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martedì 28 settembre 2021

VERSO SANREMO 2022: SBAGLIATA LA SCELTA DI RIDIMENSIONARE LE NUOVE PROPOSTE. PRIMO BORSINO DEI PAPABILI


Quest'anno la marcia di avvicinamento al Festivalone sarà meno lunga del solito. Il sipario dell'Ariston si alzerà il 1° febbraio 2022, bisogna risalire al 1982 per trovare una partenza più "precoce": all'epoca, l'edizione numero 32 della rassegna prese il via il 28 gennaio. Ormai recuperata appieno la collocazione storica dell'evento (quella "marzolina" del 2021 non è stata un unicum, ma ha rappresentato comunque un'eccezione causata dalla pandemia), si può dunque cominciare a discutere del Sanremo prossimo venturo, anche perché l'estate ha portato con sé diverse novità riguardo alle "sembianze" che assumerà la manifestazione. 

GIUSTA CONFERMA PER AMA DOPO UN FESTIVAL DI SUCCESSO - Novità si fa per dire, beninteso: la prima è stata la conferma di Amadeus, che a Festival numero 71 appena concluso aveva più o meno radicalmente escluso il tris, ma tant'è: il periodo è delicato e quindi conviene andare sul sicuro. Perché è un fatto che il flop di audience dell'ultima kermesse sia stato molto più teorico che reale (e ingigantito da certa stampa), e a botta calda avevamo già spiegato il perché. Da allora, poi, sono successe cose importanti: è cioè successo che il tanto bistratto Sanremo '21 abbia partorito i vincitori dell'Eurovision, quei Maneskin che ora stanno mietendo trionfi su scala planetaria (no, non è un'esagerazione); ed è accaduto, anche, che il pacchetto canzoni di quest'ultima edizione abbia riscosso lusinghieri consensi, con un successo che si è prolungato fino alla stagione calda, consacrando nuovi personaggi e lasciando in eredità brani destinati a farsi ricordare. Sul piano della proposta musicale, dunque, era difficile fare meglio, ancor di più se si pensa alle scelte spiazzanti (per la platea mainstream) operate dal direttore artistico, e questo è stato uno dei motivi, certo non l'unico, che ha spinto la Rai a cercare la continuità, senza ulteriori salti nel buio. 

LISTONE UNICO: POLLICE VERSO - E qui siamo alla seconda novità, tra virgolette, perché come primo atto della sua terza gestione Amadeus non ha trovato nulla di meglio che ripescare la formula del Baglioni bis 2019, ossia il listone unico di concorrenti con conseguente abolizione della gara delle Nuove Proposte, che scompare nuovamente dalla rassegna di febbraio per essere relegata al solo appuntamento pre natalizio. Ecco, se devo essere sincero, non mi sembra un punto di partenza entusiasmante. Dopo un duro lavoro di rivalutazione della categoria, portato avanti nell'ultimo decennio soprattutto da Carlo Conti, con la ricollocazione in apertura delle serate e la riproposizione della selezione televisiva autunnale, i Giovani, intesi come sezione in concorso, sono tornati ad essere la pecora nera del Sanremo. Due soli dei dodici finalisti otterranno l'ammissione allo show di inizio febbraio: certo, sull'altro piatto della bilancia c'è la possibilità, per quei due, di battersi ad armi pari coi "famosi" potendo puntare alla vittoria (impresa riuscita a Mahmood proprio nel '19), ma il gioco non vale la candela, gli emergenti hanno più da perdere che da guadagnare da questo format. 

SANREMO HA BISOGNO DELLE NUOVE PROPOSTE - E' la storia degli ultimi quarant'anni a dirlo, non solo io: il Festival, dopo la crisi dei Settanta, si risollevò alla grande anche perché puntò massicciamente sul proprio vivaio, che dall'80 in poi ha immesso continuamente linfa verde nelle vene della kermesse ligure e contribuito in buona misura al periodico rinnovamento e ricambio generazionale di tutta la musica leggera italiana. Sul "settore Primavera" del Sanremone scrivo queste cose più o meno da quando è nato Note d'azzurro, e probabilmente a qualcuno saranno venute a noia, ma se lo faccio è perché i giovani, ossia l'anello debole di Sanremo, sono stati troppo spesso sotto attacco. Certo, quest'anno c'è la giustificazione del fallimento totale dell'ultima edizione e di quello parziale della penultima, sotto il profilo degli esiti commerciali dei dischi: due anni fa il vincitore Leo Gassman non ha sfondato e se l'è cavicchiata Fasma, quest'anno è stato un disastro, nonostante buoni talenti e discrete canzoni, nonostante Davide Shorty e Wrongonyou, Gaudiano e Folcast, Greta Zuccoli e Avincola. 

RIFORMARE LA CATEGORIA GIOVANI, NON RIDIMENSIONARLA - Chiaro, qualcosa è andato storto, ma non è che risolvi il problema facendo piazza pulita della categoria. Da Amadeus, tanto coraggioso e rivoluzionario quando si tratta di comporre il cast dei Big, quanto prudente fino all'autolesionismo nella gestione del caso Nuove Proposte, mi sarei aspettato un tentativo di riforma creativa della sezione, non un mero ridimensionamento operato oltretutto ripescando l'idea di un predecessore. Perché le Nuove proposte si possono salvare e rilanciare, ma vanno adeguatamente valorizzate, attraverso vari step. Il primo sarebbe quello di creare un format di selezione nuovo e originale, che non scimmiotti e riproponga il solito schema trito e ritrito dei talent, coi giurati che fanno spettacolo e che valutano in diretta, e via dicendo. 

BATTERE IL TERRITORIO, E RITORNO AGLI INEDITI - Rimango poi del parere che ci vorrebbe una commissione ad hoc, stabilmente insediata, che nel corso dell'anno facesse il giro delle città, dei locali, per scovare solisti e band alle prese con la gavetta per segnalarli alla direzione artistica. Altro punto chiave: ripristinare l'inedito da portare in gara a febbraio (quest'anno avverrà per ovvi motivi di lotta ad armi pari con gli altri componenti del "listone"). Tenere in ghiaccio per due  o tre mesi i brani lanciati nella disfida dicembrina per poi ripresentarli all'Ariston ha funzionato all'inizio, poi decisamente meno, e in linea di massima non mi pare una grande idea, perché quelle canzoni rischiano di arrivare al Festival già vecchie, "masticate", sentite e strasentite, mentre il Festival è soprattutto la celebrazione del pezzo nuovo. 

CENTRALITA' ANCHE A FEBBRAIO, CON FINALE AL SABATO - Dulcis in fundo, e torniamo al punto di partenza, va restituita centralità alla gara dei "pulcini" all'interno del Festival vero e proprio, e in questo caso ritengo che quantità faccia rima con qualità e con rilevanza, nel senso che i classici otto partecipanti degli ultimi tempi sono pochi; oltretutto, la collocazione in apertura di ogni serata, il cui intento iniziale era di incrementare la visibilità della loro gara, sul piano pratico si è tradotta in un frettoloso "sbrighiamo la pratica e passiamo alle cose importanti dello show", aggravato dalla modalità degli scontri diretti applicata fino al 2020, che rendeva la sfida troppo rapida, vorticosa, veloce, al punto che a metà puntata te l'eri quasi già dimenticata. In soldoni, far aprire le serate ai debuttanti non basta, occorre che la loro presenza sia massiccia, si faccia sentire, deve essere parte importante dello spettacolo: in tale ottica, riportarne lo scontro finale al gala conclusivo del sabato sarebbe secondo me un'altra mossa vincente. 

PER IL 2022, PERCHE' SOLO DUE EMERGENTI? - Discorsi che, per il prossimo Sanremo, vengono portati via dal vento, per via della "riformina". Anche su questo fronte, tuttavia, si poteva fare qualcosina in più: perché solo due ragazzi promossi da dicembre a febbraio? Nel quasi nulla a cui è stato ridotto il comparto giovani, anche solo un posticino in più non avrebbe spostato gli equilibri della gara dei "grandi" e, anzi, avrebbe dato chances di visibilità a un altro emergente. Insomma, perché mortificare un questo modo un vivaio che ogni anno richiama centinaia di domande di partecipazione? Nel 2020 le richieste furono poco meno di mille, un'enormità: cavare solo due nomi da questo immenso serbatoio è quasi offensivo verso i tanti che, anche negli anni Venti del ventunesimo secolo, continuano a vedere nel "vecchio" Festivalone la via principale verso il successo o anche solo verso la speranza del successo. 

