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martedì 8 settembre 2020

NATIONS LEAGUE: AD AMSTERDAM IL SUCCESSO PIÚ PESANTE DEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI AZZURRI. LA GRAN SERATA DI SPINAZZOLA E LOCATELLI. E ZANIOLO TORNERÀ


La vittoria di Amsterdam è la più "pesante", oltreché prestigiosa e importante, degli ultimi quattro anni azzurri, diciamo a far data dallo strepitoso 2-0 inflitto alla Spagna negli ottavi di Euro 2016. Di sicuro un significativo esame universitario superato, perché dalla prova di maturità delle qualificazioni continentali l'Italia era già uscita a pieni voti, mentre una prova del nove sulla competitività di questa squadra serviva più che altro agli ipercritici, agli scettici ad oltranza, ai San Tommaso calcistici (della serie "se non li vedo battere una grande, non credo alla loro forza"). Discorso che personalmente non mi ha mai riguardato, e l'ho scritto tante volte su queste pagine, anche nei giorni scorsi: al di là della relativa caratura degli avversari, undici vittorie consecutive non si ottengono mai, e sottolineo mai, per caso. Nello specifico, dietro il filotto dei Mancini boys, interrotto venerdì dalla Bosnia, c'era qualcosa di estremamente concreto e sostanzioso, sol che lo si volesse vedere senza abbandonarsi alle trite tiritere sui calciatori italiani che non sono più quelli di una volta: c'era un progetto tattico ben definito, c'erano giocatori con doti di palleggio e personalità in sboccio, c'era uno spirito sbarazzino, aggressivo, propositivo. 
AUTORITARI ALL'ESTERO, NON ACCADE SPESSO - Queste doti si erano intraviste anche al Franchi, pur nelle difficoltà di quella serata, dal ritorno all'impegno agonistico dopo dieci mesi alla condizione fisica approssimativa e all'assenza di uomini chiave. Queste doti son tornate ad emergere nitidamente nell'Arena intitolata a Cruijff. Il Club Italia post disastro Mondiale è un team che non ha paura di prendere l'iniziativa e che sa impadronirsi del gioco anche su campi difficili e contro rivali di rango. In senso assoluto, in quasi quarant'anni che seguo il calcio non mi è capitato spessissimo di vedere la nostra Nazionale andare all'estero a imporsi in maniera così autoritaria, perentoria, senza eccedere in gherminelle difensive. E' una rarità storica, credetemi, e questa giovane Azzurra manciniana l'ha fatto già ripetutamente, a partire da quella esibizione in punta di tecnica in Polonia, nell'autunno 2018, che segnò di fatto la nascita della nuova Selezione. 
OCCASIONI A GO GO E MANOVRE DI PREGIO - Cito spesso la vittoria di Chorzow siglata in extremis da Biraghi, perché è l'esempio plastico di quelle partite che incidono più di altre nel percorso di costruzione e di crescita di una rappresentativa. Da lì è iniziato tutto, da lì si è vista la luce in fondo al tunnel. Da Chorzow 2018 ad Amsterdam 2020 un fil rouge ben definito, fatto di bel gioco e di piedi buoni in quantità persino inaspettata. Recuperato Jorginho e con più benzina nel motore, il che vuol dire maggior velocità di esecuzione e rapidità nel disegnare le azioni, l'Italia ha ripreso a giostrare come sa, prendendo letteralmente a pallonate i Paesi Bassi nel primo tempo per poi controllare con discreta sicurezza nella ripresa almeno fino alla mezz'ora, quando ha rinculato sotto l'ovvia pressione dei locali restando però pericolosissima nelle ripartenze. La splendida girata di Zaniolo alta di poco, i tiri ad effetto di Insigne ed Immobile a sfiorare il palo, infine la perentoria inzuccata di Barella su assist della Scarpa d'oro al culmine di una vertiginosa azione offensiva di ubriacante bellezza; e, nel secondo tempo, altre opportunità per Insigne (con prodezza di Cilessen) e due volte per Kean, che ha sprecato incredibilmente un contropiede ma che va nel complesso elogiato, perché si è calato nella parte con grande disponibilità al sacrificio, rientrando a tamponare nella zona di mezzo. 
