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domenica 11 febbraio 2018

FESTIVAL DI SANREMO 2018: IL CLASSICO PAGELLONE DEI CAMPIONI. MEDIA ALTA: DALLO STATO SOCIALE A DIODATO, DA RON A VANONI, TANTE ECCELLENZE


Et voilà il pagellone dei Campioni sanremesi, un classico di "Note d'azzurro" dal 2012. Un riepilogo finale che in parte sintetizza, in parte amplia quanto già ho scritto in questi giorni nei vari articoli di commento. Le canzoni sono in ordine di classifica, dalla prima alla ventesima. La media voti è piuttosto alta (due sole "insufficienze, peraltro non gravi), come alto è stato, a mio avviso, il livello qualitativo delle proposte selezionate da Baglioni. 
Non mi avete fatto niente - ERMAL META E FABRIZIO MORO: tutto sommato una degna vincitrice, al di là del pasticcio di cui tanto si è scritto anche qui. Canzone che abbina impegno a commerciabilità (e non è un male: i dischi si devono anche vendere, in versione "tangibile" o digitale); l'impegno si esprime attraverso un testo fatto di flash, immagini semplici che ci riportano con immediatezza sui luoghi degli attentati Isis. Efficace e diretto anche il messaggio scelto per il titolo, buona sintonia fra la voce dolente di Ermal e quella rabbiosa di Fabrizio. In chiave Eurovision Song Contest non è l'ideale, ma potrebbe funzionare: tutto sta a intercettare i gusti delle giurie continentali, sovente indecifrabili. VOTO: 7,5.
Una vita in vacanza - LO STATO SOCIALE: rivelazione assoluta per la platea mainstream, un tormentone di scanzonata critica sociale che potrebbe spingersi fino alla stagione estiva. Hanno impreziosito un prodotto già vincente con una coreografia centrata, grazie all'anziana signora danzante e alla soluzione "doppio stage", con uno dei membri del gruppo che ogni sera si è posizionato lontano dal palco, in un punto diverso del teatro, intervenendo a brano in corso. Raccolgono l'ideale testimone dissacratorio da Elio e le Storie Tese, ma con uno  stile  più diretto sul piano linguistico. VOTO: 8
Il mondo prima di te - ANNALISA: riecco la Scarrone che preferiamo, giusto mix fra stilemi canori classici e contemporanei. Il brano è orecchiabile, grazie anche a un refrain azzeccato, e ci riporta ai suoi primi successi festivalieri, "Scintille" e "Una finestra tra le stelle"; in più, Sanremo 2018 ci ha mostrato un'interprete finalmente matura, che ha saputo sfruttare al massimo le sue doti vocali ed è riuscita a trasmettere emozioni. VOTO: 7,5
Almeno pensami - RON: la delicata poesia di Lucio Dalla ha trovato l'interprete ideale, e non poteva essere altrimenti. Rosalino Cellamare l'ha cantata coi toni sommessi che erano necessari nella circostanza, porgendola con grazia assoluta, accompagnato da un arrangiamento scarno ma fortemente evocativo . Un piccolo grande gioiellino. VOTO: 7/8
Imparare ad amarsi - ORNELLA VANONI CON BUNGARO E PACIFICO: meritato ritorno sulla scena di Sanremo per due cantautori mai scontati nelle loro proposte, ma fin qui troppo spesso relegati in una nicchia. Il loro estro in punta di penna ha messo a disposizione di Ornella una composizione buona per tutte le stagioni, senza tempo, antica e moderna insieme, elegante ma immediata, che la voce sempre calda della cantante milanese ha adeguatamente valorizzato. VOTO 7/8.
La leggenda di Cristalda e Pizzomunno - MAX GAZZE': Sanremo 2018 ha significato anche la riscoperta di certe culture regionali italiane mai abbastanza esplorate. Così, ecco la rilettura di una leggenda della tradizione pugliese, e una scrittura favolistica, sostenuta da una musica di stampo sinfonico. Opera coraggiosa, raffinata ed elaborata, che ha l'unico difetto di non "arrivare" subito. VOTO: 7
Passame er sale - LUCA BARBAROSSA: a proposito di coraggio e di tuffo nelle culture locali, ecco una rentrée festivaliera fuori dagli schemi, con una ballata in romanesco che ha il merito di rinnovare e attualizzare una certa tradizione folkloristica. Sogno irrealizzabile: quanto sarebbe stato bello sentire questo pezzo interpretato da Gabriella Ferri? VOTO: 7
Adesso - DIODATO E ROY PACI: un crescendo sonoro e vocale di grande forza emotiva, per un brano impreziosito dagli interventi strumentali della tromba di Roy Paci, mai invasivi e dai toni particolarmente soffusi nella parte centrale del pezzo. Per il giovane Diodato, la conferma di un talento fin qui scarsamente valorizzato. Per me, "Adesso" è una delle migliori proposte di Sanremo 2018. VOTO: 8
Frida (mai, mai, mai) - THE KOLORS: piazzamento sorprendentemente basso, per una boy band che avrebbe dovuto contare sui massicci favori del televoto. Un peccato, perché si sono presentati al Festival in forma smagliante, con un brano energico e assolutamente "à la page", e con un ritornello martellante che, assieme a quello degli Stato Sociale, dovrebbe fare di "Frida" il secondo tormentone partorito dalla rassegna numero 68. Superbo arrangiamento, voce di Stash senza cedimenti. VOTO: 8
Eterno - GIOVANNI CACCAMO: difficile, l'ho scritto stamane, trovare un'opera veramente brutta in questa edizione della rassegna. Non è tale nemmeno la canzone del vincitore dei Giovani 2015. Ben costruita, bella voce (che però non coinvolge più di tanto), inserita nella tradizione romantica festivaliera, ma scorre via senza lasciare troppo il segno. Per diventare un vero Big, il bravo Giovanni ha bisogno di qualcosa di più solido. VOTO: 5,5
Così sbagliato - LE VIBRAZIONI: Sarcina e compagni si ritrovano dopo qualche anno di separazione. La distanza non sembra averne minato l'ispirazione: ho ritrovato la band che scrisse un capitolo breve ma significativo della canzone italiana di inizio secolo, tanto pop e un po' di rock con la spinta vigorosa della batteria e ritmi tesi dall'inizio alla fine. Può avere una buona riuscita radiofonica. VOTO: 7
Il coraggio di ogni giorno - ENZO AVITABILE E PEPPE SERVILLO: soddisfacente esordio sanremese per Avitabile, coi suoi suoni mediterranei al servizio di un etno-pop accessibile a tutti, che arriva dritto al cuore. Di grana buona il sostegno vocale di Servillo. VOTO: 7.
Custodire - RENZO RUBINO: al ragazzo non mancano genio creativo e voglia di osare. Con lui, si può star sicuri che non arriverà mai sul palco un qualcosa di poco originale. Questa "Custodire" è finemente lavorata, complessa nella tessitura musicale e con un testo non banale, ma non rinuncia alla cantabilità. VOTO: 6,5
Non smettere mai di cercarmi - NOEMI: tutt'altro che una brutta canzone, ma nemmeno un'opera in grado di far definitivamente spiccare il volo alla "rossa". Nel solco delle precedenti partecipazioni, non toglie e non aggiunge alcunché alla carriera dell'artista. Ritornello di buona presa e le solite, notevoli doti interpretative e di personalità scenica. VOTO: 6
Ognuno ha il suo racconto - RED CANZIAN: va a lui la vittoria nel derby in famiglia con gli altri ex Pooh, anche se è una vittoria di Pirro. Il pezzo è ritmato, orecchiabile e cantato con grinta da Red (forse un po' giù di corda nella serata finale, ma ci sta); dispiace non abbia ottenuto maggior considerazione da parte delle giurie. VOTO: 7
Lettera dal Duca - DECIBEL: revival in salsa ottantiana, con un rock blandamente new wave che nulla concede alle sonorità più contemporanee. Un purissimo tuffo nel passato, anche nell'impronta vocale del ritornello in inglese. VOTO: 6,5
Senza appartenere - NINA ZILLI: raccoglie meno di quanto avrebbe meritato. Più convincente rispetto a precedenti sue apparizioni all'Ariston, ha trovato l'abito ideale indossando al meglio una canzone molto sanremese, di stampo classicheggiante, ma gradevole e con un testo "al femminile" di notevole spessore. A mezza via fra "Quello che le donne non dicono" e "Donna" di Mia Martini, senza raggiungerne i picchi qualitativi ma comunque dignitosissima. VOTO: 7
Il segreto del tempo - ROBY FACCHINETTI E RICCARDO FOGLI: i due amici non hanno osato, puntando su una melodia a sfondo malinconico, una di quelle che tanto andavano di moda a Sanremo negli anni Novanta, e che comunque è pienamente nelle corde di entrambi. E' la continuazione di una modalità espressiva già più volte esplorata da Roby e Riccardo (il primo in non grandissima forma vocale), ma che contribuisce poco a dare slancio alla "nuova" coppia. VOTO: 5,5
Rivederti - MARIO BIONDI: la prima volta da concorrente in Riviera, per il "Barry White" italiano, è stata di tono decisamente elevato ma di non facile percezione da parte della grande massa del pubblico. Voce soul e atmosfere jazz sofisticatissime e avvolgenti. Un brano che sarà piaciuto ai fans dell'artista siciliano, e che probabilmente diventerà presenza fissa nelle scalette dei suoi concerti, ma difficilmente servirà ad ampliarne in misura apprezzabile la cerchia di estimatori. VOTO: 6,5
Arrivedorci - ELIO E LE STORIE TESE: un congedo più malinconico che divertente. Consueti ghirigori linguistici, col ricorso a termini di non frequentissimo uso, la parabola artistica di un gruppo di rottura "fumettizzata" ma senza alzate di ingegno particolarmente audaci. Come sopra per Biondi: i fans hanno probabilmente apprezzato, i semplici simpatizzanti come me prendono atto di un prodotto medio, senza infamia e senza lode, che forse accrescerà col tempo il suo appeal. Nella finalissima, si sono portati "in incognito" sul palco i Neri per Caso, loro partners durante la serata dei duetti. VOTO: 6

