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domenica 10 febbraio 2019

SANREMO 2019: FINALE A SORPRESA PER UN FESTIVAL CONTROCORRENTE. NON SCANDALOSO IL SUCCESSO DI MAHMOOD, DELUSIONE PER NEK E TURCI


Ecco dunque la sorpresissima. Alzi la mano chi aveva previsto il trionfo di Mahmood. Io no, sinceramente, e del resto scripta manent. I favoriti erano quei "sei più uno" che avevo citato nei precedenti post (Ultimo, Volo, Irama, Nek, Arisa, Bertè e Cristicchi): l'exploit di "Soldi" è senz'altro uno degli esiti più clamorosi di sempre, nella storia del Festivalone. Per trovare una conclusione altrettanto stupefacente, spiazzante, inattesa, bisogna forse risalire al Sanremo del 1997, alla vittoria dei Jalisse. Dopo, si sono registrate altre medaglie d'oro insolite, penso agli Avion Travel del 2000 o alla coppia Giò Di Tonno - Lola Ponce del 2008, ma si trattava comunque di artisti big, con dignitosissime carriere alle spalle. Il ragazzo italo-egiziano, pur arrivando da diversi anni di "praticantato", è comunque alle prime armi sulle ribalte musicali che contano: il suo percorso sanremese può essere assimilato a quello di Annalisa Minetti, che nel '98 vinse il venerdì le Nuove proposte, si trovò sbalzata nella categoria regina e al sabato sbaragliò nuovamente il campo; la differenza è che, per questa 69esima edizione, la sezione Giovani è stata dirottata nell'anticipo di dicembre, un ridimensionamento che, come già sottolineato, ha tolto importante visibilità mediatica al vivaio rivierasco. In tal senso, si può dire che l'affermazione di Mahmood compensi almeno in parte l'ingiusto trattamento riservato agli emergenti, portando alla ribalta proprio un fresco esponente di quella categoria che un tempo era il vanto della kermesse, e oggi è invece vissuta quasi come un peso. 
VERDETTO CHE CI STA - Onestamente, trovo questo risultato assai meno scandaloso di altri maturati in passato: penso ai citati allori conquistati da Minetti e Di Tonno - Ponce, ma anche a quelli di Marco Carta e Valerio Scanu, che ancora gridano vendetta. Il pezzo di Mahmood mi ha colpito da subito: mai avrei pensato non dico al primo posto, ma nemmeno a un ingresso sul podio; lo accreditavo più che altro di un grosso successo lontano dall'Ariston, ossia vendite, streaming, rotazione radiofonica, perché è un brano fra i più contemporanei dell'edizione, dalla costruzione originale e valorizzato dalla particolarissima vocalità dell'interprete; un brano però martellante, con quelle trovatine testuali (le ripetizioni ossessive di "Come va, come va" e "Soldi, soldi", o il battito di mani) che servono a imprimere una canzone nella mente.
BUON MECCANISMO DI VOTAZIONE - Un'opera che, dicono i primi dati diffusi da mamma Rai, è stata spinta all'affermazione dalle due giurie "d'élite", ossia quella degli esperti (così è definita nel regolamento ufficiale, anche se in diretta è stata ribattezzata "d'onore") e quella della sala stampa, mentre i televotanti da casa si erano espressi massicciamente a favore di Ultimo. Trovo però che le polemiche abbiano poco senso: era peggio col Totip o con la classifica finale affidata esclusivamente agli sms. Il sistema di votazione attualmente in vigore, col suo complesso meccanismo di percentuali, pesi e contrappesi, calcolo di medie e quant'altro, è forse il più equo possibile, al momento. Modera il peso dei ragazzini e dei fans sfegatati che smanettano sugli smartphone, senza però dare un peso eccessivo ai suddetti esperti, che in un paio di edizioni passate hanno invece fatto il bello e il cattivo tempo sancendo verdetti giustamente discussi. Poi tutto è perfettibile, due cose in particolare: gli esperti dovrebbero essere veri addetti ai lavori, ossia musicisti, autori, compositori; riguardo alla giuria della sala stampa, se ne potrebbe fare tranquillamente a meno: i giornalisti dovrebbero valutare le canzoni sulle loro testate di appartenenza, e non condizionare l'esito della gara ligure.
ULTIMO DELUSO, MA SI RIFARA' - Ultimo l'ha presa male, e posso anche capirlo. Aveva un pezzo trasversale, scritto con un linguaggio diretto che arriva ai giovanissimi ma costruito su un impianto tradizionale che può indubbiamente piacere anche a un pubblico più agée, e oltretutto ieri sera ha davvero dato fondo a tutte le sue energie, con la migliore delle performance da lui offerte in questa settimana. Non vale la pena di incupirsi per un secondo posto che poteva essere primo, il giovanotto lo capirà col tempo: a Sanremo conta più il dopo che il durante, ossia gli esiti commerciali e i riscontri di popolarità, che non la graduatoria sul palco ligure. Il gradino più basso del podio rappresenta invece il massimo cui potesse aspirare Il Volo, e i tre ragazzi lo hanno capito, accettando il verdetto con sportività e, anzi, rallegrandosene. Sarà la tranquillità di avere comunque le spalle coperte da un curriculum artistico granitico e sempre ricco di prospettive... Fatto sta che "Musica che resta", canzone iperclassica nell'impostazione e con l'immancabile esplosione di voci nel refrain, ha una sua precisa dignità ma ricalca in buona parte lo schema vincente di "Grande amore", trionfante quattro anni fa; proposta scarsamente coraggiosa, dunque, per la quale il primato sarebbe stato eccessivo. 
BERTE': VA BENE IL QUARTO POSTO - A proposito di delusioni e contestazioni: francamente inaccettabile la reazione del pubblico dell'Ariston al quarto posto di Loredana Bertè. Anche in questo caso, il passato ci ha mostrato di peggio: andando a memoria, ricordo i fischi e le urla che accolsero l'esclusione di Renato Zero dal podio di Sanremo '93. Ma attorno alla cantante calabrese era stato scritto una sorta di romanzo con lieto fine forzato che, alla lunga, è stato francamente seccante: pareva scontato, e perfino doveroso, che dovesse ricevere un premio, o un posto sul podio. Ebbene poteva starci, ma anche no. "Cosa ti aspetti da me" è stata forse la proposta più felice del suo fitto e avventuroso cammino festivaliero, penso a incidenti di percorso come "Angeli & Angeli" del '95 o "Dimmi che mi ami" del 2002, canzone anche carina ma penalizzata da enormi problemi di esecuzione. Da qualche tempo, Loredana ha ritrovato una forma vocale più che accettabile, e lo ha dimostrato anche in questi giorni, ma da qui a far passare il suo pezzo per un capolavoro ci sta di mezzo il mare. Un'opera gradevole che, come nel caso del Volo, ha trovato a parer mio la giusta collocazione in graduatoria. 