QUANTI CANTANTI NEL LISTONE? - Spezzata con convinzione una lancia a favore dei giovani, parliamo dunque di questa categoria unica. Non essendo ancora uscito il regolamento della gara di febbraio, possiamo solo azzardare supposizioni: quanti saranno i cantanti ammessi? Nel 2019, unico termine di paragone plausibile visto che la formula della competizione era la stessa, furono 24: possibile che il numero sia il medesimo quest'anno. Per il Sanremo 71 Amadeus esagerò portando 26 vip, soluzione che io avevo caldeggiato nei mesi precedenti, parlando della necessità di un Festival allargato e partecipato per dare sollievo agli artisti dopo il terribile periodo della pandemia. Ora non siamo fuori pericolo, ma diciamo che la fase di più acuta emergenza dovrebbe essere alle spalle, e del resto lo stesso direttore artistico aveva detto, a posteriori, che 26 erano troppi. Ma quest'anno non ci sarà il concorso dei Nuovi, quindi il problema dei tempi televisivi non si porrebbe: anche perché, diciamolo, la dilatazione delle ultime edizioni non è stata dovuta certo alla competizione, quanto alle tante ospitate e a siparietti spesso evitabili.

PRIME CONSIDERAZIONI SUI PAPABILI - Ovviamente è presto per parlare di papabili, ma neanche tanto. La scelta verrà compiuta a dicembre e verosimilmente resa nota in occasione della finale dei Giovani: nel frattempo si possono già fare alcune parziali valutazioni legate alle risultanze discografiche di questi mesi. In sintesi: capire chi potrà tornare in competizione dall'ultima edizione, chi dalle edizioni immediatamente precedenti, chi potrebbe proporsi dopo gli ottimi riscontri estivi, quali volti nuovi o parzialmente nuovi potrebbero essere lanciati in orbita per creare gli eredi di Colapesce-Dimartino, Coma_Cose, Rappresentante di Lista e via dicendo. E poi ci sarà da capire cosa accadrà nei mesi autunnali: molti big escono con nuove produzioni, ma come andranno? Perché se le vendite non saranno all'altezza delle aspettative, sorgerà l'immediata necessità di una spinta promozionale con conseguente repackaging del disco... 

SIGNORE E SIGNORI, IL BORSINO - Insomma, una miriade di fattori, molti dei quali volatili, aleatori, soprattutto scrivendo in questo momento. Cerco comunque di azzardare un primo, parzialissimo borsino dei papabili partecipanti, dividendoli, in base a considerazioni soggettive e oggettive, fra probabili, possibili (ma meno probabili), difficili, con un capitolo a parte per i veterani. Diciamo subito che fra i primi avrei inserito sicuramente Levante, la quale però, si è appreso in questi giorni, è in dolce attesa, e il lieto evento dovrebbe verificarsi proprio in febbraio. Per contro, non avevo finora preso in considerazione Francesco Gabbani, che ha appena pubblicato un bel singolo, "La rete", ma che in una recente ospitata a "Domenica in" non ha escluso il ritorno. Fra i possibili un nome curioso, quello di Bianca Guaccero, che sa cantare e che, nell'ultimo numero di Sorrisi, ha dichiarato che non disdegnerebbe affatto una partecipazione. Ed eccolo dunque, il borsino:


PROBABILI

Elodie, Diodato, Giusy Ferreri, Nek, Fabrizio Moro, The Kolors, Boomdabash, Mahmood, Simona Molinari, Nina Zilli, Sangiovanni, Aka7even, Carl Brave, Fred De Palma, Rkomi, Michele Bravi, Casadilego, Iosonouncane, Federico Rossi, Rocco Hunt e Ana Mena,  Wrongonyou, Mara Sattei, Maria Antonietta, Margherita Vicario, Gazzelle, Calcutta, Brunori Sas, Mannarino, Irama, Coma_Cose, Gaia Gozzi, Fulminacci, Tommaso Paradiso, Ariete


POSSIBILI

Francesco Gabbani, Cristiano Malgioglio, J-Ax, Chiara Galiazzo, Dolcenera, Emma, Modà, Greta Zuccoli, Clementino, Samuele Bersani, Tiromancino, Sottotono, Capo Plaza, Anna, Blanco, Mr. Rain, Davide Shorty, Baby K, Lorenzo Fragola, Shade, Federica Carta, Emis Killa, Tecla, Bianca Guaccero


DIFFICILI

 Carmen Consoli, Luca Carboni, Alessandra Amoroso, Ultimo, Ghali, Zibba, Niccolò Agliardi, Alberto Bertoli, Lorenzo Baglioni, Mirkoeilcane,  Gaudiano, Motta, Bianca Atzei, L'Aura, La Rua, Eugenio in Via di Gioia, Marianne Mirage, Alberto Urso, Giordana Angi, Roberta Giallo, Erica Mou, Le Deva, Matteo Faustini, Negramaro, Marco Mengoni, Jack Savoretti, Niccolò Fabi


VETERANI: PROBABILI...

Gigliola Cinquetti, Ricchi e Poveri, Lisa, Paolo Vallesi, Mietta, Syria, Francesca Alotta, Sergio Cammariere, Marcella, Nomadi,  Erminio Sinni, Mariella Nava-Grazia Di Michele-Rossana Casale, Silvia Mezzanotte-Carlo Marrale, Rettore, Marina Rei

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..  E POSSIBILI

Alice, Teresa De Sio, Eduardo De Crescenzo,  Jalisse, Danilo Sacco, Matia Bazar, Massimo Ranieri


giovedì 23 settembre 2021

IL GENOA DA PREZIOSI AL FONDO 777 PARTNERS: E' IL MOMENTO DELL'OTTIMISMO, NON DELLE PERPLESSITA'. BREVE BILANCIO DI 18 ANNI DI JOKER

                                                  I nuovi proprietari sono già a Pegli (foto Genoa CFC)

Secondo molti, questo giorno non sarebbe mai potuto arrivare. Una chimera, un'illusione per gonzi e nulla più. Che fra questi "molti" vi fossero genoani in grande quantità la dice lunga sul punto di deterioramento a cui era giunto l'ambiente rossoblù. E la dice lunghissima sulla portata rivoluzionaria dell'evento di oggi. La notizia è fresca: ufficiosa ma pressoché scontata già ieri, ha assunto questa mattina i crismi dell'ufficialità assoluta. Il Genoa cambia proprietà, ad Enrico Preziosi subentra il fondo statunitense 777 Partners, che arriverà a detenere il 99,9 per cento delle quote societarie, praticamente l'intero pacchetto. 

IN BUONE MANI - In città c'è chi festeggia e stappa champagne, non metaforicamente. Certe celebrazioni preferisco riservarmele per quando, è nei voti, si centreranno titoli o piazzamenti di prestigio. Per il momento, prendo atto con soddisfazione di quella che è comunque una conquista di immenso valore: poter finalmente guardare al futuro con tanta fiducia, parecchio ottimismo, rinnovato entusiasmo, ciò che sembrava essere diventato impossibile; una chimera, per l'appunto. Su questo aspetto il vecchio Joker è stato di parola, bisogna dargliene atto: non ha lasciato il club in mano ad avventurieri di dubbia moralità e ancor più dubbia capacità finanziaria. Non tocca a me descrivere nel dettaglio le potenzialità economiche, gestionali e di investimento del gruppo con sede a Miami, in rete e sui giornali specializzati si trovano informazioni sufficientemente esaurienti; ma sembra chiaro che meglio di così non potesse andare, per un sodalizio del livello del Grifone. E c'è davvero poco da fare gli schizzinosi, o peggio ancora i nostalgici di un calcio che non c'è più, non tornerà e che aveva pur sempre i suoi lati oscuri: ai vertici della piramide pallonara, i tempi dei Rozzi e degli Anconetani sono finiti da un pezzo, è bene metterselo in testa una volta per tutte. 

18 ANNI, UN PEZZO DI VITA - Evento rivoluzionario, dicevo in apertura. Per tutta una serie di motivi: perché il "regno" di Preziosi è durato oltre diciotto anni, un pezzo di vita considerevole per chiunque, in cui si perdono e trovano lavori, iniziano e finiscono amicizie, si vedono andare via per sempre persone care; e perché la seconda metà di questi diciotto anni è stata una discesa agli inferi della passione calcistica: un Genoa via via sempre più marginale, con ambizioni ormai quasi inesistenti, privo di qualsiasi continuità tecnica e quindi di identità, con quel continuo viavai di calciatori divenuto infine smobilitazione, con una società poco presente (eufemismo) in città, nei rapporti con la stampa e soprattutto coi tifosi. Dal sogno all'incubo, in poche parole. 

