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lunedì 11 ottobre 2021

NATIONS LEAGUE: CONTRO IL BELGIO UN'ITALIA DI NUOVO VICINA ALLE SUE MIGLIORI ESPRESSIONI. GIGANTEGGIANO I TRE DI CENTROCAMPO

 L'eterna domanda senza risposte definitive: che valore tecnico ha la finalina dei tornei internazionali? Di certo dipende dalla manifestazione: per quanto riguarda la giovane Nations League, dal fascino indiscutibilmente ancora acerbo, la sfida per il bronzo vale grosso modo un po' più di un'amichevole di lusso. Poi però conta soprattutto quello che dice il campo: e lo Stadium, ieri, ha mostrato due squadre che hanno onorato l'impegno, interpretando seriamente la gara e battendosi fino alla fine per fare risultato. Ecco perché Italia-Belgio non è stata giocata invano: contro un avversario probante, qualitativo al di là delle assenze (che avevamo anche noi) e per nulla arrendevole, Mancini ha sicuramente avuto una buona parte delle risposte che cercava, al culmine di una momento azzurro sovrastato da qualche nube di troppo. 

QUASI COME AI "VECCHI TEMPI" - Era importante tornare subito a vincere, ovvio; ma era fondamentale la strada che avrebbe percorso la Nazionale per centrare l'obiettivo, e da questo punto di vista le indicazioni del pomeriggio torinese sono state confortanti anche al di là delle aspettative. Per settanta minuti si sono rivisti ampi sprazzi dell'ItalMancio, ossia dell'undici dominante tante volte ammirato negli ultimi tre anni fino ad Euro 2020. Si è sempre detto che la chiave di volta dei successi di questo ciclo stia nell'enorme mole di lavoro che il centrocampo riesce quasi costantemente a sviluppare con esiti di grande efficacia. Ebbene, ieri il nostro reparto di mezzo, riveduto e corretto rispetto a San Siro, è tornato a svettare: padronanza della manovra, abilità nelle due fasi, rapidità e precisione estrema nel tocco e nel palleggio. Sono i pilastri su cui è stata edificata la compagine campione continentale. Il fatto che, col parziale cambio degli interpreti, la sostanza non sia mutata, testimonia della bontà della generazione attualmente vestita di azzurro, ricca di classe nei piedi e di intelligenza calcistica. 

CENTROCAMPO A PIENO REGIME - Locatelli è stato un autentico califfo, sicuro, deciso, autorevole, inesorabile soprattutto nell'azione di interdizione, ma abile anche in costruzione quando ne ha avuto l'opportunità; Barella è tornato ad avvicinarsi ai suoi vertici di rendimento, con chiusure, inserimenti, assist e conclusioni: ha sfiorato il bersaglio nel primo tempo mancando di poco il bersaglio, lo ha ottenuto in avvio di ripresa con un gran destro al volo sugli sviluppi di un corner, confermandosi fra le nostre armi offensive più pericolose, soprattutto perché non sai mai quando e in che modalità piomberà in avanti per cercare di lasciare il segno. Ma personalmente, più degli altri, mi ha impressionato Lorenzo Pellegrini, "olandese" nell'accezione settantiana del termine, splendido uomo ovunque, visto a dar manforte in difesa, per poi lavorare un'infinità di palloni nel mezzo e contribuire massicciamente all'impostazione: fra le tante giocate di qualità, ottimo il lancio per Chiesa in avvio di gara, con tiro poi smorzato da un difensore. Gli è mancato il guizzo al tiro, ma è chiaro che un elemento così, in questo momento, non può essere relegato al ruolo di alternativa. 

BERARDI E CHIESA ATTIVI E ISPIRATI - Attorno a un nucleo così bene assortito, continuo e funzionale, tutta la macchina Italia ha girato a buon regime, esibendo anche pressing e frequenti spostamenti del fronte di gioco. Nel dettaglio dei singoli, si è rivisto un Di Lorenzo dal discreto slancio nelle sue proiezioni offensive, pur non accompagnato dalla necessaria precisione al cross, mentre Emerson, sull'altro versante, ha dato il meglio in copertura. Convincenti assai anche gli esterni alti, con un Berardi ispiratissimo e massicciamente presente nella nostra produzione d'attacco: per lui tante accelerazioni, un tiro che ha impegnato Courtois, un assist che ha messo Chiesa in posizione di sparo (altro salvataggio del portierone ospite) e il rigore del 2-0, pur trasformato con qualche difficoltà.

