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domenica 27 giugno 2021

EURO 2020: PER L'ITALIA GIALLO A LIETO FINE, VA IN TILT NELLA RIPRESA MA SI RIALZA NELL'EXTRATIME. DECISIVI I CAMBI BELOTTI, PESSINA E CHIESA (FINALMENTE), SPINAZZOLA STRATOSFERICO

 Mistero azzurro, verrebbe da dire. Perché non esistono spiegazioni tecniche del tutto esaurienti al black out di gioco che ha colpito l'Italia, ieri sera, per larga parte del secondo tempo, portandola quasi sull'orlo di una capitolazione ingiusta ma non scandalosa. Forse non c'è nemmeno da scervellarsi troppo: è stata una crisi acuta di crescita, di maturazione, la paura di sbagliare che ha improvvisamente paralizzato quasi tutti di fronte alle prime, grosse difficoltà incontrate in questo Europeo. Il famoso "braccino", si potrebbe dire in maniera un po' troppo semplicistica; certo sarebbe stato allarmante se la storia fosse finita lì, ma c'è anche il lato meno oscuro della medaglia: e cioè che la squadra ha saputo infine scuotersi e lo ha fatto nei supplementari, cioè proprio nel momento in cui tante nostre Nazionali del passato si sono disunite e hanno perso tutte le certezze fin lì accumulate, andando infine incontro a disfatte più o meno sorprendenti. 

AUSTRIA CHIUSA MA NON PASSIVA - Pericolo scampato, dunque, con qualche tremore di troppo ma tutto sommato con merito. Prima o poi (più prima che poi) perderò l'abitudine di dare un'occhiata agli illeggibili commenti degli pseudoesperti da social, molti dei quali hanno parlato senza mezzi termini di fortuna (le espressioni erano diverse e più colorite, diciamo così). Ecco, io ho visto opacità, appannamento, lunghe fasi di affanno, ma buona sorte proprio no, anzi. L'Azzurra del primo tempo si è espressa su livelli discreti, anche se non eccelsi come in tante occasioni anche recenti. Si è trovata di fronte un'avversaria sulla difensiva ma non passiva, assolutamente: l'Austria chiudeva con abilità ogni varco dietro ma era pronta a distendersi in coraggiose controffensive. Va anche detto che il team del Mancio ha avuto modo di scardinare con autorevolezza retroguardie ben più ermetiche, vere e proprie ammucchiate davanti all'area: questa volta non c'è riuscita, certo a causa dell'eccellente ed elastico dispositivo tattico dei danubiani che non le ha mai permesso di assumere con continuità le redini della gara, ma anche per proprie specifiche lacune. 

PRIMO TEMPO VINTO AI PUNTI - Lacune dinamiche, perché i ritmi non sono stati sostenuti come nello standard ormai acquisito dalla nostra Selezione, e questo deve un po' inquietare, visto che venivamo dal massiccio turn over attuato col Galles. Lacune creative esiziali nella zona nevralgica, dove Verratti e Barella, che dovevano essere le rampe di lancio, hanno iniziato in maniera promettente (vista in avvio una splendida apertura verso sinistra del parigino, a tagliare il campo diagonalmente), per poi scivolare progressivamente fuori dal centro di costruzione del nostro gioco d'iniziativa. Così è mancato un adeguato rifornimento alla prima linea, e anche la protezione della difesa non è stata sempre efficace, originando delle "terre di nessuno" sulla nostra trequarti nelle quali i biancorossi si infilavano con facilità persino irrisoria. Tutto questo, però, nel secondo tempo, perché fino all'intervallo, pur girando al 60-70 per cento del proprio potenziale, l'Italia aveva comunque pressato e tenuto pallino, creando quattro situazioni di pericolo piuttosto evidenti, due su incursioni di uno Spinazzola sempre più indemoniato, poi con un esterno destro di Barella respinto di piede da Bachmann, e con l'improvvisa conclusione dalla distanza di Immobile che ha scheggiato il palo di destra. 

QUATTRO BIG SOTTOTONO: NON POSSIAMO PERMETTERCELI -  Poi, ripetiamo, il black out. Una lunga fase di nervosismo immotivato, perché in passato abbiamo sempre avuto la pazienza e la calma di aspettare il momento giusto per stanare i rivali e colpirli; gli uomini di Foda che acquisivano sempre più audacia ma che al tirar della somme, a parte un'insidiosissima punizione di Alaba, non mettevano la nostra difesa in grosse ambasce, perché il gol di testa realizzato da Arnautovic era viziato da un fuorigioco piuttosto netto e il Var ha fatto solo il suo dovere, così come sul rigore inutilmente da loro invocato, altro che Dea bendata. I nostri pagavano, oltre alla défaillance dei citati califfi di centrocampo, incapaci di dare profondità alla manovra, anche un Berardi evanescente e velleitario come in azzurro non si era mai visto, e un Insigne poco a fuoco, anche se al solito generoso combattente. Alle corte: almeno quattro elementi chiave nettamente sottotono dalla cintola in su, un lusso che il Club Italia in questo momento non può assolutamente permettersi. 

PIU' DI UNDICI TITOLARI - Dopo il match col Galles avevo scritto della meritoria opera attuata dal Cittì nell'allargare il bacino degli azzurrabili, aver cioè creato un gruppo ampio di giocatori competitivi a livello internazionale sui quali fare sempre pieno affidamento. Da Wembley è arrivata la conferma: tolti dal campo senza rimpianti quei titolarissimi così sorprendentemente spenti, dentro le cosiddette seconde linee, Locatelli, e Pessina, Belotti e Chiesa, che hanno dato la svolta. Lo juventino non ha fatto poi moltissimo, se non la cosa più importante, un gol anche di pregevole fattura, da posizione non facilissima, dopo acrobatico controllo sul lungo cross dell'impagabile Spinazzola: da tempo chiedevamo al figlio d'arte di essere decisivo sotto porta in una gara di alto spessore, e finalmente è riuscito nell'impresa. Poi Pessina, uno degli ultimi arrivati nel club, intraprendente, ficcante, sempre nel vivo dell'azione offensiva, e che ha stangato in porta il raddoppio su appoggio di Acerbi, da parte sua costante nel sostegno alla fase di impostazione e negli inserimenti. Ma anche Belotti merita l'elogio pieno, avendo portato nel cuore della difesa austriaca fisicità e rabbia, lavorando in appoggio ai compagni e prendendo falli importantissimi. 

IL MEGLIO DEI FODA BOYS - Gli uomini di Foda hanno sfoderato cattiveria e concretezza quando ormai tutti li davano per cotti: un tiraccio di Gregoritsch con gran salvataggio in tuffo di Donnarumma, poi il gol di Kalajdzic su angolo, che ci ha regalato un finale di extra time interminabile, da vecchi cuori azzurri oltre l'ostacolo. Ma a quel punto il peggio era già passato da un po': anche Insigne pareva parzialmente rivitalizzato, al punto di sfiorare il 2-0 su punizione prima di uscire, Chiesa in contropiede si vedeva un pallonetto respinto sulla linea, Di Lorenzo usciva dal riserbo tenuto fino a quel momento, con una saggia applicazione in copertura, scatenandosi in una strepitosa fuga sulla destra conclusa con un bolide che avrebbe meritato miglior sorte. 

