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lunedì 12 luglio 2021

EURO 2020: L'ITALIA SBANCA WEMBLEY, E' CAMPIONE D'EUROPA SULLE ALI DEL GIOCO. UN TRIONFO CRISTALLINO E UN FUTURO CHE FINALMENTE CI SORRIDE

 "Un'estate italiana" di Nannini-Bennato può finalmente risuonare, nel catino di Wembley, a sottolineare una serata azzurra memorabile, e non un cumulo di rimpianti. Non eravamo più nessuno, il nulla cosmico calcistico, e oggi ci ritroviamo sul tetto del Vecchio Continente. Siamo usciti dal tunnel con una velocità che era difficile prevedere anche per chi, come me, ha sempre accompagnato questa nostra Nazionale con parole di fiducia e ottimismo. Dall'inferno al paradiso in meno di quattro anni. Campioni d'Europa, e scriverlo suscita perfino un effetto straniante. L'emozione è enorme, da groppo in gola che non passa dopo una notte quasi insonne. Si dice che in casi come questo risulti superfluo avventurarsi in analisi tecniche dell'evento in sé, perché conta il fattore sociale, l'entusiasmo che l'ItalMancio ha trasmesso al Paese, facendolo scendere in piazza a folleggiare dopo oltre un anno da incubo. 

TRIONFO SENZA OMBRE - Invece no, perché proprio l'aspetto sportivo della finale di ieri ne esalta ancor più i contorni di impresa. Si è trattato di un successo limpido, cristallino, meritato. Nessun dubbio è lecito sulla legittimità di un titolo che ritorna nello Stivale dopo 53 anni, un'eternità. Non vale mai la pena dover aspettare così tanto per assaporare la gioia della vittoria, ma possiamo dire che, perlomeno, l'attesa sia stata ripagata da un Club Italia pienamente all'altezza della situazione. Migliore di tutti per continuità di rendimento, ad alto livello, dalla prima alla settima partita. Pochi i momenti di cedimento: le difficoltà nel secondo tempo con l'Austria, la semifinale con la Spagna, la prima frazione della finalissima. L'avevo scritto dopo il soffertissimo successo sugli iberici, nel mio piccolo: giocando in quel modo, old style tricolore, si possono vincere le singole battaglie, non le guerre. Per prevalere in un atto conclusivo così impervio, da disputare in casa dell'avversaria, di fronte a un pubblico di oltre 60mila persone quasi interamente ostile, ci sarebbe voluta la vera Azzurra, quella che mi ha fatto innamorare in questo triennio manciniano, quella propositiva e brillante, col gusto della manovra, quella dal palleggio inesorabile e preciso al millimetro. 

IL NOSTRO "SECONDO INIZIO" - Ebbene, quell'Italia non si è vista, nella prima mezz'ora allo stadio Imperiale. I nostri hanno stranamente impiegato più del lecito ad entrare nel clima rovente del match e hanno pagato il loro "cuore freddo" con lo sbandamento difensivo che li ha visti in versione "belle statuine" sul cross di Trippier da destra e sull'appoggio in rete di Shaw dopo meno di due minuti. La classica mazzata che potrebbe abbattere un toro. Ma già nell'ultimo quarto d'ora della frazione si è cominciata a intravedere una Nazionale diversa, una squadra che si era ripresa di prepotenza l'iniziativa e la gestione della palla. La nostra... seconda finale era iniziata: certo, in partenza il possesso pareva un po' fine a se stesso, una lunga serie di trame che però non producevano granché, nei sedici metri finali, anche se ottenevano il non trascurabile risultato di schiacciare sempre più gli inglesi sulla loro trequarti. 

INGLESI SOLIDI DALLA CINTOLA IN GIU', KANE RIFINISCE MA NON TIRA - Diamo qualche merito anche alla truppa di Southgate, per diana: compagine che raramente ruba lo sguardo, che produce scariche elettriche soltanto con le improvvise accelerazioni di uno Sterling il quale peraltro, nella circostanza, è parso velleitario e nervoso. Ma, anche, una compagine di invidiabile solidità dalla cintola in giù, perfetta nei sincronismi difensivi che sono davvero difficili da forzare, mentre in avanti fa reparto quasi da solo Kane che ieri si è esaltato però solo nel lavoro di rifinitura, come sapevano mirabilmente fare il Rossi e il Bettega della prima Italia bearzottiana, mentre in zona tiro non è stato in grado di incidere come ci si attendeva. 

Un collettivo granitico che però forse si è specchiato un po' troppo nella sua presunta superiorità, o che semplicemente non è riuscito a chiudere l'incontro, quando ne ha avuto la possibilità, perché i nostri, passato lo shock d'apertura, hanno assunto l'assetto più funzionale e adatto alla bisogna. Non si doveva soffrire come contro la Spagna, si è detto, e così è stato: disinnescate le offensive britanniche, rimaneva da trovare il modo di penetrare nella retroguardia. Nel primo tempo, quando il nostro ritmo era ancora troppo basso per mandare in tilt il loro dispositivo di copertura, occorreva un'iniziativa personale, una scossa d'estro, e l'ha tirata fuori dal cilindro Chiesa, con una poderosa progressione chiusa con un sinistro a lato di pochissimo. 