 Proprio Chiesa si è confermato la costante positiva di questo turbolento avvio di stagione azzurra: sempre nel vivo dell'azione, sempre con lo sguardo rivolto alla porta; tre volte ha cercato la conclusione nella prima frazione (un tiro fuori, un diagonale rintuzzato dalla difesa e un salvataggio del guardiano del Real Madrid), una volta ha difeso un pallone recapitatogli da Bastoni per poi mandare alla battuta Raspadori, che avrebbe fatto centro senza la provvidenziale deviazione di Castagne, e ha infine costretto Castagne al fallo da rigore; solo "Raspa" ha un po' sofferto, ma nel match di Torino gli approcci offensivi del Club Italia hanno battuto sentieri tattici diversi, come abbiamo visto, puntando più sulle corsie laterali e sugli sganciamenti di uomini dalla zona nevralgica. 

DIFESA SOLIDA E PROPOSITIVA - Incoraggianti anche le indicazioni offerte dalla terza linea: molto "alta" e propositiva fin quando il nostro undici ha tenuto pallino, con frequenti avanzamenti di Acerbi e un Bastoni sempre pronto al rilancio, poi serrata e attenta nei venti minuti finali, allorché i Diavoli Rossi hanno intensificato la loro spinta, grazie anche all'ingresso di un brillante De Bruyne; e Donnarumma è tornato ai livelli che gli competono sventando due insidiosissime conclusioni di Alderweireld. 

Il fatto che, nonostante un quadro di rendimento generale piuttosto elevato da parte degli italiani, i belgi siano stati pericolosi al punto di colpire tre legni con Saelemaekers, Batshuayi e Carrasco, è ulteriore conferma di quanto la partita sia stata presa sul serio dai numeri uno del ranking Fifa, costituendo un test di grande severità per un team, il nostro, ancora scosso dalla semifinale perduta. Il punto dell'1-2, realizzato in contropiede da De Ketelaere, ha rappresentato un giusto premio per gli uomini di Martinez, restituendo uno specchio più fedele dell'andamento del match, e tuttavia, un'analisi complessiva dei vari momenti dell'incontro, dell'atteggiamento degli azzurri nelle varie fasi tattiche, dell'efficacia delle loro trame, non può che confermare la piena legittimità di un successo sofferto, in fin dei conti, soltanto nell'ultimo quarto di gara. 

LE INDICAZIONI DEL CAMPIONATO - Una vittoria di sostanza, dunque, piena di spunti di riflessione per il Mancio. Ai rilievi positivi già qui evidenziati, aggiungiamo una lezione di fondo: in futuro andranno tenute in maggiore considerazione, rispetto a quanto fatto in questo post Europeo, le indicazioni del campionato e più in generale dell'attività dei club. Come avevo rilevato dopo la Spagna e come la finalina ha dimostrato, in questo momento gente come Locatelli e Pellegrini non può stare fuori (e senza l'infortunio avrebbe trovato spazio anche Calabria), così come è stata confermata la necessità di insistere su Bastoni, prospetto che offre assolute garanzie al di là di piccoli errori frutto dell'inesperienza. Allo stesso modo, occorre proseguire la sperimentazione di Raspadori e Kean, ancora non perfettamente inseriti nei meccanismi ma che lasciano intravedere sviluppi interessanti per un ampliamento delle soluzioni offensive della squadra. 

Di negativo, la perdita di incisività nei sedici metri finali una volta raggiunto il 2-0: dopo, sono state imbastite altre azioni potenzialmente insidiose ma che non hanno trovato sbocchi; come già detto, peraltro, in quello scorcio di match sono emerse solidità e pragmatismo di una formazione che ha saputo difendersi senza troppo affanno, certamente anche con l'aiuto di un pizzico di buona sorte (che un po' ci era mancata a Milano). Un sistema difensivo che però è saltato in occasione dell'1-2, incassato dopo errori da matita blu, ripartenza avversaria su corner a favore  e in situazione di doppio vantaggio nel punteggio, roba da far ammattire qualsiasi trainer; ma è stata l'unica autentica sbavatura (giustamente pagata) di una prestazione ampiamente soddisfacente. 

