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giovedì 15 ottobre 2020

NATIONS LEAGUE: ITALIA IN DIFFICOLTA' CON L'OLANDA. CI SALVANO L'ASSE CHIELLINI - BARELLA E UN'OTTIMA TENUTA DIFENSIVA

Non si era mai vista così in difficoltà la Nazionale del Mancio, perlomeno da quando è diventata una squadra vera, ossia dalla trasferta in Polonia per la prima Nations League, gara qui pluricitata in quanto pietra angolare del processo di maturazione del nuovo Club Italia. Nella serata di Bergamo l'Olanda, a tratti, ci ha fatto veder le streghe, e in simili circostanze è sempre meglio guardare alla metà piena del bicchiere: non aver perso è un grande risultato e mantiene intatte le nostre speranze di artigliare il primato nel girone. 

Di più: pur in una situazione di notevole sofferenza, i nostri le hanno prese ma anche date, nel senso che, a fronte dei rischi corsi, hanno avuto almeno tre opportunità clamorose per conquistare l'intera posta, due delle quali, una per tempo, capitate sui piedi di Immobile, per il quale in azzurro continua a mancare il killer instinct laziale. La svolta negativa del match è coincisa proprio con la palla gol fallita da Ciro su perfetto assist di Verratti: dal possibile, e non immeritato, 2-0, si è passati all'1-1 nel volgere di una manciata di minuti, coi tulipani oggettivamente fortunati, visto che il pari di Van de Beek è stato propiziato da un rimpallo a centro area. 

Da quel momento, lo si è detto, Italia in ambasce, ma più per una situazione di imbarazzo tattico che per la classe degli avversari, visto che quanto a livello tecnico, a qualità dei singoli, le due rappresentative grosso modo si equivalgono, a parer mio. I problemi che affliggono il cittì sono noti, al di là delle contingenze della partita: Jorginho ha confermato di attraversare un periodo di scarsa brillantezza, Immobile ha sempre il "braccino" nei sedici metri finali, Chiesa continua ad essere troppo fumo e poco arrosto: qualche giocata la azzecca, ma non basta, e l'incisività in avanti è ancora una chimera. Come vivacità, come spirito di iniziativa, meglio il subentrante Kean, che però parte eccessivamente da lontano non riuscendo a diventare pericoloso in zona tiro. 

E tuttavia, giusto sottolinearlo, non sono mancati i motivi di consolazione. Tre nomi dalla cintola in su: Verratti, per il citato lancio ad Immobile e per aver saputo comunque dare ordine a un reparto di mezzo un po' sballottato, a costo di qualche scorrettezza di troppo in fase di copertura; Barella, ottimo sia in interdizione che in impostazione, scheggia in perenne movimento e autore del geniale passaggio in diagonale che ha mandato in gol Pellegrini; e Lorenzo, appunto, confermatosi incursore di vaglia e il cui contributo al lavoro offensivo è stato questa volta premiato da una meritata segnatura. Ma è naturale e confortante che, in una gara di notevole sofferenza come quella di ieri, le cose migliori siano arrivate dalla difesa. Per una squadra abituata a tenere pallino, ad aggredire, a giocare sempre col muso puntato verso la porta avversaria, un esame di sostanza per la retroguardia era necessario, e va detto che è stato superato tutto sommato a pieni voti. Perché, come detto, il gol del pari è stato favorito da circostanze anche fortuite, mentre altre situazioni spinose sono state risolte con efficacia, spesso anche senza guardare troppo alla forma, all'estetica.

Il calcio italiano, si sa, sconta da almeno un decennio la crisi della sua leggendaria vocazione difensiva, e quando è costretto in trincea deve spesso aggrapparsi a certi vecchi draghi. A Bergamo, ad esempio, è stata la notte di Chiellini, gagliardo come ai bei tempi, tempista e risoluto, decisivo nel tappare falle che potevano risultare esiziali. Attorno a lui un po' tutta la terza linea si è esaltata, e così abbiamo visto, ad esempio, Donnarumma sventare l'1-2 su un preciso diagonale di Depay. Da elogiare anche Spinazzola, che nel primo tempo stava cominciando a carburare e a offrire le sue consuete discese sulla sinistra, anche con una insidiosa conclusione verso Cilessen, mentre nella ripresa ha fatto risaltare le sue doti di contenimento dando un prezioso contributo per arginare le folate Orange. 