NEK: ASSURDO PIAZZAMENTO - Ben altri sono stati colpi di scena di una finalissima a tratti imprevedibile, nello svolgimento e nelle conclusioni. Il diciannovesimo posto di Nek era oggettivamente impensabile: una bocciatura sonora per un artista che, dopo il poderoso rilancio ottenuto nel 2015 con la doppietta "Fatti avanti amore" e cover di "Se telefonando", puntava senza mezzi termini alla vittoria. Vittoria che a parer mio non sarebbe stata scandalosa, perché "Mi farò trovare pronto" ha la stessa forza d'impatto dell'inedito presentato nel primo Festival targato Conti, ed è stato accompagnato da una brillantezza e una sicurezza nella tenuta del palco che avrebbero davvero meritato miglior sorte. Accanto alla vittoria di Mahmood, è forse questa la più grande sorpresa di Sanremo 2019. Più nella logica delle cose il modesto piazzamento di Renga, con un brano in crescendo, interpretato al solito in maniera convincente, ma privo di quel tocco in più in grado di farlo spiccare su altre sue precedenti produzioni; "Aspetto che torni" è comunque di buona fattura, una ballata moderna con un testo tutt'altro che banale, che dovrebbe entrare senza problemi nel repertorio dell'ex Timoria. 
ARISA IN DIFFICOLTA', TURCI MERITAVA DI PIU' - Dispiace per Arisa, cantante che, al di là delle simpatiche bizzarrie del personaggio, nell'ultimo decennio ha conquistato la stima di tanti in virtù delle sue doti canore d'eccezione, voce cristallina, senza cedimenti. Ebbene, ieri sera questa perfezione si è dissolta: la povera Rosalba è incappata in una prestazione pessima, quasi in debito di ossigeno, e mi addolora sinceramente. Si è saputo poi che era febbricitante ed è stata quasi eroica ad affrontare la ribalta: si consolerà pensando di essersi resa forse più umana, e dopotutto la sua "Mi sento bene", così leggera e orecchiabile, dovrebbe avere lunga vita anche nelle settimane post festivaliere. Delusione anche per il sedicesimo posto di Paola Turci: "L'ultimo ostacolo" ha acquisito credibilità ascolto dopo ascolto, melodia malinconica a sostegno di un sentitissimo testo d'amore paterno, fra rimpianto e speranza: per lei, qualche difficoltà di canto per via di un ritornello impegnativo, ma anche un look sensazionale che ha messo in mostra un fisico ancora splendido e delle gambe indimenticabili. Sanremo è anche questo, no? 
CRISTICCHI, SILVESTRI, GHEMON: OPERE DI PREGIO - Cristicchi e Silvestri, quinto e sesto nella graduatoria definitiva, hanno fatto incetta di premi collaterali, e questo era invece prevedibilissimo. Per il cantautore romano siamo nei pressi del capolavoro, per una "Argentovivo" straniante, ruvida, vieppiù valorizzata dal lungo intervento del rapper Rancore. Simone ha portato una composizione delicata, di struggente poetica, anch'essa a suo modo originale, in quanto si regge quasi esclusivamente su un testo di altissimo livello, mettendo in secondo piano l'impianto musicale, ridotto all'essenziale. Alla lunga è venuto fuori Ghemon con la sua "Rose viola", pezzo di raffinate atmosfere; se proprio vogliamo stare a discutere di piazzamenti, fra i primi dieci avrebbe dovuto starci lui invece di Achille Lauro, che non ho trovato neppure tanto fuori dagli schemi; refrain martellante, citazioni a go go di grossi personaggi della musica, dello spettacolo, dello sport: cosa c'è di più convenzionale? 
NIGIOTTI E NEGRITA PROMOSSI - Mi ha piacevolmente colpito il morbido rock dei Negrita, con un testo di protesta che arriva al cuore e alla testa senza ricorrere a parole eccessivamente dure e taglienti, mentre l'ingresso nella top ten è un meritato premio per Nigiotti, e per la sua splendida dedica al nonno e a un mondo più genuino e a misura d'uomo, che ieri sera l'ha portato alla commozione. Nei bassifondi sono invece rimasti i giovanissimi Federica Carta e Shade, che però, scommetto, si rifaranno sul mercato. E questo dovrebbe proprio essere un Festival in grado di far vendere molti dischi, di ottenere visualizzazioni notevoli sulle piattaforme video, perché è stato costruito proprio per centrare questi obiettivi: sfondare sul piano commerciale, lasciare un segno nelle classifiche, traguardo che col primo Baglioni era stato raggiunto solo in minima parte. 
FESTIVAL - RIVOLUZIONE - Sanremo ha perso punti in termini di audience, ed era da mettere in preventivo: a bocce ferme, rileggetevi il cast, e ditemi quante volte, in passato, si è avuto più coraggio nello sparigliare a tal punto le carte di una manifestazione così saldamente ancorata alla tradizione. Quasi la metà dei nomi in concorso erano, questo è sicuro, sconosciuti o semisconosciuti al grande pubblico, quello che in linea di massima segue Rai 1; averli portati in prima serata, nell'evento musicale, televisivo e di costume dell'anno, è stato qualcosa di autenticamente rivoluzionario. Un patrimonio innovativo che non andrà assolutamente dilapidato, un solco sul quale occorrerà insistere chiunque sia il prossimo direttore artistico (da non escludere un Baglioni tris). Innovazione e audacia anche nei dettagli del linguaggio musicale: un po' di turpiloquio in più, ma senza esagerare, tanti riferimenti più o meno velati al sesso (nudità e far l'amore si sono sprecati, senza che nessuno se ne scandalizzasse). Ed è stato anche un Sanremo molto parlato e meno cantato, col definitivo sdoganamento del rap, che, ripeto, può piacere o non piacere ma è la realtà più "à la page" dell'attuale panorama canoro nostrano. 
IL FUTURO? SERENA E AMADEUS - Tutto questo contribuisce a rendere sostanzialmente positivo il bilancio del Festival 2019, facendo passare in secondo piano gli impacci della conduzione, Bisio e Raffaele col freno a mano tirato (con la povera Virginia costretta a tirar fuori in extremis le vecchie imitazioni per ravvivare un po' il palco), la scarsa vena degli autori. La sensazione è che il gruppo di lavoro scelto dal direttore artistico non abbia avuto il tempo materiale per mettere insieme un copione decente, e si sia aggrappato al pilota automatico dell'esperienza; ma il modello Festival del ventunesimo secolo richiede qualcosa di più, in tal senso. Sono tuttavia problemi contingenti e facilmente risolvibili, magari col ricorso a padroni di casa più brillanti e più adatti alla bisogna. Nomi per il futuro? Già fatti qui sul blog in tempi assolutamente non sospetti. La precedenza spetta a Serena Rossi e Amadeus, in attesa che maturi Federico Russo o che si trovi qualche altro "battitore libero" imprevedibile, un attore tipo il buon Santamaria ammirato nella sua apparizione di qualche giorno fa. Vedremo. 

sabato 9 febbraio 2019

SANREMO 2019, LA QUARTA SERATA: TANTI DUETTI PREGEVOLI, MA POCHI QUELLI DAVVERO INCISIVI. BENE SYRIA, SAVORETTI E ALESSANDRO QUARTA