VITTORIA GIUSTA, MA PER I QUARTI CI VUOL ALTRO - Insomma: sofferenza sì, grigiore a tratti pure, paura eccome. L'Austria merita i complimenti, per i motivi prima esposti: non una grande squadra ma una buonissima compagine, che non sposa a priori la rinuncia di fronte ad oppositori più dotati di classe e più propositivi, quali rimangono i nostri, al di là della serata di luna parzialmente storta. Ma, detto questo, il grosso del volume offensivo l'hanno prodotto i Mancio boys, ancora una volta. Ciò detto, è fin troppo chiaro che un'Azzurra così avrebbe scarse possibilità contro il Portogallo e quasi nessuna contro il Belgio, nazionale che può anche giocare a scartamento ridotto (come contro la Danimarca) ma ha quei due-tre fuoriclasse che, se si accendono anche solo per un attimo, portano a casa partita e qualificazione. Ci sarà da lavorare, eccome. Ma lo si potrà fare in serenità: non superare questo ottavo non sarebbe stata una catastrofe ma una notevole delusione, una battuta d'arresto colma di interrogativi nel processo di crescita di questo gruppo; la tensione si leggeva sui volti dei nostri fin dall'inizio della ripresa: paura di sbagliare e di fare un precoce buco nell'acqua dopo tante ottime premesse, ribadisco. I quarti rappresentano invece già un traguardo di pregio, se pensiamo a come eravamo ridotti quattro anni fa. Che sarà, sarà, ma venerdì, ad occhio e croce, dovremmo vedere un'Italia giostrare con la forza dei nervi distesi. 

lunedì 21 giugno 2021

EURO 2020: FUNZIONA ANCHE L'ITALBRASILE. CONTRO IL GALLES VERRATTI CALIFFO, PESSINA BRACCIO ARMATO. MA E' MANCATA LA SPINTA SULLE FASCE, CHIESA A PARTE

E così anche Italia 2, o ItalBrasile che dir si voglia, si è ritagliata il suo spicchio di gloria in questo Europeo. Credo sia stata la Nazionale più audace, come scelta dell'undici iniziale, mai messa in campo nelle nostre partecipazioni alle fasi finali continentali e iridate. Perché anche Zoff nel 2000 e Conte nel 2016 diedero ampio spazio alle seconde linee nella terza gara, ma non si giocavano più nulla, essendo certi di qualificazione e primato nel girone, laddove ieri c'era ancora da capire in quale ottavo di finale saremmo andati a finire. 

RISCHIO CALCOLATO - Avevo pronosticato un turn over esteso a quattro, massimo cinque elementi. Mancini invece ha esagerato e rischiato, ma ha fatto ancora centro. Non bisogna cadere nella retorica dei "ventisei titolari": non è così, non lo è mai stato nemmeno per le rappresentative azzurre più forti, quotate e ricche di classe del passato, e osservando certe prestazioni singole nella nostra ultima uscita romana sono apparse ancora più chiare, nitide, indiscutibili le gerarchie dettate dal cittì all'inizio di questa avventura: lo vedremo tra breve. Il discorso è diverso e più articolato: in questi tre anni, il trainer che ha raccolto la disastrosa eredità di Ventura ha saputo ampliare oltre ogni previsione il bacino degli azzurrabili. Ha cioè creato un gruppo allargato di uomini buoni per tutte le occasioni, in grado di subentrare a chi gioca di più senza che la qualità complessiva della manovra ne risenta più di tanto, portando a volte qualcosa di meno, a volte qualcosa di più sul piano della classe individuale, ma sempre qualcosa di diverso e comunque utile al funzionamento del meccanismo generale. 

TANTI AZZURRABILI - Ha dato minuti in campo ed esperienza internazionale a tanti giovani,  l'antico Bobby gol, accelerandone così lo svezzamento e avvicinandoli al grado di maturazione di tanti pari età stranieri che, al contrario di loro, avevano già in curriculum anni di battaglie ad alto livello. Anche Prandelli aveva trasformato il Club Italia in un gruppo open, chiamando nel suo quadriennio una settantina di giocatori, potendo però contare su un tasso di talento nel complesso inferiore; non lo aveva fatto Conte, che prese semplicemente atto dello scarsissimo spazio dato dai club ai ragazzi in sboccio e puntò sull'usato sicuro, con tanti veterani e pochi emergenti, per un progetto di squadra che ci diede notevoli soddisfazioni all'Euro 2016 (le memorabili vittorie su Belgio e Spagna) ma che si rivelò a cortissimo respiro, senza una prospettiva che permettesse di guardare oltre il torneo francese. 

PRIMI BILANCI - Perdonate questa lunga digressione storica, che ho fatto per due motivi. Il primo, per sottolineare un ulteriore merito del Mancio, ossia quello di aver creato un listone di giocatori da Nazionale assolutamente credibile, in cui non ci sono intrusi e tutti sono funzionali, e di averlo fatto quasi dal nulla, dovendo agire in un contesto, quello della nostra Serie A, che non vuole mollare la presa sulla propria perniciosa esterofilia. Il secondo, perché a primo turno trionfalmente concluso si può già mettere sul tappeto un abbozzo di bilancio di questa esperienza. Prematuro? Forse, ma è il caso di non galoppare troppo con la fantasia, e posso dirlo dall'alto dell'ottimismo e della fiducia che ho sempre riposto, ricambiato, in questa Selezione. Sabato sera a Wembley troveremo Austria o Ucraina, due rivali contro le quali avremo i favori del pronostico ma che hanno tutti i mezzi per metterci in difficoltà: e si sa che nelle fasi a eliminazione basta davvero poco, un errore, una caduta di tensione, un attimo di appannamento, per mandare tutto a ramengo. Succede, nel caso farebbe male, ma non cancellerebbe quanto di buono realizzato finora dai nostri. Il futuro è di questa Italia, e non lo dicono solo i risultati, pur nella loro eloquenza. Avremo modo di ritornarci. 

MINOR COMPATTEZZA, BUON PALLEGGIO - ItalBrasile, si diceva, per via dei tre oriundi in campo. Non la vedremo più, credo, un'Azzurra così, ma che bello avere la conferma di essere tornati competitivi sui massimi palcoscenici, al punto di poter momentaneamente abbandonare l'undici base senza accusare scompensi esiziali. Nel 2016, per dire, la rivoluzione della terza gara portò a una sconfitta con la modesta Irlanda, condita da una prova oltremodo grigia. Certo non è stata una compagine compatta, armoniosa ed equilibrata come nelle versioni ammirate contro Turchia e, soprattutto, Svizzera. Qualche momento di scollamento, qualche attimo di comunicazione difficoltosa fra i reparti, con conseguente diminuzione della fluidità di manovra, ma è fisiologico quando una formazione improvvisata e inedita deve trovare rapidamente l'intesa sul campo. Col trascorrere dei minuti molti tasselli sono andati al loro posto, non si sono viste l'eleganza e il pregio estetico delle tessiture che la vera Italia sa offrire, il ritmo è stato leggermente più ridotto, ma sono rimasti intatti spirito di iniziativa, capacità di aggredire e di portare avanti il pallone con precisione di tocco e sufficiente rapidità, l'autorevolezza complessiva nel saper imporre la propria superiore caratura. 