LA SERATA DIFFICILE DI BARELLA E IMMOBILE - Un buon inizio, ma, come detto, non sarebbe bastato se la manovra non fosse lievitata ai consueti livelli "manciniani". E' ciò che è accaduto dopo l'intervallo, complici anche due intuizioni del nostro citti. In queste settimane europee c'è stato perfino chi è riuscito a sostenere, senza vergogna, che, insomma, non è il massimo della vita dover ricorrere sempre alla panchina per correggere errori iniziali di formazione. A parte che la panchina è una ricchezza, se ben sfruttata (e la nostra offre ampie varianti, tutte di grande affidamento ed efficacia), ma non è stato comunque il caso dell'ultimo match di Wembley. Mancini non ha sbagliato l'undici di partenza, semplicemente Barella non ne aveva più e non è riuscito a offrire quegli strappi centrali, quelle idee e quegli inserimenti che spesso sono stati una delle armi in più della nuova Italia, mentre Immobile confermava la sua parabola discendente nel torneo, anche se aveva provato una girata da centro area contrata alla bell'e meglio dalla difesa. E tuttavia, l'ingresso di Cristante portava peso e sostanza nel mezzo, mentre Berardi, col suo movimento e la sua imprevedibilità, era senz'altro meno controllabile del buon Ciro. 

CAMBIO DI  MARCIA E DOMINIO AZZURRO - Anche grazie a queste due novità, la gestione della palla e la solita precisione di tocco venivano puntellate da una maggiore velocità di esecuzione, mentre mutava totalmente anche l'atteggiamento di base: passata la paura iniziale, messa da parte anche la successiva prudenza, rimaneva solo la voglia di provarci, in ogni modo, perché loro non erano marziani e "si poteva fare".  Insigne mancava di poco il bersaglio su punizione dopo averci già provato con un tiro da posizione defilata su assist di Chiesa, un'altra accelerazione di Federico portava lo juventino alla battuta, stavolta di destro, con ottima deviazione in tuffo di Pickford. Il pareggio era maturo e giungeva sugli sviluppi di un corner da destra di Emerson: dopo una torre di Cristante, un tentativo di intervento di Chiellini arginato da Stones (poteva starci il rigore) e un tocco di testa di Verratti deviato dal portiere sul palo, interveniva Bonucci per il facile tap in di sinistro: un gol vero, dopo quello cancellatogli per fuorigioco contro il Belgio. A quel punto, per venti minuti abbondanti, siamo diventati letteralmente padroni del campo, e qui sta il grande cruccio: potevamo chiuderla prima, evitando perfino i supplementari, e su lancio dello stesso Bonucci Berardi quasi pescava il jolly, scavalcando Pickford con un sinistro al volo che però terminava di poco alto. In tutto questo carosello azzurro, l'Inghilterra solo una volta tornava a rendersi pericolosa, con una inzuccata di Stones su angolo alzata sopra la traversa da Donnarumma. 

FOSSE RIMASTO IN CAMPO CHIESA... - L'uscita per infortunio di Chiesa (ah, la famosa "fortuna" italiana...) poneva fine a questo periodo azzurro sontuoso. L'inerzia del match era ormai ribaltata, fatti salvi alcuni brevi break dei bianchi, ma ci mancavano le energie e, soprattutto, lo stoccatore per completare il capolavoro. Poteva esserlo il figlio d'arte, per l'appunto, protagonista della migliore prova in assoluto, pur senza trovare il gol, fra le ottime già fornite in questa competizione, e col piede palesemente "caldo". Nei supplementari accadeva poco, ma, tanto per gradire, una percussione di Emerson sulla sinistra mandava Bernardeschi, proprio il sostituto di Chiesa, a un passo dalla deviazione vincente sotto misura, mentre i locali ci provavano con un destro da fuori di Phillips. Ai rigori di spareggio erano tutti meno precisi del solito: per noi sbagliava Belotti e un terribile contrappasso sembrava dover colpire Jorginho, neutralizzato da Pickford con rimpallo sul palo, errore beffardo come beffardo era stato il penalty decisivo alla Spagna, ma Donnarumma, che già aveva respinto il tiro di Sancho, effettuava identica parata su Saka e non esultava, lasciandoci per un attimo con il cuore in gola davanti ai teleschermi. In realtà era fatta, e per Gigio era anche la consacrazione a miglior portiere del continente. Chissà che il Pallone d'oro... 