Subito un paio di ringraziamenti: a chi ha inventato la serata dei duetti, ossia Paolo Bonolis e Gianmarco Mazzi nel 2005, e a chi l'ha ripristinata dopo alcuni anni in... frigorifero, ossia l'attuale direttore artistico Baglioni. Perché è un happening meraviglioso, una scheggia impazzita che rompe la liturgia pur sempre presente anche in un Festival controcorrente come quello di quest'anno. E' tradizionalmente la serata più varia, brillante e imprevedibile delle cinque maratone sanremesi, e anche stavolta non è sfuggita alla regola. Il livello delle inedite performance è stato in generale più che discreto, spesso buono, in alcuni casi eccelso. Il discorso cambia un po' allorché si tratta di valutare il valore aggiunto che queste esibizioni hanno effettivamente apportato alle canzoni in gara: in tal senso, mi sento di poter dire che pochi duetti sono stati veramente incisivi, accrescendo l'appeal dei brani in misura evidente. 
BRANI CHE BRILLANO DI LUCE PROPRIA - Intendiamoci: ciò non è necessariamente un male. Significa che le proposte selezionate per Sanremo 2019 sono in buona parte in grado di brillare di luce propria, senza bisogno di nuove voci, nuovi arrangiamenti, tocchi di originalità; che ieri sera non sono mancati, ma sono stati sostanzialmente funzionali alla buona riuscita dello spettacolo nel suo complesso, più che della gara tout court. Cogliendo fior da fiore, ad esempio, è risultata eccellente la fusione fra le voci di Irama e Noemi, così come i vincitori dell'anno scorso, Fabrizio Moro ed Ermal Meta, sono entrati in punta di piedi nei pezzi di Ultimo e Cristicchi, senza snaturarli ma fornendo comunque un contributo prezioso. 
PRESENZE ININFLUENTI - Francesco Renga, per aumentare la forza d'impatto di una "Aspetto che torni" dignitosa me non con le stimmate dell'evergreen, avrebbe avuto bisogno di qualcosa di più del sommesso intervento dell'autore Bungaro e del sostegno prettamente coreografico di Eleonora Abbagnato e Friedemann Vogel, così come i rapper Gué Pequeno e Rocco Hunt hanno "sovrastrutturato" e appesantito i pezzi di Mahmood e Boomdabash, di gran lunga migliori nelle versioni originali. Godibili e riuscite le abbinate Turci - Beppe Fiorello e Zen Circus - Brunori Sas, ma ininfluenti per la resa finale delle canzoni, così come la presenza di Nada al fianco di Motta, duetto che pure ha conquistato il successo di tappa sulla base di un verdetto discutibile, visto che l'esibizione dei due non è certo stata la migliore, sul piano tecnico, e nemmeno quella più coinvolgente.
L'ITALIANO DI HADLEY E IL VIOLINO DI QUARTA - Più di colore che di peso autentico, ma comunque apprezzabili, le ospitate di Cristina D'Avena, impeccabile nell'inserirsi nel dialogo a due Federica Carta - Shade, e di Tony Hadley, che col suo italiano stentato ci ha riportato ai tempi di Mal dei Primitives e di Rocky Roberts, ma che ha se non altro reso ancor più pimpante e allegrotta "Mi sento bene" di Arisa: migliorasse un po' la pronuncia, potrebbe proporsi in concorso nei prossimi anni, visto il rapporto privilegiato con l'Italia e l'affetto che continua a riscuotere dalle nostre parti. Gira che ti rigira, un reale quid in più ai loro compagni di duo sono stati in pochi a portarlo: su tutti, mi sento di citare il portentoso violinista Alessandro Quarta, talento clamoroso e animale da palcoscenico, che ha dato nuovo vigore e nuove vesti sonore a "Musica che resta", buona composizione di stampo tradizionale ma in sé poco coraggiosa, visto che ha totalmente mantenuto i ragazzi del Volo nel solco di "Grande amore", trionfatrice del 2015. 
SYRIA, SAVORETTI E IL RITORNO DEI SOTTOTONO - Importante anche la presenza di Diodato e dei Calibro 35 per aumentare l'avvolgente atmosfera di "Rose viola" di Ghemon, così come gli inserimenti di Jack Savoretti in "Solo una canzone" degli Ex Otago, binomio tutto "genovese" (Jack, per chi non lo sapesse, è tifosissimo del Genoa): il cantante anglo-italiano ha aggiunto grinta a un pezzo fin troppo soffuso e romantico. Syria ha dato calore e intensità alla canzone di Anna Tatangelo (ed anche sensualità: Cecilia è una donna che migliora col passare degli anni sul piano della fisicità, al di là delle sue indiscusse e sottovalutate doti canore), la particolare vocalità di Manuel Agnelli è stata comunque utile a Daniele Silvestri e Rancore, anche se "Argentovivo" non aveva particolare bisogno di maquillage, perché siamo di fronte a qualcosa di molto vicino al capolavoro. Ultime annotazioni: il piano di Paolo Jannacci ha reso ancor più struggente la poetica dedica di Enrico Nigiotti al nonno recentemente mancato, mentre la presenza di Giovanni Caccamo, pur minimalista, ha fatto prendere quota al duo Pravo - Briga, fino a ieri sera oggetto piuttosto misterioso del 69esimo Festivalone, discorso in parte applicabile anche a D'Angelo - Cori, grazie ai quali c'è stata la clamorosa ricomparsa su una grande ribalta di Big Fish e Tormento dei Sottotono, diciotto anni dopo la non felicissima esperienza del 2001. Un tocco di vintage in un Sanremo ultramoderno. 
PILLOLE DI ANNA E MELISSA - In una serata monopolizzata dalla gara parallela dei duetti, poco spazio per il resto. Più del comunque notevole mini-show di Ligabue, ha colpito il monologo di Claudio Bisio sul rapporto padre - figlio: un parziale riscatto di una prestazione festivaliera fin qui grigia da parte del comico piemontese, anche grazie all'intervento di Anastasio, fresco vincitore di X Factor, talento vero. E' proprio il Sanremo dei rapper: chi lo avrebbe mai detto l'anno passato, quando questa realtà, che piaccia o meno è colonna portante della musica italiana di oggi, fu praticamente ignorata? Riuscite le pillole di presentazione affidate alle due fanciulle del Dopofestival, Anna Foglietta e la stellina nascente Melissa Greta Marchetto, bellezza particolare ma che buca lo schermo, ragazza dalla favella facile. E c'è stato finalmente il breve ma sentito ricordo della tragedia del Morandi, nel giorno in cui è iniziata la lunga opera di demolizione di ciò che resta del ponte maledetto. Attendiamo fiduciosi anche due parole di commemorazione per Giampiero Artegiani, sensibile cantautore scomparso nel giorno di apertura della kermesse e finora menzionato solo in sala stampa. 
CHI VINCERA'? MISTERO... - Poche righe per stasera: poche perché il pronostico è quasi impossibile. I nomi dei favoriti sono sempre gli stessi: ieri ho citato il sestetto Ultimo - Irama - Nek - Volo - Arisa - Bertè, con possibile inserimento di Cristicchi, e rimango fedele a quanto scritto, anche perché le parzialissime classifiche rese note in questi giorni non consentono di avere un quadro d'insieme su chi sta davanti, chi indietro, e quali distacchi ci sono. Si brancola nel buio, insomma: "Mistero", avrebbe detto il Ruggeri del 1993, ma proprio per questo la lunga finalona di stasera dovrebbe risultare ancor più appassionante. 