TANTE OCCASIONI, POCO SOSTEGNO DAI TERZINI - Le palle gol questa Nazionale le costruisce sempre, e il pomeriggio dell'Olimpico non ha fatto eccezione: nel primo tempo due bei diagonali di Belotti e Chiesa, poi la volée di Pessina per il vantaggio e una "puntata" dello stesso atalantino che per poco non fruttava il raddoppio, nella ripresa un palo di Bernardeschi su punizione e altri due tentativi di Belotti, il primo con grande risposta di Ward. E' tantissimo, se pensiamo che alla manovra di attacco è sostanzialmente mancato l'apporto della spinta degli esterni bassi. Torniamo a quanto detto inizialmente sulle gerarchie imposte da Mancini: visti all'opera Toloi ed Emerson, si capisce perché i titolarissimi del momento siano Di Lorenzo e Spinazzola; timido il bergamasco, discontinuo il londinese negli sganciamenti: voglio dire, due elementi affidabili, ma, almeno attualmente, non esplosivi come i compagni citati (in attesa del rientro di Florenzi), non in grado di tamponare e ribaltare l'azione diventandone protagonisti. Stesso discorso per Belotti: che si è sbattuto come al solito, ha cercato spazi, se li è guadagnati ed ha concluso quando ne ha avuto la possibilità, ma ormai da qualche mese non ha il killer instinct che ha invece provvidenzialmente ritrovato l'amicone Immobile. 

VERRATTI C'E', PESSINA SENZA TREMORI - Meno scompensi si sono avvertiti nel settore di mezzo, perché i titolari d'occasione Pessina e Verratti hanno fatto anche più di quello che ci si attendeva. Senza paure, senza braccino da grande ribalta l'ex veronese: abbiamo detto del suo gol e del secondo tentativo mancato di un soffio, e in entrambi in casi a metterlo in posizione di sparo è stato il califfo del Paris Saint Germain, che al suo ritorno ha subito lasciato intendere di poter incidere pesantemente nel prosieguo della kermesse. E' stato lui il vero "pilota" della squadra; mentre Jorginho, che Iddio ce lo conservi, faceva da collante ricreando l'equilibrio giocoforza smarrito in una formazione rivoltata come un calzino, Marco giocava un'infinità di palloni, alzava il baricentro, affondava, tentava persino qualche conclusione, non certo la sua specialità. E azionava Pessina, come detto: continuiamo a scoprire centrocampisti che segnano, una cooperativa del gol che è forse l'arma più imprevedibile e difficile da disinnescare per i nostri avversari. 

LI RIVEDREMO - La mancanza di intesa ha portato qualche sbandamento in terza linea, e sono arrivati così ben tre rischi per Donnarumma, cosa mai accaduta nelle uscite precedenti: un'inzuccata di Gunter di poco alta e un mezzo scempio al volo di Bale, in entrambi i casi l'ex milanista avrebbe potuto fare ben poco, mentre ha saputo disinnescare un affondo di Ramsey favorito da un'incertezza di Acerbi, che in azzurro ha fornito in passato prove assai più rassicuranti. Più efficiente e sicuro è parso invece Bastoni, uno dei pilastri designati dell'Italia post Europeo. In avanti, Chiesa è stato premiato come migliore in campo dall'Uefa con generosità forse eccessiva, ma è comunque sempre stato vivo, pieno di iniziativa, al servizio dei compagni, pur con i soliti problemi di mira al momento di concretizzare: senz'altro più in partita rispetto all'altro laterale Bernardeschi, questo è pacifico. Basta così: Italia Due-ItalBrasile ha chiuso gloriosamente la sua breve esperienza. Ma statene certi: alcune di queste seconde linee le ritroveremo protagoniste più avanti, nella speranza che il torneo si prolunghi per noi il più possibile. In tal caso, Verratti, Pessina e Chiesa saranno tutt'altro che comparse.

giovedì 17 giugno 2021

EURO 2020, ITALIA-SVIZZERA 3-0: VINCE IL COLLETTIVO. A SUPPORTO DEL CENTROCAMPO, DIFESA E ATTACCO ISPIRATI E MANOVRIERI. LOCATELLI E DI LORENZO I MIGLIORI, IL LAVORO OSCURO DI JORGINHO E INSIGNE

Un'Italia "antica" eppur nuova, quella che ha strapazzato la Svizzera conquistando con un turno d'anticipo l'accesso agli ottavi. L'Azzurra del Mancio svela cammin facendo le sue risorse, che non sono infinite ma hanno se non altro il pregio dell'eterogeneità. In questi tre anni di gestione di Bobby-gol, e fino alla gara con la Turchia, abbiamo imparato ad apprezzare una squadra che gioca in punta di fioretto, facendo leva quasi esclusivamente sulle ottime doti di trattamento della palla e su una manovra avvolgente, elegante ed efficace. Ecco, ieri si è visto qualcosa di diverso e di più ricco: non che siano mancate le consuete trame in agilità e scioltezza, quel palleggio disinvolto che taglia in due gli schieramenti avversari consentendo vertiginosi approcci all'area nemica. Ma, forse per la prima volta, al pacchetto di mezzo non è toccato sostenere quasi per intero il peso del nostro gioco d'iniziativa. 

CORALITA' E AGGRESSIVITA' - La Nazionale vittoriosa sugli elvetici è stata "squadra" nel senso più pieno del termine. Il collettivo ha fatto la differenza: partecipazione corale, tutti i settori impegnati in tutte le fasi, quasi un mini calcio totale, il che è una semplice annotazione tattica, senza voler indulgere in paragoni blasfemi con certi dream team del passato, paragoni al momento fuori luogo. E però è un fatto che mai come ieri all'Olimpico si sia vista un'armonia, una fusione quasi perfetta fra i reparti, nel segno di un'equa distribuzione dei compiti. L'apporto della terza linea, per dire, è stato determinante, ma non nel senso classico del termine. Perché non si è trattato di battersi in trincea contro opponenti all'assalto, questo no: certo la multietnica rappresentativa di Petkovic al tirar delle somme ha concluso pochissimo (doppia palla gol su tentativo di Zuber ottimamente neutralizzato da Donnarumma, poi poco altro), ma non ha manifestato la timidezza turca. Il suo approccio alla gara è stato notevolmente aggressivo, soprattutto all'inizio delle due frazioni, ma non solo: i nostri hanno dovuto quindi limitarne gli estri offensivi, e lo hanno fatto non chiudendosi a riccio nell'attesa del momento opportuno per ripartire, arma strategica comune a molte Italie del passato, ma alzando il baricentro, aggredendo in pressing con continuità, contrastando e impostando subito. 