TUTTI DA ELOGIARE - Non solo il portierone nella conquista azzurra, comunque, e non è retorica dire che tutti, con diverse sfumature, siano da elogiare. Anche Di Lorenzo, qualche responsabilità sul gol inglese (come tutto il reparto, del resto) ma rialzatosi alla distanza, i monumentali Bonucci e Chiellini, ed Emerson quasi in versione Spinazzola, costante e incisivo nella spinta sulla sinistra. Al centro, Verratti, da leader autentico, ha tenuto a galla la squadra quando, nel primo tempo, rischiava di disunirsi, l'ammaccato Jorginho ha stretto i denti ed entrambi hanno alternato con apprezzabili risultati fioretto e sciabola, mentre Cristante è entrato col piglio giusto, scattando e proponendosi in avanti. Non sempre preciso Insigne, ma la sua presenza nel vivo dell'azione offensiva non è mai venuta meno, anche se, come detto, il migliore dei nostri per distacco, in prima linea, è risultato Chiesa, che prima di questo Euro 2020 non si era mai visto in azzurro così "sul pezzo", decisivo, trascinatore. Comunque il napoletano, pur fra alti e bassi, esce decisamente ingigantito da questa esperienza, avendo messo in curriculum gol pesanti, vivacità e generosità nei ripiegamenti.

NAZIONALE CHE UNISCE - Ribadisco: abbiamo vinto sulle ali del gioco e persino col parziale rimpianto di aver dovuto attendere la giostra finale dei penalty. Ma non è il caso di fare troppo gli schizzinosi, non oggi. L'Italia ha conquistato Londra, ha strappato ai padroni di casa un Europeo che sembrava disegnato su misura per loro, un England 2020 camuffato da torneo itinerante, costringendoli alla patetica scena conclusiva delle medaglie d'argento tolte una frazione di secondo dopo averle indossate (non sono stati i primi a farlo, intendiamoci, ma è un'abitudine pessima). Che impresa, per Mancio e Vialli. E che tristezza, consentitemelo, per i genoani che non esultano in virtù della presenza in panchina dei due ex dioscuri blucerchiati. Santo Iddio, la Nazionale è un fattore unificante, non divisivo. Non ci furono tanti contestatari nell'82 a schifare un'Italia a vistose tinte bianconere, e non ci sono stati nemmeno questa notte, deo gratias, perché alla fine la ragionevolezza vince sempre. Vince come questa splendida Azzurra, che ha meravigliosamente messo a tacere critici ad oltranza, disfattisti in servizio permanente effettivo, e quelli per cui il calcio italiano è sistematicamente peggiore degli altri. 

LA DISFATTA DEI CRITICI DELLA DOMENICA - Dovevano metterci sotto tutti, dicevano, pure i turchi. Quando abbiamo cominciato (anzi, continuato, come nei tre anni precedenti) a vincere e convincere, l'ultimo labile argomento dei bastian contrari era la debolezza degli avversari (fra cui la Svizzera che ha poi fatto fuori la Francia e sfiorato il bis con la Spagna). Ma alla fine sono arrivati anche i crash test terribili così pedantemente richiesti da chi, nonostante tutto, non credeva in questa truppa: e sono stati tre splendidi esami di maturità superati. Con sofferenza e abnegazione contro le Furie Rosse, con svettante autorità contro il Belgio e, dopo la prima mezz'ora, con l'Inghilterra. Per me è una scommessa vinta: metto da parte per un attimo l'umiltà dell'osservatore e mi sento di poter stare a pieno titolo sul carro del vincitore, dove sono salito già nell'autunno 2018, quando intuii le straordinarie potenzialità di una Nazionale allora ancora in abbozzo. Del resto, bastava guardare e giudicare... 

IL FUTURO, IN QUALCHE MODO, E' NOSTRO - Prima e durante questa kermesse, per la verità, ho anche scritto più volte che l'Italia di Bobby gol sembrava strutturata e pensata per dare il meglio dopo l'Europeo, pensavo cioè fosse già validissima ma non ancora pronta per un simile, straordinario traguardo. Ho sbagliato? Forse, ma non è neanche detto... Perché al contrario di quanto avvenne nel 2012, quando non si riuscì a dare un seguito al brillante argento conquistato a Kiev, stavolta ci sono le premesse per continuare a sognare. Questa Italia è all'inizio della sua parabola, ben lungi dal potersi sentire appagata (guai, guai!). Dovrà essere svecchiata in alcuni (pochi) tasselli, ha titolari in grado di reggere sul piano internazionale ancora per un po' di anni, ha giovani elementi già nella rosa dei 26 (Bastoni, Locatelli, Pessina, Castrovilli, Raspadori) e altri rimasti momentaneamente a casa, per scelta tecnica (Kean, Cragno, Gianluca Mancini, Lazzari, Romagnoli) o per infortunio (Sensi, Zaniolo, Lollo Pellegrini), per tacere di altri virgulti in fase di salita dall'Under (Tonali, già provato nella Maggiore, e Scamacca, i primi nomi che mi vengono in  mente). Inutile parlare della possibilità di aprire un ciclo, è prematuro e sicuramente presuntuoso pensarlo, ma di certo il futuro, in termini di competitività sui grandi palcoscenici, è nostro, quantomeno "anche" nostro. Non so se vinceremo altre coppe a breve, la concorrenza è sempre terribile, ma saremo lì a giocarcela. L'Italia è tornata, signori. 