venerdì 8 febbraio 2019

SANREMO 2019, LA TERZA SERATA: SHOW DI BUON LIVELLO. CONVINCONO VENDITTI E RAF-TOZZI, SERENA ROSSI MATTATRICE A TARDA ORA


Eppur si muove. Sanremo 2019 sembra essersi sbloccato, e ha proposto una terza serata dal notevole tono spettacolare, sicuramente la migliore di quelle finora andate in scena. Certo, anche stavolta non tutto ha funzionato alla perfezione (troppo lungo lo sketch dedicato a "Ci vuole un fiore", inutile la comparsata di Ornella Vanoni, anche se era gratis, come da lei sottolineato...), ma nel complesso le quattro ore di diretta sono state godibili e sostenute da un buon ritmo fino alla fine. Merito soprattutto degli ospiti italiani, va detto: a proposito dei quali continuo a pensare tutto il male possibile, ma, se proprio devono essere presenti, è giusto che lo siano come han fatto Venditti e il duo Raf - Tozzi, cioè con ampi ed emozionanti stralci del loro immenso repertorio. Ecco perché in un contesto del genere, di autentico e sentito omaggio al meglio della storia della musica italiana, è parsa ancor più fuori posto la presenza eminentemente promozionale di Alessandra Amoroso: fra l'altro un'interprete che ho imparato ad apprezzare dopo le perplessità iniziali, ma ciò non toglie che anche lei, come altri che l'hanno preceduta, avrebbe dovuto venire in gara; e in gara avrebbe dovuto festeggiare i suoi primi dieci anni di carriera, traguardo minimo anche se rilevante, soprattutto per una ragazza uscita da quei talent che sono spesso fucine di meteore canore. 
SERENA ROSSI: STUPENDA - Per questa serata intermedia, quindi la più insidiosa sul piano della capacità di tener vivo l'interesse, Baglioni e il gruppo autoriale hanno saputo giocarsi le carte vincenti, mettendo in campo vip fuori concorso di notevole appeal nostalgico. Ma, accanto ai suddetti mostri sacri, merita una menzione la stupenda Serena Rossi, ingiustamente confinata a tardissima ora con il suo omaggio a Mia Martini. Serena è un talento poliedrico, un'artista a tutto tondo, che sa fare tutto e lo sa fare bene, e personalmente non lo scopro certo oggi. Meriterebbe un Sanremo tutto suo, da padrona di casa e mattatrice: il sommesso consiglio a mamma Rai è di costruire un progetto Festival attorno a lei, nella certezza che verrebbe fuori qualcosa di riuscito e gradevole. Oltretutto, la sua commozione al termine dell'esecuzione di "Almeno tu nell'universo" è parsa autentica, e la sincerità dei sentimenti è un altro pregio di questo personaggio che è un patrimonio da non dilapidare, al quale mi sento di augurare il meglio possibile. 
EASY LISTENING - Una volta completato il secondo ascolto live dei brani in gara, si può trarre qualche conclusione in più. Sul piano generale, il pacchetto di proposte non manca di caratteristiche bizzarre e contrastanti: perché la direzione artistica della rassegna ha palesemente cercato l'innovazione, l'esplorazione di territori fin qui poco battuti; eppure, alla fine della fiera, c'è una quota di easy listening del tutto inattesa, in rapporto alla provenienza e alla cultura musicale di molti dei protagonisti. Ed è senz'altro un merito degli ultimi arrivati nel microcosmo Sanremo, l'aver saputo trovare una sorta di "compromesso minimo", cercando l'immediatezza delle opere senza per questo abbandonare la cifra stilistica di appartenenza: parlo di gente come Ghemon o Motta, ma anche di Mahmood e Boomdabash, portatori di generi non propriamente classicheggianti eppure candidati quantomeno al trionfo radiofonico. 
FRASI E PAROLE TORMENTONI - Si ravvisa insomma una certa orecchiabilità, ottenuta dagli autori anche attraverso la ripetizione martellante di certi temi, di certe frasi: dalla Rolls Royce di Achille Lauro ai "soldi soldi" del citato Mahmood, dal "non mi va" dei Negrita al "sono pronto" di Nek, fino al "non dormirò, non dormirò", di Nigiotti, giovane autore dalla vena fresca e genuina, che trova anche il modo di citare con grande sensibilità "ponti che crollano", ed era giusto che qualcuno lo facesse...
Sembrano piccolezze, ma anche queste piccole trovate servono affinché una canzone lasci il segno, valorizzando contenuti comunque di spessore. Trovate testuali di cui non ha avuto bisogno Simone Cristicchi, entrato quasi di soppiatto in questo Festival, dopo anni passati a calcare i palcoscenici del teatro di impegno civile e sociale, e all'improvviso ritrovatosi fra i favoriti per un exploit finale che sarebbe clamoroso; ma la sua "Abbi cura di me" è una composizione di intensa, struggente poesia, ben scritta e ottimamente interpretata; ecco dunque un altro artista a 360°, che in carriera ha saputo divertire con canzoni fortemente ironiche, e colpire al cuore e allo stomaco con testi di autentico spessore letterario, da "Ti regalerò una rosa" a quello appena proposto all'Ariston. 
I FAVORITI E I "CRIPTICI" - Detto questo, dovessi al momento azzardare un pronostico punterei sul sestetto Volo - Nek - Bertè - Arisa - Irama - Ultimo: sono tanti, a testimonianza di un equilibrio di valori che da tempo non si vedeva in Riviera. Irama racconta una storia fin troppo tragica (ragazza con gravi problemi cardiaci e per di più maltrattata dal padre alcolizzato), lo fa senza toccare le pregevoli vette di Cristicchi o di Silvestri, con linguaggio semplice, magari indulgendo fin troppo alla retorica, ma la sua "La ragazza con il cuore di latta" tutto sommato colpisce e funziona. Il vincitore dei giovani 2018 ha azzeccato una "I tuoi particolari" in perfetto equilibrio tra impianto musicale tradizionale e linguaggio contemporaneo. Non voglio assolutamente fare paragoni irriverenti e al momento improponibili, ma il suo modo di porsi non è poi molto diverso da quello del Ramazzotti della prima ora, un saper parlare alla propria generazione senza per questo risultare rivoluzionario e futuristico, "criptico" per gli ascoltatori un po' più in là con gli anni. A proposito di tradizione, è quella che ha sposato Francesco Renga nella sua "Aspetto che torni", intimista e di dignitosa caratura ma che, probabilmente, non gli consentirà di lottare per il trionfo di sabato. Rimangono avvolte da un'aura di mistero le canzoni di Einar e Anna Tatangelo, che al momento trovo di scarsa consistenza, quella degli Zen Circus, difficile da assimilare, la più complessa di Sanremo 2019, forse più da Premio Tenco, e per questo quasi un unicum nella storia del Festivalone; e poi le coppie Pravo - Briga e D'Angelo - Cori, che scontano finora delle performance tecnicamente non perfette. E stasera duetti, una delle più belle invenzioni sanremesi di inizio secolo. Da non perdere. 