In sintesi, sull'asse Chiellini - Barella si è sostanzialmente retta la Nazionale vista poche ore fa: sono stati i più continui ed efficaci nelle rispettive zone d'operazione, i collanti di una formazione che in certi passaggi del match ha rischiato il naufragio ma, con notevole personalità, ha saputo rimanere a galla. Ora però occorre qualcosa di più: se permangono le difficoltà di Jorginho, si può dare spazio con più convinzione a Locatelli, anche ieri abbastanza in palla nel poco minutaggio avuto a disposizione. Per il resto, più che di uomini penso sia questione di condizione atletica e mentale: a novembre dovrebbe registrarsi una crescita e l'Azzurra potrà riappropriarsi delle misure di gioco che le sono consuete. La Nations League è un torneo giovane e forse di scarso appeal, ma dopo tanti anni a secco di trofei non possiamo rinunciare a cuor leggero alla possibilità di giocare in casa nostra la final four. 

martedì 13 ottobre 2020

VERSO SANREMO 2021: ABBIAMO IL REGOLAMENTO. NIENTE PIU' SCONTRI DIRETTI FRA I GIOVANI. SI PARTE CON VENTI BIG, MA...


 Sanremo 2021 è ufficialmente partito ieri, con la pubblicazione del regolamento della kermesse. Non è cosa da poco, di questi tempi, avere qualche certezza sul Festival che verrà. Debbo dire che, da parte mia, c'è sempre stato un cauto ottimismo sulle possibilità di svolgimento della manifestazione, ottimismo che permane anche adesso, in presenza di una seconda ondata virale sempre più minacciosa. Ricordiamoci sempre che stiamo parlando di un evento in programma fra cinque mesi: impossibile sapere ora che scenari ci saranno, come del resto, lo si è visto durante questa pandemia, è assai arduo perfino prevedere l'andamento dell'emergenza da una settimana all'altra. Perfettamente inutile, quindi, fasciarsi la testa in anticipo e prospettare quadri funesti. In certi casi, l'importante è programmare tutto in ogni dettaglio. Detto fra noi, perfino lo slittamento di un mese della 71esima edizione mi pare sia stata più una decisione "auto - rassicurante" da parte dell'organizzazione, che non una scelta poggiante su rigorose basi scientifiche, perché a marzo potremmo essere ancora in un periodo di gravi difficoltà, così come, di converso, nel periodo tradizionalmente festivaliero della prima decade di febbraio potremmo perfino trovarci fuori dalla zona di più acuto pericolo, o comunque in fase di discesa dei contagi. Chi può dirlo? 

Domina l'incertezza, dunque, ma, a meno di sviluppi catastrofici simil-bellici che non voglio nemmeno ipotizzare, Sanremo si farà, perché è l'evento cardine della stagione televisiva Rai, un formidabile catalizzatore di spettatori, di introiti pubblicitari, di traffico social. E' un carrozzone che può essere gestito senza panico anche rispettando i rigidi protocolli di sicurezza imposti dal Covid, con ingressi contingentati all'Ariston: chissà, magari vedremo qualche signora in gran soirée in meno, mancherà qualche vippetto in cerca di pubblicità o qualche personaggio politico a cui non frega nulla della gara canora, ma va in prima fila perché farsi vedere è sempre utile. Ecco, il sogno è vedere scomparire queste categorie di spettatori, mentre temo che la riduzione degli spazi per il pubblico sfavorirebbe proprio i veri appassionati, quelli che farebbero carte false per entrare in teatro ed assistere almeno ad una serata... 

Abbiamo il regolamento, dunque. Diciamolo subito, qualche novità ma nulla di particolarmente sconvolgente. Del resto non si poteva non partire dallo "schema Amadeus" che tanto bene ha funzionato nel febbraio scorso. Val la pena ricordare che Sanremo 70 ha prodotto uno spettacolo godibile e sfornato almeno una decina di canzoni di gran pregio, che si sono ben distinte nelle classifiche di vendita ma ancor meglio avrebbero potuto fare se non ci fosse stato il lockdown a frenare tutto. In quelle tristi settimane di marzo e aprile, "Tikibombom" martellava dalle radio, in compagnia di "Fai rumore", "Viceversa", "Andromeda" e "Ringo Starr", ma anche dei pezzi di Elettra Lamborghini, di Achille Lauro e del giovane Fasma. Una buona infornata musicale che avrebbe meritato maggior fortuna, ma tant'è. Però i criteri di scelta adottati dal presentatore de "I soliti ignoti", si sono dimostrati vincenti, e allora occorre insistere. 