mercoledì 7 luglio 2021

EURO 2020: LA SPAGNA VINCE AI PUNTI, MA IN FINALE VA UN'ITALIA ALL'ANTICA, IN SOFFERENZA MA NON PASSIVA. PURCHE' NON DIVENTI UN'ABITUDINE... BRAVI DONNARUMMA, DI LORENZO, EMERSON E CHIESA

 I paradossi del calcio. L'ItalMancio ha cambiato radicalmente volto, obtorto collo, proprio nella serata fin qui più gloriosa della sua ancor breve parabola, la notte che la consegna a una finalissima europea assolutamente inattesa, imprevedibile, pazzesca. Ebbene sì, la nuova Azzurra, la Nazionale del palleggio preciso e raffinato, dell'iniziativa costante, della qualità anche estetica della manovra, alla fine si è dovuta snaturare totalmente. Non per disegno tattico preordinato, ripetiamo: vi è stata costretta una volta messa con le spalle al muro dalla Spagna, rivista infine, dopo un torneo fatto di chiaroscuri piuttosto netti, ai livelli di brillantezza che più le sono consoni, secondo la sua recente tradizione. 

SQUADRE GEMELLE - Ne avevo fatto cenno, in chiusura di commento al match col Belgio. L'Italia e le Furie Rosse annata 2021 sono due squadre quasi gemelle: stesso progetto di prospettiva costruito attorno ai giovani, simili nel modo di stare in campo, con valori più o meno analoghi sul piano della... dotazione di piedi buoni. Quando si trovano di fronte due compagini che fanno del possesso palla e del dominio del gioco il loro marchio di fabbrica, può benissimo accadere che, se una di esse prende il pallino, poi non lo molli più. Malauguratamente per noi, ieri sera, le redini del match se le sono prese i ragazzi terribili del galantuomo Luis Enrique, dopo un inizio illusorio in cui eravamo parsi in grado di imporre, con autorevolezza, la consueta possanza tecnica del lavoro del nostro centrocampo. 

PER LA PRIMA VOLTA "IN BARCA" - Illusione, appunto: gli iberici hanno cominciato a tessere le loro trame e non hanno più smesso. Scambi in velocità, pressing, ritmo elevato, palle recuperate a go go, rapidità di esecuzione: per la prima volta il nostro reparto di  mezzo, fiore all'occhiello di questo Club Italia, è andato completamente in barca. Era già accaduto contro il Belgio ma per periodi di tempo assai limitati, dopodiché i tre della zona nevralgica riuscivano sistematicamente a ribaltare l'inerzia e a salire in cattedra. A Wembley non ce l'hanno fatta, giostrando per almeno cento minuti su centoventi controcorrente, in grande sofferenza, tagliati fuori dai meneurs de jeu spagnoli che disegnavano traiettorie sempre precise ed efficaci. 

OCCASIONI ANCHE PER NOI - Efficaci quantomeno fino alla trequarti, perché nei sedici metri finali la musica era un po' diversa. Diciamola tutta: per volume di gioco e capacità di tenere in soggezione gli avversari, la Roja ha senz'altro vinto ai punti, ma il football ha altre regole, deo gratias. Non date retta ai sentenziatori da bar sport che già eccepiscono sulla nostra vittoria, parlando di fortuna e di trionfo immeritato: la gara di Wembley è stata molto variegata e complessa, tatticamente ricca di spunti e di non facile lettura a posteriori, al di là della evidente ma tutto sommato sterile supremazia territoriale iberica. 

Così, pur non riuscendo a dispiegare le consuete, ariose offensive fin qui sistematicamente prodotte, anche l'Italia si costruiva, con pazienza e passando attraverso lunghe fasi di trincea, le sue opportunità: nel primo tempo poteva andare a segno Barella, che ha perso l'attimo per concludere dal limite dopo bella azione sulla sinistra di Emerson e primo tentativo di Immobile andato a vuoto, e poco prima dell'intervallo proprio il sostituto di Spinazzola sfiorava la prodezza su millimetrico assist di Insigne, con un sinistro che andava a scheggiare la traversa. Nella ripresa Chiesa, già pericolosamente al tiro poco prima, siglava il momentaneo 1-0 finalizzando con un destro chirurgico un fulmineo contropiede avviato da Donnarumma e portato avanti dal "trio Pescara" Verratti, Insigne e Immobile, e poco dopo ci provava due volte Berardi, prima con un destro su imbeccata di Chiesa respinto di piede da Unai Simon, e poi con un sinistro appena dentro l'area al quale però l'esterno del Sassuolo non riusciva a dare angolazione e potenza opportune. 