LA FINALE DI SANREMO 2018: META E MORO ONORANO I PRONOSTICI, AI PIEDI DEL PODIO LE PROPOSTE PIU' "ALTE" DI UN FESTIVAL FUORI DELL'ORDINARIO



Non ci può essere sempre la sorpresona finale, il Gabbani che ha la meglio sulla Mannoia, come avvenne lo scorso anno. Questa volta, il Festivalone è rimasto allineato ai pronostici della vigilia, che davano l'inedito duo Ermal Meta-Fabrizio Moro favorito per il trionfo, seppur nell'ambito di una gara assai equilibrata, che proponeva molte candidature per il massimo traguardo. Del resto, a giudicare dalle indicazioni molto parziali sulle preferenze delle varie giurie che erano state fornite nelle sere precedenti, le tendenze erano quelle che poi hanno trovato espressione nella classifica definitiva, e il podio poteva essere tutto sommato prevedibile. Un podio che ha un'unica bizzarria: affiancando ai due cantautori la rivelazione Stato Sociale e l'ottima Annalisa, si è riavvicinato alla linea artistica della precedente gestione, quella targata Carlo Conti; in un Sanremo caratterizzato da una notevole presenza di proposte "alte", un tantino sofisticate, non di impatto immediato, le tre medaglie sono infine andate a tre portabandiera dell'easy listening, seppur non banale e declinato in forme diverse. 
LA RAFFINATEZZA A UN PASSO DAL PODIO - Non può destare scandalo, questa conclusione. E' certo comprensibile il rammarico di molti, letto ieri sui social, riguardo al trattamento riservato a Ron, al trio Vanoni-Bungaro-Pacifico, a Gazzè, a Barbarossa e a  Diodato-Paci, piazzatisi da quarto all'ottavo posto. Sul piano strettamente qualitativo, della pregevolezza nella scrittura e nell'arrangiamento, tutte avrebbero meritato di arrivare più in alto, e probabilmente così sarebbe stato se il giudizio fosse stato affidato unicamente a una giuria di esperti. Ma a Sanremo non funziona in questo modo, lo sappiamo da anni, quando entra in scena il televoto torna a prevalere la cosiddetta radiofonicità, e del resto penso che, anche con una votazione esclusivamente tecnica, effettuata da gente "del ramo", il primato di "Non mi avete fatto niente" non sarebbe stato scalfito. 
PRIMI NONOSTANTE TUTTO, MA IN FUTURO... - Il Festival numero 68 ha trovato dei vincitori tutto sommato degni.. Il loro brano unisce orecchiabilità a impegno civile, quest'ultimo espresso con un testo fatto di flash e immagini scarne, semplici, per arrivare dritto al cuore; e le due voci si compensano bene, la rabbia dolente di Meta e quella dirompente di Moro. L'incidente infrasettimanale, il caso legato alla "citazione" del refrain presa da una canzone del 2015, non ha lasciato il segno; rimane però l'amaro in bocca legato a tutta la vicenda. Ribadisco la mia opinione: sul piano, diciamo, "moral - concettuale", non riesco proprio a definirlo un pezzo "nuovo", quello premiato stanotte intorno all'una e mezza. Il regolamento, però, lasciava una via di uscita, nella parte in cui parla di "stralci campionati" di opere precedenti, stralci che non devono superare il terzo della durata della composizione in concorso. Quindi in punta di diritto è stato giusto così e ha fatto anche piacere, trattandosi di due artisti che godono al momento di grandissima popolarità e posseggono indubbio talento, ma è altresì evidente che, sul punto, le "tavole della legge" sanremesi non sono chiare quanto dovrebbero, e quindi dovranno essere riscritte e rese più esplicite e dettagliate, per evitare che in futuro si creino certi spiacevoli equivoci. 
STATO SOCIALE E KOLORS: LA RADIOFONICITA' - C'era chi credeva in un exploit in extremis degli Stato Sociale, ma senza dubbio sono loro "gli altri" vincitori della kermesse, e  vanno a raccogliere di fatto il testimone di Elio e le Storie Tese, i quali, per una curiosa combinazione di fattori, hanno chiuso la loro parabola con quell'ultimo posto agognato da tempo. La band bolognese ha canoni espressivi diversi, più diretti, rispetto alle giravolte linguistiche degli Elii: sta di fatto che hanno sfornato uno di quei tormentoni di cui Sanremo non può fare a meno, per rimanere nell'immaginario collettivo; verosimilmente faranno loro compagnia, nei piani alti delle classifiche di vendita e download, quei Kolors penalizzati da un nono posto che non valorizza la freschezza e la buona costruzione di "Frida".
Meritato il bronzo per Annalisa, che aveva un po' smarrito la... retta via in occasione della sua ultima partecipazione, nel 2016, con una "Diluvio universale" forse troppo pretenziosa e al contempo eccessivamente classica nell'impostazione. In "Il mondo prima di te" ha ritrovato il giusto equilibrio fra tradizione e contemporaneità  che ne aveva decretato il successo di qualche anno fa, sfoderando nel contempo una verve interpretativa  in cui ha abbinato perizia tecnica a intensità emotiva. 