All'inizio dell'incubo Coronavirus, avevo auspicato per il 2021 un Sanremo partecipato, ossia con la più ampia affluenza possibile di cantanti, ivi compresi i grossissimi calibri, e tutti alle prese con la gara, per dare una segnale forte di ripresa presentando un massiccio spiegamento delle forze della nostra canzone leggera. Il regolamento fissa invece, al momento, a 20 il numero di Big che saranno ammessi alla competizione. Per ovvie ragioni di prudenza, non può che essere così: il rischio che arrivino provini in larga parte deludenti c'è sempre, con conseguenti difficoltà ad allestire un cartellone anche meno numeroso. Ma credo che, come quasi sistematicamente accaduto negli ultimi anni, alla fine il numero di ammessi lieviterà, e forse neanche di poco. Penso sia necessario superare la quota "psicologica" di 26 nomi noti in concorso, toccata per la prima e unica volta nell'ormai lontano 1988. Sarebbe un azzardo enorme dal punto di vista della costruzione televisiva dell'evento, me ne rendo conto, ma la soluzione ci sarebbe: rinunciare una tantum ai soliti ospiti italiani, quasi sempre gli stessi per un rituale dotato ormai di scarsissimo appeal, e puntare tutto sull'aspetto agonistico, sul "torneo", che era centrale nelle prime edizioni e che resta comunque il principale motivo di interesse della rassegna. 

Il desiderio di vedere più "vip" in lizza non è una semplice fissazione da appassionato sanremologo, e del resto la tendenza dell'ultimo lustro mi ha sempre dato ragione, quanto a modus operandi dei vari direttori artistici. Da Carlo Conti in poi, si è sempre puntato ad ampliare il cast dei Campioni, perché è giusto non riservare a pochi eletti la possibilità di accesso a un così possente veicolo di promozione, affermazione definitiva, conferma o rilancio. Così, dai 14 concorrenti del Fazio 2013--14 si è passati ai 24 del 2020. E nel marzo prossimo, sarebbe importante averne ancora di più in concorso, perché il momento è drammatico per l'industria musicale italiana in tutti i suoi comparti. Sanremo, in un anno così particolare, così cupo, deve essere una vetrina ampia, "open", che serva la causa di quanti più artisti possibile. 

Riguardo al resto del regolamento, scompaiono i terribili duelli a eliminazione diretta fra i giovani, sostituiti dalla classica divisione in due gruppi da quattro, con ammissione alla finale del venerdì dei primi due di ogni eliminatoria. Un po' meglio, visto che la formula precedente poteva portare due proposte di qualità a scornarsi fra di loro, dando via libera ad altre meno meritevoli ma facilitate da abbinamenti "favorevoli". La serata "defatigante" del mercoledì sarà questa volta dedicata alla celebrazione della canzone d'autore nostrana, ma non è stata cancellata l'anomalia dell'ultima edizione: il voto di questa particolare gara, basata sull'interpretazione di canzoni note o stranote, peserà sull'esito finale della competizione dei big, quella con i brani inediti. Una distorsione regolamentare di cui, oggi come l'anno passato, non riesco a trovare una plausibile spiegazione. Sempre per i Campioni, il televoto entrerà in azione anche nelle prime due sere, oltre che per la finale, a portare un pizzico di brio in più e a movimentare le classifiche. 

lunedì 12 ottobre 2020

NATIONS LEAGUE: IN POLONIA UN'ITALIA DEPOTENZIATA DAL TERRENO E DA UN JORGINHO FUORI FASE. I REBUS DI UN ATTACCO POCO INCISIVO

Calma, ragazzi. Quando hai alle spalle un biennio di partite giocate in un certo modo, secondo uno stile ben definito, con una chiara linea tecnica, una gara come Polonia-Italia di ieri non può destare preoccupazione. Qualche perplessità magari sì, ma nessun allarmismo. Non è mai bello aggrapparsi a scusanti che esulano dalla classe e dal valore dei singoli, ma, caspita, fare calcio su un manto erboso (?) come quello visto a Danzica credo sia impresa ai limiti dell'impossibile. Per "fare calcio" si intende manovrare, costruire, trattare la palla con una certa padronanza. Ovvio che bisogna adattarsi a ogni situazione, ma su un campo di patate a rimetterci non può che essere la squadra più ricca di qualità, più propositiva, più portata al fraseggio.