IL FONDAMENTALE APPORTO DELLA DIFESA - Tutti hanno svolto un ruolo attivo. Valga questa annotazione: nella zona nevralgica ha svettato Locatelli, non solo per i due gol che pure significano tantissimo, perché avere centrocampisti che segnano è fondamentale, questo Club Italia ne ha trovato un altro (dopo l'assaggio in Bulgaria nel marzo scorso) e conferma così una delle sue doti principali, un'arma difficilmente disinnescabile, ossia la capacità di andare a rete con diversi elementi della rosa, e non solo con le punte. E però, tolta la gara da califfo del giovane del Sassuolo, Jorginho ha svolto una tessitura preziosissima, costante, puntuale, senza sbagliare un pallone ma agendo tutto sommato sotto traccia, mentre Barella è andato a strappi, anche con qualche errore di misura pur se, tanto per gradire, ha fornito a Manuel il passaggio per il 2-0, confermandosi uomo decisivo negli snodi cruciali di ogni match. 

Insomma, un reparto che al solito ha ampiamente fatto il suo dovere, ma forse, stavolta, non sarebbe bastato, da solo, a forzare il bunker svizzero, se non avesse avuto un sostanzioso aiuto da parte del resto della formazione. Dalla difesa non sono emersi i soli, consueti sganciamenti di Spinazzola, sempre positivo nella spinta e nel cross ma con la mira da aggiustare al momento di concludere (ha sprecato il 2-0 con un esterno destro fuori bersaglio), ma ha giganteggiato Di Lorenzo, insuperabile in copertura e costantemente presente in appoggio e in costruzione; Chiellini, finché è stato in campo, ha giocato spesso sulle trequarti elvetica, il suo sostituto Acerbi si è proiettato in avanti quando ha potuto, Bonucci ha scodellato un lancio che per poco non mandava in gol Immobile, formula ampiamente utilizzata in edizioni recenti del Club Italia, da Prandelli a Conte. 

INSIGNE E IMMOBILE, I TUTTOFARE - E poi l'attacco: Berardi, coi sui cambi di passo, la sua velocità, la capacità di saltare l'uomo continua a mettere a ferro e fuoco le difese avversarie, e da una sua insistita iniziativa sulla destra è nato l'1-0 di Locatelli, il quale aveva oltretutto dato il via all'azione. Ma merita l'elogio pieno anche Insigne, che qualche commentatore ha bocciato ma che ha disputato una gara encomiabile per impegno, continuità, sacrificio, ripiegando a sostegno della seconda linea, partendo sovente da lontano e pagando così in termini di lucidità nei sedici metri finali; e anche Immobile non si è sottratto al lavoro di fatica, confermandosi poi in gran vena anche come suggeritore, visto che dai suoi piedi è partita la fase decisiva della manovra che ha prodotto il bolide di Locatelli per il bis. Gol e apporto di peso al gioco, non si poteva chiedere di meglio a Ciro dopo tante prove azzurre in chiaroscuro, ad esempio quella in Lituania che fece innervosire lui per primo. 

GLI AVVERSARI "CHE NON ESISTONO" - Questo Club Italia così fresco e sbarazzino sta suscitando le reazioni più disparate: si moltiplicano le "cadute dal pero" (conferma inequivocabile del fatto che, negli ultimi tre anni, in molti non hanno visto nemmeno mezza partita della nostra rappresentativa); persistono gli scettici, che con impegno e cocciutaggine degne di miglior causa continuano a derubricare a nullità gli avversari degli azzurri, ma mano che vengono spazzati via. Poco importa che, come ricordato a commento della gara d'esordio, la Turchia fosse reduce da colossali imprese contro i campioni del mondo francesi e contro l'Olanda oggi esaltata da tutti (imprese compiute in gare ufficiali, non in amichevoli); e poco importa che la Svizzera occupi attualmente il 13esimo gradino del ranking FIFA, un solo posto dietro la Germania, uno davanti alla Croazia battuta dagli inglesi, tre davanti alla sopra citata Olanda. Strano destino davvero, quello di questa Selezione che non riesce a commuovere né con i risultati né con il gioco, laddove in passato ci si stringeva a coorte durante e dopo gare puramente catenacciare come quelle di Saint Denis '98 o di Amsterdam 2000. 

IL MOMENTO DEI CALCOLI - Ora che abbiamo la certezza di accaparrarci uno dei primi due posti del gruppo, beh, spiace dirlo, è anche il momento dei calcoli, perché non siamo nati ieri e i percorsi post primo turno vanno studiati attentamente. Proprio questo "studio" permise all'Italia di Lippi 2006 di battersi per vincere il proprio girone e assicurarsi così una mezza autostrada fino alla semifinale; "astuzia" che non fu in grado di mettere in pratica l'Italia di Bearzot '82, complice una prima fase mediocre che ci recapitò in un secondo raggruppamento terribile; vero che da quella apparente sciagura sportiva nacquero poi le imprese epiche con Argentina e Brasile, ma nonostante tutto credo che, alla vigilia, quegli azzurri avrebbero pagato per capitare con avversari più abbordabili. In queste ore, lo spauracchio più concreto che si agita di fronte ai nostri occhi è la già evocata Olanda: vero che in Nations League le abbiamo preso quattro punti su sei giocando meglio, ma sarebbe meglio comunque evitare un confronto così precoce. Perché nelle gare a eliminazione, si sa, basta una giornata mezza storta per far svanire un sogno. Occhio... 

sabato 12 giugno 2021

EURO 2020: LUNGO LAVORO AI FIANCHI, POI GLI AZZURRI TRAVOLGONO LA TURCHIA. I TOP FIVE: BARELLA, BERARDI, IMMOBILE, SPINAZZOLA, JORGINHO

Da più parti si invoca equilibrio nel modo di approcciarsi alla Nazionale italiana e alle sue gesta. Troppo entusiasmo preventivo, si dice, e l'accusa non è del tutto campata per aria: si è cominciato assai presto, persino con uno show di prima serata su Rai 1 affidato ad Amadeus e addirittura con un documentario a puntate, sempre sull'ammiraglia, nella impegnativa fascia oraria dei Soliti ignoti. Poi gli spot della tv pubblica con festeggiamenti di vittorie azzurre che dovevano ancora arrivare. Infine, per giungere alla stretta attualità, qualche eccesso di ottimismo post trionfo nella gara d'esordio, non proprio un "Wembley, arriviamo", ma quasi. In parte è vero, ripeto, ma se equilibrio deve essere, deve esserlo a tutto tondo. Perché non è nemmeno giusto derubricare ogni successo dei nostri a ordinaria amministrazione, con la scusa che ogni avversario sia infallibilmente scarso, modesto, inesistente. E no: da possibile outsider, così l'avevano etichettata in molti, ora la Turchia è stata declassata a caricatura di squadra. La stessa caricatura di squadra che nelle qualificazioni ha preso quattro punti su sei alla Francia, e che nelle eliminatorie mondiali ha strapazzato l'Olanda, una selezione, fra l'altro, che viene sistematicamente considerata da certi esperti superiore alla nostra, e magari lo sarà anche, ma contro la quale, in Nations League, il team di Mancini ha esso pure fatto quattro punti su sei, andando a maramaldeggiare in trasferta ben al di là dello striminzito 1-0 finale. Qualcosa non quadra. 