SPAGNOLI PIU' PERICOLOSI, MA SULL'1-0 IL PEGGIO PAREVA PASSATO - Insomma, in soggezione sì, ma non completamente passivi. La Spagna, certo, ha mancato grossolanamente due ghiotte palle gol con Oyarzabal, una in ciascuno dei due tempi regolamentari, una botta da fuori dell'anziano Busquets ha sorvolato di poco la traversa, mentre Donnarumma ha salvato nella parte iniziale dell'incontro su un tiro da centro area di Dani Olmo ed è capitolato solo sulla bella triangolazione Olmo-Morata che ha perforato centralmente la nostra retroguardia. Quindi gli ultimi, autentici momenti di paura nel primo extratime, su una punizione bassa del solito Olmo respinta dal nostro guardiano con successiva mischia senza esito, e un tentativo di Marcos Llorente con ribattuta di Bonucci. Va anche detto che i nostri hanno incassato il pari nel momento in cui, raggiunto un vantaggio quasi improvviso, davano la netta sensazione di aver superato indenni la parte peggiore della tempesta: erano ancora sulla difensiva, questo sì, ma ripartivano e, come detto, sfioravano il bis con le citate occasioni di Berardi, che è mancato in fase di finalizzazione ma il cui ingresso è stato vitale per alzare il baricentro di una squadra che aveva troppo rinculato fin sulla propria trequarti, sotto la pressione a tratti forsennata dei rivali.  

NON SI PUO' SEMPRE DOMINARE - Un'altra Italia, insomma. Per la prima volta in tre anni, l'abbiamo vista soffrire davvero con continuità. Doveva succedere, prima o poi. Del resto, quasi nessuna rappresentativa ha mai raggiunto finali europee e mondiali impartendo a tutti, sistematicamente, lezioni di calcio, se non alcune lontane edizioni del Brasile, o compagini mito come l'Ungheria '54 e l'Olanda '74, ma stiamo parlando di eccellenze assolute e difficilmente eguagliabili. Ultimamente è di moda, soprattutto nelle cloache social, sminuire le poche, grandi affermazioni italiane in ambito calcistico di questo millennio. Dal trionfo iridato del 2006 a questa, ripetiamo, inattesa campagna continentale, tutti a eccepire su meriti e demeriti. Molti di loro sono i perennemente nostalgici, quelli per i quali esiste solo il mito intoccabile del Mundial '82. Affermazione del tutto legittima quella di 39 anni fa, intendiamoci, ma sarebbe onesto, per par condicio, andare a rivedere alcune delle partite che servirono ad arrivare alla Coppa, ad esempio quella contro l'Argentina e come venne vinta, prima di esaltare e mortificare sulla base del nulla. 

CHE NON DIVENTI UN'ABITUDINE... - Fra le critiche che venivano rivolte, fino a ieri, al Club Italia di Mancini, una riguardava tra l'altro l'incapacità di cambiare pelle, l'essere legata a un solo modulo, un solo tipo di football. Qualcuno, con supremo sprezzo del ridicolo, l'aveva detto e scritto dopo l'ottavo con l'Austria: "Visto? La prima squadra che è riuscita a neutralizzare in parte il nostro gioco ci ha quasi eliminati". Ecco, ieri sera, a Londra, la Nazionale è stata diversa e lontana da quella che, dal 2018 a oggi, si è guadagnata ammirazione incondizionata (da chi sa di calcio, ovvio) per il suo spirito, la sua aggressività, il suo dare del tu al pallone: ha preso atto dell'impossibilità di rubare il pallino alla Spagna e ha scoperto il suo lato umile, il suo cuore antico, quello della chiusura a riccio e degli sporadici ma punzecchianti sganciamenti in contropiede. 

Non è vergogna, è anzi una dote sapersi adattare a circostanze mai sperimentate prima. Da parte mia posso però aggiungere una postilla: che non diventi un'abitudine, perché per provare a centrare il traguardo massimo, domenica prossima, poi in autunno in Nations League e ai Mondiali, se ci arriveremo, occorrerà recitare al meglio il copione principale, interpretare alla perfezione la filosofia con la quale si è nati e cresciuti. Nella fattispecie, quell'attitudine di costante ed elegante iniziativa che, come già detto nei giorni scorsi, è l'unico modus operandi a sposarsi mirabilmente con le caratteristiche degli uomini del Mancio, e quindi ad esaltarle. Giocando come contro le Furie Rosse si possono vincere le battaglie, non le guerre. 