CAMPO DI PATATE - Tutto questo andava detto, perché appiccicare etichette di mediocrità a determinati calciatori dopo novanta minuti così particolari, direi unici, è profondamente ingiusto. Proprio a partire dalla precedente trasferta polacca di Nations League, nell'autunno 2018, Mancini ha plasmato una rappresentativa dall'altissima capacità di palleggio, di tessitura precisa al millimetro, in grado di non sprecare che pochissimi palloni. L'Italia del Mancio è questa, quella dal gioco elegante e privo di sbavature che ha fruttato dieci vittorie su dieci match nelle qualificazioni europee e anche le goleade attese per decenni, ultima della serie il recente 6-0 in amichevole con la Moldavia - Moldova. Alle corte: tutti quei passaggi sbagliati, tutte quelle palle perse, difficilmente li rivedremo ancora da parte dei nostri. Così come è quasi matematico che Jorginho non commetterà mai più tutti quegli errori di misura, di tocco, di controllo visti poche ore fa: mai più, nemmeno se ci si mettesse d'impegno. 

IN MEZZO BRILLA SOLO VERRATTI - Che poi, al di là del terreno, l'italo-brasiliano sia incappato in una serata assai poco brillante è un altro dato di fatto, e apre il capitolo dei lati oscuri della prova di Danzica. Si è rivisto il trio di centrocampo teoricamente titolare, ma solo Verratti ha svolto appieno il suo compito, con buone intuizioni in fase costruttiva e il consueto apporto in copertura, mentre Barella, pur sufficiente, si è visto a tratti e, in particolare, non ha mostrato la risolutezza negli inserimenti sfoderata in altre circostanze. Più in generale, è stata un'Italia frenata da strane titubanze al momento di concludere, poco sbrigativa, più incline al passaggio in eccesso, alla rifinitura superflua, che alla battuta a rete. Limite grave soprattutto in certe gare, nelle quali il dominio della manovra non riesce ad essere continuativo. In effetti, sono stati i nostri a condurre le danze, come quasi sempre capita, ma spesso le loro trame sono state spezzate, vuoi per mancanza di precisione vuoi per le brutture del campo, consentendo ai padroni di casa veloci ripartenze, peraltro approdate a rari pericoli. Ne abbiamo contati due, sostanzialmente, neutralizzati da ottimi interventi difensivi: Emerson ad anticipare su Lewandoski nel primo tempo, e Acerbi che ha deviato di pochi millimetri la conclusione ravvicinata di Linetty, sventando una beffa in extremis che sarebbe stata inaccettabile. 

EMERSON OK, CHIESA NO - Dicevamo di Emerson: pur non sempre preciso, ha sostanzialmente convinto per spinta, buon contributo dietro e un paio di pericolosissime incursioni in avanti, che nella ripresa han fatto gridare al gol. Un suo colpo di testa in tuffo su traversone di Chiesa è finito di poco a lato, poi si è presentato solo davanti a Fabianski, venendo però sbilanciato da un difensore al momento di concludere. Rimango tuttavia del parere che, in questo momento, Spinazzola sia più affidabile per continuità, lucidità e perizia nelle giocate, ma, insomma, sul versante mancino di retroguardia siamo messi piuttosto bene, visto che anche Biraghi il suo lo fa sempre. Buona la prova di Florenzi, più che altro sul piano quantitativo, e discreto Pellegrini, il più attivo e propositivo sul fronte offensivo, ma con la macchia dei tre calci d'angolo sprecati. Chiesa rischia di diventare un problema: incredibile il gol sbagliato in avvio davanti alla porta, poche iniziative degne di nota, tanta confusione. Non è questo il Federico che avevamo conosciuto, rapido, sgusciante, abile nel saltare l'uomo: l'auspicio è che la Juve lo rigeneri e lo trasformi in un campione a tutto tondo, perché ne abbiamo bisogno. 

BUON KEAN E IL REBUS IMMOBILE - Meglio di lui, da subentrato, ha fatto Kean, all'inizio un po' indolente ma cresciuto col passare dei minuti: anche per il neo PSG, però, sono mancate cattiveria e determinazione, che possono arrivare giocando e facendo esperienza ad alto livello. Ancora una prova grigia, infine, da parte di Belotti, e il quadro non è migliorato con Caputo, nello scarso minutaggio avuto a disposizione. Problemi nei sedici metri finali, dunque, e il fatto che le palle gol più nitide della ripresa siano capitate su piede e testa di un difensore (le due citate di Palmieri) deve indurre a severa riflessione. Contro l'Olanda, l'occasione sarà quantomai propizia per lanciare con convinzione Immobile. Per l'ennesima volta: la Scarpa d'oro europea non può avere un ruolo marginale in rappresentativa, a costo di attuare qualche aggiustamento tattico che, peraltro, non porterebbe stravolgimenti radicali allo stile di gioco della squadra.