo alla malasorte, tanti campionissimi del passato sono tornati ai massimi livelli, in primis Roby Baggio, anche lui martoriato non poco nel primo periodo della carriera (e purtroppo anche in seguito). Coi suoi strappi, le sue incursioni, le sue accelerazioni, può diventare elemento chiave del gioco azzurro: la sua presenza è fondamentale nel futuro del progetto Mancini, ma ora occorrono calma, prudenza e circospezione nel percorso di recupero, senza forzare i tempi, e pazienza se dovrà rinunciare all'Europeo. Il ragazzo è ancora un talento in erba, non ha bisogno di bruciare le tappe.  

sabato 5 settembre 2020

NATIONS LEAGUE: ERA IMPORTANTE RIPARTIRE. MA SENZA VERRATTI, JORGINHO, DINAMISMO E FRESCHEZZA ATLETICA, E' UN'ITALIA ANNACQUATA

Era importante ripartire, possibilmente senza troppi danni, ed è stato fatto. In una situazione come quella attuale, è difficile e forse anche poco sensato tracciare un quadro critico della performance azzurra con la Bosnia. Si tornava in campo dopo dieci mesi di stop, un intervallo agonistico così lungo la Nazionale non lo viveva dal 1946, e già questo dovrebbe bastare a dare un'idea dell'eccezionalità del momento. Sarà difficile considerare attendibili le gare di una Nations League collocata a cavallo fra le due stagioni più anomale nella storia del calcio mondiale del dopoguerra, con campionati e coppe di club finiti da poche settimane e già prossimi alla ripresa, con calciatori storditi da un tour de force di partite estive, con poche vacanze per rigenerarsi e pochi giorni di allenamento nelle gambe. 

Questo non è calcio, mi pare evidente. Poi vale più o meno per tutti, a tutte le latitudini, ma in fasi del genere soffre di più chi ha un'idea di gioco propositiva. Ecco, se non altro la gara di Firenze ha lasciato l'impressione che la lunghissima pausa non abbia annacquato gli insegnamenti di Roberto Mancini, i cui primi risultati si videro proprio in chiusura della precedente Nations League, in Polonia, quando sbocciò improvvisa e inattesa una squadra manovriera, capace di impadronirsi del campo e di tenere costantemente sotto pressione gli avversari. I cardini di questa filosofia si sono intravisti al Franchi, ma al di là delle buone intenzioni non si poteva andare. Mancavano troppi fattori determinanti: l'Italia scesa in campo poche ore fa non è la migliore possibile in senso assoluto. Nemmeno le Nazionali più forti, esperte e consolidate nella loro struttura possono rinunciare contemporaneamente a due pedine chiave nel reparto più importante: la nostra selezione era priva di Verratti e Jorginho (quest'ultimo in panca ed evidentemente non al meglio, dopo il rientro in extremis dal Chelsea), cioè il cuore pulsante di tutto il meccanismo. Lo splendido Barella di questo 2020 ha confermato l'acquisita personalità internazionale caricandosi sulle spalle il lavoro di tutto il reparto, ma è ovvio che non possa cantare e portare la croce da solo. Sensi può essere una buona spalla ma solo in condizioni di forma accettabili, che non ha ancora raggiunto, comprensibilmente, dopo i triboli della stagione interista; ha trovato comunque il modo di lasciare il segno sul match propiziando l'autorete del pareggio, confermandosi arma letale negli inserimenti offensivi. Risulterà utilissimo quando tornerà al top, così come Lorenzo Pellegrini acquisirà maggior efficacia giocando qualche metro più avanti, da trequartista, cosa che accadrà inevitabilmente quando nel mezzo rientreranno i grandi assenti di ieri sera. 

Per una gara così delicata, un nuovo debutto dopo un vuoto quasi "bellico", il cittì ha evitato sperimentazioni (ci saranno un paio di amichevoli più avanti, per tentare strade nuove), affidandosi ad alcune certezze acquisite nella prima parte della sua gestione, diciamo a un manipolo di "pretoriani". Da qui, ad esempio, l'utilizzo di Biraghi in luogo del titolare Emerson, e di Chiesa sulla fascia destra d'attacco. Se il laterale basso ha fatto il suo, dignitosamente, come quasi sempre in rappresentativa, il figlio d'arte continua ad essere né carne né pesce: un buon tiro sull'esterno della rete nel primo tempo, il lungo traversone per il palo di Insigne, tanti tentativi abortiti sul nascere, molto fumo e poco arrosto per quello che, avanti di questo passo, rischia di diventare il primo vero "caso" della Nazionale targata Mancio. Ma, lo ripetiamo, tutto è relativo: questa è una squadra nata per tenere l'iniziativa, far girare palla, aggredire; per riuscirci deve avere brillantezza fisica e lucidità, ciò che al momento latita. Troppo lenta la fase di impostazione per poter far assumere al gioco i connotati della pericolosità: senza dinamismo, senza passaggi e smarcamenti rapidi, una compagine votata alla difesa come quella bosniaca non può che avere vita facile, costringendoti a soluzioni estemporanee e velleitarie come i continui cambi di fronte, da destra a sinistra e viceversa, attuati dai nostri nei primi quarantacinque minuti, con esiti sconfortanti. 