giovedì 7 febbraio 2019

SANREMO 2019, LA SECONDA SERATA: LO SPETTACOLO STENTA A DECOLLARE, APPESANTITO DAI SUPER OSPITI. IN GARA BENE NEK E NEGRITA


Le precarie sorti di Sanremo 2019 si reggono quasi unicamente sulle spalle dei cantanti in gara e dei loro pezzi. Qualche decennio fa sarebbe stata un'ovvietà, ma da un po' di tempo non lo è più: da quando, precisamente, il Festivalone ha mutato pelle trasformandosi da gara musicale a show musicale, arricchito cioè da numeri di varietà e da ospitate più o meno clamorose. Un evento mediatico che, insomma, affida il suo successo televisivo più alla cornice che al quadro: solo che quest'anno la cornice sta palesando una debolezza in parte inattesa, relativamente ai padroni di casa, e in parte largamente prevedibile, pensando allo stracco cast di stelle fuori concorso in passerella. 
LIEVE CRESCITA - Anche la seconda serata, pur facendo registrare una lieve crescita qualitativa del livello spettacolare, ha comunque messo a nudo scelte infelici sul piano autoriale e la sostanziale, totale inutilità dei siparietti coi cantanti italiani non in gara, a proposito dei quali sarebbe opportuno scatenare una vera e propria battaglia, ma ne accennerò più avanti. Il trio di conduttori continua a pagare dazio: sottotono il direttore artistico, più che mai aggrappato all'incerta, ennesima esecuzione dei suoi classici, frenato un Bisio che appare come il classico pesce fuor d'acqua, mentre Virginia riesce a strappare la sufficienza grazie al talento e al mestiere (di buona fattura la sua dissacrante versione della Carmen di Bizet), ma non si può negare che ci si attendesse qualcosa di più anche da lei. 
LA SORPRESA PIO-AMEDEO - Peraltro forse ci siamo abituati male: non è Sanremo il luogo in cui personaggi come Bisio e Raffaele possono dare libero sfogo al loro estro, tanto più se sono chiamati in primis ad esercitare il ruolo di padroni di casa. Se devi presentare, diminuisce lo spazio da dedicare a ciò che si sa far meglio: paradossalmente, ma neanche tanto, meglio un quarto d'ora da ospite in cui fornire ampi saggi delle proprie doti da mattatori o mattatrici. Non a caso Virginia fece benissimo tre anni or sono, quando la responsabilità della conduzione era in larga parte a carico di Carlo Conti; e non a caso l'intermezzo più riuscito di ieri sera è stato, a tarda ora, lo sketch irriverente e fuori dagli schemi di Pio e Amedeo. Nello scarso appeal della "sceneggiatura" della kermesse stanno incidendo le scelte autoriali di cui si diceva: perché riportare sul palco Favino prima e Hunziker poi è stato un doppio autogol. I due anfitrioni del 2018 hanno infatti messo ancor più a nudo i limiti di quelli di quest'anno, con due apparizioni brevi ma portatrici di brio e brillantezza in serate assai monotone: in particolare, il duetto Bisio - Michelle in "La lega dell'amore" è stato forse il momento più saporito di queste prime dieci ore di diretta, ritorno di fiamma dell'antica, comune militanza sullo scanzonato palco di Zelig. 
LACUNE AUTORIALI E PREMI ALLA CARRIERA DISCUTIBILI - Scarsa fantasia anche nell'utilizzo dell'icona Pippo Baudo: non c'era davvero niente di meglio che rispolverare il ricordo della "canzone del secolo" proclamata nell'85 per consentire poi a Baglioni di eseguire, per l'ennesima volta, "Questo piccolo grande amore"? A proposito della quale Pio e Amedeo non hanno forse tutti i torti (lo dico un po' per scherzo un po' sul serio...): bellissima, intramontabile, stupenda, ma il troppo stroppia (fermo restando che per me non è nemmeno la miglior composizione del cantautore romano, ma qui entriamo nel campo dei discutibilissimi gusti personali). Per chiudere questa catena di strafalcioni, e pazienza se mi attirerò qualche antipatia: era proprio necessario assegnare il premio alla carriera a Pino Daniele, oltretutto quasi di soppiatto e senza omaggiarlo con qualcuno dei suoi splendidi brani?
Mettendo da parte la malinconia per un fuoriclasse che ci ha lasciati troppo presto, e parlando in termini pratici, il compianto Daniele non ha mai messo piede a Sanremo in gara, e solo una volta in qualità di ospite. Fra chi invece ha concorso più volte, ottenendo anche notevoli successi, c'è ad esempio un altro campano, tal Peppino Di Capri, plurivincitore e pluripartecipante, che un riconoscimento di tal guisa lo meriterebbe senz'altro, così come altri personaggi che hanno fatto la storia di questa manifestazione, senza mai sottrarsi al brivido della tenzone canora. Non si tratta di fare gli snob e gli offesi verso chi dalla Riviera si è quasi sempre tenuto lontano, per scelta personale rispettabilissima: casomai è vero il contrario, ossia lo snobismo esiste verso tanti validissimi artisti che proprio grazie a Sanremo hanno costruito buona parte della loro carriera. Va bene Pino, insomma, per un trofeo che comunque non aggiunge alcunché alla sua grandezza, ma non dimentichiamoci di altri musicisti e cantanti amati e titolati (Zanicchi, Bobby Solo, Cinquetti, Don Backy, Leali, Fogli...).
NEK, VOLO E BERTE' PUNTANO IN ALTO - Serate come quelle di ieri e di oggi sono fondamentali per apprezzare maggiormente le caratteristiche e il livello delle opere in gara, dopo l'indigestione del gala di apertura. Le prime impressioni sono in buona parte confermate: Nek ha la canzone tormentone che può puntare alla vittoria, ma troverà temibili avversari nel Volo, che sono andati sul sicuro fornendo una versione riveduta e corretta di "Grande amore", italica melodia con spiegamento di voci nel ritornello, nel solco della tradizione sanremese, pertanto autorevole candidata all'alloro finale. Occhio però a Loredana Bertè, finalmente sul pezzo con una proposta d'autore, classica e moderna al contempo, e bene interpretata. Piace Arisa in vesti assai pimpanti e con echi di musical, oltretutto più umana del solito, avendo incontrato difficoltà di esecuzione forse per la prima volta nella sua lunga storia in Riviera. Difficoltà palesi anche per Paola Turci, frenata forse da malanni di stagione, ma la sua proposta non è male, anche se meno esplosiva e immediata della splendida "Fatti bella per te".
OTTIMO SILVESTRI, BENE I NEGRITA - Originale e ben scritta "Rose viola" di Ghemon, curioso il rock martellante di Achille Lauro, Silvestri ai massimi storici con un un racconto di vita teso, serrato, di quelli che lasciano l'amaro in bocca. Non orecchiabile, non radiofonico, ma non è detto che non possa godere di lunga e felice vita dopo i passaggi all'Ariston: di certo, entrerà a buon diritto nelle scalette dei live del cantautore, e credo gli porterà nuovi consensi. Non si sono avventurati per strade ardite i genovesi Ex Otago, con una ballatona romantica che sarebbe andata più che bene anche per i Festival anni Ottanta e Novanta (con la speranza che sabato il leader del gruppo ci sveli l'identità delle varie donne che abbraccia a fine performance), così come i Negrita, fedelissimi al loro stile ma assai convincenti con un morbido rock sostenuto da un testo di spessore, per un mix azzeccato che si imprime bene nella memoria. 
ABBASSO GLI OSPITI - Viva la gara, dunque, e più che mai abbasso gli ospiti italiani. Qualcuno mi dovrà spiegare, ma non riuscirà a convincermi, il senso di far venire Mengoni e Mannoia a presentare l loro più recenti o nuovi prodotti. Rispetto ai concorrenti, una disparità di trattamento inaccettabile, che la buona prova del vincitore del 2013, in ottima forma vocale, non può compensare: un'anomalia con esigenze più promozionali che spettacolari, alla quale il nuovo direttore artistico (se nuovo sarà) dovrà avere il coraggio di porre rimedio. Meglio allora, e lo avevo sottolineato già in fase di vigilia, il ritorno di Cocciante, che perlomeno un Sanremo lo ha fatto e lo ha vinto, nel '91, oltretutto sbaragliando una concorrenza monstre (Zero, Tozzi, Minghi, Bertoli... ), e che ha offerto un numero di peso, tratto dall'opera Notre Dame. Anche lui, però, sempre con la solita "Margherita" (oltretutto sbagliata da Baglioni nel duetto); ha un repertorio infinito, altre canzoni meravigliose: se al pubblico offri sempre le stesse cose trite e ritrite, si perde la voglia di scoprire il nuovo, si perdono gli stimoli per pretendere spettacoli più arditi e interessanti. 