2003: TRE SQUADRE IN MEZZA STAGIONE - Ho sempre trovato forzata la divisione fra preziosiani e antipreziosiani. Questa lunga gestione è stata talmente movimentata, variegata, "squilibrata", ricca di fatti positivi e negativi da non poter essere liquidata con ideologismi e schieramenti aprioristici. E' la classica situazione per la quale vale la frase "ci vorrebbe un libro", e magari prima o poi qualcuno lo scriverà, nella speranza che racconti tutto quel che c'è da dire. La gestione del Prez ha avuto tanti meriti, come detto concentrati quasi tutti nei primi sette anni, a partire dal salvataggio di un club che pareva destinato al fallimento e alla scomparsa dai radar del calcio che conta per chissà quanto tempo. Dopo la sua presa di potere, con contestuale ripescaggio dalla C1 alla B per via del famigerato caso Catania, il re dei giocattoli mostrò subito una caratteristica che si sarebbe portato dietro, nel maneggiare il... giocattolo Genoa, fin quasi alla fine del suo percorso, ossia l'iperattivismo, il forsennato compra-vendi di calciatori, che transitavano dalla sede di Pegli come in un porto di mare. In quella estate del 2003 allestì addirittura due squadre in poche settimane, la prima per dominare in terza serie, la seconda per fare bene in cadetteria, con in più una terza "riverniciata" alla rosa in sede di mercato di riparazione, per tentare subito l'assalto alla A. Tre Genoa quasi del tutto diversi fra loro in nemmeno metà stagione. 

DALL'INFERNO ALLA... QUASI CHAMPIONS - La massima serie arrivò nel 2005, poi ci fu il pasticciaccio del caso Venezia (in verità mai del tutto chiarito fino in fondo, ancora oggi permangono molti dubbi su alcuni aspetti della vicenda) e la conseguente retrocessione d'ufficio in C. Poteva essere il colpo di grazia, fu invece lo scossone (dolorosissimo) che diede un fondamentale input positivo, inaugurando un quinquennio, o giù di lì, denso di soddisfazioni: l'immediato seppur sofferto ritorno in B, la promozione in A nell'ambito di un torneo difficilissimo che vide la partecipazione, fra le altre, di Juventus e Napoli, il calcio innovativo e spettacolare di Gasperini, i grandi nomi ad illuminare la ribalta del Ferraris spingendo il Grifone fino alle soglie della Champions League, mancata nel 2009 a vantaggio della Fiorentina fra mille recriminazioni. Poi quella che ho sempre considerato la svolta negativa della presidenza, la campagna acquisti dell'estate 2010 in cui Preziosi investì pesantemente per tentare il definitivo salto di qualità: quattro grandi nomi dell'epoca, un paio di loro addirittura grandissimi, ossia Eduardo, Rafinha, Veloso e Toni. Non uno, non due, ma tutti e quattro fallirono, una congiunzione astrale negativa probabilmente irripetibile, e che rappresentò una insostenibile zavorra sotto molti punti di vista. 

DOPO IL 2011, SI SCENDE IN PICCHIATA - Da lì in poi, il buio. Qualche campionato tranquillo e molte salvezze col cuore in gola, l'abisso della vergogna nel 2015, con la qualificazione all'Europa League sfumata per il mancato conseguimento della licenza Uefa, mancanza da me definita "imperdonabile" su queste pagine, e ancora la considero tale. E' stato quello il punto di non ritorno, probabilmente la vera fine dell'era Prez: a seguire solo un modesto, in certi casi mortificante, tirare a campare. Giocatori, anche di valore, che arrivavano per poi ripartire dopo pochi mesi, giovani promettenti subito venduti, depauperamento qualitativo della rosa pressoché costante e inarrestabile, assenza di un cospicuo nucleo fisso di atleti attorno al quale costruire un abbozzo di formazione tipo "a lunga conservazione", un undici che permettesse ai tifosi di affezionarsi, di identificarsi con una squadra che sentivano invece sempre più distante; personalmente, lo ammetto con assoluta onestà, nel continuo tourbillon di calciatori a cui ho assistito, di molti mi sono perso i volti, le fattezze fisiche, in altre parole non sarei in grado di riconoscerli, cosa che anche solo fino al 2011 o 2012 sarebbe stata per me inconcepibile. 

La sensazione era quella di essere diventati soltanto una stazione di transito, un parcheggio per ragazzini da svezzare o per elementi di dubbio valore che erano in esubero in altre società, ed anche un approdo tranquillo per veterani ormai agli sgoccioli. Una situazione allucinante, in cui fare calcio serio, di prospettiva, non era obiettivamente impossibile, e infatti l'unica prospettiva era quella di vivere alla giornata, conquistare la permanenza in categoria e tornare a tribolare dopo l'estate, con un roster rifatto da capo a piedi o quasi.

I 15 ANNI DI A, IL TOURBILLON DI GIOCATORI, L'IMMOBILISMO DELL'ESTATE '21 - Ecco, questo trovano gli americani di 777, e piange il cuore a dirlo. Perché fra tanti errori operativi, scivoloni, promesse mancate, l'ex proprietario, lo ripeto, qualcosa di buono aveva combinato. I quindici anni di A, alla fine, non sono una barzelletta per boccaloni: nel medesimo lasso di tempo, hanno conosciuto l'onta della retrocessione realtà come Sampdoria, Bologna, Torino, e, udite udite, Atalanta. E non sono stati un'illusione i grandi campioni che abbiamo visto sfilare davanti ai nostri occhi in casacca rossoblù: il magico trio della quasi Champions Ferrari-Motta-Milito, ma anche Palacio,  Borriello, Gilardino, per tacere di tanti altri validissimi elementi, da Moretti ad Ansaldi, da Mesto a Kaladze, da Pavoletti a Piatek, fino al gruppo dell'ultima salvezza poi volatilizzatosi in sede di mercato, Perin e Zappacosta, Strootman e Scamacca, Piaça e Shomurodov. Anche alla luce di questi dati di fatto, di questi risultati, di questi nomi, risulta incomprensibile il distacco/disamoramento del patron manifestatosi sempre più massicciamente nell'ultimo quinquennio, col culmine dell'immobilità toccato questa estate, una campagna acquisti quasi provocatoria per la sua impalpabilità, prima della parziale impennata di fine agosto che però, come prevedibile, ha al momento risolto solo in parte i problemi di assetto, ponendo nelle mani del povero cireneo Ballardini la proverbiale patata bollente. 

MEDIATICAMENTE SENZA DIFESA - Gli americani trovano anche un Genoa fragilissimo, quasi indifeso, sul piano comunicativo. Una società e una squadra incapaci di fare la voce grossa, come fanno tutti, di fronte a torti o ingiustizie arbitrali (che ci sono ancora e vanno sottolineate, anche in epoca Var), una società non in grado di rispondere a illazioni, accuse, prese in giro e offese da parte di testate nazionali e locali, quasi disinteressata alle dinamiche mediatiche, trattata spesso a pesci in faccia, con arroganza, e che tutto si fa scorrere addosso, in un mondo in cui se porgi l'altra guancia sei invece spacciato. Non è un aspetto secondario, e anche su questo la nuova proprietà dovrà lavorare. 