Contenimento e contropiede: questo e null'altro hanno fatto gli uomini del santone Bajevic, dopodiché, quando si può contare su uno dei pochi fuoriclasse d'attacco del calcio mondiale, si può anche riuscire a sfruttare una delle poche palle gol e a sfiorare una vittoria che sarebbe stato premio fin troppo eccessivo. Verrebbe da dire che se questa Italia avesse un Dzeko, là davanti, potrebbe persino avvicinarsi ai massimi valori del football europeo, una volta raggiunta la miglior condizione atletica. Al Franchi Belotti ha deluso, timido e privo di slancio; avendo in rosa la Scarpa d'oro europea, bisognerebbe trovare il modo di sfruttarla al meglio. Da troppe parti si legge che Immobile non rappresenti la soluzione ideale per il modulo - Mancini, ma credo sia un preciso dovere del trainer e dello stesso bomber laziale trovare un punto d'incontro tattico, per non privare la selezione di una bocca da fuoco potenzialmente devastante. 

Poco da dire sugli altri singoli. Senza infamia e senza lode la prova della coppia centrale Acerbi - Bonucci, che si sono lasciati sfuggire Dzeko sul gol ma hanno almeno tentato di contribuire alla fase di rilancio, com'è nelle loro corde (soprattutto dello juventino). Il più attivo in assoluto è stato Insigne: spesso disordinato, raramente incisivo, alla fine è risultato comunque il più pericoloso della sterile squadra azzurra, sfiorando il palo su punizione, colpendo un legno di testa e, nel finale, mettendo sulla testa di Zaniolo un tiro-cross che ha portato il romanista a un passo dal gol. Ma l'occasione migliore è capitata sui piedi di Florenzi, che di destro ha chiamato il portiere Sehic a una gran deviazione. E' stata peraltro l'unica cosa positiva per il veterano azzurro ex Valencia, divenuto famoso per le sue percussioni offensive che invece, nella circostanza, raramente si sono manifestate. In questa nuova era azzurra rimane un buon ripiego per un ruolo in cui dovrebbe figurare come prima scelta il napoletano Di Lorenzo. 

lunedì 31 agosto 2020

FINALMENTE TORNA LA NAZIONALE. IL CLUB ITALIA È IL MODELLO DA CUI RIPARTIRE DOPO IL DECENNIO ORRIBILE DEL NOSTRO CALCIO: VEDIAMO PERCHÉ

                              Chiesa e Jorginho, simboli del nuovo corso azzurro (foto Guerin Sportivo)

Finalmente il cielo del calcio italiano torna a tingersi d'azzurro. Sarà anche una metafora un po' usurata, ma sentir di nuovo parlare di Nazionale dopo dieci mesi è una boccata d'aria fresca. Era tempo, anche per la salvaguardia di uno dei pochi patrimoni tecnici rimasti al nostro movimento: l'atmosfera attorno alla Selezione stava infatti cominciando a farsi pesante, per via di certe voci riguardanti un raffreddamento di Mancini in seguito ai contatti Gravina - Lippi (contatti incauti e intempestivi, si può dire?). Meglio quindi che si ritorni a ragionare di cose di campo, e a giocare... La Nations League bussa alle porte: un test importante, per quanto svalutato da surreali modifiche regolamentari che hanno cancellato le retrocessioni della prima edizione, cioè il vero "sale" della neonata manifestazione. 

DECENNIO DA INCUBO - Ma non importa, perché, per noi, in ballo c'è molto di più dell'esito finale del torneo. Siamo agli sgoccioli del decennio più orribile della storia calcistica italiana: dieci anni senza che un club tricolore sia riuscito a portare a casa uno straccio di coppa europea; dieci anni costellati di magre figure azzurre, col culmine della mancata qualificazione al Mondiale russo; dieci anni di regressione non tanto in termini di qualità del materiale umano (che c'è stata, ma non così netta come direbbero i risultati) quanto economica, progettuale e organizzativa, col crimine della assoluta trascuratezza dei vivai coniugata con l'esterofilia più ottusa di sempre: ottusa e controproducente, non è un'opinione ma un dato di fatto, vista la perdita di competitività internazionale del sistema calcio - Italia. 