LA TURCHIA NON E' UNA SCARTINA - So benissimo che quella di Gunes non è una big del continente, ma il ruolino di marcia recente prima citato, la solidità complessiva evidenziata a più riprese e diverse individualità di spicco ne facevano un'opponente della quale diffidare fortemente. Appena ieri si tessevano le lodi della sua difesa quasi impenetrabile, e dei gioielli Yazici e Yilmaz che hanno trascinato il Lille a uno storico scudetto in Francia, per tacere dei "nostri" Chalanoglu e Demiral. Ora, per dirla in gergo, hanno beccato pesante all'Olimpico e sono trattati come pezze da piedi. Ci vorrebbe meno strabismo nelle valutazioni critiche. Dopodiché, ripeto, questa Azzurra irriverente e garibaldina deve ancora consumarne, di suole, se vuole diventare grande, già mercoledì con la Svizzera il livello di difficoltà si alzerà di un altro piolo, ma la narrazione in base alla quale si vince perché si gioca sempre contro nessuno è inaccettabile, oltre a essere in buona sostanza non rispondente al vero. 

DIFENSIVISMO TURCO E IMPACCI NOSTRI - Mi ha sorpreso, questo sì, l'atteggiamento di estrema prudenza con cui gli ospiti hanno affrontato la gara. Una chiusura a riccio quasi al limite del catenaccio, e anche oltre, con ammucchiate e corridoi intasati dalla trequarti in giù. Forse perché era comunque lampante la superiore caratura tecnica del Club Italia, e lo stesso Gunes ne ha preso serenamente atto già prima di scendere in campo, pianificando una partita di attesa e ostruzionismo, cercando di far sfiancare gli azzurri nella continua e inutile ricerca di un varco buono, e fidando nella nostra mancanza di muscoli e centimetri in avanti. Nel primo tempo il disegno pareva avere qualche possibilità di riuscita: l'iniziativa era da subito di marca tricolore, come da copione, ma qualche errore di misura nei passaggi, insolito per il gruppo del Mancio, e qualche frazione di secondo di troppo nell'avvio e nell'elaborazione delle azioni consentivano ai rossi di contrastare efficacemente le nostre trame. 

LOCATELLI CRESCE CON MISURA, BARELLA SALE IN CATTEDRA - Qualcuno, giocoforza, ha anche avvertito il peso dell'esordio assoluto in un contesto così impegnativo, mai vissuto prima: come Locatelli, ad esempio, che per un po' si è limitato al piccolo cabotaggio, così come Barella a lungo non ha trovato le misure giuste per entrare con decisione nella fase di costruzione e di spinta. I grandi giocatori sanno superare questi comprensibili attimi di impaccio, e loro l'hanno fatto: il giovane del Sassuolo ha ripreso a tessere e palleggiare con la sicurezza e l'efficacia che gli sono proprie, pur senza svettare ma confermando la sua propensione alla conclusione a rete (un bel destro sul quale il guardiano turco si è salvato in corner), e ancor meglio ha fatto l'interista, tornato affidabile in copertura e autoritario negli inserimenti e in rifinitura, recitando da protagonista nelle tre azioni-gol, da autentico uomo-partita.

SPINAZZOLA, BERARDI, IMMOBILE, JORGINHO OK - Molti altri non hanno invece accusato il "braccino" della grande ribalta nemmeno per un minuto: non Spinazzola, freccia sempre acuminata sulla sinistra, buon crossatore e buon tiratore, con due conclusioni respinte da Cakir, la seconda delle quali ha portato al 2-0 di Immobile; non lo stesso centravanti laziale, vivo e attivo già nel difficile primo tempo e, come con la Repubblica Ceca, di nuovo assistman per Insigne, che ha sprecato una volta ma non ha fallito la seconda; e nemmeno Berardi, fin dall'inizio il più ispirato e ricco di iniziativa in prima linea, nei limiti di quanto concesso dalla muraglia allestita dai rivali, e propiziatore, col suo cross, della goffa autorete di Demiral; per tacere di Jorginho, dapprima silenzioso collante di un reparto che teneva saldamente le redini del match ma girava a vuoto, e poi califfo in una zona nevralgica che al comando sterile ha saputo infine aggiungere profondità e capacità di far male. Il citato Insigne è lievitato alla distanza dopo un primo tempo in cui è parso poco sul pezzo, ma nel complesso la sua presenza offensiva non ha avuto il peso che ci si aspettava. 

SEMPRE IN AVANTI - Ma sempre, anche in quell'ispida prima frazione "controvento", l'Italia ha pressato e giocato col muso puntato verso la porta avversaria, come da DNA ormai cristallizzato; e ha concluso tutto sommato parecchio, magari qualche volta in modo velleitario, ma ci ha provato, sganciando anche i difensori: e non è un caso che, in tanta penuria di spazi, sia stato Chiellini ad avvicinarsi maggiormente al gol con una inzuccata alzata in angolo dal portiere. Poi, la Dea Bendata ci ha dato una piccola mano per sbloccare il risultato, ma è stato un aiutino ben indirizzato verso chi più lo meritava. E in una serata del genere non è forse nemmeno il caso di sottolineare nuovamente la mancanza di una punta centrale di stazza e di grande concretezza, perché il problema persiste ma stavolta lo si è avvertito meno che in altre circostanze. 

BUONA PRODUZIONE OFFENSIVA - Ciro ha fatto in pieno il suo dovere. L'abbiamo già detto: un gol, due passaggi smarcanti, altri tiri insidiosi; sembra aver trovato la condizione giusta, e la giusta intesa coi compagni, proprio nell'occasione più importante, e contro avversari meno coperti potrebbe trovare quei metri in più per liberarsi ed essere ancor più letale. Merita fiducia. Così come la merita tutta la squadra che, al tirar delle somme, pur fra qualche imperfezione di manovra, pur parzialmente imbrigliata per quasi un'ora, alla fine ha messo insieme tre reti e almeno altre quattro mancate di poco (oltre a un penalty incredibilmente ignorato da arbitro e sala Var), per una produzione offensiva leggermente inferiore alla media ma comunque cospicua. E ora occhio alla sindrome della seconda partita, tante volte a noi fatale in passato. Perché non è vero che nei grandi tornei se parti bene sei già a un passo dal primo obiettivo (il passaggio del turno): occorre superare indenni almeno due ostacoli, prima di  programmare il futuro con discreta serenità.  

sabato 5 giugno 2021

VERSO EURO 2020: LA BELLA ITALIA CHE SCHIANTA I CECHI NON E' UNA NOVITA'. NIENTE EUFORIA, MA CAUTO OTTIMISMO



Non avevo certo bisogno di una gara come quella di ieri sera per scoprire che la nostra Nazionale, se sostenuta da una buona brillantezza fisica, è in grado di produrre espressioni di gioco di eccellente qualità impreziosendole con un'adeguata concretezza nel tiro a rete. Il problema è un altro: quale attendibilità può avere la felicissima prova generale di Bologna? Detto subito che l'avversario non era dei più semplici, essendo la Repubblica Ceca una delle magnifiche 24 pronte ad animare l'ormai prossima kermesse continentale, i tanti precedenti non possono che indurre alla massima prudenza. 