VIA IL MUGUGNO, LARGO ALL'OTTIMISMO (GIUSTIFICATO) - Va anche detto che certi media, soprattutto quelli regionali, nel loro atteggiamento non benevolo nei confronti del Genoa (club storico, lo ricordiamo: il più antico d'Italia, e anche solo per questo meriterebbe un minimo di rispetto) hanno trovato terreno fertile nello scetticismo e nel disfattismo a oltranza di una parte (minoritaria, ma rumorosa) della tifoseria. Le tante scottature e delusioni patite non possono portare al tafazzismo, non al punto di cominciare da subito a storcere il naso e a fare le pulci ai nuovi arrivati. No, ragazzi: la svolta c'è stata, e  stavolta è di portata storica. Mettete per una volta da parte l'amore per il mugugno e rialzate la testa. E' ovvio che il 777 sarà chiamato a operare su più fronti: rilancio dell'immagine, riorganizzazione aziendale, potenziamento economico, accrescimento della competitività tecnica del team e altro ancora. Di questo, a tempo debito, negli anni, non mancheremo di chiedere conto: ma ora l'orizzonte è più sereno. "Lasciatelo lavorare": era il finto titolo di giornale che Gianni Ippoliti, nelle sue fantasiose rassegne stampa, faceva ripetutamente comparire sui quotidiani berlusconiani ai tempi in cui Silvio era presidente del Consiglio. Ecco, "lasciamo lavorare" anche il Fondo, senza mordere il freno, perché i tempi saranno lunghi. Ma stavolta sono convinto che l'attesa e la pazienza saranno adeguatamente ricompensate. E allora, signori Wander, Pasko, Arciniegas e Blazquez: benvenuti, e buon lavoro. 

giovedì 9 settembre 2021

MONDIALI 2022: RIECCO LA GIOVINE ITALIA. DAL 5-0 ALLA LITUANIA ALLE PROSPETTIVE TECNICHE E TATTICHE OFFERTE DA KEAN E RASPADORI

Italia-Lituania è stata, nel suo piccolo, la riscoperta delle radici, quelle del 2018, quelle da cui è nato tutto il bello di questo triennio. Un nuovo inizio per l'Azzurra versione Mancio nella sua essenza più genuina, nei suoi princìpi cardine, e che sgombra il campo da qualsiasi "sindrome da riconoscenza" che possa frenare ogni ulteriore progresso della nostra Selezione: il cittì non sarà mai prigioniero del passato, sa che ci sono i margini per crescere innovando nella continuità, e percorrerà questa strada fino in fondo. La scorribanda di Reggio Emilia, un 5-0 maturato in meno di un'ora di gara, non merita ovviamente celebrazioni o trionfalismi, ma scrive un capitolo comunque significativo dell'era Bobby Gol, un capitolo perfettamente coerente con i passi fin qui compiuti. Passi che raccontano di una gestione "verde" nello spirito e nei fatti, con poche chiocce e tantissimi pulcini chiamati a misurarsi sul campo dopo brevi anticamere in panchina. La filosofia è sempre stata questa, fin dall'inizio dell'avventura: buttare nella mischia forze nuove appena se ne intravede la possibilità o, come in questo caso, quando il ringiovanimento diventa un'urgenza dettata dall'emergenza. Ieri, la preparazione atletica ancora in abbozzo e il cumulo di impegni ravvicinati consigliavano un forte turn over, la caratura dell'avversario incoraggiava la scelta, la gragnuola di infortuni e affaticamenti la rendeva obbligata, l'equilibrio psicologico del gruppo richiedeva uno scossone di qualche natura, uno stimolo particolare. 

CONCORRENZA - Corsi e ricorsi: spesso, per rivitalizzare campioni forse preda di un momentaneo rilassamento mentale, occorre pungolarli mettendoli di fronte a una agguerrita concorrenza. Il Trapattoni cittì nel 2003 ricorse alle seconde linee per scuotere i grossi calibri dell'epoca che troppe volte in azzurro diventavano fantasmi, e per un po' di tempo ci riuscì. Situazione radicalmente diversa, è chiaro, in questo dolce 2021, ma è giusto che gli Insigne e gli Immobile, i Bonucci e i Chiellini comincino da subito a sentire sul collo il fiato della nouvelle vague. Lo ripeto da mesi: il bacino da cui pescare si è ampliato quantitativamente e soprattutto qualitativamente, e dopo due lustri di magra sarebbe delittuoso non approfittare di questa buona semina. 

PESSINA E BERNARDESCHI ISPIRANO, KEAN E RASPA BRACCI ARMATI - Così è stata, di nuovo, "Giovine Italia": dinamica, avvolgente, precisa ed efficace nell'assediare i sedici metri avversari, con la vivacità e il movimento continuo di Pessina ad animare la fase di costruzione, con un Cristante determinato e sicuro di sé nel lancio e negli inserimenti, con Bernardeschi particolarmente ispirato nelle vesti di suggeritore e rifinitore. Con questi tre motori alle spalle, e Jorginho a fare il "padre nobile", sorvegliando da dietro senza strafare gli ardori dei compagni emergenti, i due baby Kean e Raspadori hanno potuto giostrare a briglia sciolta, sia pur con dinamiche tattiche diverse: guizzante, velocissimo, ficcante il neo juventino con le sue percussioni laterali e l'abilità nel convergere al centro, universale il giovanissimo del Sassuolo, attaccante ultramoderno, a tutto campo, capace di ripiegare e di presentarsi lucido in fase di "sparo", di concludere da media e corta distanza, di districarsi nel cuore dell'area senza paura (già lo aveva fatto nel finale di Firenze, pur trovando ovviamente meno spazi). Entrambi, soprattutto, puntano a rete senza eccessivi ghirigori, senza titubanze, in modo diretto (Kean ha cominciato a gigioneggiare solo quando si è trovato a corto di fiato), e in questo momento è forse quello che davvero ci vuole per accentuare la pericolosità del nostro team. 

NUOVI SCHEMI OFFENSIVI - Certo non bastano due gol a testa contro la Lituania (il primo di "Raspa" è, per la verità, più un autogol, ma vabbè) per avanzare candidature prepotenti alla titolarità, ma va tenuta in assoluta considerazione la modalità con cui si è approdati all'ottimo bottino delle... imberbi punte: tatticamente, è un modo di approcciare la fase offensiva diverso da quello incentrato su Immobile punta fissa, un modo che sembra offrire più variabili, più soluzioni, forse più imprevedibilità, fermo restando che gli attuali tenutari delle casacche azzurre dalla trequarti in su, Chiesa e Insigne, Berardi e Ciro, se al top della forma sono pur sempre in grado di tagliare a fettine le retroguardie nemiche. Ma ora le alternative ci sono, sono credibili e hanno avuto un discreto battesimo, senza contare che per Kean è una seconda nascita in Nazionale, dopo il folgorante debutto di inizio 2019 poi frenato da questioni soprattutto caratteriali. 

C'è dell'altro: nella scarsa attendibilità tecnica della ripresa di Reggio Emilia, oltre al casuale cross-gol di Di Lorenzo si è visto uno Scamacca che porta più peso, più fisicità in area e che necessita forse di schemi più tradizionali, e han fatto capolino alcuni bagliori di Castrovilli, apprezzabile nei tentativi di costruire e abile al tiro (un suo palo con un destro da fuori meritava la rete). Altri piccoli mattoncini di un edificio azzurro che sta aumentando di dimensioni senza perdere bellezza e armonia nelle linee.  

SBLOCCARLA SUBITO, POI... - Poco altro resta da scrivere, su una partita come quella di ieri era. Giochiamo con un interrogativo solo in apparenza banale: più meriti dei nostri o più demeriti dei rivali? La risposta è la medesima seguita a tante Italia-Lituania del passato (dove ai baltici si può sostituire il nome di altre nazionali di basso livello incontrate nel tempo, da Malta al Lichtenstein), ma val la pena di essere ribadita e tenuta a mente, quando ricapiterà di stentare contro le "piccole". Il segreto è sbloccare il risultato il prima possibile: se ci riesci, e poi continui a premere sull'acceleratore, tutto diventa più semplice, e si moltiplicano le possibilità di portare a casa uno score cospicuo. Se invece non sfondi subito, la controparte acquisisce coraggio e "cazzimma", moltiplica gli sforzi, rinserra ancor più le file accentuando il proprio atteggiamento difensivista e intasando gli spazi a ridosso della sua area e all'interno di essa: a quel punto, la goleada diventa impossibile, e si corre addirittura il rischio della suprema figuraccia, ossia la mancata vittoria. 

LA "CRISETTA" SUPERATA - Ecco perché, "dopo", tutto sembra più facile. A Reggio Emilia, l'Italia ha approcciato l'incontro col piglio giusto: senza fasi di studio o di assestamento, ha subito aggredito e preso possesso del terreno. Non era scontato, dopo le due docce fredde di Firenze e di Basilea. Checché ne dicano i pompieri in servizio permanente effettivo, la "crisetta" c'è stata, una crisetta fatta di occasioni clamorose sprecate in entrambi i match, di due punti persi concedendo ai bulgari il cento per cento di percentuale realizzativa (un'occasione e un gol), e di una involuzione di gioco evidente soprattutto con gli elvetici, conseguenza soprattutto, lo avevo scritto, di una condizione deficitaria che è del resto fisiologica, per come sono attualmente impostati i calendari interni e internazionali. E definirla piccola crisi era opportuno, perché l'appannamento riguardava la rappresentativa campione d'Europa, non una selezione qualsiasi. 