I QUATTRO ESEMPI DA SEGUIRE - Ebbene, al termine di questa decade da incubo, abbiamo un disperato bisogno di ripartire, e una ripartenza seria non può che prendere le mosse dagli unici esempi sani proposti dall'italico football agli alti livelli: l'Atalanta come modello di programmazione complessiva a lungo termine; il Milan per il coraggio di puntare sulla gioventù nostrana (Donnarumma, Conti, Romagnoli, l'ultimo arrivato Gabbia, e ora l'enfant prodige Tonali, se l'acquisto andrà in porto); la tanto bistrattata Inter, ebbene sì, se non altro perché ha raggiunto la finale di Europa League con un gruppo in cui ha assunto un'importanza notevole un mini nucleo di giocatori indigeni (Bastoni e Barella soprattutto, ormai consolidate certezze, con contributi importanti anche di Gagliardini e D'Ambrosio); e la Nazionale, appunto, che deve tornare a essere il principale volano dello sviluppo del nostro football. Anche perché fra 2018 e 2019 Mancini ha posto basi importanti, con una politica che ha concretamente sposato la linea verde e un modo più moderno di concepire il gioco. In pochi mesi abbiamo visto sbocciare una squadra nuova di zecca, capace di cercare il risultato attraverso una manovra piacevole e propositiva. Dell'abbordabilità del girone di qualificazione europeo si è già ampiamente parlato: indiscutibile, così come è innegabile che, in un passato anche recente, selezioni azzurre ben più referenziate abbiano penosamente stentato contro avversarie altrettanto se non più modeste. 

CONVOCAZIONI FIUME: I PRECEDENTI - La verità è che si riparte da un filotto di dieci sonanti vittorie (più una in amichevole) e da un progetto credibile. Si discute in queste ore delle convocazioni-fiume del Mancio, ben trentasette i chiamati, e non mancano le perplessità in merito. Un modus operandi che invece, personalmente, mi trova assolutamente d'accordo. Facciamo un po' di storia: il primo a percorrere questa via fu Arrigo Sacchi negli anni Novanta, ma, più che altro, per una affannosa e tormentata ricerca di uomini che si adattassero il meglio possibile ai suoi rigorosi disegni tattici. In seguito, invece, la Nazionale "allargata" è divenuta quasi una necessità, dettata da varie motivazioni. Dopo il fiasco nippo-coreano del 2002, Trapattoni decise di aprire le porte di Coverciano a seconde e terze linee: entrarono in gruppo fra gli altri Legrottaglie e Nervo, Perrotta e Camoranesi, Corradi e Di Natale, gente fin lì trascurata nonostante un rendimento sempre elevato, magari con la sola colpa di non militare nelle big metropolitane. Il Trap lo fece perché i titolarissimi extra lusso stavano segnando il passo, e la sua squadra, dopo aver fallito l'appuntamento iridato, rischiava di restare fuori anche dall'Europeo portoghese. I nuovi arrivati portarono voglia di emergere e indubbie qualità, e furono anche un pungolo per i "grandi", che ripresero ad esprimersi al meglio delle loro potenzialità. 

In seguito, nelle sue due gestioni, Marcello Lippi schierò più volte delle Nazionali "sperimentali", con largo utilizzo di emergenti e di esponenti  delle cosiddette "provinciali" (Mesto, Langella, Brienza, Di Michele, Foggia, Pellissier...) affinché il maggior numero possibile di calciatori di Serie A potesse sognare l'azzurro, accentuando così la voglia di migliorarsi dei singoli e il clima competitivo fra di loro, con benéfici effetti sia sul livello tecnico del campionato sia sul ventaglio di scelte a disposizione del cittì, che poteva pescare in un bacino sempre più ampio di elementi all'altezza dei palcoscenici importanti. 