mercoledì 6 febbraio 2019

SANREMO 2019: COMMENTO ALLA PRIMA SERATA. TROPPA CARNE AL FUOCO, PRESENTATORI A SCARTAMENTO RIDOTTO


Dopo la prima serata, una sola certezza, che è poi una piacevole conferma: di tutti i Sanremo succedutisi nel ventunesimo secolo, questo è senz'altro il più contemporaneo, il più rappresentativo dell'attuale scena musicale italiana, una vera full immersion nella realtà. Non è poco: in passato ci si è spesso riempiti la bocca con la parola "contemporaneità", che, alla prova dei fatti, nel cast era rappresentata da pochi volti affiancati ai soliti noti, giusto per dare il contentino alle nuove generazioni senza urtare più di tanto il pubblico tradizionale del Festivalone e dell'ammiraglia Rai. Gaudeamus, dunque, se pensiamo a certe definizioni taglienti date dai critici ad alcune edizioni che furono, da "Jurassic Sanremo" a "Fuga da Sanremo". Non si è cercato di rassicurare lo spettatore medio con la solita manciata di Al Bano, Cutugno e compagnia da tempo cantante: una scelta coraggiosa che va rispettata, tanto più nel momento in cui porta a un calo di audience che probabilmente era stato messo in preventivo da direttore artistico e vertici della tv di Stato. 
RAFFAELE E BISIO "FRENATI", SPETTACOLO PIATTO - Per il resto, abbiamo assistito a un'apertura interlocutoria, e non è stata certo la prima volta. Va detto che il format della serata era condizionante: si trattava di proporre, in un'unica lunga carrellata, tutte e 24 le canzoni in gara. Tante, troppe: probabilmente non ci si era più abituati. Da questo punto di vista, nonostante il taglio innovativo della proposta musicale, è stato invece messo in scena uno spettacolo old style: una serata modello "Sanremo di una volta", con una lunga successione di brani, senza troppi diversivi. Proprio per questo, non me la sentirei di bocciare in toto la qualità dello show: è vero, la sensazione è stata di un certo piattume generale, mancanza di guizzi in grado di far saltare sulla sedia i teleutenti. Ma non c'era la possibilità di spaziare troppo, e a pagarne lo scotto sono stati soprattutto i due "battitori liberi" alla presentazione, Virginia Raffaele e Claudio Bisio: in particolare, la verve comica dell'ex conduttore di Zelig è parsa appannata, anche nell'unico momento "solista" avuto a disposizione, con un monologo sui migranti privo di autentica originalità.
BAGLIONI NON BRILLA - Virginia se l'è invece cavata, e del resto, nonostante la giovane età, sa come muoversi sui palchi importanti, variando registri e adattandosi alle circostanze. Le imitazioni e gli sketch li vedremo probabilmente da stasera in avanti, nella serate con meno musica e più intrattenimento; di rilievo comunque il duetto con Pier Francesco Favino nel miscuglio di musical Mary Poppins - Bohemian Rapsody - Sister Act. Un po' poco, d'accordo, ma, ripeto, mancava proprio il tempo materiale per fare di più. Quanto a Baglioni, è stato più discreto rispetto all'onnipresenza del 2018, e questo è un bene, ma anche più "legnoso" e meno a proprio agio: effetto delle polemiche della vigilia? Può essere, visto anche lo scambio di battute con Giorgia a proposito delle sue prospettive professionali... 
TROPPE CANZONI IN UN COLPO SOLO - La musica, adesso. Si diceva della quantità esorbitante di canzoni: da anni non erano così tante al vernissage. Dodici mesi fa i big in gara furono venti, ai tempi di Carlo Conti si raggiunse il tetto massimo di 22 nel 2017, quando però i concorrenti vennero equamente distribuiti nell'arco delle prime due sere. Un menu sovrabbondante e difficile da digerire: sarebbe pertanto ingiusto e avventato, per quel che mi riguarda, cominciar da subito a tranciare giudizi più o meno inappellabili. Non invidio i giornalisti chiamati a fare le loro valutazioni già dopo il primo ascolto in anteprima a loro riservato dalla Rai, qualche settimana fa. E se i blog fossero esistiti già negli anni Ottanta, quando invece era una regola presentare da subito tutti i brani della categoria regina (per ragioni legate alle votazioni Totip, che dovevano concludersi il sabato mattina e che quindi richiedevano un ascolto immediato dei pezzi), mi vien da pensare a che fatica avrei fatto a scrivere qualche nota critica, visto che, prima della finale, le canzoni venivano proposte all'Ariston solo una volta... e mezza (c'era un parzialissimo riascolto nella serata del venerdì), e per poterle apprezzare meglio l'unica soluzione era quella di agire affannosamente sulla manopola della radio alla ricerca di emittenti che trasmettessero già la nuova produzione... 
NEK, ARISA E BOOMDABASH: ORECCHIABILITA' - Anche la scaletta non mi è parsa congegnata in modo perfetto: gran parte dei grossi calibri hanno avuto il privilegio di esibirsi nelle prime ore di diretta, lasciando a notte fonda molti emergenti e volti meno popolari. Si poteva invece spostare dopo la mezzanotte almeno un paio dei personaggi più attesi, per alimentare un clima di attesa che avrebbe spinto maggiormente i rilevamenti Auditel. Poi, certo, in mezzo a tale bombardamento di note qualcosa nelle orecchie è rimasto. Ad occhio e croce, le opere di Nek, Arisa e Boomdabash hanno le stimmate dei potenziali tormentoni, la Bertè presenta un brano tutto sommato convincente e ben interpretato, a sancire il definitivo recupero vocale di un'artista che una decina d'anni fa pareva perduta. Francesco Renga e Il Volo hanno sposato la prudenza, nel senso che sono rimasti fedelissimi alla loro cifra stilistica senza correre rischi innovativi, ma possono comunque lasciare il segno sia al Festivalone che nelle chart.
SILVESTRI, NIGIOTTI E NEGRITA: TESTI DI PREGIO - Chi ha stupito favorevolmente è stato invece Daniele Silvestri che, con la collaborazione di Rancore, sembra aver confezionato un piccolo gioiello cantautorial - rap di raffinata crudezza. Achille Lauro martellante con la sua Rolls Royce (ma il regolamento del Festival non dice che gli artisti "non potranno pronunciare frasi, compiere gesti, utilizzare oggetti o indossare capi di vestiario aventi riferimenti, anche indirettamente, pubblicitari o promozionali"?), Carta e Shade leggerissimi ma assai radiofonici, Mahmood originale e moderno, Ultimo su una linea melodica coniugata al presente e l'ormai nota, eccellente capacità di scrittura. Nigiotti brilla soprattutto per un testo sentito, intimo e commovente, i Negrita portano un pop-rock morbido e avvolgente a sostegno di parole di forte impegno civile. Ma tutto va risentito con calma, e in un contesto festivaliero meno zeppo di voci e proposte. 
OSPITI SUPERFLUI - Rimane da parlare degli ospiti: quelli canori, come volevasi dimostrare, hanno aggiunto poco o nulla allo spettacolo. Abbiamo solo sentito un bel duetto della Bocelli Family in "Follow me", col condimento di un telefonatissimo passaggio di consegne fra padre e figlio, e avuta la conferma che Giorgia, quanto a doti vocali, non ha proprio nulla da invidiare alla compianta Whitney Houston di cui ha intonato "I will always love you"; però non c'era bisogno di questa comparsata per averne la certificazione, e sarebbe stato più piacevole sentire da lei un pezzo inedito presentato in competizione. Ma di questo "figli e figliastri" ho già parlato ieri... Favino sugli stessi, ottimali standard dell'anno scorso, sostanzialmente inconsistente il contributo di Claudio Santamaria, pur se una certa spigliatezza lo pone come autorevole candidato, perché no, a una futura conduzione del Festivalone. 