Una formazione opportunamente rinfrescata è stata più che sufficiente ad archiviare la pratica lituana. Nel futuro immediato, Mancini dovrà essere abile a compiere un mirabile lavoro di sintesi, armonizzando veterani e new entry. Quello che, ripeto, ha sempre fatto dal 2018 in poi, ma operare su una squadra fresca di trionfo è mille volte più arduo. 

lunedì 6 settembre 2021

MONDIALI 2022: L'ITALIA ZOPPICA ANCORA E RISCHIA GROSSO. MANOVRA AD ALTO TASSO DI IMPRECISIONE, LUCIDITA' ZERO, CONDIZIONE DEFICITARIA: URGE CAMBIO DI ROTTA

E' stato un brodino, come si dice in gergo pallonaro. Ma uno di quei brodini che lasciano in bocca un retrogusto oltremodo sgradevole. Certo, di base un pareggio in casa della rivale più accreditata nella corsa al Qatar non è affatto da buttare, anzi; ma inquieta e irrita il modo in cui è arrivato. E irrita a maggior ragione dopo aver sentito le dichiarazioni post partita di Mancini e di Chiellini, che hanno straparlato di grande prestazione, superiore anche a quella di Euro 2020 a Roma contro i medesimi avversari: mi sono sentito preso in giro, senza offesa per nessuno, e non c'era bisogno di questo ulteriore boccone amaro per rendermi indigesta una serata già di per sé avvilente. 

LA PEGGIOR CRISI DEL TRIENNIO - Diciamolo: è il momento più difficile dell'eccellente era Bobby Gol. Non ci trovavamo in così evidenti ambasce tecniche dalla zoppicante Nations League 2018, ma all'epoca le giustificazioni erano solide: la squadra era un cantiere, un abbozzo, un'idea ancora di là dal diventare una realtà stabile e credibile. Oggi tutto ciò non esiste. Il fatto che questa fase di crisi si stia manifestando subito dopo il trionfo europeo è di una gravità inaudita. Nessuno ci toglierà mai quella coppa dall'albo d'oro, nessuno ci toglierà i giorni di gioia sportiva che abbiamo vissuto: ma certi titoli, importantissimi, epocali, vanno anche onorati. E onorati da subito; andate a vedervi, per esempio, il rendimento immediato della Spagna di Del Bosque dopo i suoi molteplici trionfi euromondiali: tantissime vittorie, qualche pareggio qua e là. Non si esprimeva sempre al massimo delle sue enormi potenzialità, incontrava qualche difficoltà anche contro formazioni modeste, ma in un modo o nell'altro la sfangava e portava a casa le partite. Perché le grandi squadre devono saper fare soprattutto questo: trarre il massimo anche nelle giornate di scarsa vena, anche nei momenti in cui la brillantezza latita. A maggior ragione se sono in palio punti pesantissimi, come quelli per una qualificazione mondiale. 

IL "SETTEMBRE MOSCIO" E IL CALENDARIO DA RIVEDERE - Oltretutto, questa storia della maledizione settembrina comincia francamente a stufare. Nel caso specifico forse non si poteva fare granché, per via dello slittamento di un anno dell'Euro 2020 che ha portato a un affollamento del calendario internazionale difficile da gestire con equilibrio. Ma questa défaillance di fine estate che colpisce la rappresentativa azzurra è una problematica nota da tempo: riuscirà prima o poi, la nostra federazione, a porre mano al programma calcistico interno per apportarvi le opportune modifiche? Non si chiede tanto: giusto un inizio di Serie A anticipato di sette giorni con in più l'aggiunta di un turno infrasettimanale, in modo da arrivare alla prima sosta per le nazionali con almeno quattro giornate di campionato nelle gambe e nella testa. Con i calendari che torneranno ai normali regimi pre Covid non dovrebbe essere difficile farlo, se davvero si tiene al Club Italia: a queste ultime, fondamentali e in certa misura sciagurate partite, hanno preso parte giocatori che ancora non erano scesi in campo coi rispettivi club, come Berardi, o che avevano disputato solo uno spezzone di incontro, come Chiellini. Ed errori clamorosi come quello compiuto dall'esterno del Sassuolo davanti a Sommer si spiegano anche con i muscoli imbastiti, la mancanza di abitudine all'impegno agonistico, l'assenza di lucidità e di freddezza che invece diventano bagaglio abituale per atleti rodati. 

SI PUO' VINCERE ANCHE IN QUESTO MESE - Rimango convinto che questa falsa partenza sia in larga parte dovuta al grave deficit di condizione atletica che ci affligge in questo periodo dell'anno ma, ripeto, ciò rappresenta una giustificazione solo parziale. Come avevo detto in apertura del commento a Italia-Bulgaria, in passato ci è capitato di vincere sfide importantissime in questo mese, nella identica situazione di fragilità psico-fisica. Proprio contro i bulgari, ad esempio, la Selezione di Prandelli si aggiudicò una sofferta e brutta partita nel settembre 2013, facendo il bis pochi giorni dopo con la Repubblica Ceca (e in quell'occasione offrì anche una prestazione di tutto rispetto) e conquistando in anticipo il pass per Brasile 2014; persino la mediocre Italia di Conte fece il pieno nel settembre 2015 con Malta e, ancora una volta, Bulgaria, senza incantare ma ponendo una seria ipoteca sulla qualificazione all'Europeo francese. 

TROPPI ERRORI A FRENARE LA MANOVRA - Anche la storia e la tradizione, dunque, dicono che si poteva e doveva fare meglio. Tanto più, e non mi stancherò mai di ribadirlo, da freschi campioni continentali. Nel dettaglio del match, non voglio e non posso lasciarmi incantare dalla dichiarazioni semi-trionfali del cittì e di Chiellini, di cui ho detto in apertura. Sostenere che la nostra prova di Basilea sia stata sullo stesso livello di quella del 16 giugno a Roma è un insulto alla logica e all'intelligenza. Gli azzurri hanno espresso un buon tasso di agonismo, rispondendo colpo su colpo al furore degli elvetici, ma sul piano tecnico il bilancio è in rosso. La consueta manovra avvolgente si è vista, ma stavolta è stata ostacolata da tanti, troppi errori di misura nei lanci, nei passaggi, nel controllo di palla: e se il nostro team smarrisce precisione millimetrica e rapidità di esecuzione nella fascia di mezzo, perde gran parte della propria pericolosità. Essendo, quella azzurra, una formazione dal tasso di classe piuttosto elevato, è fin troppo chiaro che tali lacune non siano fisiologiche ma dovute a fattori contingenti. 

JORGINHO: MAI COSI'  "DOWN" - Fra questi fattori, detto e stradetto della preparazione fisica quasi inesistente, non mi sento ancora di inserire l'appagamento post trionfo, perché un gruppo giovane come il nostro non può essere appagato, soprattutto se ha davanti l'obiettivo di un Mondiale da raggiungere e giocare, e perché comunque non ho visto in campo, né a Firenze né ieri sera, segnali di sufficienza o di scarsa umiltà, ma solo fiacchezza e poco sprint di gambe e di cervello. Non si può spiegare in altra maniera un Jorginho così timido, così rintanato nelle retrovie, così parsimonioso nel dispensare idee di gioco plausibili, così "sulle sue". Il rigore orrendamente calciato non è stato che l'inevitabile approdo di una prestazione gravemente insufficiente. A proposito del penalty: perché non farlo calciare ad Immobile, che dopo un primo tempo, al solito, con più ombre che luci, aveva bisogno di una iniezione di fiducia, e che i tiri dal dischetto li sa eseguire quasi sempre con maestria? Poteva essere la svolta positiva dell'incontro, per noi e per lui. Dettagli, sì, ma dettagli che in quadri tattici così equilibrati come quello di Basilea possono fare la differenza. 

PASSI INDIETRO RISPETTO A FIRENZE - Sarò una mosca bianca a pensarlo, ma secondo me, sul piano della fluidità di manovra, della precisione nella costruzione del gioco, della capacità di andare dentro e calciare pericolosamente in porta, si sono fatti grossi passi indietro rispetto a giovedì scorso. Certo, l'avversario era di consistenza diversa, giocava in casa e non è detto abbia tratto svantaggio dall'assenza di veterani come Shaqiri e Xhaka che hanno probabilmente già dato il meglio, ma, in questo triennio, i nostri avevano sofferto così tanto solo una volta, ossia nella semifinale di Wembley contro la Spagna. Potevamo vincerla comunque, certo, perché le occasioni grosse non sono mancate: nel primo tempo Ciro ha mancato l'ennesimo gol pesante del suo percorso azzurro sparando alle stelle su splendido assist di Berardi, il quale poi, lanciato da Locatelli in contropiede, ha calciato su Sommer, quindi Insigne, dopo bella combinazione con Locatelli e Immobile, ci ha provato con un tiro a giro dei suoi, purtroppo non ben calibrato come quello che a Monaco spezzò la resistenza del Belgio. Nella ripresa, detto del penalty, ci sono state altre due buone, ma non clamorose, opportunità per Insigne, la seconda ben rintuzzata da un Sommer che è più che mai, al momento, l'uomo simbolo del nuovo corso elvetico targato Yakin. 