FRANCIA CON MERITO - La Nations l'ha vinta la Francia, tutto sommato con merito; in entrambe le sue prove ha mostrato grande spirito di reazione, nella finalissima è stata la prima ad accelerare dopo tanti sbadigli. Ha grandi individualità, da anni, e nella circostanza ha saputo farle fruttare, mentre la Spagna troppo a lungo è caduta nell'antico vizio del palleggio fine a se stesso, un possesso sterile che sovente non sfocia in tiri in porta. Dopo lo svantaggio ha avuto due grandi occasioni per portare la gara ai supplementari, entrambe sventate da Lloris, ma in precedenza anche i Bleus avrebbero potuto mettere dentro qualche altro pallone. Verdetto equo, dunque, anche se la selezione di Deschamps pare nel complesso meno efficiente rispetto ai tempi del Mondiale russo, sostenuta più che altro dalle eccelse qualità tecniche e dai lampi di genio dei suoi meravigliosi solisti. 

FISCHI AGLI INNI: BASTA VUOTA INDIGNAZIONE, VIA ALLE SOLUZIONI - Due parole, infine, sui fischi nostrani agli inni altrui, ricomparsi mercoledì al Meazza. In tutta onestà, il problema è ormai talmente annoso che trovo persino ozioso continuare a parlarne, e stucchevole cadere ogni volta nella retorica dell'indignazione, nel senso che la fase dell'indignazione dovrebbe essere stata superata da un pezzo, per passare oltre, alle cose concrete. Alle corte: dalle prime manifestazioni dello spregevole fenomeno sono trascorsi lustri e lustri. Le soluzioni per porvi un argine vi sono, e sono note: soluzioni di controllo e punitive sul breve periodo, soluzioni educative nel medio. Se non le si applica, come sarebbe ampiamente possibile, non si può poi sperare che di punto in bianco, da un giorno all'altro, i fischi spariscano come per incanto. 

CAMPAGNA COI CAMPIONI - Ancor prima delle suddette soluzioni radicali e culturali, la cui messa in pratica dipende dalla volontà delle istituzioni sportive e politiche nazionali e dalle agenzie educative della nostra società civile, un primo, timido passo potrebbe essere di natura pubblicitaria. Avete presenti le recenti campagne pro vaccino Covid animate da sportivi e uomini di spettacolo? Ecco, perché non fare una campagna massiccia e martellante, attraverso i media e anche con eventi "live", contro questa disgustosa dimostrazione di maleducazione, ignoranza e cafonaggine? I calciatori del Club Italia vivono un momento di grandissima popolarità grazie al trionfo di Wembley: usiamoli tutti, dunque, per mettere in piedi questa iniziativa, usiamo i loro volti e le loro parole per combattere il becerume pseudo-tifoideo. 


giovedì 7 ottobre 2021

NATIONS LEAGUE: PER L'ITALIA SCONFITTA BALORDA. NEL PRIMO TEMPO MEGLIO (A TRATTI) DELLA SEMIFINALE EUROPEA, MA IL ROSSO A BONUCCI RIPORTA IN ORBITA LA SPAGNA

 E' stata, prima di tutto, una partita balorda. O meglio, una mezza partita, conclusasi dopo 45 minuti, anzi 46. Di quell'altra "cosa" che ha preso forma sotto i nostri occhi dopo l'intervallo sarebbe forse meglio non parlare, ma lo farò comunque più avanti, per dovere di analisi. Match balordo, sì, questo Italia-Spagna: tristemente simile ad altri match squinternati che la nostra Nazionale, storicamente, tende spesso a offrirci all'indomani dei suoi grandi trionfi internazionali. I più maturi e attempati fra i lettori potranno ad esempio ricordare un'Italia-Cecoslovacchia 2-2 del novembre 1982, pochi mesi dopo la sbornia Mundial, e si era a  San Siro anche quel giorno, fra l'altro. 

RUOTA CHE GIRA - Ecco, la gara di ieri sera, limitatamente al primo tempo, ha avuto qualche punto di contatto con quella lontana sfida di qualificazione europea. Incontri in cui, dopo il magic moment in cui va tutto, ma proprio tutto, come desideriamo che vada, il vento comincia a soffiare in direzione contraria: manchi occasioni che pochi mesi prima non avresti fallito, subisci gol che prima non avresti preso, paghi a caro prezzo sbavature tecniche e tattiche alle quali prima avresti saputo porre rimedio. La triste semifinale di Nations League può sintetizzarsi così: la partita della ruota che non gira più, o meglio, che gira in senso opposto. Un episodio su tutti: pensiamo a come sarebbero andate le cose senza la sciagurata espulsione di Bonucci, una leggerezza che un capitano di lungo corso mai dovrebbe commettere e che, non a caso, non commise ad Euro 2020. 