NESSUNA CANZONE VERAMENTE "BRUTTA" - In linea di massima, non riesco a trovare, fra le venti dei Campioni, una canzone veramente scadente. Ce ne sono due o tre di non eccezionale levatura, questo sì: le proposte di Caccamo e del duo Facchinetti-Fogli, per quanto ben strutturate, scivolano via senza lasciare il segno; quella presentata da Noemi non è male, ma non porta nessun valore aggiunto alla carriera della "rossa", che avrebbe invece avuto bisogno di un nuovo slancio in grado di valorizzarne le sempre intatte capacità vocali e sceniche. Per il resto, non posso che promuovere il tenore qualitativo della selezione operata da Baglioni. 
CONTI E BAGLIONI: FILOSOFIE DIVERSE MA VINCENTI - Dopo tre edizioni in cui Conti ha puntato massicciamente sull'immediatezza delle canzoni (ed ha realizzato tre ottimi Festival, lo scrissi negli anni scorsi e lo ribadisco), il suo successore ha optato per una linea artistica più coraggiosa e variegata: salvata comunque una quota di brani dalla notevole forza commerciale, si è puntato con più decisione sul pregio autoriale delle opere. Due filosofie diverse, semplicemente, e va detto che la scelta dell'anchorman toscano era stata perfettamente giustificabile da quel momento storico: occorreva creare dei Sanremo che incidessero sul mercato discografico nostrano, andando in particolare incontro ai gusti del pubblico più giovane che, altrimenti, avrebbe potuto voltare le spalle alla manifestazione. L'obiettivo è stato indubbiamente centrato, e così Claudio ha potuto muoversi con maggiore libertà, fornendo una rappresentanza più vasta di territori musicali. 
DA GAZZE' A DIODATO: CI RICORDEREMO DI LORO - E dunque, non è il caso di dare troppo peso alla graduatoria finale, che in Riviera conta sì, ma fino a un certo punto: perché in pochi, fra qualche anno, ricorderanno che Ron è arrivato quarto e la Vanoni quinta, ma in molti, scommetto, terranno a lungo nel cuore le loro proposte, la delicata poesia targata Dalla, la raffinatezza compositiva che Bungaro e Pacifico hanno messo a disposizione della voce sempre calda di Ornella; così come non dimenticheremo il favolistico Gazzè, un Barbarossa che ha dato nuova linfa al folk romanesco, il crescendo emozionale del duo Diodato-Paci. Peccato, casomai, per il diciassettesimo posto di Nina Zilli, finalmente convincente con una melodia tipicamente sanremese ma impreziosita da un bel testo "al femminile". 
PAUSINI: NUOVO PRIMATO - La serata finale è filata via con un ritmo piacevolmente sorprendente, visti i precedenti: le canzoni in concorso si sono susseguite senza eccessivi tempi morti. All'inizio, qualche lieve imperfezione tecnica "on stage" e persino disturbi sul collegamento tv, cosa quest'ultima che, a memoria, non accadeva dai primi anni Ottanta... Poi tutto si è aggiustato e i cantanti in gara hanno dato fondo alle loro energie. Laura Pausini, guarita a tempo di record e benevolmente presa in giro via telefono da Fiorello, ha trovato il modo di aggiungere un altro primato alla sua carriera: durante l'esecuzione di "Come se non fosse stato mai amore", è uscita dal teatro e ha continuato a cantare al cospetto delle tante persone che, tradizionalmente, sostano davanti all'Ariston per tutta la durata dell'evento; mai nessuno prima di lei aveva... osato tanto. 
FAVINO SUGLI SCUDI - Da dieci e lode lo stupendo monologo di Pierfrancesco Favino dedicato all'esperienza dei migranti, perfettamente fusosi con "Mio fratello che guardi il mondo", interpretata con trasporto da Fiorella Mannoia e da Baglioni. Un momento intenso e commovente, come lo era stato anche, ventiquattr'ore prima, il messaggio di Milva letto sul palco dalla figlia della grandissima cantante, insignita a furor di popolo col premio alla carriera. Due picchi emozionali in un Sanremo 2018 in cui, va rilevato, si è cantato per la quasi totalità del tempo, lasciando pochissimo spazio al "contorno". Sembrerebbe un'ovvietà, ma su quel palco spesso è avvenuto il contrario. Ieri sera, poi, nessuna intrusione "extra", a parte la citata, graditissima performance di Favino. Certo, il cast è stato nel complesso di prim'ordine, contando anche gli ospiti italiani e le tante parentesi canterine del direttore artistico, ma il succo del discorso è che uno show quasi esclusivamente musicale può ancora fare breccia nel "cuore di pietra" delle famiglie Auditel. 
E' RIPROPONIBILE IL FORMAT BAGLIONI? - Ci sarà un Baglioni bis? Non so se auspicarlo o meno: per come è stato strutturato, per la presenza eccezionale di un cantautore che, almeno a livello televisivo, non è certo un prezzemolino, questo Festival numero 68 ha avuto tanto il sapore di un unicum nella quasi settantennale storia della kermesse. Un Sanremo concepito in maniera inedita, non più "messa cantata" in stile baudiano o contiano, ma comunque capace di salvaguardare una buona parte della sua liturgia riuscendo però a declinarla con schemi di spettacolo a tratti spiazzanti. Di un'altra edizione così ci sarebbe forse bisogno, ma per un tale format Baglioni dovrebbe trovare nuovi interpreti e una chiave di lettura diversa rispetto a quella appena proposta. Non è facile e si rischierebbe l'effetto minestra riscaldata. Vedremo.