martedì 5 febbraio 2019

SANREMO 2019 AL VIA: GARA DI GROSSI CALIBRI. LA NOTA STONATA? I "SUPER OSPITI" ITALIANI


Sulla carta, si annuncia come un Festival memorabile. Gli ingredienti per un'edizione storica parrebbero esserci tutti: in primis un cast di concorrenti "mostruoso" sul piano della qualità e della popolarità dei nomi, e nel contempo più che mai aperto alle nuove tendenze della canzone nostrana. Diciamoci la verità, ragionando in termini di realismo e lasciando da parte i voli pindarici: di più e di meglio, oggettivamente, era difficile auspicare. Il listone unico dei 24 in concorso è zeppo di personaggi di prima fascia: idoli pop dell'ultimo decennio, tanti ex vincitori di epoche non lontane che tornano sul... luogo del delitto, il fenomeno rap e quello indie che trovano uno spazio mai avuto all'Ariston in precedenza. Non c'è un vincitore scontatissimo come in tanti Sanremo passati (c'è il favorito, questo sì, e si chiama Ultimo, ma ha una concorrenza agguerritissima), non c'è neanche quel livellamento di valori spesso riscontrato, in cui l'incertezza del pronostico è data dal fatto che nessun concorrente spicca sugli altri per prestigio e curriculum.
BIG DI SPESSORE ASSOLUTO - Personalmente, faccio fatica a ricordare, perlomeno riguardo al secolo in corso, un Festivalone così ricco di veri big: vincitori recenti, si diceva, come i ragazzi del Volo che non avevano alcuna necessità di rimettersi in gioco, forti di una popolarità oceanica che ha da tempo valicato i confini nazionali; e poi Arisa, che si impose nel 2014, e ancora Renga e Cristicchi, due trionfatori degli anni Zero, il primo sempre sulla cresta dell'onda, il secondo ai margini del mondo discografico solo perché ha optato, negli ultimi tempi, per un percorso di teatro civile. Grossissimi calibri sono anche il citato Ultimo, che ha legittimato la vittoria fra i Giovani 2018 mettendo d'accordo pubblico e critica nei mesi successivi, quel Nek che vuol completare l'operazione rilancio avviata col secondo posto del 2015 centrando finalmente il primo alloro rivierasco, giovanotti rampanti come Irama e il duo Federica Carta - Shade che alla loro età hanno già fatto incetta di dischi di platino...
Un cartellone migliore, lo ripetiamo, era difficile metterlo insieme, fatti salvi gli eterni assenti allergici alla gara (un nome per tutti: Cremonini) e gli esponenti del cantautorato tradizionale che peraltro è anche piuttosto infantile continuare a rimpiangere. Sia perché molti di essi hanno già dato il meglio da tempo e non aggiungerebbero granché, se non rimpianti per i tempi che furono, sia perché Sanremo ha dimostrato, alla lunga, di poter fare abbondantemente a meno di loro. 
ANCORA I "CAST PARALLELI" - Tutto perfetto, dunque? Non proprio. Sulla kermesse ai nastri di partenza si addensano almeno due tipi di nubi. Innanzitutto il cast "a tre piazze", che ripete e amplifica l'anomalia già manifestatasi dodici mesi or sono. Nel presentare Sanremo 2018, avevo infatti parlato di "tre cast paralleli", in riferimento ai cantanti in gara, agli ospiti italiani e ai duettanti del venerdì. Il format viene riproposto in questa edizione, in misura financo esagerata: il gruppone dei vip italiani fuori concorso non rischierà forse di oscurare quello dei gareggianti, che abbiamo detto essere di elevata consistenza, ma è comunque una truppa a 24 carati. Certo, ci sono i prezzemolini che una passeggiata all'Ariston non se la fanno quasi mai mancare (Giorgia, Mannoia, Bocelli, che perlomeno offrirà un brivido emozionale in più "sdoganando" il talentuoso figliolo Matteo), ma Baglioni ha saputo convincere anche personaggi recalcitranti alla ribalta sanremese come Antonello Venditti (unica precedente apparizione nel 2000) e reclutato big sulla cresta dell'onda quali Marco Mengoni e Alessandra Amoroso. 
SUPEROSPITI: CATEGORIA DISCUTIBILE - E allora, qual è il problema? Semplice: la categoria dei super ospiti italiani, da sempre discutibile, tocca forse in questo 2019 l'apice della sgradevolezza  e dell'inopportunità. Mengoni, giovanotto che a Sanremo deve tantissimo, avendolo vinto sei anni fa in un momento in cui il suo percorso di crescita stava incontrando qualche difficoltà, non è mai più tornato in competizione; la Amoroso con la gara non si è proprio mai cimentata, nonostante voci e indiscrezioni ogni anno la inseriscano puntualmente fra i "papabili", e poteva oltretutto risparmiarsi il post di giubilo pubblicato su Facebook ("Ce l'abbiamo fatta, abbiamo realizzato il nostro sogno, saremo lì come ho sempre sognato", eccetera eccetera); Ligabue e Venditti, entrambi alla seconda presenza, hanno sempre snobbato la kermesse ligure nella sua accezione primaria di tenzone canora. Ebbene, tutti loro colgono adesso al volo l'occasione di fare passerella senza rischi, omaggiando la canzone italiana come richiesto dal direttore artistico, certo, ma anche autopromuovendosi, mentre, parallelamente, rischiano amarezze e delusioni colleghi altrettanto famosi, grandi venditori di dischi e collezionisti di sold out nei live. 