FINO AL ROSSO, MEGLIO CHE A LONDRA - Ognuno può pensarla come vuole: io penso che contro gli iberici, in parità numerica, non sarebbe finita come è finita. Vado oltre: l'Italia del primo tempo è stata, per larghi tratti, migliore di quella della semifinale di Wembley, sul piano delle espressioni di gioco e dell'autorevolezza, perché la ricordiamo tutti la sofferenza in trincea di quei 120 minuti, vero? La cartina di tornasole sta nel fatto che la Roja ci ha messo un bel po' prima di salire in cattedra, e lo ha fatto comunque senza continuità. L'Azzurra del primo quarto d'ora, e poi quella che ha reagito allo 0-1 dopo alcuni minuti "groggy", è stata una compagine dinamica, intraprendente, coraggiosa, sufficientemente precisa nel palleggio. Lungi dall'essere perfetta, certo, altrimenti non sarebbe andata sotto per poi rimanerci; ha pagato la giornata no di uno dei suoi califfi nel mezzo, Verratti, la scarsa vena di Barella, alcuni blackout difensivi di Di Lorenzo, soprattutto, e del citato Bonucci. Ma ha creato e concluso, prima e dopo la deviazione vincente di Ferran Torres: un grande intervento di Unai Simon su staffilata di Chiesa, un colpo di testa di Di Lorenzo a lato di poco, il palo di Bernardeschi, e soprattutto il clamoroso tiro a lato di Insigne, solo davanti al portiere, dopo un perentorio contropiede di Emerson. Come si suol dire, il pari era nell'aria, sarebbe anche stato giusto e avrebbe posto le basi di una seconda frazione apertissima; poi l'espulsione dello juventino e il raddoppio firmato ancora da Torres allo scadere del recupero hanno fatto calare la tela. 

PUGNALATA - Ripeto, un Club Italia apprezzabile, pur se non irresistibile, al cospetto di una selezione che solo in parte stava riuscendo a ripetere il dominio della manovra sciorinato ai tempi del rendez vous europeo. Rispetto a luglio ci è mancato, ancora una volta, il killer instinct, problema che già aveva causato intoppi notevoli nelle qualificazioni mondiali e che non poteva non essere pagato a caro prezzo contro un avversario superiore a Svizzera e Bulgaria. Dopo, in dieci contro undici, la partita da balorda è diventata avvilente, epperò inattendibile. E' stata una pugnalata, la visione di una Nazionale per oltre mezz'ora in balia totale delle Furie, irridenti al punto da meritare una punizione che, nel finale, è arrivata solo parzialmente. Mai così in sofferenza, l'ItalMancio, neppure nelle sue prime timide apparizioni di tre anni fa. 

SALVATA LA FACCIA - Ma, lo ribadisco, è stato uno spezzone di match giocato ad armi talmente impari da poter essere valutato solo con ampio beneficio d'inventario: essere sotto di due, immeritatamente, e con l'uomo in meno, contro questa Spagna vuol dire andare incontro al martirio, e possiamo anzi dire che i ragazzi dell'ex Bobby Gol siano stati bravi a evitare il naufragio completo, di fatto rendendo inoffensivo il possesso palla di Busquets e compagni e trovando il guizzo dell'1-2, anche se di pura rabbia, sull'asse Chiesa - Pellegrini. Nel salvare la dignità ci ha messo del suo anche Donnarumma, stordito inizialmente dagli stupidi fischi del Meazza (al punto da regalare, quasi, il raddoppio con una paperissima su diagonale del redivivo Marcos Alonso), ma poi ripresosi alla grande da campione qual è, con uno splendido salvataggio sullo stesso Alonso e molte tempestive uscite. Ed è stato utile Chiellini, per ridare compattezza, reattività e morale a tutta la truppa, tanto che perfino Di Lorenzo, a lungo in difficoltà nella prima parte, si è prodotto in un bell'anticipo su Sergi Roberto a pochi passi dalla porta. 

DA CHIELLINI A BASTONI - Gli interrogativi più amari della serata milanese partono proprio da qui: se a un anno dal Mondiale (che dobbiamo comunque ancora conquistarci) siamo aggrappati al vecchio bucaniere bianconero per tappare certe falle, è forse lecito nutrire qualche dubbio quantomeno sul futuro della nostra difesa: in campo c'era Bastoni che nel complesso dei novanta minuti non ha fatto male, a parte la piccola (ma decisiva) incertezza sul primo acuto di Torres; ma da parte sua si sono viste anche qualche preziosa chiusura e una buona dose di intraprendenza, personalità nel cercare di far ripartire l'azione, e insomma, è anche da esperienze tempestose come questa che passa la maturazione internazionale dei nomi nuovi; guai, quindi, a buttare a mare l'interista.  