PRECEDENTI CONTRADDITTORI - Facciamo un rapido excursus storico, per scoprire come i test match prima di Mondiali ed Europei forniscano costantemente indicazioni mutevoli, contraddittorie, in definitiva di impossibile lettura (se non a posteriori, ma così è troppo facile...). Nel '78 e nell'82 la Selezione di Bearzot partì per Argentina e Spagna con due pareggi, rispettivamente uno modestissimo con la Jugoslavia (e annessi fischi del pubblico romano), e uno dignitoso ma non eccezionale in Svizzera. Quel che accadde dopo lo sappiamo tutti: due tornei iridati che sono ancora nel cuore di tutti gli appassionati tricolori. E pensiamo anche alla squadra di Prandelli che, nel 2012, concluse la preparazione per l'Euro facendosi rifilare tre pappine (a zero) dalla Russia, dopodiché in Polonia-Ucraina riuscì ad arrampicarsi addirittura, e con merito, fino alla finale con la Spagna, traguardo che nessuno, proprio nessuno, aveva anche solo osato sognare. Viceversa, nel 2008 il team guidato da Donadoni superò agevolmente il Belgio (ma non era il super Belgio attuale), Di Natale in grande evidenza, tutti contenti, poi in Austria e Svizzera fu somma sofferenza e un quarto di finale conquistato fra mille patemi. A mezza via fra queste situazioni si colloca la lunga fase di approccio al trionfo iridato del 2006: è pur vero che nelle ultime due amichevoli arrivarono due pareggi senza acuti (ma con Svizzera e Ucraina, due finaliste di quel Mondiale), ma nei mesi precedenti i ragazzi di Lippi avevano strapazzato due colossi del football, l'Olanda e la Germania, successi che diedero la misura delle notevoli potenzialità della squadra e, nel contempo, fecero crescere la consapevolezza di Toni e compagni nei loro mezzi. 

CAUTO OTTIMISMO - Quest'ultimo precedente ci dice se non altro che vincere aiuta a vincere, e sotto questo profilo la giovane Italia di problemi proprio non ne ha: rischia semmai, dopo tante vittorie, di trovarsi in qualche impaccio nel momento in cui incappasse in una di quelle giornate no che sono dietro l'angolo per tutti, nello sport. Credo tuttavia che questo sia il momento di una cauta ma convinta fiducia: non euforia, attenzione, che sarebbe del tutto fuori luogo, controproducente, perniciosa al momento di scendere in campo in una competizione in cui non possiamo in alcun modo essere annoverati fra i favoriti o semi-favoriti: Francia, Belgio, Inghilterra e Portogallo sono davanti a noi, Germania, Spagna e Olanda hanno enormi dosi di classe, per quanto il loro cammino negli ultimi anni sia stato non di rado accidentato. E poi ci sono le schegge impazzite che potrebbero vivere exploit improvvisi e regalare amare sorprese alle big: fra queste, due ce le ritroveremo davanti già nel girone iniziale di Roma, sto parlando di Turchia e Svizzera, che sulla carta ci sono inferiori ma hanno ottimi collettivi e individualità di spicco, e insomma non vanno sottovalutate per alcuna ragione al mondo. 

GIOCO BRILLANTE - Resta il fatto che, se quella del Dall'Ara è la vera Azzurra, qualche speranza di fare una discreta figura la possiamo cullare. Ripeto, nessuna novità, perlomeno per chi ha seguito tutto il percorso di crescita e di maturazione del gruppo di Mancini: compagine capace di manovrare in agilità e rapidità, con notevole proprietà di palleggio, di produrre una manovra d'iniziativa e di creare con buona frequenza situazioni di pericolo per la porta avversaria. Solo conferme, ieri sera: la straripante vitalità di Spinazzola che, come si dice oggi, "ara" la sua fascia con apprezzabile continuità ma sa mettere ottimi puntelli anche in ripiegamento; le geometrie, la saggezza e il carisma di Jorginho; la vitalità di Barella, che fa legna, spinge e conclude; le due acuminatissime frecce laterali Berardi e Insigne, entrambi in palla, il secondo addirittura scatenato. 

TUTTI AL TIRO! - Lo si è accennato: la Repubblica Ceca era sparring partner attendibile, e aveva pure iniziato bene il match, con un'occupazione del campo che ci impediva di sprigionare le nostre consuete luminarie in fase di costruzione e approccio. Se alla lunga è crollata, è più merito dei nostri che loro demerito. Il 4-0 finale sottolinea un'altra cosa importante: ormai assodato che ci manca una prima punta di autentica caratura internazionale, la rappresentativa del Mancio è in grado di colmare questa lacuna sguinzagliando in avanti, a turno, tutti gli elementi con una sia pur minima propensione offensiva: il fatto che tutti, chi più chi meno, abbiano ottime capacità di trattare il pallone, favorisce poi la facilità di sfornare azioni di notevole incisività. Discorso che vale anche per Chiellini, un habitué degli sganciamenti (benché non trovi il gol in azzurro da quasi quattro anni), ieri sera vicino alla segnatura con un sinistro al volo su corner. Abbiamo soprattutto degli incursori esterni di mortifera efficacia (non solo i due titolari di ieri, ricordiamo anche l'ottimo Chiesa visto in maglia Juve), e comunque a Bologna il suo golletto (con deviazione avversaria quasi ininfluente) lo ha fatto pure il contestato Immobile, che ha poi lanciato Insigne verso il 3-0 con un tocco beffardo. Insomma, il vuoto generazionale che ci ha per il momento privati dei nuovi Vieri, Del Piero e Inzaghi lo potremmo casomai pagare nei confronti con le grandissime del continente, ma per il resto possiamo tranquillamente ovviare al grave problema, senza caricare di eccessive aspettative il giovin Raspadori. 

SUBITO AL TOP, GIA' VENERDI' - Un dubbio, assolutamente legittimo, animerà questa vigilia: l'Italia è parsa in gran condizione, ma non è troppo presto, con un torneo (si spera per noi il più lungo possibile) che parte fra una settimana? Anche qui, difficile fare valutazioni: di certo, nella contingenza storica in cui siamo, ossia reduci da una mancata qualificazioni mondiale, sarà importante anche solo superare il primo turno per dare una riverniciata al nostro sgualcito blasone. Non siamo una di quelle rappresentative scafate e "adulte" che hanno la capacità di gestirsi e centellinare le energie, anche perché, ribadiamo, non possiamo sottovalutare nessuno. Alle corte: dovremo essere al meglio già venerdì prossimo per l'appuntamento con la Turchia, oltretutto col dovere di onorare il ritorno sugli spalti del pubblico di casa. 