sabato 10 febbraio 2018

FESTIVAL DI SANREMO 2018, LA QUARTA SERATA: TORNANO I DUETTI E ARRICCHISCONO SPETTACOLO E CANZONI. ULTIMO VINCE FRA I GIOVANI, MA C'ERA DI MEGLIO


Hip hip hurrah per Claudione nostro (oppure Ale-oò, per riprendere il titolo di un suo vecchio album). Fra le tante scelte coraggiose compiute da Baglioni nell'allestimento di Sanremo 2018, eccone una in apparenza banale, eppure di inestimabile valore per la riuscita complessiva della manifestazione: il ripristino della serata dei duetti. Un happening che, a partire dal 2005, aveva arricchito il Festival con performance originali e godibilissime. Negli ultimi anni era stata sostituita dal "giovedì delle cover", piacevole, per carità, ma con diversi limiti. Rappresentava un po' un corpo estraneo all'interno della struttura complessiva della rassegna, in quanto i cantanti Big per una sera abbandonavano il loro pezzo in concorso per rivisitare grandi evergreen, e alla lunga la trovata aveva mostrato un po' la corda, anche perché, nonostante l'indubbio sforzo di interpreti e arrangiatori, nessun "rifacimento" aveva fatto veramente breccia nel cuore degli appassionati, con la sola eccezione del "Se telefonando" in versione Nek, baciata da un successo clamoroso e, per certi versi, inspiegabile. E poi, parliamoci chiaro, è preferibile vedere gli artisti in gara rielaborare, impreziosire, dare una veste diversa alla canzone con la quale si sono iscritti alla competizione. Nella maggior parte dei casi, aiuta il telespettatore ad apprezzare maggiormente l'opera, a familiarizzare con essa, a coglierne sfumature che magari erano sfuggite ai primi ascolti. 
CANZONI "RISTRUTTURATE" - Così è stato, anche ieri sera. Il lungo "congelamento" non ha scalfito le potenzialità di questo particolare capitolo del Festivalone, anzi. Molte canzoni sono uscite decisamente valorizzate dal quid in più apportato dagli ospiti. Difficile fare una graduatoria; possiamo dire che le rivisitazioni si sono divise essenzialmente in tre categorie: c'è chi ha puntato semplicemente sulla forza dell'interpretazione in coppia, chi sul ricorso a strumentisti aggiunti, chi invece ha parzialmente ripensato il pezzo, persino con l'inserimento di parti nuove. In quest'ultimo gruppo, pur con soluzioni radicalmente diverse, Meta-Moro, Diodato-Paci, Stato Sociale e Kolors. I primi sono stati introdotti da un recitato di Simone Cristicchi, il quale, attingendo alla sua recente esperienza di teatro sociale, ha saputo dare la giusta intensità alla lettura di una lettera scritta dal marito di una delle vittime degli attentati targati Isis.
LA BATTERIA DI DE PISCOPO - Diodato e Paci, invece, si sono avvalsi di un Ghemon che ha aggiunto ad "Adesso" una parte inedita, un "ibrido" cantato - rappato. Gli Stato Sociale hanno "cabarettizzato" la loro "Una vita in vacanza", con un dialogo (non entusiasmante, in verità) fra il solista del gruppo e l'attore Paolo Rossi, affidando il ritornello al Piccolo Coro dell'Antoniano. I Kolors, infine, non hanno apportato grossi cambiamenti a "Frida", regalando però a Tullio De Piscopo lo spazio per un assolo finale di batteria, durante il quale Stash ha tentato, senza troppo successo, di trascinare e accendere il compassato pubblico della platea. 
INTERPRETAZIONI CLASSICHE - In molti sono invece andati sul classico, dividendosi semplicemente le parti di testo da cantare. Ma nella maggior parte dei casi si è trattato di una soluzione vincente: se la bella Skin non ha inciso più di tanto sulla performance delle Vibrazioni, la cui "Così sbagliato" è già di per sé sufficientemente vigorosa, Renzo Rubino ha sicuramente trovato il modo di far "arrivare" maggiormente al pubblico la sua complessa "Custodire", grazie all'ausilio della sensazionale Serena Rossi, un fenomeno come attrice, showgirl e, ebbene sì, anche cantante. Idem per Noemi con Paola Turci e Caccamo con Arisa: in entrambi i casi, c'è stata una fusione talmente perfetta fra le due voci da far pensare che, forse, i loro brani avrebbero avuto più efficacia se presentati in gara nella versione "in coppia". Non si può dire lo stesso per Ron, Barbarossa, Canzian e Noemi, i cui pezzi brillano comunque di luce propria, ma che comunque hanno potuto contare su partner (rispettivamente Alice, Anna Foglietta, Masini e Cammariere) preparatissimi e discreti, nel senso che si sono inseriti nella struttura originaria delle opere senza portare sconvolgimenti: su tutti, citerei comunque l'azzeccato abbinamento romanesco fra la Foglietta e l'autore di "Passame er sale". 
NERI PER CASO E MIDGE URE: CHI SI RIVEDE! - E' stato un piacere rivedere i Neri per Caso, che si sono calati alla perfezione nella malinconica ironia di "Arrivedorci" degli Elii, mentre Ana Carolina e Daniel Jobim hanno rappresentato i partner ideali per far bucare maggiormente lo schermo alla sofisticata e avvolgente "Rivederti" di Mario Biondi. Indubbiamente arricchita in voce e musica anche l'ottantiana "Lettera al Duca" dei Decibel, grazie all'apporto di Midge Ure (ricordate "Breathe"?). Nonostante l'impegno, Giusy Ferreri non è riuscita a far decollare più di tanto la proposta di Facchinetti e Fogli, così come Michele Bravi non ha aiutato molto Annalisa, la quale comunque se l'è cavata benissimo da sola con una performance vocale di notevole spessore. In generale, dunque, il pacchetto - duetti ha superato felicemente l'esame, in linea con l'elevato livello qualitativo che questo Festival numero 68 sta mostrando con sempre maggior decisione. 
GIOVANI: VINCE ULTIMO, MA NON ERA IL MIGLIORE - Una serata davvero piena di musica, quella di ieri, aperta dalla sfilata delle Nuove Proposte. Un'annata buona, tutto sommato, per la categoria degli esordienti: solo Leonardo Monteiro è parso datato e fuori tempo massimo. I migliori, più originali e fuori dagli schemi, sono stati Mirkoeilcane e Lorenzo Baglioni, con Mudimbi un gradino sotto; a mezza via tra tradizione e modernità, ma comunque orecchiabili, Eva e Giulia Casieri. Il trionfo di Ultimo non desta scandalo, "Il ballo delle incertezze" è un brano sufficientemente contemporaneo (si avvertono echi di Tiziano Ferro), che colpisce soprattutto per la parte conclusiva in cui si passa dal canto al rap; ma sono del parere che, in questa sezione, sarebbe meglio premiare chi porta un qualcosa di almeno parzialmente innovativo, come i tre maschietti prima citati. Anche la canzone di Lele, vincitrice dodici mesi fa, era di buon impatto, ma sostanzialmente è passata senza lasciar grosse tracce. 
FINALISSIMA: PAPABILI E OUTSIDERS - Poco da dire sugli ospiti: l'intervento di Gianna Nannini non è stato di quelli in grado di farsi ricordare, meglio Piero Pelù, soprattutto per il sacrosanto appello dell'ex Litfiba contro la violenza sulle donne; da dimenticare la comparsata di Federica Sciarelli, in linea con quella della Leosini di un paio di sere fa; sono state le uniche cadute di tono di un Festival per il resto in forma smagliante. Bisognerebbe dunque concludere parlando dei pronostici per il gala di chiusura. Le classifiche di queste sere hanno proposto delle tendenze, ma è difficile prevedere a cosa porterà il giudizio misto Televoto - Giuria di qualità - Sala stampa. Tanti i "papabili": Meta - Moro, Ron, Diodato - Paci, Vanoni con Bungaro e Pacifico, persino gli Stato Sociale, mentre sono accreditabili di exploit notevoli Annalisa e Kolors; Gazzè, Zilli, Avitabile - Servillo e Barbarossa stanno alla finestra: hai visto mai... Ora non ci rimane che goderci una finalona "old style", con tutti e venti i Campioni schierati ai nastri di partenza: non accadeva dal penultimo Sanremo di Baudo, nel 2007. 

venerdì 9 febbraio 2018

SANREMO 2018, LA TERZA SERATA: BAGLIONI DEBORDA E LANCIA UN FESTIVAL NUOVA FORMULA. IL TRIONFO DI VIRGINIA, I TORMENTONI DI KOLORS E STATO SOCIALE