LA SERATA DIFFICILE DI VERRATTI E JORGINHO - Ma perché, dunque, non siamo riusciti a riprenderci il pallino, ieri, dopo averlo perso? Dati i giusti meriti ai frizzanti eredi di Xavi e Iniesta, da parte nostra ci sono stati un Barella e un Jorginho in serata no, forse prostrati da un Euro in cui hanno sovente cantato e portato la croce. Si è quindi fatto carico del lavoro di centrocampo soprattutto Verratti, in copertura e in costruzione, ma era troppo solo e quando sono entrati Pessina e Locatelli certi automatismi non erano più ripristinabili, ormai il quadro tattico del match era saldamente delineato. Una delle nostre migliori soluzioni offensive è stata alfine rappresentata da Emerson, che ha rimpiazzato "Spina" alla bell'e meglio per un tempo: un assist per Barella, il tiro sulla traversa di cui si è detto e, in avvio di match, un salvataggio su Oyarzabal; poi, certo, la continuità di spinta e l'appoggio all'attacco del romanista sono un'altra cosa, e la sua assenza ha avuto un certo peso nella prestazione difficoltosa dei nostri. Bonucci e Chiellini hanno spazzato e chiuso varchi da centrali old style, mentre Di Lorenzo ha confermato il suo ottimo momento con una gara di grande applicazione e la chicca dell'anticipo su Ferran Torres a pochi passi da Donnarumma. Il quale Gigio ha convinto ancora una volta, con le due parate in partita su Dani Olmo e il rigore neutralizzato a Morata nella giostra finale. Pochi interventi ma sostanziosi, come deve fare un portiere di razza.

LA GIOSTRA E LO SBERLEFFO DEL "BRASILIANO" - Già, i rigori: quella che per me rimarrà sempre una lotteria di scarsa attendibilità tecnica, e che, in sede di bilancio storico, continua a presentare per noi un saldo negativo, se è vero che dall'80 a oggi abbiamo vinto cinque volte e perso sette. Giusto che ogni tanto questa pazza giostra ci sorrida: contro la Spagna eravamo reduci da due sconfitte ai penalty, all'Euro 2008 e in Confederations 2013, stavolta abbiamo prevalso con la forza dei nervi distesi (ah, il sorriso di Chiellini al momento della scelta della porta in cui tirare...) e la consapevolezza di non aver più nulla da perdere, perché, nelle condizioni che si erano create, era stato un successo riuscire a superare senza danni i 120': partite simili, in altri tempi, altri contesti, con altri giocatori e altri trainer, le avremmo perse senza bisogno dei tiri di spareggio. 

Locatelli avrà modo di rifarsi, Bonucci, Bernardeschi e Jorginho ci hanno regalato un sogno: il tocco leggero e irridente del nostro oriundo potrebbe entrare nell'immaginario collettivo quasi al pari del famoso scavetto di Totti.  Ed è pur innegabile che sì, brava la nuova Roja, ma non si può nemmeno pretendere di arrivare in fondo a queste competizioni giocando giusto un paio di gare ad alto livello. Ricordiamo il primo turno di Koke e compagni in un girone assai semplice, due partite deludenti prima di sbloccarsi con la Slovacchia, poi la prestazione zemaniana negli ottavi a darle e prenderle con la Croazia, infine la macchina inceppata contro una Svizzera che ha lasciato campo solo in inferiorità numerica, per poi suicidarsi ai rigori. Gli azzurri hanno avuto più continuità di rendimento nell'arco del torneo, è oggettivo, e hanno festeggiato tutto sommato con merito, nella serata dedicata anche al mito incrollabile della nostra amata Raffaella, idolo latino. Passiamo oltre: ribadisco che in finale, che sia Danimarca o Inghilterra, ci vorrà l'Italia che abbiamo ammirato fino a Monaco di Baviera, quella verace, quella col gusto della manovra elaborata e al contempo ficcante, e capace di comandare. Cinque giorni dovranno essere sufficienti per recuperare energie e sicurezza. 

sabato 3 luglio 2021

EURO 2020: IL CRASH TEST BELGIO SUPERATO A PIENI VOTI, L'ITALMANCIO FRA LE PRIME QUATTRO SENZA SNATURARSI. PRODEZZE DA TOP PLAYER PER BARELLA, DONNARUMMA E INSIGNE, TRISTEZZA PER SPINAZZOLA

 Le prime parole non possono che essere per Leonardo Spinazzola, uno dei top player in assoluto di un Europeo che non potrà concludere, lui che più di tutti avrebbe meritato di giocarselo fino all'ultimo istante dell'ultimo match. Un infortunio che si preannuncia grave, giunto in maniera beffardamente banale al culmine di uno di quegli slanci di generosità agonistica che sono nel Dna di questo ragazzo talentuoso e fragilissimo. E di Spinazzola c'è stato tanto pure nel trionfo di Monaco di Baviera, anche se non nella maniera a cui ci aveva abituati: meno esplosività "spacca difese" nella spinta sulla fascia, anche se la sua presenza in appoggio all'attacco è stata al solito costante, ma un più sostanzioso apporto in copertura, come richiesto dal copione tattico assunto ben presto dalla gara, con la chicca di un provvidenziale e fortunato salvataggio quasi sulla linea su tocco di Lukaku. Poi, quando il laterale romanista stava finalmente cominciando a cercare con più insistenza l'incursione di forza, approfittando dei maggiori spazi concessi da un Belgio alla ricerca del pari, ecco il maledetto crac. 