PREPARAZIONE ANOMALA MA "VERA" - Il discorso sulla preparazione pre Europeo non consente, fra l'altro, paragoni con esperienze passate, nel senso che quest'anno non c'è stata, di fatto, una vera preparazione, perlomeno secondo i canoni tradizionali a cui eravamo abituati (lungo ritiro, disintossicazione dalle scorie stagionali, allenamenti graduati per entrare in forma nel momento opportuno...). L'attività interna si è conclusa tardissimo, ancora più tardi quella internazionale di club, con la finale di Champions andata in scena sabato scorso, solo dopo è toccato alle rappresentative, costrette dunque a mettere a punto i rispettivi progetti in tempi ristrettissimi. Nazionali che tuttavia, non dimentichiamolo, fra inverno e primavera hanno potuto "scaldare i motori" in vista del rendez vous di giugno con un programma più autentico di quello, classico, fatto di amichevoli pre Mondiali ed Europei, affrontando cioè le prime gare di qualificazione per Qatar 2022. Tre sfide che, per l'Italia, sono state particolarmente ispide, per quanto brillantemente risolte, e hanno rappresentato ulteriori, importanti step di sviluppo. 

IL CASO SENSI - Questo per dire che non c'è stata alcuna pausa agonistica, siamo stati costantemente sulla corda della necessità di fare risultato, ed è un bene. Abbinando il bel gioco del Dall'Ara col carattere e la cocciutaggine mostrate con Nord Irlanda, Bulgaria e Lituania, avremo già fatto un altro bel passo avanti. In Lituania, fra l'altro, a togliere le castagne dal fuoco fu Sensi, un "manciniano" della prima ora, un fedelissimo che ha offerto alla causa della nuova Italia buone prestazioni e gol pesanti. Euro 2020 doveva essere anche suo, ma ancora una volta il fisico di cristallo l'ha tradito. Pessina è una garanzia, uno destinato a rimanere a lungo in gruppo, ma aspettiamo l'interista in autunno, assieme a un lungodegente come Zaniolo, tutti ragazzi che possono e devono dare ancora tantissimo al Club Italia. 

giovedì 3 giugno 2021

VERSO EURO 2020/21: COSA C'E' DIETRO LE SCELTE "CONSERVATIVE" DI MANCINI


E così, dopo aver indorato la pillola agli "esaminandi" facendo discreta bisboccia in tv da Amadeus (fra un'Arisa e un Clementino, un Colapesce Dimartino e un Coma_Cose, questi ultimi cantati a squarciagola da buona parte degli azzurrabili), il cittì Mancini ha diramato i nomi dei 26 prescelti per Euro 2020/21. Dico subito che, per quanto mi riguarda, si tratta di un elenco plausibile, con una sua logica. Credo non esista, nella storia del calcio, un listone per Mondiali od Europei che non abbia suscitato furenti discussioni, da noi come nelle altre nazioni: ci fu da eccepire persino sulle scelte compiute nel 1982, e anche oggi, pur davanti alla constatazione che i risultati alla fine diedero pienamente ragione a Bearzot, si può sommessamente affermare che un posticino in quel memorabile gruppone l'avrebbe meritato anche gente come Di Bartolomei, Pruzzo o Beccalossi, e cito solo alcuni degli esclusi eccellenti di allora: questo per dire che il calcio non offre realtà tecniche granitiche e incontestabili nemmeno in presenta di dati oggettivi come, in quel caso specifico, uno squadrone che conquistò il massimo alloro planetario.

ESPERTI D'OCCASIONE - Si dice sia un bene che il Club Italia faccia ancora accapigliare su convocati e non convocati. Boh, non saprei dire. Sarebbe forse positivo se si trattasse di discussioni che scaturiscono da una conoscenza almeno discreta di ciò di cui si parla. La sensazione di queste ore è opposta, ossia che chi lancia accuse anche pesanti al Mancio si sia svegliato per incanto solo adesso, non abbia seguito nemmeno un minuto del percorso azzurro di questi tre anni, e ragioni solo in base a ciò che ha visto (magari con le fette di prosciutto del tifo sugli occhi) durante la stagione di club. Del resto, è un fenomeno tipico, un effetto collaterale delle grandi manifestazioni calcistiche, che creano interesse occasionale per la rappresentativa, ossia per quella squadra che nei bienni di qualificazione viene sistematicamente vista come un fastidio, un intralcio, e non a caso è ormai diffusissima l'opinione che gli impegni delle nazionali dovrebbero essere relegati in un angusto spazio temporale, magari un mesetto scarso a fine stagione e ringraziare, sia mai che le società ricche e meno ricche vedano intralciati i loro più o meno gloriosi cammini.

CONSERVAZIONE - Non in altro modo, se non appunto con questa ignoranza dei fatti, si può spiegare l'accanimento contro certi nomi inseriti dal trainer azzurro nel suo elenco. Perché una cosa balza subito gli occhi di chi, come me ad esempio, ha seguito vita, morte e miracoli di questa "selecciòn": le convocazioni di Bobby gol rispondono a un criterio ben preciso. Sono convocazioni prettamente conservative, che tendono a premiare e valorizzare chi, in questo triennio, ha fatto sistematicamente parte del gruppo e ha contribuito a farlo crescere sia come spirito di squadra, sia come collettivo sul campo, con prestazioni di livello che hanno avuto la loro parte nell'ottenimento di risultati eccellenti. Perché, giova sempre ricordarlo, la nuova Italia post Svezia '17 ha fatto cose incredibili in così poco tempo: una qualificazione europea, una final four di Nations League, l'ottimo avvio nelle eliminatorie mondiali, il ritorno nella top ten del ranking FIFA, che dopo l'estromissione da Russia 2018 pareva una chimera.