POCHE OCCASIONI, SCARSO APPORTO DEL CENTROCAMPO - Non è molto, come si può evincere dalla cronaca: l'ItalMancio è abituata a creare molto di più, in fase di tiro. Con una produzione offensiva così modesta, sul piano qualitativo e quantitativo, già di per sé è difficile vincere, e diventa impossibile se si gettano alle ortiche le due uniche palle-gol veramente nette e limpide, che sono state due reti sbagliate, più che due prodezze del guardiano di casa. Una produzione modesta soprattutto a causa del modesto lavoro del reparto di mezzo, dove il solo Locatelli ha offerto buone illuminazioni con lanci e intuizioni di pregio, mentre della latitanza di Jorginho abbiamo detto e Barella non è mai riuscito a entrare nel vivo dell'opera di impostazione, limitandosi a un piccolo cabotaggio assolutamente inutile nella circostanza. 

BERARDI FA IL SUO, DI LORENZO SUFFICIENTE, BONUCCI NO - Insigne, come a Firenze, si è sbattuto ma non ha trovato la precisione sotto porta che un campione d'Europa "deve" avere, mentre ci penserei due volte prima di bocciare Berardi: era sì e no al 30 per cento della preparazione, ha sbagliato un gol ma ha anche messo lo zampino in quasi tutte le poche azioni pericolose dei nostri, procurandosi oltretutto il rigore causato da Ricardo Rodriguez. Certo peggio di lui ha fatto Chiesa, che probabilmente ben altro contributo avrebbe offerto giocando dall'inizio e che nel finale ha saputo solo conquistare un fallo prima di entrare in area con un insistito assolo tutto sommato fine a se stesso. Zaniolo ha toccato molti palloni, è stato presente dalla trequarti in su, ha combinato poco ma ha lasciato intravedere buone potenzialità per sviluppi nuovi e interessanti della nostra manovra d'attacco, che ne ha decisamente bisogno. Dietro, infine, a parte un paio di incertezze Di Lorenzo non ha demeritato: sicuramente un  passo avanti enorme rispetto al.... Florenzi fiorentino (ma non ci voleva molto), ma con la riserva dello scarsissimo apporto in fase di spinta, mentre ha profondamente deluso Bonucci, che ha commesso molti errori sia in copertura sia al momento di rilanciare. 

PROSPETTIVE, NUOVI TITOLARI, IL PERCORSO DA COMPIERE - Insomma, per quanto mi riguarda il quadro è questo, al di là delle surreali interviste post partita. Di eventuali correttivi sostanziali, cioè non dettati dall'ovvio turn over, cominceremo a parlare dopo Italia-Lituania, ossia dopo una vittoria obbligata, perché qualsiasi altro esito prefigurerebbe cataclismi a cui non voglio neanche pensare. I nomi, del resto, sono lì sotto gli occhi di tutti, e il bacino da cui pescare non è mai stato così ricco, negli ultimi dieci anni: dietro Lazzari, Calabria, Bastoni, Mancini, nel mezzo Pessina, Castrovilli, oltre a Locatelli ormai titolare aggiunto, dalla trequarti in su Pellegrini, Zaniolo, Kean, Raspadori: le strade per innovare e rinvigorire la squadra senza perdere competitività ci sono... 

Il tabellino di marcia che avevo abbozzato dopo Italia-Bulgaria resta valido: dieci punti da fare, di cui tre con la Svizzera, e la qualificazione è sicura. Il primo punto è stato fatto, e non è da buttare, ma era preferibile farne subito tre contro gli incompleti rossocrociati, perché vivere con l'obbligo di doverle vincere tutte non è semplice, e perché un ulteriore motivo di pressione potrebbe essere rappresentato da una Svizzera che si presenterebbe a Roma in vantaggio in classifica, e quindi con la possibilità di giostrare al meglio sul piano tattico, e abbiamo visto che, quanto a malizia e a intelligenza strategica, Seferovic e compagni sono messi piuttosto bene. Una pressione che potrebbe diminuire se, nel frattempo, i nostri rivali perdessero qualche punto per strada, ma dover cominciare già a settembre a guardare i risultati degli altri rappresenta l'ennesimo elemento di disonore di questo balordo post Europeo. 

venerdì 3 settembre 2021

MONDIALI 2022: L'ITALIA SI INCEPPA CON LA BULGARIA. COSA E' MANCATO? IL KILLER INSTINCT E IL PIGLIO DA CAMPIONI D'EUROPA. PREOCCUPARSI SI', MA NON TROPPO

 Niente da fare. Proprio non ci si riesce a smarcare dalla maledizione agostano-settembrina che grava da anni sulla nostra Nazionale. Non si scappa: alla prima uscita stagionale o non si vince, e a volte si perde persino, o si vince ma giocando in maniera deludente quando non invereconda (ricordo un Cipro-Italia e un Italia-Malta da far accapponare la pelle...). Inutile dire che per ieri sera sarebbe stata di gran lunga preferibile questa seconda soluzione, perché non era una partita qualsiasi e perché i due punti persi rischiano di pesare parecchio, sulla strada verso Qatar '22. Se e quanto peseranno effettivamente, lo sapremo a breve, domenica sera per l'esattezza, dopo il confronto di Basilea, che delicato lo era già di per sé e che adesso è diventato delicatissimo. Vogliamo fare due conti? Per arrivare al Mondiale basteranno venti punti, ossia basterà ripetere nella seconda parte del girone quanto è stato fatto nella prima: ma venti punti vuol dire prenderne almeno quattro alla Svizzera. Qualsiasi altra soluzione ci esporrà a rischi enormi: lotta punto a punto e incerta fino alla fine, decisione alla differenza reti, secondo posto e gironcini di spareggio. E' innegabile che siamo più forti degli elvetici, ma lo siamo anche dei bulgari, eppure...

DOV'ERA L'AUTOREVOLEZZA DEI CAMPIONI? - La premessa, cruda ma realistica, era doverosa. Non posso negare di essere profondamente deluso: non possiamo ricadere nell'errore di sbagliare le gare da non sbagliare, non ora, da campioni d'Europa. Se c'è un'eredità del trionfo di Wembley che dobbiamo conservare e mettere a frutto, è la riconquistata autorevolezza internazionale, che porta con sé quel pizzico di mestiere utile a risolvere a nostro favore anche le sfide più intricate nelle serate meno propizie. Ecco, questo quid in più, il piglio dei vincitori, a Firenze non si è visto, ed è la cosa che più mi preoccupa, oltre al risultato. Certo, di qui a lasciarsi andare al disfattismo più nero ce ne passa, perché le chance di arrivare primi al traguardo del gruppo permangono ancora intatte. Oltretutto, la partita di ieri non lascia particolari inquietudini sul piano della prestazione collettiva: in fin dei conti, si è visto il solito Club Italia targato Mancio. Una compagine che ha menato le danze dall'inizio alla fine, ha aggredito, ha cercato di stanare l'avversario con fitte trame, a volte troppo fitte, e ha concluso più di una volta pericolosamente. 

TANTE OCCASIONI, POCHISSIMA LUCIDITA' - Parliamoci chiaro: gli azzurri nulla avrebbero rubato portando a casa l'intera posta. Prima e dopo il sinistro vincente di Chiesa, Insigne due volte e Immobile erano andati vicini alla segnatura, e nella ripresa ci sono state altre occasioni per Chiesa, Barella, Ciro, più altre situazioni di potenziale pericolo nell'area dei rossi. In tutto questo, Iliev ha trovato il pari sull'unica incursione offensiva bulgara autenticamente pericolosa, ma favorita da una grave incertezza in ripiegamento di Florenzi. Per il resto, il copione avversario è stato il medesimo di tanti nostri oppositori dell'ultimo triennio: difesa stretta e spazi intasati, con qualche ripartenza più dimostrativa e di alleggerimento che effettivamente in grado di far male. 