IL CRASH TEST PIU' DURO - Così, un'ombra di tristezza si è depositata sulla serata più bella e intensa del calcio azzurro dai tempi del disastro svedese dell'autunno '17. Chi scrive, è risaputo, mai ha nutrito dubbi sull'efficienza e sulla validità dell'ItalMancio, ma è certo che ieri sera si sia compiuto il passaggio definitivo dalla polvere agli altari. Era il crash test più duro, senza se e senza ma. Perché poi, alla fine, di super squadroni non è che ce ne siano tantissimi, in giro per il Continente. Non lo era la Francia iridata, quantomeno non più a livelli siderali, essendo stata spazzata via con pieno merito dall'intraprendente Svizzera di Petkovic, una delle "signore nessuno" che, secondo tanti pseudo esperti da bar sport, abbiamo affrontato in questo triennio; non il Portogallo, che non ha mai convinto in questo torneo, per tacere di una Germania in fase di passaggio  generazionale. Forse può esserlo l'Inghilterra, che però, se arriverà in fondo alla kermesse, lo avrà fatto giocando quasi sempre in casa, a parte il quarto di questa sera a Roma, vantaggio non da poco. Come dire, Europeo itinerante ma non troppo, e non certo per i sudditi di Sua Maestà. E insomma, non è che si possano incontrare squadroni un giorno sì e l'altro pure, come pretendevano gli incontentabili critici della nostra Azzurra... 

L'ITALIA NON SI E' SNATURATA - Rimaneva il Belgio, dunque, capofila del ranking FIFA, quindi una delle migliori selezioni al mondo. Esame tostissimo, per noi, e superato a pieni voti. Sempre che qualche ipercritico non abbia da eccepire sul come è stato superato. Certo sarebbe stato assurdo pretendere un'Italia al comando della sfida e in controllo assoluto come da piacevole tradizione della gestione Bobby gol, perché a volte ti trovi davanti squadre non attendiste, e anzi capaci di prendere per prime il pallino e di sprigionare luminarie offensive che è arduo contenere. Ma neanche di fronte al colosso belga la nostra Nazionale si è snaturata, se non in minima parte nei momenti di più acuta sofferenza, quando gli uomini di Martinez hanno spinto con vigore e continuità, diciamo nelle fasi iniziali dei due tempi e poi nel caotico arrembaggio conclusivo. Gli azzurri non si sono mai chiusi, non hanno mai fatto mucchio di fronte ai sedici metri, hanno accettato la sfida in campo aperto guadagnandosi gli spazi e i tempi per dispiegare la loro consueta manovra ariosa, elaborata, ieri confermatasi più che mai arma vincente da non mettere da parte mai, perché consente di alzare il baricentro, allentare la pressione avversaria e giostrare sempre vicini all'area altrui. 

VERRATTI DI ROTTURA, LE PRODEZZE DI BARELLA E INSIGNE - Uno stile di gioco che calza a pennello ai nostri, perché sostenuto dall'ormai nota precisione di tocco e di palleggio che anche in questa occasione, salvo poche sbavature causate dalla tensione, non è venuta meno, consentendoci pure uscite dalla zona difensiva in velocità ed assoluta disinvoltura. Detto del lavoro oscuro dello sfortunato Spinazzola, anche Di Lorenzo ha fornito il solito contributo di peso in retroguardia, a parte il rigore su Doku che tuttavia è stato concesso, mi pare, con un  pizzico di generosità; Bonucci e Chiellini si sono espressi su standard da Juve contiana e allegriana, e a proteggere il reparto ha dato una grossa mano un Verratti persino ruvido, a tratti, e che come spesso gli capita ha offerto il meglio di sé in fase di "rottura". Ma non solo, perché da un suo lancio  a rimettere il pallone in area, dopo che la difesa si era arrangiata alla bell'e meglio su Immobile, è scaturito lo splendido assolo di Barella, che è sgusciato di forza fra due difensori per poi scaraventare di potenza in rete il pallone dell'1-0. Sono elementi di acclarata statura internazionale, dribblano e saltano l'uomo come i campioni di un tempo, questi ragazzi: lo ha fatto anche Insigne, che si è bevuto in scioltezza Tielemans sulla trequarti per poi bucare Courtois con uno dei suoi tiri a giro a lunga gittata; il solito movimento, lo scarto a destra e la conclusione, tutto come da spartito mandato a memoria, lo si diceva anche di Robben, ma sono gesti tecnici che, se eseguiti bene, risultano difficili da disinnescare, anche se ripetuti all'infinito. 