BERNARDESCHI E GLI ALTRI "ACCUSATI" - Era lecito buttare a mare parte degli uomini che erano stati perlomeno coprotagonisti di queste piccole grandi imprese? Beh, lo sarebbe stato se nel frattempo il loro rendimento azzurro si fosse drammaticamente abbassato. Ma non è stato così: il casus belli è rappresentato soprattutto da Bernardeschi. Certo, sulla base del ruolino di marcia con la Juventus, è una convocazione che non sta né in cielo né in terra, ma la rappresentativa non è una All Stars in stile basket, da assemblare in base allo stato di forma del momento: fosse questo il criterio, non sarebbe mai possibile plasmare una base fissa di uomini azzurri attorno alla quale strutturare l'organico. Certi uomini "devono" restare in gruppo a prescindere dagli alti e bassi nel club di appartenenza. Se Bernardeschi in bianconero risulta oltremodo impalpabile, con la maglia della Nazionale si trasforma: raramente delude, a volte diventa perfino decisivo segnando o facendo segnare, comunque creando pericoli: e lo fa più o meno dall'inizio della gestione Mancini. Il quale sarà stato sicuramente combattuto sul destino da riservargli, ma alla fine ha preso una decisione per la quale onestamente non mi sento di crocifiggerlo. Stesso discorso, in misura minore, si può fare per gente come Belotti e Sirigu, che sono stati coinvolti nell'annata tremenda del Toro ma che di questa Italia sono sempre stati colonne portanti, come collanti dello spogliatoio e il primo, soprattutto, come buon terminale offensivo. E poi Emerson Palmieri: gioca pochino nel Chelsea, ma in azzurro ha sempre fatto il suo (anche se ora parte in subordine allo straripante Spinazzola di questa annata) e ha comunque una certa abitudine alla sfide internazionali che non può essere trascurata.

ACCUSE RISIBILI - Tutto questo, sorvolando su altre accuse sostanzialmente risibili lanciate al nostro trainer. Tipo quella di essere schiavo di presunti poteri forti, o più concretamente dei grandi club: solo questo spiegherebbe la presenza in rosa del solito Bernardeschi e non quella di Politano, obiettivamente protagonista di un ottimo torneo col Napoli. Napoli che peraltro ha fra i 26 Meret, che non meritava di esserci più dell'ottimo Cragno, forse artefice principe di una salvezza cagliaritana imprevedibilmente sofferta, il bravissimo Di Lorenzo, che invece lo merita ma il cui posto poteva venir minacciato dal fantasmagorico Lazzari ammirato in campionato, una forza della natura che stranamente Mancio non "vede", e infine Insigne, che forse non ha disputato la sua annata migliore, quantomeno per certe défaillance nei momenti cruciali (Supercoppa e ultima giornata), ma che è giusto che ci sia, essendo stato uno degli attori principali della ricostruzione azzurra, e anche lui, come "Berna", quasi sempre all'altezza della situazione col Club Italia. E poi ci sono Locatelli, Raspadori e Berardi del Sassuolo, che avrebbe avuto anche Caputo non fosse stato tormentato dagli infortuni, e insomma, tutto si può dire del Sassuolo, che sia una società facoltosa e bene organizzata, ma che possa perfino essere annoverata fra i "potenti" del nostro football, suvvia...

PIANO A LUNGO TERMINE E IN PIU' FASI - Il piano del cittì mi pare chiaro: Euro 2020/21 come punto di arrivo di una prima, importantissima fase del suo complesso lavoro, e come tale non potevano mancare tutti quelli che lo hanno aiutato a raggiungere questo primo step, beninteso se in condizione di giocare e offrire un rendimento all'altezza di un palcoscenico così prestigioso. Ma il progetto di questa Italia manciniana (ebbene sì, esiste un progetto, cosa rara nell'improvvisato mondo del pallone tricolore) è a più ampio respiro. Dopo il disastro brasiliano del 2014, Antonio Conte impostò un'operazione a breve termine e dagli orizzonti limitati: salvare il salvabile della gestione precedente, inserire pochi elementi nuovi per cercare di arrivare all'Euro 2016 e ben figurarvi. Ci riuscì (ricordiamo che nell'ultimo torneo continentale siamo usciti ai quarti con la Germania iridata solo dopo i rigori, e dopo aver dato lezioni di calcio ai colossi Belgio e Spagna), ma la cosa finì lì, senza alcuna eredità plausibile lasciata al successore Ventura, che dal canto suo sbagliò quasi tutto quel che si poteva, ma perlomeno ebbe il merito di avviare quell'opera di ringiovanimento dei ranghi poi ripresa in mano con maggior decisione dall'attuale tecnico, che ne ha fatto la principale linea guida del suo operato.

IL MEGLIO ARRIVERA' DOPO L'EURO? - Mancini, invece, si trova davanti a un complesso di impegni di cui, piaccia o meno, l'Euro rappresenta solo il primo passaggio. Un passaggio che va affrontato con serietà e con la voglia di arrivare il più lontano possibile, soprattutto sulla spinta di un girone iniziale da giocare in casa, ma che, inutile nasconderlo, dovrà essere anche e soprattutto banco di prova, occasione per misurarsi con grossissime realtà internazionali, e quindi crescere, purtroppo anche attraverso amare delusioni, se sarà il caso, perché è così che si diventa grandi. Dopo, ci sarà una Nations League da ospitare contro tre colossi del Vecchio Continente, e poi ci sarà ancora da conquistare l'accesso al Mondiale invernale del 2022. E' opportuno precisare ciò, perché credo che l'attuale roster azzurro possa raggiungere l'apice delle sue potenzialità proprio dopo questo Europeo, che arriva forse troppo presto ma che ci sarà in ogni caso utilissimo. Quindi, dispiace molto per gli esclusi dell'ultima ora, gli ottimi Cragno, Gianluca Mancini, Pessina e Politano. Dispiace anche per il citato Lazzari, per il "tedesco" Grifo, altro fedelissimo del Mancio, e per Kean che ha fatto assai bene in un contesto di altissimo livello come il PSG. Ma si tratta di elementi che, sicuramente, torneranno utilissimi dopo l'estate, e in qualche caso, penso sopratutto a Mancini, Pessina e Kean, finiranno col diventare fondamentali.

GLI AZZARDI, DA SENSI A RASPADORI - Con tutto ciò, non voglio dire che la "convocatoria" dell'altroieri sia esente da rischi, tutt'altro. Proprio la chiamata di uomini che hanno comunque giocato poco in stagione porta con sé un elemento di pericolo, perché il Bernardeschi di turno potrebbe finire presto in debito d'ossigeno, mentre un Sensi è costantemente sul filo del rasoio per il suo fisico di cristallo. Eppure anche il centrocampista interista ci sta eccome, nel listone, essendo un altro di quelli che nel triennio hanno offerto prove sempre convincenti e anche gol pesanti (l'ultimo, quello che ha sbloccato in Lituania una partita oltremodo "ispida"). Su un altro versante, è un rischio anche la convocazione di Raspadori. Paragoni con innovazioni passate dell'ultimo minuto, ad esempio Cabrini e Rossi del '78, sono fuori luogo: in quel caso si trattava di giovani con un curriculum notevole (Pablito capocannoniere di A, il bell'Antonio con una sia pur scarna esperienza internazionale juventina), qui siamo di fronte a un salto nel buio completo, una "fiche" puntata su un elemento interessantissimo ma che può mettere sulla bilancia solo alcuni exploit in campionato col Sassuolo. Forse l'unica vera scommessa tentata dal cittì nell'ambito di una serie di scelte, lo ripeto, nel segno della conservazione. L'ha fatto solo perché il reparto d'attacco, in questi tre anni, non ha portato alla ribalta frombolieri giovani, continui, "cattivi" sotto porta. Potrà esserlo il neroverde? Per ora è solo un auspicio e nulla più.