MEGLIO GLI STRANIERI - Spiace, ma così è troppo comodo. Appena accettabili soltanto le presenze di Riccardo Cocciante, che perlomeno un Festival l'ha vinto in un periodo in cui non aveva certo bisogno di un rilancio, e Ramazzotti, che ha avuto tanto da Sanremo ma gli ha anche dato tantissimo, con tre partecipazioni consecutive (visto il suo clamoroso exploit, avrebbe anche potuto fermarsi alla seconda del 1985, per poi fare ugualmente la carriera che avrebbe fatto), così come anche Giorgia, che dopo aver combattuto per quattro volte (1994, 1995, 1996 e 2001), ora sta fuori dalla mischia. Ma questo fare figli e figliastri fra i cantanti nostrani è una distorsione che andrebbe sanata: serve per fare audience, è chiaro, per compensare la presenza di qualche nome insolito fra i gareggianti, nomi che potrebbero spiazzare la platea tradizionale e tendenzialmente anziana del primo canale Rai; è necessario anche per accontentare esigenze di case discografiche e manager vari, d'accordo. Ma resta un'ingiustizia, e trovo che Sanremo avrebbe semmai bisogno di una nuova, cospicua apertura ai grandi nomi internazionali; non la pletora di divi stranieri che caratterizzò certe edizioni degli anni Ottanta e Novanta, ci mancherebbe, ma sei - sette nomi selezionati che innalzerebbero l'eco della manifestazione e creerebbero nuovo interesse. Costerebbero di più, forse, ma sarebbero investimenti fruttuosi. 
Del resto, anche se può sembrare un controsenso per quello che è denominato ufficialmente "Festival della canzone italiana", Sanremo è veramente decollato quando ha aperto le sue porte all'Europa e al mondo: nel '64, dopo un periodo di stanca, arrivarono i grandi interpreti di fuorivia, e da lì partì un boom di successo e di vendite che si protrasse per quasi dieci anni. Personalmente, qualche straniero lo riporterei perfino in gara, e del resto il regolamento non chiude le porte a questa soluzione, che peraltro negli ultimi anni è stata adottata raramente (la sola Lara Fabian nel 2015, in un'edizione per la quale, raccontano le cronache dell'epoca, pare siano stati in corsa per la partecipazione autentici numeri uno come Anastacia e Michael Bolton). 
CONFLITTO D'INTERESSE: SI' O NO? - Secondo buco nero di Sanremo 2019: il caso del presunto conflitto di interessi del direttore artistico, tematica nella quale non mi addentro perché non ho né le conoscenze giuridiche né tutte le informazioni necessarie per trarre conclusioni. E' però palese, e lo ha sottolineato anche la Rai, che da qualche tempo è in atto una forma di eccessiva concentrazione dei più prestigiosi cantanti italiani sotto l'egida di poche agenzie, dalle quali una manifestazione come Sanremo non può dunque prescindere per poter costruire uno spettacolo decente. Il problema andrebbe quindi risolto alla base, fuori e lontano dalla Riviera, creando le condizioni per una maggiore concorrenza, per un mercato più aperto, ma non è affatto facile. Quanto a Baglioni, la sua integrità morale e artistica non è in dubbio, ma visti i rapporti professionali che parrebbero intercorrere con una di queste agenzie, stando alle informazioni di stampa, per il futuro sarebbe forse meglio trovare per il Festivalone un altro responsabile. Anche qui: fosse semplice... Ci vorrebbe un nome fuori della mischia, ma dove lo si va a pescare? Nel mio piccolo, mi permetto di suggerire Claudio Cecchetto, che non ha mai fatto mistero di gradire un eventuale ritorno a Sanremo come direttore artistico (lo ha ribadito anche in una recentissima ospitata durante una trasmissione del servizio pubblico), e sul piano della competenza e dell'esperienza avrebbe tutte le carte in regola; non so però se abbia contratti o rapporti lavorativi in essere. 
SENZA NUOVE PROPOSTE - Infine, ci sono le perplessità relative alla soppressione della sezione Giovani nel contesto della gara di febbraio, per relegare le "nuove proposte" in una kermesse dicembrina che ha avuto tiepida accoglienza sul piano dell'audience. La sensazione che gli emergenti fossero avvertiti come un peso per il Festivalone vero e proprio è stata netta negli ultimi anni, ma almeno Carlo Conti aveva forzato la mano riuscendo a riproporli in un orario degno, addirittura in apertura di serata, nella fascia di "anteprima". La formula studiata da Baglioni rappresenta per il momento un passo indietro, in quanto questi ragazzi sono stati privati di una platea vastissima, e si è negata la possibilità di farsi notare a tanti artisti battuti nelle votazioni dai "neo big" Einar e Mahmood, ma non per questo meno validi. Spero che l'eventuale, nuovo deus ex machina della rassegna capisca quanto la categoria rappresenti linfa vitale imprescindibile per Sanremo, e debba essere potenziata, non svilita. Ma sono considerazioni che ci portano troppo lontano, per il momento. Fra poche ore comincia Sanremo 2019: la griglia di partenza vede nelle prime file Ultimo, Il Volo, Nek, Irama, Renga, Arisa. Si parla benissimo delle proposte di Silvestri, Cristicchi, Motta, Achille Lauro. I giudizi dei giornalisti che hanno potuto ascoltare i pezzi in anteprima, pur con le ovvie discrepanze, si sono orientati verso una valutazione di buon livello della produzione proposta. Le aspettative sono alte, dunque, ed altrettanto alto è il rischio di rimanere delusi. Da stasera inizieremo a capire.