MAI PASSIVI, E DONNARUMMA DECISIVO - Lo stesso Insigne sta nitidamente emergendo in questo Euro 2020 per il lavoro a tutto campo a sostegno dei reparti arretrati, mentre il neotitolare Chiesa ha giocato soprattutto in avanti e, nel primo tempo, ha avuto anche l'occasione per far male con una fiondata di destro dal limite e, prima ancora, con un tiro deviato che per poco non sorprendeva il lungagnone guardiano dei Diavoli Rossi. Nella ripresa ci ha provato al volo anche Spinazzola su assist dell'ispirato Insigne, altri potenziali pericoli sono rimasti in abbozzo ma spesso il pallone ha danzato nei pressi o all'interno dell'area belga. Sempre vivi, attivi e reattivi, insomma, con Jorginho un po' più sottotraccia del solito ma intraprendente nell'inserirsi in prima linea (e su di lui poteva starci un rigore, non nitidissimo esattamente come quello su Doku). Il numero di occasioni create non si è incrementato, stavolta, soprattutto per via della serata no di Immobile, che col suo incaponirsi in certi tentativi solitari ha palesato una certa mancanza di lucidità, dovuta forse a un serbatoio di energie che comincia a essere in riserva. 

Poi, come detto, ci sono state le inevitabili concessioni alla possanza del gioco belga: nel primo quarto di partita Donnarumma ha tolto le castagne dal fuoco due volte su Lukaku e una su un De Bruyne che ha confermato appieno la sua classe, con accelerazioni che hanno messo in ambasce il nostro reparto di mezzo come raramente era capitato fino a oggi. Nel secondo tempo, come detto, un pizzico di buona sorte col rocambolesco salvataggio di Spinazzola a due passi dalla linea (ma almeno, come si dice in questi casi, era al posto giusto nel momento giusto...), e col solito Lukaku che non è riuscito a toccare di testa un cross di Chadli radente la porta, quindi l'assalto finale di Mertens e compagni del tutto inconcludente e contenuto senza nemmeno troppo affanno. 

BELGIO SCONFITTO MA FORTE - E' stato quel che si dice un bell'incontro, perché trame di grana buona e giocate di pregio si sono fuse con il clima di acre battaglia agonistica che ha per lunghi tratti imperversato. Acre ma corretta, giova dirlo. Il Belgio non esce ridimensionato da questo confronto, tutt'altro: ha trovato sulla sua strada una rivale giovane in molti suoi uomini ma già credibile, organizzata, con un progetto di gioco moderno e sbarazzino e con individualità di assoluto spessore, al di là delle ormai risibili sottovalutazioni di certa critica ma soprattutto, spiace dirlo, di larga parte del pubblico. Non ho più voglia di polemizzare, ciò che avevo da dire sull'argomento l'ho scritto in lungo e in largo qua e sull'unico social che frequento: posso solo aggiungere che provo tristezza per chi ha scoperto l'Italia di Mancini solo a Monaco, perché si è perso tante gioie precedenti, tante partite godibili e prestazioni brillanti. Perché negarsi l'effimera felicità dello spettacolo calcistico per il puro gusto di fare i bastian contrari e i contestatori a tutti i costi? 

ABBIAMO GIA' VINTO - La terra di Germania ci è stata di nuovo propizia, come nel 2006: peccato che stavolta sia stata solo una toccata e fuga. Ora, come scrisse Italo Cucci sul Guerino all'indomani di Italia-Brasile 1982, "non vorrei che gli azzurri fossero come me: felici e paghi". Già, perché per me l'Europeo è già vinto, non solo moralmente (alle vittorie morali non ho mai dato troppo peso nemmeno al Festival di Sanremo) ma sul piano meramente sportivo. Dopo essere entrata fra le prime otto d'Europa, ora la nostra Azzurra si ritrova fra le prime quattro, un traguardo splendido che nessuno con un minimo di raziocinio avrebbe potuto pretendere da Jorginho e compagni, alla vigilia. Nel 2017 avevamo toccato il fondo della ultracentenaria storia di questa gloriosa rappresentativa, ora abbiamo di nuovo una Nazionale competitiva ai massimi livelli, che può permettersi persino il lusso di sognare ciò che io per primo, da sempre estimatore del lavoro di Mancini e dei suoi ragazzi, non osavo nemmeno chiedere a questo Club Italia. Con la Spagna, a Wembley, si potrà benissimo perdere, perché quella di Luis Enrique è compagine fresca, coraggiosa e ricca di piedi buoni, proprio come la nostra. Ma non è più la mitica Roja 2008-2012, se è vero che stava per essere disinnescata dalla Svizzera già castiga-Francia. Ci possiamo provare, ancora una volta, senza assilli e senza pressione.