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domenica 6 febbraio 2022

SANREMO 2022: TRIONFANO MAHMOOD E BLANCO, MA E' "EX AEQUO MORALE" CON ELISA, IN UN'EDIZIONE DA ASCOLTI RECORD CHE RILANCIA LA MELODIA FESTIVALIERA

Un tempo, a Sanremo, era in voga l'espressione "vincitore morale", da contrapporre a chi realmente trionfava pur non avendolo meritato del tutto. Ecco, quest'anno mi piacerebbe parlare di "ex aequo morale". Il Festival numero 72 è stato Mahmood-Blanco contro Elisa fino all'ultimo respiro, lo scontro fra titani scritto nelle stelle già dal primo ascolto all'Ariston delle canzoni; si sono imposti i due... ragazzi di oggi, in piena legittimità e, voti alla mano, quasi doppiando la rivale, ma poco sarebbe cambiato se a iscrivere il proprio nome nell'albo d'oro fosse stata l'eterea cantautrice triestina, che non avrebbe rubato assolutamente nulla. Due vincitori intercambiabili, quelli veri e quella virtuale, portatori dei due brani che da subito si sono stagliati nettamente al di sopra degli altri contendenti. 

LA NUOVA "CANZONE DA FESTIVAL" - Ci ha provato fino in fondo Morandi, ma il suo inno alla vita gioioso, ritmato e allegro aveva, possiamo dirlo, ben poche possibilità di tagliare per primo il traguardo, in un'edizione della kermesse che ha riscoperto e rilanciato la melodia all'italiana, opportunamente modernizzata. Più sofisticata, ridondante, classicheggiante, diciamo pure matura "O forse sei tu", più essenziale "Brividi", che molto punta sui ghirigori vocali di Mahmood e sull'inserimento di stilemi linguistici e di scrittura più contemporanei; entrambe intense, suggestive, passionali. Insomma, davvero questa volta era difficile scegliere, davvero il gradino più alto del podio poteva essere a due piazze, come per Tamberi e Barshim nel salto in alto di Tokyo 2020. 

CLASSIFICA CRISTALLIZZATA, E CHE BRAVO MATTEO! - Se il verdetto più atteso, almeno per noi che non conoscevamo i dati numerici delle preferenze, è stato incerto fino all'ultimo, in stile Juve-Toro '77 come ho scritto qualche giorno fa, la competizione nel suo complesso è stata fra le più placide che la kermesse ligure abbia mai ospitato. Pochi davvero gli scossoni a una classifica che si è subito cristallizzata da cima a fondo: chi era attardato all'inizio è rimasto tale senza possibilità di recupero, mentre il lotto dei papabili è stato chiaro fin da subito, aggiungendo Irama, Sangiovanni ed Emma ai tre medagliati. La miglior crescita, lungo la settimana festivaliera, l'ha fatta registrare il giovane Matteo Romano, entrato come "Cenerentolo" ma ben presto in grado di impressionare il pubblico a casa e in teatro con un'assoluta sicurezza interpretativa e un brano, "Virale", in definitiva gradevole, quantomeno per il suo attuale target di riferimento. E' un prospetto su cui lavorare, così come Yuman con la sua calda e avvolgente voce, a dimostrazione del fatto che, anche in una versione dimessa come quella del dicembre scorso, Sanremo Giovani serve sempre, e ancor più frutti darebbe se gli venisse restituito il palcoscenico più importante, quello del palco di febbraio. 

FESTIVAL GIOVANE E PER I GIOVANI, MA NON SOLO - Del resto, il Festival numero 72 ha portato alle stelle per la seconda volta il non ancora trentenne Mahmood, che può già entrare nel ristretto novero dei plurivincitori quando, appena quattro anni fa, era solo uno dei tanti emergenti che cercavano con cocciutaggine un posto al sole nell'asfittico panorama discografico nostrano. A proposito di giovani: se si volessero analizzare le ragioni del prepotente rilancio vissuto dal Festivalone dopo la grande crisi di fine anni zero (fra il 2008 e il 2009 la manifestazione rischiò di perire, è sempre bene tenerlo presente), una buona base di partenza sarebbe una semplice occhiata all'albo d'oro del periodo in esame: solo due volte il massimo alloro è toccato a dei veterani, Vecchioni 2011 e Stadio 2016. Per il resto a svettare sono state sempre le nuove leve (Ermal Meta nel 2018 fu accompagnato da un collega più navigato ma certo non "anziano", come Fabrizio Moro). Nuove leve provenienti dai talent o proprio dal settore giovanile del Festival, con quest'ultimo che mantiene dunque una sua dignità e centralità, nonostante gli incidenti di percorso, le annate poco felici e un format da ripensare.  