Dopo tre sere e circa tredici ore di diretta tv, lo si può ben dire: la nomina di Claudio Baglioni a direttore artistico di Sanremo 2018 è stata una triplice genialata. Non so fino a che punto voluta. E sì, perché se la selezione di un cast di Campioni in controtendenza rispetto alle ultime edizioni era ovviamente messa in preventivo e, anzi, auspicabile, il cantautore romano è poi andato oltre, sorprendendo un po' tutti: con la sua presenza sul palco, via via sempre più frequente e disinvolta, ha destrutturato i canoni della liturgia festivaliera, trovando una ideale mediazione fra il modello Fazio - Pagani (sofisticato e, nella versione 2014, anche piuttosto pesante) e quello disimpegnato e nazionalpopolare di Carlo Conti. Di più: ha smentito chi (come me) si attendeva un ruolo defilato, da "coordinatore silenzioso" dietro i presentatori ufficiali Hunziker e Favino, prendendo invece decisamente in mano le redini dell'evento e introducendovi nuovi elementi di spettacolo. Ha in pratica creato un'inedita commistione fra il Festival, con le sue regole e i suoi ritmi, e alcuni show di successo che la Rai ha realizzato in questa prima parte di ventunesimo secolo, quelli costruiti attorno a personaggi che han fatto la storia della nostra musica, da Morandi a Dalla e a Ranieri. 
LA SERATA MIGLIORE - Così, Claudio offre generosamente parte del suo immenso repertorio (nel precedente articolo avevo parlato di "Baglioni - compilation"), e, soprattutto, duetta ripetutamente con i tanti ospiti italiani convocati quest'anno. E' anche una soluzione intelligente sotto il profilo meramente economico: si è risparmiato sulla scritturazione di vedettes fuori contesto (star hollywoodiane e atleti in primis), riempiendo le serate con performance comunque di gran suggestione e graditissime dal pubblico. In tal senso, la puntata di ieri è stata forse la più riuscita, fra quelle fino a questo punto messe in scena: buon ritmo, ottime esibizioni di tutti gli artisti presenti, momenti di notevole effetto e intensità, su tutti la parentesi con Gino Paoli e il pianista Danilo Rea e il ricordo di Fabrizio De Andrè e Umberto Bindi. 
COM'E' FINITO IL CASO META-MORO - Una serata anche più rilassata, perché nelle ore precedenti si erano dissolte le nubi causate dal caso Meta - Moro. La loro "Non mi avete fatto niente" è stata alla fine mantenuta in concorso. Ne sono lieto perché, come ho scritto ieri, si tratta di due cantautori di valore, apprezzati sia dal pubblico giovane sia da quello più maturo, e il pezzo presentato è ben costruito, intenso, orecchiabile, con un testo che affronta magari in modo fin troppo semplice e scarno un dramma della nostra epoca (con quei flash che fotografano le città vittime degli attentati dell'Isis) ma sicuramente genuino e "sentito" da parte dei compositori.
Resta il fatto che, a parer mio, non si tratta di canzone propriamente "nuova", pur se tale è stata riconosciuta dai periti Rai dopo attenta valutazione, alla quale ci rimettiamo doverosamente. Il regolamento ha consentito di "salvare" il duo anche perché non offre sufficiente chiarezza nella definizione, per l'appunto, di "canzone nuova", la illustra con una casistica troppo limitata e concede margini di manovra assai ampi, se è vero che alla fine il tutto si è giocato sul filo dei secondi (la "citazione" del vecchio brano "Silenzio" è risultata inferiore a un terzo del minutaggio totale di quello presentato quest'anno, quindi in linea con i requisiti richiesti). E' evidente che, per l'edizione 2019, le "tavole della legge" della kermesse andranno riscritte, meglio precisate e modificate. 
REPARTO TORMENTONI: KOLORS E STATO SOCIALE FARANNO STRADA - Gli esiti parziali delle giurie mostrati ieri a notte fonda, nonché il riscontro ottenuto dentro e fuori dall'Ariston, inducono a pensare che, nonostante tutto questo bailamme, Ermal e Fabrizio siano ancora i principali favoriti per il trionfo di sabato, ma la sfida è apertissima. Al secondo ascolto, ha confermato la sua freschezza il brano degli Stato Sociale, che ha una forza d'impatto indipendente dalle divertenti trovate coreografiche, a partire dall'anziana signora ballerina fino al "doppio palcoscenico", con uno dei membri del gruppo che non è presente sul palco ma si posiziona in in altri settori del teatro intervenendo a canzone in corso. Ha le stimmate del tormentone "Frida (mai, mai, mai) dei The Kolors: ed è indubbio che con tre canzoni come quelle appena citate, alla quale aggiungerei "Il mondo prima di te" di Annalisa, il Sanremo numero 68 dovrebbe riuscire a dire dignitosamente la sua sul mercato discografico. 
BARBAROSSA E GAZZE', DUE GIOIELLI - In quota "eleganza - raffinatezza", anche il terzo capitolo del... romanzo festivaliero ha offerto un generoso contributo: la favolistica composizione di Max Gazzè, con pennellate sinfoniche, convince sempre più, come il moderno sound napoletano di Avitabile e Servillo. "Passame er sale" di Barbarossa è un gioiello in salsa folk che meritava la convocazione a Sanremo: passerà poco in radio, ma dà un contributo qualitativo che mi ricorda analogo esperimento tentato da Tosca nel 2007, con la splendida ed evocativa "Il terzo fuochista". Giovanni Caccamo ha sposato uno stile fin troppo melodico tradizionale in un'opera ben congegnata e ben cantata, ma che difficilmente percorrerà una lunga strada dopo il 10 febbraio; al contrario, il caldo jazz di Mario Biondi ha pochissime speranze di sfondare all'Ariston, ma potrebbe uscire alla distanza e diventare un caposaldo delle scalette dei suoi concerti. 
SEXY NOEMI - Noemi brillante come sempre sul palco (e con generosa scollatura che ha mostrato parte delle sue burrose forme...), ma la canzone, ripeto quanto scritto due giorni fa, non sembra incisiva come altre da lei presentate in gara in precedenza; è comunque gradevole, con quel refrain che "amplia" e potenzia la strofa con un crescendo interpretativo. Un po' datata la proposta di Facchinetti - Fogli, penalizzata da un Roby certamente non al meglio delle sue possibilità vocali. Sul fronte Giovani, una manche meno convincente della precedente: brilla solo Mudimbi, che si ispira un po' a Caparezza ma ci mette qualcosa di suo e comunque porta una produzione originale, tutto il contrario, per dire, di Leonardo Monteiro, con un brano troppo "Sanremo old style" per lasciare il segno e garantirgli un futuro ad alti livelli. 
GRANDE VIRGINIA! - Tornando allo spettacolo, la regina è stata senza dubbio la splendida Virginia Raffaele, un concentrato di talento, bellezza e simpatia. Al Festival ha già fatto parte del "pool" di presentatori, nel 2016, ma auspico di rivederla con uno spazio ancor più ampio, che ne valorizzi le doti di showgirl a tutto tondo ed istrionica. Di gran presa, come accennato, le ospitate canterine: i Negramaro in "Poster", e con il singolo "La prima volta", che nell'attacco mi ha vagamente ricordato qualcosa di "Walkin'", proposta dance presentata in gara dai Dhuo al Sanremo '84. Rimane però il discorso di sempre, sul quale non smetterò mai di calcare la mano: perché non in concorso, Sangiorgi e compagnia? Quindi, il citato Paoli, poi Giorgia in una riuscita accoppiata con James Taylor, mentre a notte fonda è comparso Nino Frassica, simpatico come sempre ma che rischia l'effetto prezzemolino, visto che da troppo tempo lo si vede ovunque in tutte le salse. E stasera, con i venti duetti e la finale a otto delle Nuove proposte, prepariamoci a una maratona sfiancante. Un caffè lungo, grazie... 

giovedì 8 febbraio 2018

FESTIVAL DI SANREMO 2018, LA SECONDA SERATA: TANTO (TROPPO?) BAGLIONI, SEMPRE PIU' CREDIBILI DIODATO-PACI, ANNALISA, RON E VANONI. IL GIALLO META-MORO