SUPER SPINAZZOLA, KEAN IN RIALZO - Kean pare avviato sulla strada del recupero a misure degne del suo talento, ma il discorso va allargato, perché questa Nazionale sta facendo del bene a tanti nostri calciatori e quindi a tutto il movimento. Il Donnarumma azzurro, ad esempio, non sbaglia un colpo, e ieri ha sventato, in avvio di secondo tempo, una clamorosa palla gol deviando in corner una conclusione ravvicinata di Van de Beek; uno dei pochi interventi difficili a cui è stato chiamato il milanista, che però sa mantenere alta la concentrazione anche quando non è sottoposto a "bombardamenti" avversari. E che dire di Spinazzola? Continuo, propositivo, ficcante: batte la corsia sinistra con inesausto furore, sa anche saltare l'uomo oltreché crossare, è un punto di riferimento per i compagni che lo cercano a ripetizione: visto che si indugia spesso in arbitrari accostamenti, spesso figli di nostalgia fine a se stessa, fra gli azzurri di oggi e quelli di ieri, bene, mi sento di poter dire che questo ragazzo sarebbe stato titolare fisso in molti club italiani di alta classifica degli anni Ottanta - Novanta, la nostra età dell'oro, e che al momento, in Nazionale, può giocarsi tranquillamente il posto con Emerson. Meno convincente è stato sull'altro versante D'Ambrosio, i cui limiti tecnici peraltro sono noti, ma ha raggiunto comunque la sufficienza e nel finale ha sbrogliato una situazione spinosa nell'area piccola. Continuo a pensare che, a destra, soluzioni più attendibili siano rappresentate da Di Lorenzo e anche dall'impeccabile Lazzari dell'ultima stagione laziale.  
LOCATELLI, GRANDE "ACQUISTO" - Nel mezzo, come detto, fondamentale è stato il rientro di Jorginho, con la sua paziente tessitura e alcune verticalizzazioni di prima che hanno incrementato l'efficacia della manovra azzurra. Barella è andato più a corrente alternata rispetto a Firenze, ha fornito un contributo più di spada che di fioretto, confermando peraltro la sua straordinaria efficacia negli inserimenti in area, siglando il gol vittoria con un colpo di testa da centravanti vero. Senz'altro più cospicuo è stato l'apporto alla manovra di Locatelli, esemplare nelle due fasi, capace di lavorare una gran quantità di palloni con grande costrutto e pochissime sbavature: un acquisto importante e definitivo, per un reparto che da anni non avevamo così ricco di fosforo e di piedi educati. 
IL PROBLEMA DEL GOL E L'ANNO NERO DI ZANIOLO - Rimane il problema dell'attacco: problema, perché dalla gran mole di gioco e occasioni prodotte è uscita la miseria di un golletto, realizzato per di più da un centrocampista. Intendiamoci: non si può non promuovere la prova di Insigne e Immobile, che hanno martellato la difesa arancione, hanno concluso direttamente, confezionato assist, aperto varchi, ma continua a latitare il killer instinct. Soprattutto Ciro, ora che è cannoniere principe europeo, ha una responsabilità in più e, in accordo con Mancini e coi compagni, deve trovare il modo di diventare una freccia acuminata anche in rappresentativa, così come devono al più presto raddrizzare la mira Kean e Chiesa, che hanno il gol nelle loro corde. Nell'immediato ci si potrebbe anche affidare a Caputo, peraltro tutto da scoprire sui palcoscenici internazionali: un salto nel buio, insomma. Infine, Zaniolo, evidentemente nel suo anno più buio. Si consoli: pagato il tributo alla malasorte, tanti campionissimi del passato sono tornati ai massimi livelli, in primis Roby Baggio, anche lui martoriato non poco nel primo periodo della carriera (e purtroppo anche in seguito). Coi suoi strappi, le sue incursioni, le sue accelerazioni, può diventare elemento chiave del gioco azzurro: la sua presenza è fondamentale nel futuro del progetto Mancini, ma ora occorrono calma, prudenza e circospezione nel percorso di recupero, senza forzare i tempi, e pazienza se dovrà rinunciare all'Europeo. Il ragazzo è ancora un talento in erba, non ha bisogno di bruciare le tappe.  