Significa che Sanremo ha ormai istituzionalizzato una linea editoriale precisa e già intrapresa dai tempi della gestione Mazzi 2009-2012, quella del continuo svecchiamento e rinnovamento dei ranghi, senza ripensamenti o nostalgie. L'apertura di credito ai nomi nuovi e alle tendenze più in auge era e rimane l'unica via per restare vivo, vitale, cruciale nel discorso musicale italiano, per entrare nel cuore delle nuove generazioni come sta avvenendo in maniera persino commovente, per noi di età un po' più avanzata che osserviamo con gioia, e un pizzico di stupore, questo diffuso, crescente interesse per l'evento ligure. Le porte ai "grandi vecchi" non sono e non saranno mai chiuse, e il cast di quest'anno lo dimostra in maniera inequivocabile, ma la loro presenza sarà sempre più soverchiata, perlomeno sul piano quantitativo, da quella dei nuovi assi delle chart. 

I NUOVI IDOLI: RKOMI E ACHILLE NON A FUOCO - Avere in gara gente come Blanco, Sangiovanni, Irama, Aka 7even, Rappresentante di Lista, Achille Lauro e Rkomi significa avere gli adolescenti dalla propria parte. Che poi qualcuno di questi esponenti della nouvelle vague non abbia sfruttato al meglio l'occasione è un altro discorso: Rkomi non ha presentato ad esempio, un prodotto all'altezza del suo fresco repertorio (e l'ha anche proposto in maniera poco convincente, la sua ultima performance ha lasciato parecchio a desiderare), di Lauro dobbiamo sostanzialmente registrare un passaggio interlocutorio, se non proprio una battuta a vuoto. Ci sta, alla quarta presenza consecutiva: la sensazione è stata di idee un po' latitanti, di una ricerca un po' forzata dell'effetto scenico, ma se non altro c'è stato il guizzo vincente di lasciare ampio minutaggio all'Harlem Gospel Choir, che ha donato brio e colore a un'opera poco consistente anche se "fischiettabile". 

LA DELICATEZZA E PROFONDITA' DELLA "LETTERA" DI RANIERI - Un discorso che ci porta inevitabilmente a tentare un bilancio consuntivo di cast e canzoni. Il tratto distintivo dell'Amadeus ter l'abbiamo già più volte sottolineato: l'anno scorso scelte spiazzanti e coraggiose, questa volta maggiore attenzione ai grossi nomi. Del resto, se hai la bravura e la possibilità di portare in concorso Elisa dopo ventun anni, Morandi dopo ventidue e Ranieri dopo venticinque, saresti un pazzo a fartela sfuggire, e c'è comunque da dire che i tre colossi non hanno tradito le attese, lanciando composizioni di tutto rispetto. Già parlato delle prime due, evidenziamo ancora la profondità e delicatezza della storia di immigrazione interpretata da Massimo, via via più convincente con il progressivo miglioramento della sua resa live. Esprimevo, alla vigilia, l'auspicio che il vincitore 1988 riuscisse finalmente ad aggiungere una nuova gemma a un repertorio da troppo tempo immutabile: con "Lettera di là dal mare" (scritta da Fabio Ilacqua) dovrebbe aver colmato la lacuna, il pezzo merita di entrare nelle scalette dei suoi concerti e dei suoi eventuali futuri impegni televisivi. 

LIVELLO BUONO, MA FORSE L'ANNO SCORSO... - Il livello complessivo del pacchetto canzoni mi è parso un po' inferiore rispetto a quello del 2021, ma forse non dovrei neanche scriverlo, perché potrei pentirmene presto. Questo è un tipo di valutazione che può essere fatto in maniera esaustiva solo a bocce ferme, magari a distanza di mesi dalla fine della kermesse, e del resto è ingeneroso paragonare prodotti nuovi di zecca a brani con un anno di anzianità, molti dei quali tuttora sulla cresta dell'onda (ne abbiamo avuto un esempio in queste sere, con la riproposizione di alcuni di essi nei collegamenti con la nave da crociera). E' un fatto che la rassegna di undici mesi fa abbia rivelato tante realtà eccellenti del sottobosco canoro italiano, lanciato pezzi di grande orecchiabilità, prodotto due tormentoni ("Zitti e buoni" e "Musica leggerissima") e spedito in orbita una band, i Maneskin, passata dall'Eurovision ai trionfi d'oltreoceano. Parliamoci chiaro, un'annata come quella, per il Sanremone, può capitare due o tre volte nell'arco di un decennio. 

CHI PUO' VENDERE - Quest'anno forse non si raggiungeranno tali vette, ma c'è comunque una decina abbondante di canzoni che può percorrere una strada ricca di soddisfazioni lontano dall'Ariston: penso al podio, penso alle proposte di Sangiovanni, Irama, Emma, Ranieri, Rappresentante, Aka 7even, Dargen D'Amico, Ditonellapiaga-Rettore, alle quali aggiungerei chi, come Noemi e Vibrazioni, è stato ingiustamente penalizzato dalle giurie. Discorso a parte per Giovanni Truppi, con una proposta cantautoriale così raffinata, elaborata, complessa eppur orecchiabile che ha spiazzato perfino la critica, tanto che nessun premio speciale gli è stato assegnato, e questo è forse l'unico vero scandalo della finalissima, se proprio dobbiamo cercarne uno. 