Della difficoltà a far gioco contro retroguardie chiuse a catenaccio abbiamo più volte detto ed è inutile ritornarci. La giustificazione, peraltro, vale relativamente, riguardo al match di poche ore fa, perché, come detto, alla resa dei conti i ragazzi di Mancini qualche spiraglio per cercare la porta l'hanno trovato. Ma se su otto palle gol più o meno nitide ne concretizzi soltanto una, non hai poi diritto a recriminare molto se non riesci a fare bottino pieno. Cos'è mancato, dunque? In primis, ma non solo, la cattiveria in fase di finalizzazione, problema già più volte emerso in passato e che pareva esser stato parzialmente risolto durante l'Europeo. Non è stata una questione di appagamento: questa Azzurra non può essere appagata, non può compiere lo stesso, malinconico percorso dei campioni di Spagna '82 perché, al contrario di quegli eroi indimenticabili, questi sono in maggioranza elementi ancora nel pieno della vigoria psico-fisica, molti di loro sono giovani se non giovanissimi, e quindi più che mai affamati. 

LA PRECARIETA' FISICA HA INCISO - Ha un bel dire il cittì che lo stato fisico dei giocatori non c'entra, che stavamo bene: la condizione atletica c'entra eccome, a inizio settembre, con una preparazione brevissima e con due sole gare di campionato alle spalle. E la condizione lacunosa incide sulla lucidità, quella che dovrebbe darti la freddezza e la precisione necessaria per non sbagliare gol e assist determinanti. Immobile e gli altri hanno sparato ripetutamente sul portiere: è stato bravo ma non fenomenale, il buon Georgiev; più che di sue prodezze, nella maggior parte dei casi parlerei, appunto, di mira difettosa dei nostri. Perché fare gol infierendo su certe modeste difese di casa nostra è un discorso, riuscirci a livello internazionale, perlopiù districandosi a fatica in fortini munitissimi, è un altro. 

MANOVRA LENTA E TROPPO ELABORATA - Non è stato solo questo, ci mancherebbe. La partenza dell'azione è stata visibilmente e ripetutamente a velocità da moviola, consentendo agli orientali di disporsi opportunamente sul terreno, e la manovra di approccio e rifinitura, fra trequarti e area, è stata spesso troppo elaborata, sono mancate intuizione e velocità di pensiero per mettere palla dentro e per smarcarsi al momento giusto. E non sempre si son presidiati i sedici metri bulgari come si doveva: esempio lampante il cross rasoterra di Emerson che, nel finale, ha attraversato tutta l'area piccola senza che nessuno appoggiasse in rete, proprio perché nessuno era in posizione ideale. Anche queste défaillance sono il prodotto, credo, dello scarsissimo minutaggio ancora nelle gambe e nella testa dei nostri. Non fossimo campioni continentali, e quindi col dovere di volare al di sopra degli alibi, potremmo dire che non siamo stati favoriti dal calendario, visto che di fatto ci giocheremo l'accesso ai mondiali nel mese per noi meno propizio, quello delle figuracce anche contro le scartine, mentre la Svizzera disputerà ben cinque dei suoi otto match da ottobre in poi: ma tant'è. 

VERRATTI IN OMBRA, JORGINHO SUPER - Assenza di killer instinct a parte, dunque, i tre di punta hanno tutto sommato fatto parecchio, quanto a vivacità e iniziative: lo stesso Immobile, tornato bersaglio preferito di critica e tifosi già dai quarti dell'Europeo, ha comunque triangolato con Chiesa nell'azione del gol. Dei subentrati, Raspadori ha trovato un guizzo in un'area affollatissima e il tiro gli è stato ribattuto in corner, Berardi si è acceso a intermittenza ma si è anche trovato addosso mezza difesa bulgara, manco fosse Maradona; e, non essendo appunto Diego, non poteva dribblare tutti ed entrare in porta col pallone... A centrocampo Jorginho ha dato l'anima, toccando un'infinità di palloni e alimentando incesantemente l'azione, meno a fuoco e meno incisivo è parso Verratti, discontinuo ma generoso Barella, utile al solito anche in copertura. 

PROBLEMI SULLE FASCE, DA SFRUTTARE MEGLIO LO STATO DI GRAZIA DI CHIESA - Ci si aspettava di più da Cristante, troppo timido negli inserimenti, e doveva entrare prima Pellegrini: probabile che i due romanisti trovino maggiore spazio già in Svizzera, essendo anche più rodati di altri per via degli impegni in Conference League. Palmieri ha corso e tentato spesso l'incursione, ma l'efficacia di Spinazzola è tutt'altra cosa ed è un'assenza che stiamo scontando pesantemente, anche se molti sembrano essersene dimenticati. Perplessità sull'utilizzo di Florenzi, non solo per l'errore che ha portato all'1-1 ma per una generale insicurezza palesata in varie fasi di gioco: le alternative sul versante destro non mancano, e Di Lorenzo dovrebbe comunque essere la prima scelta, come da indicazioni dell'Europeo. Comunque, su con la vita: tra tanta paura, restano ancora molte certezze. La prima, valida da tre anni, è che non andremo a Basilea a fare bieco attendismo ma cercheremo di giocarcela, e ciò è di grande conforto. La seconda è che abbiamo un Chiesa ancora "caldo" dopo gli splendori di Wembley, e in crescita continua: non approfittare del suo stato di grazia sarebbe delittuoso. 

giovedì 2 settembre 2021

POWER HITS 2021: A VERONA MENGONI VINCE LA GARA DEI TORMENTONI ESTIVI. OCCASIONE PER UN BILANCIO (POSITIVO) DELLA STAGIONE CANORA BALNEARE