sabato 5 settembre 2020

NATIONS LEAGUE: ERA IMPORTANTE RIPARTIRE. MA SENZA VERRATTI, JORGINHO, DINAMISMO E FRESCHEZZA ATLETICA, E' UN'ITALIA ANNACQUATA

Era importante ripartire, possibilmente senza troppi danni, ed è stato fatto. In una situazione come quella attuale, è difficile e forse anche poco sensato tracciare un quadro critico della performance azzurra con la Bosnia. Si tornava in campo dopo dieci mesi di stop, un intervallo agonistico così lungo la Nazionale non lo viveva dal 1946, e già questo dovrebbe bastare a dare un'idea dell'eccezionalità del momento. Sarà difficile considerare attendibili le gare di una Nations League collocata a cavallo fra le due stagioni più anomale nella storia del calcio mondiale del dopoguerra, con campionati e coppe di club finiti da poche settimane e già prossimi alla ripresa, con calciatori storditi da un tour de force di partite estive, con poche vacanze per rigenerarsi e pochi giorni di allenamento nelle gambe. 

Questo non è calcio, mi pare evidente. Poi vale più o meno per tutti, a tutte le latitudini, ma in fasi del genere soffre di più chi ha un'idea di gioco propositiva. Ecco, se non altro la gara di Firenze ha lasciato l'impressione che la lunghissima pausa non abbia annacquato gli insegnamenti di Roberto Mancini, i cui primi risultati si videro proprio in chiusura della precedente Nations League, in Polonia, quando sbocciò improvvisa e inattesa una squadra manovriera, capace di impadronirsi del campo e di tenere costantemente sotto pressione gli avversari. I cardini di questa filosofia si sono intravisti al Franchi, ma al di là delle buone intenzioni non si poteva andare. Mancavano troppi fattori determinanti: l'Italia scesa in campo poche ore fa non è la migliore possibile in senso assoluto. Nemmeno le Nazionali più forti, esperte e consolidate nella loro struttura possono rinunciare contemporaneamente a due pedine chiave nel reparto più importante: la nostra selezione era priva di Verratti e Jorginho (quest'ultimo in panca ed evidentemente non al meglio, dopo il rientro in extremis dal Chelsea), cioè il cuore pulsante di tutto il meccanismo. Lo splendido Barella di questo 2020 ha confermato l'acquisita personalità internazionale caricandosi sulle spalle il lavoro di tutto il reparto, ma è ovvio che non possa cantare e portare la croce da solo. Sensi può essere una buona spalla ma solo in condizioni di forma accettabili, che non ha ancora raggiunto, comprensibilmente, dopo i triboli della stagione interista; ha trovato comunque il modo di lasciare il segno sul match propiziando l'autorete del pareggio, confermandosi arma letale negli inserimenti offensivi. Risulterà utilissimo quando tornerà al top, così come Lorenzo Pellegrini acquisirà maggior efficacia giocando qualche metro più avanti, da trequartista, cosa che accadrà inevitabilmente quando nel mezzo rientreranno i grandi assenti di ieri sera. 

Per una gara così delicata, un nuovo debutto dopo un vuoto quasi "bellico", il cittì ha evitato sperimentazioni (ci saranno un paio di amichevoli più avanti, per tentare strade nuove), affidandosi ad alcune certezze acquisite nella prima parte della sua gestione, diciamo a un manipolo di "pretoriani". Da qui, ad esempio, l'utilizzo di Biraghi in luogo del titolare Emerson, e di Chiesa sulla fascia destra d'attacco. Se il laterale basso ha fatto il suo, dignitosamente, come quasi sempre in rappresentativa, il figlio d'arte continua ad essere né carne né pesce: un buon tiro sull'esterno della rete nel primo tempo, il lungo traversone per il palo di Insigne, tanti tentativi abortiti sul nascere, molto fumo e poco arrosto per quello che, avanti di questo passo, rischia di diventare il primo vero "caso" della Nazionale targata Mancio. Ma, lo ripetiamo, tutto è relativo: questa è una squadra nata per tenere l'iniziativa, far girare palla, aggredire; per riuscirci deve avere brillantezza fisica e lucidità, ciò che al momento latita. Troppo lenta la fase di impostazione per poter far assumere al gioco i connotati della pericolosità: senza dinamismo, senza passaggi e smarcamenti rapidi, una compagine votata alla difesa come quella bosniaca non può che avere vita facile, costringendoti a soluzioni estemporanee e velleitarie come i continui cambi di fronte, da destra a sinistra e viceversa, attuati dai nostri nei primi quarantacinque minuti, con esiti sconfortanti. 

Contenimento e contropiede: questo e null'altro hanno fatto gli uomini del santone Bajevic, dopodiché, quando si può contare su uno dei pochi fuoriclasse d'attacco del calcio mondiale, si può anche riuscire a sfruttare una delle poche palle gol e a sfiorare una vittoria che sarebbe stato premio fin troppo eccessivo. Verrebbe da dire che se questa Italia avesse un Dzeko, là davanti, potrebbe persino avvicinarsi ai massimi valori del football europeo, una volta raggiunta la miglior condizione atletica. Al Franchi Belotti ha deluso, timido e privo di slancio; avendo in rosa la Scarpa d'oro europea, bisognerebbe trovare il modo di sfruttarla al meglio. Da troppe parti si legge che Immobile non rappresenti la soluzione ideale per il modulo - Mancini, ma credo sia un preciso dovere del trainer e dello stesso bomber laziale trovare un punto d'incontro tattico, per non privare la selezione di una bocca da fuoco potenzialmente devastante. 

Poco da dire sugli altri singoli. Senza infamia e senza lode la prova della coppia centrale Acerbi - Bonucci, che si sono lasciati sfuggire Dzeko sul gol ma hanno almeno tentato di contribuire alla fase di rilancio, com'è nelle loro corde (soprattutto dello juventino). Il più attivo in assoluto è stato Insigne: spesso disordinato, raramente incisivo, alla fine è risultato comunque il più pericoloso della sterile squadra azzurra, sfiorando il palo su punizione, colpendo un legno di testa e, nel finale, mettendo sulla testa di Zaniolo un tiro-cross che ha portato il romanista a un passo dal gol. Ma l'occasione migliore è capitata sui piedi di Florenzi, che di destro ha chiamato il portiere Sehic a una gran deviazione. E' stata peraltro l'unica cosa positiva per il veterano azzurro ex Valencia, divenuto famoso per le sue percussioni offensive che invece, nella circostanza, raramente si sono manifestate. In questa nuova era azzurra rimane un buon ripiego per un ruolo in cui dovrebbe figurare come prima scelta il napoletano Di Lorenzo.