Esempio che fu poi seguito anche da Prandelli, ma in un'ottica diversa: con le formazioni dei club già ingolfate di stranieri, si rendeva necessario offrire spazio in azzurro a ragazzi validi che quello spazio faticavano a trovarlo nelle società di appartenenza. Giovanissimi convocati prima di aver maturato un cospicuo minutaggio con il club (ricordo Perin e De Sciglio), al fine di forzarne la maturazione: una situazione per certi versi paradossale, che in tempi normali sarebbe stata inaccettabile ma che da allora è divenuta essenziale per costruire la caratura internazionale di tanti giovani di casa nostra, ricchi di talento ma impossibilitati a crescere in un campionato malato di esterofilia. E qui si torna al decennio terrificante che ci stiamo lasciando alle spalle: quanti ragazzi di assoluto valore ed enormi prospettive sono stati bruciati verdi per mancanza di pazienza da parte di tecnici e dirigenti! 

IL PIANO: PAZIENZA COI BABIES E SPAZI AZZURRI CONTRO L'OSTRACISMO DEI CLUB - Ecco dunque perché Mancini sta lavorando su una base azzurra così larga. Questi i concetti essenziali: vivere la rappresentativa e i suoi impegni per diventare giocatori da ribalta europea e mondiale, ciò che non potrà mai accadere giocando (a volte anche poco, oltretutto) in squadre di club dagli orizzonti limitati, e che pagano le loro poco lungimiranti politiche con ripetute figuracce fuori dei confini. Dei titolari o semi-titolari delle compagini di massima divisione, diciamo 15-16 elementi per squadra, gli italiani sono attorno al 40 per cento (calcolo fatto un po' a spanne, ma non lontano dalla realtà): il campo di scelta è risicatissimo, tenendo conto che difficilmente è convocabile chi milita in formazioni di bassa classifica (nelle quali si concentrano in massima parte i calciatori indigeni), e in una situazione del genere gli azzurrabili bisogna un po' anche costruirseli, valutando un ampio numero di uomini e azzardando su verdi speranze dal curriculum ancora scarno... 

E poi la pazienza coi giovani, da aspettare, costruire, perfezionare, e non da buttare via dopo i primi passi falsi: ecco dunque la rinnovata fiducia a Kean, reduce da una stagione fallimentare ma che deve solo essere disciplinato sul piano caratteriale, "smussato", perché ha classe da vendere e lo aveva già dimostrato nel suo perentorio esordio in Nazionale; ecco il coraggioso lancio di Luca Pellegrini; e riecco Zaniolo, che, secondo alcuni, dopo l'incidente... comportamentale dell'Euro Under 21 casalingo era già un calciatore finito, e che invece è ritornato più forte che mai, pronto anzi a diventare uno dei simboli di questa nuova generazione all'insegna della speranza. E ancora l'imberbe Tonali, su cui è giusto continuare a insistere nonostante qualche battuta a vuoto in campionato (comprensibile in un Brescia allo sbando), il ritrovato Caldara dell'ultima Atalanta, gli strepitosi Bastoni e Barella offerti dalla stagione interista, la giusta considerazione per Sensi, bruscamente frenato da guai fisici ma meritevole di attesa per quanto di buono, anzi ottimo, fatto vedere in azzurro l'anno passato. Il CT ha avuto anche la giusta attenzione alle indicazioni di una Serie A pur anomala come quella da poco finita: la conferma di Lasagna, attaccante fra i più positivi del dopo lockdown, l'esordio di Ciccio Caputo e uno Spinazzola dalle quotazioni in rialzo, alla luce degli ultimi confortanti mesi romanisti, senza dimenticare Locatelli, regista affidabile, continuo e dai piedi buoni; mancano Pessina e un Berardi che sembra finalmente essersi lasciato alle spalle i suoi irritanti alti e bassi, ma arriverà anche il loro momento.  

I NUOVI PUNTI FERMI DEL CLUB ITALIA - Parliamoci chiaro: questo Club Italia è un piccolo miracolo. Merito del caro vecchio Bobby-gol sampdoriano, certo, ma anche delle potenzialità inesauribili di un vivaio storicamente di prim'ordine, che può vivere fisiologiche fasi di stanca ma che, nonostante la mancanza di investimenti, il disinteresse, l'ostracismo verso le nuove generazioni, anche in questi ultimi sventurati anni ha saputo sfornare prospetti di livello. Perché non si perdano per strada, il ruolo della Nazionale sarà fondamentale, come lo è già stato per la crescita di Donnarumma, Di Lorenzo, Lollo Pellegrini, Barella (pluri-citato in questo articolo, ma è uno degli azzurri del momento), ormai punti fermi come un Acerbi non più di primo pelo ma all'apice della carriera, come Jorginho, Verratti e Insigne, campioncini fatti e finiti. Ricominciamo, dunque, con la massima fiducia.