Dalla notte fra martedì e mercoledì, su Sanremo 2018 grava l'ombra del caso Meta - Moro. Giusto farne ancora cenno, prima di parlare della seconda serata. Il nodo "squalifica - non squalifica" dovrebbe venir sciolto nelle prossime ore, e nella conferenza stampa delle 12.30 ne sapremo probabilmente di più. Innanzitutto la vicenda è già entrata nella storia della rassegna, perché ha portato per la prima volta alla "sospensione" (è il termine utilizzato da molte testate) di due partecipanti alla gara: la coppia di bravi cantautori avrebbe dovuto proporsi in seconda esibizione ieri sera, ma è stata "congelata" in attesa di ulteriori accertamenti sulla questione. Di certo, tutto può accadere: la seconda giornata del Festival era iniziata con affermazioni rassicuranti, in merito, da parte dei dirigenti Rai, ma dopo le prime, legittime perplessità manifestate da alcuni giornalisti, lo stesso Claudio Baglioni ha lasciato intendere di voler prendere la cosa molto seriamente e di dover effettuare attente valutazioni; di qui alla suddetta sospensione il passo è stato breve. 
RISCHIO SQUALIFICA CONCRETO - E' veramente una patata bollente, quella che la direzione artistica si ritrova fra le mani: perché Meta e Moro, non è un mistero, sono forse i più chiari favoriti per il successo finale. Col loro pezzo uniscono impegno civile, testo dalla forte carica emotiva, notevole orecchiabilità, e si tratta di due personaggi tutto sommato "trasversali", amati dai giovani ma graditi anche a un pubblico più adulto, come dimostrò ad esempio il terzo posto di Meta l'anno passato. Insomma, ci vorrà del coraggio per sbatterli fuori; però, parliamoci chiaro, il regolamento qualche rischio lo lascia intuire, in particolare riguardo al discorso sulla legittimità dell'utilizzo di "stralci campionati" di canzoni già edite, la clausola a cui si appellano gli "innocentisti"; nella situazione in oggetto non mi pare si sia davanti a un campionamento propriamente detto, in senso tecnico, bensì al riutilizzo, in versione minimamente rielaborata, del ritornello di un vecchio brano.
Non si parla assolutamente di plagio, come gli stessi cantanti hanno ieri equivocato sui social (le due opere hanno un autore in comune, Andrea Febo), quanto, semplicemente, della mancanza del requisito dell'inedito. Su questo dovrà pronunciarsi lo staff organizzativo della kermesse. La mia opinione? Io non sono un esperto di diritto, ma credo che le canzoni "nuove" siano altra cosa, questa non lo è, anche se il pezzo "ispiratore" era pressoché sconosciuto, fino all'altroieri. Se poi nei meandri del regolamento si riuscirà a trovare la strada per mantenerlo in concorso, contento per i due ragazzi. Ma ci ritorneremo sopra... 
TANTO BAGLIONI E UNA LEOSINI FUORI POSTO - Eccoci dunque alla seconda serata. L'impressione è che, stavolta, il direttore artistico si sia lasciato prendere un po' troppo la mano: a tratti, lo show è parso quasi una "Baglioni compilation". Si è trovata l'occasione per proporre, in un modo o nell'altro, tre pezzi del suo repertorio: "La vita è adesso" in duetto col Volo (la performance più riuscita), "Mille giorni di te e di me" con Biagio Antonacci e "Questo piccolo grande amore" con Franca Leosini. Una comparsata, quest'ultima, di cui avremmo fatto volentieri a meno, assolutamente superflua e per di più assai mal riuscita. In teoria, ogni strofa dell'evergreen doveva essere contrappuntata da un intervento più o meno ironico della conduttrice di "Storie maledette"; in pratica, ogni volta che il cantautore si interrompeva per dare spazio all'estemporanea partner, il pubblico in sala proseguiva a cantare, come in un concerto live, coprendo e togliendo forza agli inserimenti della giornalista. E poi, scusate, non si era detto che questo Sanremo avrebbe rinunciato a personaggi estranei al mondo della musica, dagli astronauti agli chef, alle famiglie con figli in quantità? E allora, cosa diavolo c'entrava la Leosini con il Festivalone? "Mistero", avrebbe esclamato Enrico Ruggeri...
BAUDO, LETTERA STRUGGENTE - Per il resto, una Michelle Hunziker sempre più padrona del palco e un Favino che si ritaglia i suoi spazi con l'abilità e perfino l'istrionismo dell'attore consumato: l'inglese sfoggiato nell'intervista a Sting non l'avevo mai sentito da parte di nessun precedente conduttore della manifestazione. Il cantante inglese innamorato dell'Italia ha proposto un duetto surreale con Shaggy, mentre il momento più emozionante della serata è stato senz'altro l'intervento di Pippo Baudo, "l'uomo Festival" per antonomasia, con una lunga "lettera aperta a Sanremo" che ha indotto più malinconia che allegria, assumendo a tratti i contorni di un bilancio di fine carriera. Poi il padrone di casa di tredici Festival ha riportato il sorriso con il lungo siparietto su un lontano fidanzato siciliano di Michelle (storiella già sentita e risentita, peraltro), parentesi che ha ritardato l'esibizione di Elio e le Storie tese. Volendo, per Superpippo è stato un contrappasso: cinquant'anni dopo aver costretto (gentilmente) Louis Armstrong ad abbandonare il palco di Sanremo '68, è stato lui a dover essere "tagliato" per lasciare spazio a Belisari e compagnia. 
L'ESEMPIO DI VECCHIONI - Bilancio magro per i superospiti italiani: i ragazzi del Volo non sono emersi per originalità, con l'inflazionatissimo "Nessun dorma" (ma si sono parzialmente riscattati con l'omaggio a Sergio Endrigo), dimenticabile Antonacci, che ha tentato di rilanciare il suo recente brano "Fortuna che ci sei", mentre a notte alta Roberto Vecchioni ha dato un plastico esempio di ciò che dovrebbero fare i cantanti di casa nostra fuori concorso a Sanremo, se proprio ci devono essere: omaggiare il repertorio canoro proprio o di altri, senza indulgere alla promozione del prodotto più recente. Chapeau. In generale, l'impressione è stata quella di una serata troppo carica di orpelli trascurabili: abbiam detto  della Leosini, ma aggiungiamoci anche il ballo Favino - Hunziker sulle note di Despacito (che speravo di non sentire almeno all'Ariston) e il lungo e non entusiasmante sketch "del trapano" col mago Forrest. In tutto ciò, il Dopofestival, che inizia ampiamente dopo l'una, diventa impossibile da vedere per le persone normali, che qualche ora di sonno devono pur concedersela... 
DA DIODATO A RON E VANONI, TANTA QUALITA' - La gara, adesso: è iniziata quella fra le Nuove proposte. Inutile discutere di classifiche parzialissime, per cui al momento limitiamoci a dire che le opere migliori sono sicuramente quelle dei due maschietti, il godibile elogio al congiuntivo dell'estroso Lorenzo Baglioni (nessuna parentela) e lo straniante, doloroso recitato di Mirkoeilcane in "Stiamo tutti bene", sulla tragedia dei barconi dei migranti. Riguardo ai Big, confermata la buona impressione sullo spessore di "Adesso", con Diodato e Roy Paci che a questo punto diventano papabili per le primissime posizioni; in crescita Annalisa, con un brano contemporaneo ma rispettoso della tradizione e un refrain tutto sommato di buon impatto, che potrebbe condurla a un piazzamento di rilievo. Da non trascurare "Senza appartenere" di Nina Zilli, classica melodia sanremese ma corroborata da un testo interessante sull'universo femminile, a meta fra "Donna" di Mia Martini" e "Quello che le donne non dicono" della Mannoia, non al livello di queste due gemme ma comunque dignitosissima ("Donna siete tutti", "Donna non di tutti", sono versi semplici, ma intelligenti ed efficaci). Sempre convincenti e radiofonici Vibrazioni e Canzian, anche se quest'ultimo non sta ottenendo i riscontri che mi sarei aspettato. Notevole la forza evocativa del Dalla cantato da Ron, ottimamente scritta nelle parole e nella musica "Imparare ad amarsi" del trio Vanoni - Bungaro - Pacifico, forse la miglior espressione del nuovo corso "baglioniano" all'insegna della ricercatezza autoriale ed interpretativa. E' anche questa da podio, e le votazioni delle prime due giornate lo confermano. 
ABBIAMO UNA SIGLA! - A tal proposito, non mi pare una gran trovata quella di rendere note, a fine spettacolo, solo le preferenze espresse da una singola giuria, per di più non le graduatorie vere e proprie ma una mera divisione tra fascia alta, media e bassa. Si rischia di generare solo una gran confusione. Una nota piacevole: Sanremo ha finalmente una nuova sigla, come quelle che si facevano fino a metà anni Novanta, anche se su tutte le emittenti tv della Penisola continua a imperversare "Perché Sanremo è Sanremo": buona l'idea, vista nel galà di apertura, di fare interpretare la canzone a tutti i Campioni (ma perché ieri la clip non è stata riproposta?), buona anche l'esecuzione finale da parte del trio di presentatori. Vedremo se questo "Popopopo" riuscirà a lasciare il segno nella storia della rassegna.
ULTIM'ORA - La Rai e la direzione artistica del Festival hanno deciso, dopo perizia sulle due canzoni "incriminate", di mantenere in concorso "Non mi avete fatto niente" di Meta e Moro. Sussiste il requisito dell'inedito. 

mercoledì 7 febbraio 2018

SANREMO 2018, LA PRIMA SERATA: CANZONI "A DIGERIBILITA LENTA'. FRA POCO EASY LISTENING E MOLTA RICERCATEZZA, SPICCA LA BUONA VENA DI RED CANZIAN