In principio fu il Festivalbar, poi arrivò il Summer Festival di Mediaset, ma da qualche anno tocca soprattutto al Power Hits Estate fornire un quadro d'assieme della musica leggera canicolare. Soprattutto ma non solo, perché fra luglio e agosto la carretta delle rassegne vacanziere l'ha tirata il Battiti Live di Radio Norba. Ma il "punto e a capo" lo mette la kermesse targata RTL 102.5, che martedì sera ha celebrato  il suo atto finale in un'Arena di Verona nuovamente affollata di pubblico, pur con le ovvie limitazioni richieste dalla pandemia. L'occasione è quantomai ghiotta per tentare di stilare un bilancio, di valutare il livello qualitativo della proposta canora stagionale. 
BILANCIO IN ATTIVO - Ebbene, vogliamo dirlo? Il bilancio è assolutamente positivo. Trattasi chiaramente di giudizio strettamente personale. Da anni cerco di evitare come la peste il nostalgismo fine a se stesso, all'insegna del "una volta era tutto più bello", "non ci sono più le canzoni di un tempo", "la musica di oggi fa schifo". Semplicemente non è vero: non lo è in senso assoluto, non lo è per il pacchetto canzoni che l'estate 2021 lascia in eredità ai posteri. Come anche le ultime edizioni del Festival di Sanremo hanno dimostrato, gli autori di casa nostra stanno attraversando un momento di buona vena. In questa sede mi riferisco esclusivamente all'easy listening balneare, il cui compito è di sottolineare la leggerezza dei mesi caldi con ritmi allegri e ritornelli accattivanti. Il che non è uno scandalo: è sempre stato così da quando la canzonetta è diventata affare industriale; era così anche ai tempi oggi tanto rimpianti dai suddetti nostalgici, anzi, anche di più, perché oggi il settore vive un momento di crisi vera, non come quella sbandierata ad ogni pié sospinto dagli addetti ai lavori nei decenni passati, anche in periodi di autentiche vacche grasse, coi dischi che si vendevano letteralmente a milioni. 
CONFORMISMO STILISTICO - Assurdo munirsi di puzza sotto il naso, dunque, nell'approcciarsi a una serata come quella veronese, che è stata soprattutto serata di musica di presa immediata, quella che una volta si gettonava nei juke box. Certo, buona parte di questa fresca produzione canora  è votata a un certo conformismo stilistico: cioè, individuato il genere sulla cresta dell'onda, ci si butta a pesce e lo si inflaziona. Anche qui, perfettamente inutile appellarsi ai bei tempi che (non) furono, perché non vi è nulla di nuovo sotto il sole: Nella parte centrale degli Eighties, per dire, ci fu l'abuso della dance modalità "italo disco", e dell'elettronica infilata anche dove era meglio non ci fosse; in tempi più recenti è stata la volta del rap e del trap, a cui da un po' di tempo si è aggiunto e sovrapposto il reggaeton. Oggi come ieri, il segreto del successo sta nell'interpretare questi stili con un minimo di originalità creativa: chi ci riesce è destinato a durare un po' di più, nell'archivio della memoria dei tormentoni estivi all time. 
REGGAETON: HUNT E MENA I MIGLIORI - Esempio: Elettra Lamborghini con la sua "Pistolero" non ha portato nessuna ventata d'aria fresca, e il suo pezzo scorre via come acqua, senza lasciare tracce. Nella galassia reggaeton, decisamente meglio le due coppie italo-ispano-americane, Fred De Palma-Anitta e Rocco Hunt-Ana Mena: fra "Un altro ballo" e "Un bacio all'improvviso", due proposte analoghe, si fa preferire la seconda di Rocco e Ana, per quel tocco di romanticismo da melodia nostrana vecchio stile che va ad ammorbidire le sonorità frizzanti  richieste dal genere, e per l'arrangiamento un po' più variegato. Sono andati sul sicuro i Boomdabash, che hanno... sostituito Alessandra Amoroso con Baby K e fatto centro con una "Mohicani" abbastanza banale ma indubbiamente furbetta e facile da mandare a memoria. La Amoroso quest'anno ha fatto da sola, con il semplice inno alla positività "Un sorriso grande", indubbiamente gradevole. 
POLLICE IN SU: MENGONI, AMOROSO, EMMA-BERTE', BLANCO-SFERA - Pop italiano contemporaneo, il suo, che non strizza l'occhio a tentazioni esotiche, proprio come quello di Marco Mengoni", che con la trascinante "Ma stasera" è stato il trionfatore della serata: il suo brano si è infatti aggiudicato il titolo di "tormentone estivo 2021". Verdetto che ci può stare, per quello che può valere; la stessa Alessandra avrebbe meritato l'alloro (ma era reduce da due successi consecutivi nelle passate edizioni), e poteva farcela perfino il duo Blanco - Sfera Ebbasta con una "Mi fai impazzire" martellante e dalla struttura sonora variegata. Pollice in su anche per la coppia Emma-Loredana Bertè, in perfetta sintonia nell'esecuzione di "Che sogno incredibile", reggae all'acqua di rose che emana davvero profumo d'estate, ma che si sarebbe adattato benissimo anche a una ribalta più ovattata e invernale come quella sanremese. 
VANONI-COLAPESCE-DIMARTINO: IRONIA PREVEDIBILE - Del trio Fedez-Lauro-Berti si è fin troppo parlato, "Mille" è tre canzoni in una, per via degli stili e delle modalità interpretative degli interpreti radicalmente diverse e distanti tra loro: un prodotto intergenerazionale, più intelligente che astuto, con gli ingredienti giusti per accontentare un po' tutti, ragazzi e adulti. Diverso il discorso per un altro strano trio, quello formato da Colapesce, Dimartino e Ornella Vanoni, con una "Toy Boy" che punta tutto su un'ironia un po' "telefonata", prevedibile, visti i protagonisti, ma tutto sommato riuscita, pur non attingendo vette epocali.   
IL POP DI CLASSE DI SAMUEL-MICHIELIN E IL RITORNO DEI SOTTOTONO - Chi rischia e chi no: non ha rischiato Irama con "Melodia proibita", che prosegue il discorso della festivaliera "La genesi del tuo colore" senza ripeterne la possanza e la forza penetrativa; lo ha fatto invece Mahmood con una straniante "Klan" ed una esibizione corale centrata soprattutto sull'aspetto coreografico. E coraggiosa pure Madame (ma ci mancherebbe che non lo fosse, alla sua età e già con la bacheca gonfia di riconoscimenti di critica e pubblico), che in "Marea" prosegue nei suoi azzardi ritmici, e soprattutto continua a giocare con le parole e la pronuncia delle stesse. 
Ancora coppie a go go, come da tendenza recente ormai consolidata: non brillano Annalisa e Fede Rossi con una "Movimento lento" che pure ha mietuto notevoli successi discografici; un gradino sopra, pur senza eccellere, Noemi e Carl Brave con "Makumba", variopinta sul piano della struttura musicale, impreziosita dalla vocalità di Veronica e resa bizzarra dalla cadenza "centroitalica" dell'interprete maschile. Decisamente meglio "Cinema" by Samuel e Francesca Michielin, pezzo di sostanza, una pop dance contemporanea di spessore internazionale, con venature autoriali. E a proposito di cinema... ecco ricomparire i Sottotono in "Mastroianni", sempre fedeli ai loro canoni stilistici di un tempo, forse meno efficaci ma perfino con tratti di eleganza compositiva. Non male. 
TAKAGI-KETRA-FERRERI: NESSUN GUIZZO - Pilota automatico per il collaudato trio Takagi-Ketra-Giusy Ferreri, che hanno fatto centro, radiofonicamente parlando, anche con "Shimmy Shimmy", ma devono stare attenti a non prosciugare del tutto il prezioso filone "da ombrellone" inaugurato con "Amore e capoeira". Ottima conferma per La Rappresentante di Lista con "Vita", diversa e più ballabile rispetto alla classica e struggente "Amare" presentata all'Ariston, a dimostrazione del loro eclettismo. Da rivedere sulla lunga distanza Sangiovanni, per ora ancorato a un easy listening giovanilistico ma con acrobazie e originalità testuali non disprezzabili in "Malibù". Fra gli stranieri, da segnalare Bob Sinclair che azzecca con mestiere "We could be dancing" grazie soprattutto alla voce di Molly Hammar, e Dotan con una "Mercy" di grande atmosfera pur se non particolarmente innovativa. 
CHI NON C'ERA E DOVEVA ESSERCI - Assenti che avrebbero meritato la ribalta scaligera: i Coma_Cose con la avvolgente "La canzone dei lupi", i Kolors in fase di netto rilancio con l'ottimo recupero in chiave moderna di certe soluzioni ritmiche degli anni Ottanta in "Cabriolet Panorama", e soprattutto i Pinguini Tattici Nucleari, la cui briosa "Scrivile scemo" è stata senz'altro una delle colonne canzonettistiche dell'estate che sta per concludersi. E ancora Ariete, che ne "L'ultima notte" fa pop tradizionale all'italiana svecchiandolo con linguaggio e con una dizione adolescenziale (abitudine che ha preso piede nell'ultima nouvelle vague nostrana ma che alla lunga potrebbe perfino risultare fastidiosa), per finire con il "Coro Azzurro" di Arisa e degli Autogol, frizzante port bonheur del trionfo a Euro 2020. 
PRESENTATORI A GO GO - Per contro, il gala è stato arricchito da alcune presenze d'eccezione, come i Duran Duran e una Carmen Consoli che prepara un rientro in grande stile. In assoluto, la serata è stata riuscitissima perché snella, veloce, consacrata totalmente alle sette note nonostante la pletora di presentatori, non tutti essenziali: Angelo Baiguini e Federica Gentile nelle vesti di "vecchi saggi" (senza offesa, naturalmente), i tre giovani Matteo Campese, Fabrizio Ferrari e Paolo di Benedetto a menare le danze con disinvoltura per larga parte della maratona, e un Massimo Giletti di cui non si è ben compresa l'utilità specifica, ma tant'è. Di buono c'è stato che i conduttori non hanno insistito più del dovuto sui riconoscimenti discografici ottenuti dalle varie canzoni in concorso, come invece, tanto per dire, è avvenuto in maniera financo irritante nel corso dell'ultimo Battiti Live. 
DALL'ARENA ALL'ARISTON - L'architettura dell'evento, dalla conduzione alla rapida successione degli artisti, ha ricordato molto il Festivalbar, eterno, inevitabile paragone per i suoi "successori": di diverso, rispetto all'ultima versione della manifestazione di Vittorio e Andrea Salvetti, una parvenza di competitività, visto che il premio a Marco Mengoni è stato il risultato di una classifica fondata sia sull'esposizione radiofonica dei brani in concorso, sia sulle preferenze espresse dagli ascoltatori di RTL. Un'ultima postilla: La Rappresentante di Lista e Colapesce-Dimartino hanno riproposto, nell'occasione, anche i loro pezzi sanremesi, ulteriore testimonianza di quanto sia stata azzeccata la selezione effettuata quest'anno da Amadeus. E a proposito: quali dei cantanti visti all'opera in Arena saranno presenti all'Ariston a febbraio? Secondo me più di uno, anzi parecchi. Arrivo a dire che, per alcuni di loro, provare la carta rivierasca sarà quasi un dovere, per diversi motivi. Ne riparleremo a breve.