ERA POSSIBILE CAMBIARE L'INERZIA? - Da questa considerazione nasce il secondo interrogativo: mettere in campo una formazione più fresca e "affamata", seguendo fra l'altro l'esempio di Luis Enrique, avrebbe aperto prospettive migliori? Io credo di sì ma, come detto, fino al rosso a Bonucci la prova dei nostri, pur fra qualche smagliatura e gravata da alcuni uomini sottotono, non era stata assolutamente negativa; anche se più dei singoli era il collettivo che stava funzionando, senza picchi particolari, se non in un Emerson molto propositivo, in Jorginho che era partito col piede giusto governando ottimamente il reparto di mezzo con notevole carica agonistica, e col solito Chiesa vispo e voglioso.  Ed era possibile cambiare l'inerzia in quel secondo tempo largamente gestito dagli ospiti? Ecco, qui invece ritengo che sarebbe stato quasi impossibile: Locatelli, Kean e Pellegrini potevano forse entrare prima, ma saremmo stati pur sempre in doppio svantaggio e in inferiorità numerica, e contro questa Roja, lo si è detto, avere questi handicap vuol dire essere destinati a sconfitta sicura. 

INSEGNAMENTI - E adesso? Adesso il futuro è probabilmente della Spagna, ma può essere anche nostro (e di altre rappresentative, beninteso). Questa serata, oltre all'ovvia amarezza per aver perso la possibilità di alzare un trofeo alla nostra portata, lascia in eredità tanti insegnamenti importanti. Oddio, un paio di questi, poche proteste e gomiti bassi, un uomo dell'esperienza di Bonucci avrebbe dovuto impararli da tempo, ma tant'è. Ecco, c'è stato pure tanto nervosismo in campo, frutto forse della desuetudine alla sconfitta, e il ko sarà utile anche a questo, a saper gestire meglio le situazioni di difficoltà che inevitabilmente ci si pareranno davanti sempre più numerose, di qui in avanti. 

Altro insegnamento: insistere su uno stile, un modo di stare in campo e di aggredire le partite, che la Spagna porta avanti con convinzione da quasi due decenni e che noi abbiamo fatto nostro, in pratica, solo dal 2018; loro ce l'hanno ormai nel DNA e si vede, noi l'abbiamo acquisito e dobbiamo interiorizzarlo ancor di più, perché è vincente, e in questo senso, dopo gli iberici, i migliori d'Europa siamo sempre noi; oltretutto, quando lo facciamo bene (ed è accaduto nel 99 per cento del percorso manciniano), il nostro possesso non è mai sterile e stucchevole, tendente ad addormentare e congelare, ma attivo e propositivo. Wembley e il primo tempo di Milano, per di più, hanno dimostrato che non ci manca la duttilità tattica, la capacità di adattarci a soffrire, le poche volte che ci si trova soggiogati sul piano del governo delle operazioni (e a questa Italia, diciamolo, succede esclusivamente contro la Spagna...). In undici, nella ripresa di ieri, avremmo potuto contenere e ripartire, aiutati dai boys subentrati che hanno avuto ben poco spazio di manovra in una compagine menomata, rattrappita, ammassata sulla trequarti per arginare la giostra impostale dai visitanti. 

DOVEVA ESSERE UNA PALESTRA - Chiudo questo pezzo pieno di interrogativi con... un altro interrogativo. E' stato giusto puntare in massa sui "pretoriani" azzurri per inseguire questa Nations League? Ecco, secondo me no, e parlo della filosofia di base con cui si è affrontata la manifestazione, non già della gara di ieri sera che, l'ho scritto prima, l'undici in campo ha per 45 minuti interpretato discretamente. Ma forse questo torneo andava preso come palestra di crescita per le nostre nuove leve, non come ulteriore premio per i pluridecorati, perché il campionato e le coppe ci stanno dicendo che gente come Calabria, Locatelli e Pellegrini, in questo momento, merita la maglia più dei titolarissimi storici, più spazio meriterebbero Kean e Raspadori, più considerazione Tonali. Occhio perché, per quanto la si neghi e la si respinga a parole, la riconoscenza verso chi ti ha portato in alto rappresenta una tentazione troppo grossa, che ha piegato anche uomini tutti d'un pezzo come Bearzot e Lippi.