A giudicare dal vernissage, sembra essere un Festival a digeribilità lenta. Il riferimento è alla "ciccia" dell'evento, ossia ai brani in concorso; dello show, premiato da un ottimo esito in termini di audience, parleremo in conclusione di articolo. Digeribilità lenta perché, a parte tre o quattro eccezioni, il pacchetto - canzoni di Sanremo 2018 parrebbe mancare, a un primo ascolto, di quella forza d'impatto che è determinante non tanto per l'esito della gara, quanto per la capacità di questi prodotti di sfondare a livello commerciale.  In questo senso, il cambio di rotta rispetto alla gestione Conti è stato autenticamente radicale: soprattutto l'ultima edizione firmata dall'anchorman toscano era stata all'insegna del più assoluto easy listening, pur con numerosi picchi qualitativi. Claudio Baglioni ha fatto una scelta diversa: lo si era capito, è stato ripetuto fino alla nausea nelle settimane di vigilia, ma ora ne abbiamo la conferma. La quasi totalità delle opere presentate dai Campioni necessiterà di un'assimilazione graduale, ponderata: risulta dunque provvidenziale il nuovo regolamento, che ci consentirà di ascoltare ogni pezzo quattro volte (una delle quali "rielaborata" attraverso i duetti) prima della "superfinalissima" di sabato notte fra i tre più votati. 
PIU' RICERCATEZZA, MENO "PRIMO IMPATTO" - Se dodici mesi fa il coraggio di Conti era consistito nel proporre un cast di Big in larghissima parte à la page, in linea coi gusti dei giovani e lontano, di converso, da quelli del pubblico un po' attempato di Rai 1, quest'anno il cantautore romano ha osato su due fronti: proporre pezzi non "da primo ascolto", caratterizzati da una maggior ricercatezza compositiva, e offrire un ventaglio di generi, di territori musicali, decisamente più ampio del solito. Vedremo se questa linea artistica pagherà nel dopo Sanremo: la sensazione è che la kermesse numero 68 avrà una forza di penetrazione sul mercato minore rispetto a quella che l'ha preceduta, e questo è comunque un male, perché il compito principale del Festivalone rivierasco rimane lo stesso del passato: aiutare i cantanti a vendere dischi (in versione "solida" o digitale) e incrementarne la popolarità anche in chiave di presenze ai loro live. 
CANZIAN, KOLORS E STATO SOCIALE: I "RADIOFONICI" - Orecchiabilità da rivedere, si diceva. Certo non mancano le eccezioni. Ne ho finora contate quattro, per l'esattezza: il sound contemporaneo, pur su diversi piani stilistici, dei The Kolors e dello Stato Sociale (che con l'ausilio di un'attempata ballerina hanno fornito la performance di maggior effetto scenico della serata), la ritrovata vena delle ricomposte Vibrazioni, ispirate nel loro pop romantico come ai tempi degli exploit negli anni Zero, e il vivace Red Canzian, al quale attribuisco la mia personalissima palma di migliore della puntata inaugurale. Un gradino più sotto, in fatto di immediatezza, Annalisa e Noemi, che però dovrebbero presto emergere, anche se la proposta della "rossa" non sembra poter aggiungere granché alla strada artistica finora percorsa. Di notevole spessore il crescendo emotivo di "Adesso", a cura di Diodato e Roy Paci, apprezzabili il nuovo inno al femminile di Nina Zilli e il moderato rock in salsa anni Ottanta dei Decibel; meno penetranti lo stornello modernizzato di Barbarossa e il soffuso jazz di Biondi, fin troppo sofisticato anche per un Sanremo che si vorrebbe più "culturalmente alto" del solito. 
PICCHI DI RAFFINATEZZA: DA GAZZE' AD AVITABILE - Carina, ma non particolarmente originale la melodia di Facchinetti e Fogli, col primo che deve stare attento a non scadere nel caricaturale, con quel suo insistere nel calcare la mano su certe vocali fin troppo aperte... Sul piano della raffinatezza, spiccano la delicata opera di Lucio Dalla affidata alla sensibilità di Ron, il favolistico Gazzè in versione cantastorie, il pezzo d'atmosfera del trio Vanoni - Bungaro - Pacifico e il sound napoletano di Avitabile e Servillo, a metà tra tradizione e avanguardia. Elio e le Storie tese sembrano aver confermato il trend in discesa dei loro Sanremo: dal tormentone "La terra dei cachi" e dalla bizzarra "Canzone mononota", sono passati alla non eccelsa "Vincere l'odio" per terminare con questa "Arrivedorci" fin troppo autocelebrativa e priva di veri guizzi, anche se l'arguzia lessicale rimane intatta.
META E MORO RISCHIANO - Riguardo ai favoriti Ermal Meta e Fabrizio Moro, per tensione emozionale e cantabilità la loro "Non mi avete fatto niente" potrebbe effettivamente vincere, pur se lontana dalla forza d'impatto di "Pensa", altra canzone di impegno civile, con la quale il romano sbancò la sezione Giovani nel 2007. Il problema è che, per loro, il rischio squalifica esiste davvero: le somiglianze col brano "Silenzio", presentato senza successo da Ambra Calvani e Gabriele De Pascali alle selezioni per le Nuove proposte 2016, ci sono, non lo si può negare. Vedremo come se la caveranno i due, e vedremo come la direzione artistica si muoverà nei meandri del regolamento, ma di certo questo "giallo" rappresenta già un punto debole nel corpo del neonato Sanremo 68. 
BASTA COI CAVALLI PAZZI! - Non potevamo farci mancare l'ennesima invasione di campo in apertura da parte del Cavallo Pazzo di turno. Curioso: entrare all'Ariston da spettatori è impresa titanica, ma sul palco pare si possa arrivare, a volte, con relativa facilità; la cosa non diverte più (aveva già stufato ai tempi del fu Appignani), ma che avvenga nel 2018, in tempi di allarmi terroristici ancora vivi, è inaccettabile. Tirem innanz... Fiorello ha fatto ciò che gli viene meglio, cioè l'istrione improvvisatore: vedremo domani se il bel riscontro Auditel del debutto festivaliero sarà stato più o meno "drogato" dalla sua presenza. Dopo tre anni di conduzione sicura e rassicurante, in perfetto stile baudiano, c'era grande attesa per scoprire la formula top secret ideata da Baglioni, e va detto che è risultata tutto sommato riuscita e funzionale. Il "diretur" è stato più presente del previsto sul palco, a partire dalla sentita introduzione, molto attivo all'inizio e alla fine, mentre nella parte centrale ha dato giustamente più spazio ai conduttori designati.
MICHELLE UBER ALLES - La vera padrona di casa è palesemente Michelle Hunziker, che ha menato le danze e sfoggiato una sicurezza che la pone a distanza siderale da quella pulcina bagnata vista al Sanremo di undici anni fa (e sarebbe stato grave il contrario, va da sé...). Anche Favino tuttavia ha fatto centro: arriva buon ultimo dopo tanti attori professionisti che l'hanno preceduto nella presentazione della rassegna, ma fra tutti è stato quello che, al momento, pare esser maggiormente riuscito a portare all'Ariston la sua personalità e un'impronta ben precisa. Infine: si era detto "niente più star hollywoodiane", e va bene, ma la promozione del nuovo film di Gabriele Muccino era proprio necessaria? E Morandi e Tommaso Paradiso dovevano proprio presentarlo, il loro pezzo? L'immarcescibile Gianni non poteva limitarsi a duettare con l'altro "capitano coraggioso", il buon Claudio? Domande retoriche. Ne abbiamo già parlato ieri: è più che mai lotta fratricida fra due squadre di Big parallele, fra chi rischia e chi no. Però, che tristezza.

martedì 6 febbraio 2018

SANREMO 2018: AL VIA LO STRANO FESTIVAL DEI TRE CAST PARALLELI E DEI "BIG CONTRO BIG"


"Sarà un Festival sui generis, diverso dal solito, sicuramente originale". Lo si dice da mesi, e del resto questo Sanremo 2018 è stato circondato da un alone di mistero fin dalla fase di gestazione: prima l'inquietante "vuoto di potere" del dopo Carlo Conti, con la nomina del nuovo direttore artistico che si è fatta pericolosamente attendere; poi la designazione di Claudio Baglioni a fine settembre, e a seguire la messa a punto di un regolamento che segna un deciso cambio di rotta rispetto alle edizioni degli ultimi anni, con l'abolizione delle eliminazioni in entrambe le categorie in concorso; e ancora, la composizione di un cast di Big meno glamour e meno commerciale rispetto a quelli della gestione "contiana", per finire con l'inedito ed estemporaneo trio scelto per fare gli onori di casa: Michelle Hunziker, showgirl targata Mediaset, Pierfrancesco Favino, attore a digiuno in fatto di conduzioni catodiche, e ovviamente lui, il "capitano coraggioso" Claudio, non si sa ancora bene con quanto spazio e con quale ruolo, ruolo che tuttavia, stando alle indiscrezioni, potrebbe essere meno defilato di quel che si pensava inizialmente. 
Ora che siamo al momento del dunque, le impressioni sono le stesse della lunghissima vigilia. Ci accingiamo ad assistere a un Sanremo del tutto particolare. Non so se sarà di semplice transizione, per poi tornare a percorrere la strada di recente intrapresa (una strada vincente), o se segnerà una svolta nel modo di concepire la struttura dell'evento. Ma sarà comunque una rassegna da seguire con grande attenzione e curiosità. Dei Campioni ho già scritto al momento dell'annuncio del "listone", in dicembre: inutile tornarci sopra adesso, quando basterà attendere poche ore per avere anche la materia prima su cui discutere, ossia i brani in lizza. "Annusando l'aria che tira", come dicono gli esperti sanremologhi, i miei favoriti sono le coppie Meta - Moro e Facchinetti - Fogli, poi Red Canzian e Annalisa, mentre la critica già ha detto mirabilia del brano di Ron targato Dalla. Ne riparleremo presto...
OSPITI ITALIANI: UN CAST MONSTRE - Più opportuno spostare i riflettori sulla linea artistica che il cantautore romano ha voluto dare a tutto il progetto Festival nel suo complesso: da quando nella liturgia sanremese sono stati introdotti gli ospiti fuori concorso, non è mai accaduto, a mia memoria, che gli italiani superassero, in quantità, le star d'oltrefrontiera. Solo due i precedenti analoghi in tal senso, ma si trattò di circostanze del tutto eccezionali, di due eventi concentrati entrambi in una sola delle cinque serate in cartellone: nel 2010, sfilarono nove superstar canore di casa nostra per celebrare il sessantesimo compleanno della manifestazione; l'anno prima, dieci superbig si esibirono facendo da padrini ad altrettante nuove proposte (fu la covata d'oro di Arisa, Malika Ayane, Simona Molinari, Irene Fornaciari). 
In questo Sanremo 2018, salvo cambiamenti dell'ultima ora (che al Festival sono frequenti, in tema di reclutamento di vedettes internazionali), dall'estero al momento sono in arrivo i soli Sting (con Shaggy) e James Taylor: oltretutto, grandissimi nomi, ma non certo protagonisti delle più recenti charts, quegli effimeri eroi che in Riviera sono spesso e volentieri venuti a far promozione per sfruttare il loro attimo più o meno fuggente. Del resto, Baglioni era stato chiaro: gli stranieri che verranno, aveva detto, dovranno impegnarsi anche a omaggiare, in qualche modo, la canzone italiana. Può anche essere che questo "paletto" abbia scoraggiato molti divi del pop mondiale a sbarcare all'Ariston. Ma magari si è trattato solo di una scelta di campo chiara, netta, inequivocabile da parte dello staff organizzativo: fare del Festival 2018 un inno assoluto alla musica tricolore. 
CHI RISCHIA IN GARA E CHI NO - Così, ecco schierati ai nastri di partenza Laura Pausini (se guarirà in tempo utile dalla laringite), Giorgia, Negramaro, Piero Pelù, Gianni Morandi, Il Volo, Gino Paoli con Danilo Rea, il trio Nek - Pezzali - Renga, Antonacci, Fiorella Mannoia. Non si può certo dire che si tratti di un elenco grondante sorprese (quasi tutti sono stati visti e rivisti a Sanremo in tempi non troppo lontani, perfino il "ribelle" Pelù fece il superospite nel 2001), ma d'altro canto non può sfuggire un fatto singolare: si tratta di un nutrito drappello di "campioni" che marcerà parallelamente a quello degli "altri" campioni, ossia i concorrenti.
Big italiani contro big italiani, lotta fratricida nella quale vedo un senso di profonda ingiustizia. Parliamoci chiaro: il fatto che ci sia una élite di cantanti nostrani che si sottraggono alle forche caudine della gara preferendo la vetrina senza rischi, mentre nelle stesse ore dei "valorosi" colleghi affrontano la pugna con spirito indomito, stona un po', ancor più se si tratta di una scelta avallata o ispirata dal patron di turno. Bei tempi, quelli in cui il palco ligure era negato agli artisti italiani refrattari al concorso; il Pippo Baudo dei tempi d'oro fu particolarmente rigoroso nella difesa di questo principio, salvo poi cambiare registro negli ultimi due Festival sotto la sua gestione, 2007 e 2008. Rimango del parere che una distinzione del genere, che suona quasi come "cantanti di Serie A e cantanti di Serie B", non dovrebbe esistere, a Sanremo: ed è ancor più assurdo che esista quest'anno, con una competizione così largamente annacquata che porterà tutti, proprio tutti, i gareggianti alla finalissima di sabato. Una Giorgia, un Antonacci, un Sangiorgi con band al seguito, possono davvero aver paura di un piazzamento sanremese non all'altezza della loro fama? Suvvia, siamo seri...
LA TERZA SQUADRA: I DUETTANTI - Due cast di big paralleli, dunque. Anzi, tre: perché fra le più belle novità del Sanremo numero 68 c'è il pensionamento della serata delle cover (aveva un po' stufato e in tanti anni aveva prodotto un solo clamoroso exploit, quello di "Se telefonando" versione Nek, bissato, ma in misura decisamente minore, da "Un'emozione da poco" di Paola Turci),  e il ripristino della serata dei duetti, che per diverse edizioni ha proposto tante riletture interessanti dei brani in competizione, e tante performance di notevole effetto scenico. Per questo happening, in programma venerdì, è stato arruolato uno "squadrone" di vip niente male: da Arisa a Michele Bravi, da Simone Cristicchi a Giusy Ferreri, e poi ancora Sergio Cammariere, la Turci, Marco Masini, Alice, Tullio De Piscopo... Anche loro sono ufficialmente "fuori concorso", ma perlomeno accorrono a dare una mano concreta ai colleghi, e, insomma, un minimo incideranno sulla classifica finale. 
MA GLI STRANIERI SERVONO... - Eccolo, quindi, il Sanremo dei tre squadroni di Big, e della guerra fratricida fra artisti che sfilano in allegria ed altri che affrontano le ansie e le nevrosi della gara. D'accordo, così facendo Baglioni ha radunato in Riviera una cospicua razione della crème dell'italico pop, mettendo in piedi un Festival tutto sommato abbastanza rappresentativo dell'attuale realtà musicale del Paese (rispunta persino il rap, con Ghemon che sarà partner di Diodato e Roy Paci); ma, almeno per quanto mi riguarda, il retrogusto amarognolo da disparità di trattamento permane. Forse costano di più, ma giova ricordare che i grandi interpreti di fuorivia hanno quasi sempre portato lustro e spessore alla kermesse, facendole superare i confini della Penisola e dando nel contempo visibilità quasi planetaria alle nostre ugole d'oro. Senza arrivare agli eccessi degli anni Ottanta, con le abbuffate di stranieri al mitico Palarock, forse era il caso di battere con più convinzione la pista internazionale. Pazienza, e... buon Sanremo a tutti.