TRIONFO AUDITEL - Vedremo come risponderà il mercato a questa infornata di inediti. Sul fronte televisivo, i numeri trionfali di questi giorni li sapete: non ne avevo parlato, finora, perché per me contano le canzoni, i cantanti e la buona costruzione complessiva dello show, poi i risultati Auditel sono legati anche ad altre variabili non sempre comprensibili a chi, come me, non ne è studioso. Non tirerei in ballo la pandemia che ci tiene in casa: undici mesi fa stavamo messi molto, ma molto peggio, eppure la platea catodica fu nettamente inferiore. Certo, il cast fornisce già una risposta: l'anno scorso tanti nomi nuovi, e si sa che il pubblico generalista di Rai 1 rimane costituzionalmente assai refrattario alle novità, soprattutto se gliele proponi in dosi così massicce. In questo 2022, e l'avevo scritto fin dall'articolo di presentazione, c'era un listone di concorrenti che era più che sufficiente a tenere incollati gli spettatori davanti al video, senza necessità di sovrastrutture e di contorni appetitosi. C'era un evento ben costruito, ben calibrato, con ritmi in generale più serrati (un po' di lentezza solo nella seconda serata) e tempi televisivi più contenuti. E c'era, infine, un padrone di casa che è parso davvero, più di Carlo Conti, il vero erede di Baudo nella capacità di gestire e padroneggiare la situazione, ma più rassicurante, "amicone" e meno svettante del Pippo nazionale. Altro che spalla di Fiorello... 

CONTROPROGRAMMAZIONE ASSENTE? NON PROPRIO - Si è tirata fuori la solita storia della controprogrammazione inesistente. A parte che è così più o meno dal 2007... Certo, la pax televisiva è un dato di fatto, e se esiste conviene a tutti, perché non credo che Mediaset faccia favori alla Rai "per il bene supremo di Sanremo". Ma ci sono due aspetti da sottolineare: il primo è che la stessa Mediaset non ha, da anni, una produzione di show il cui spessore possa anche solo pensare di contrastare il Festivalone. Fra i pochi eventi messi in piedi negli ultimi tempi, "Uà" di Baglioni aveva un calibro piuttosto elevato, eppure non è stato baciato da dati Auditel trionfali. E comunque, se andiamo a guardare, la controprogrammazione c'è stata, perché i veri programmi-boom della nostra epoca sono i talk politici e le trasmissioni informative, e in questa settimana sono andati regolarmente in onda i vari "Carta bianca", "Di martedì", "Piazza pulita", per non parlare di "Chi l'ha visto?" e "Quarto grado". La verità, certo non l'unica, è che se il Festivalone è ben fatto, con personaggi interessanti e canzoni apprezzabili, la gente lo guarda, perché rimane un'istituzione che ora avvolge e coinvolge anche i Millennials, perlomeno in parte. Oltre 13 milioni di spettatori, cifra davvero d'altri tempi, non si totalizzano per caso. 

LA GENUINA FERILLI - Poco rimane da dire sul gran gala conclusivo, come detto dominato dal thrilling della competizione. Confermata la linea fortemente sociale del nuovo Sanremo, col dialogo sugli haters fra Filippo Scotti e Marco Mengoni, il quale ha poi riproposto "L'essenziale" e lanciato il suo nuovo singolo "Mi fiderò". Anche per lui auspichiamo un ritorno in gara, magari l'anno prossimo, quando saranno trascorsi giusto dieci anni dalla sua ultima partecipazione. Scanzonata e caciarona, un po' "paesana", la co-presentazione di Sabrina Ferilli, che peraltro ha offerto uno spunto di riflessione significativo: per essere su quel palco, in quel ruolo, occorre per forza portare qualcosa di forte, un monologo sulle grandi questioni dei nostri tempi o performance simili, e non basta invece il proprio essere professionista dell'intrattenimento? La mia risposta: sono validissimi entrambi i modi di proporsi, l'importante è si tratti di partecipazioni ben concepite e opportunamente rese sul palco, e non tutte, fra le cinque primedonne di questa edizione, sono state in grado di centrare l'obiettivo. 

AMADEUS QUATER? PRO E CONTRO - Rimane calda la questione sul futuro della rassegna: vorrei affrontare il discorso più approfonditamente a mente fredda, magari Amadeus ne parlerà oggi nell'ultima conferenza stampa. A me pare logico e inevitabile che la Rai gli offra un quarto mandato, e sinceramente non disdegnerei la scelta. Però attenzione: nemmeno Baudo è mai arrivato a più di tre direzioni artistiche consecutive (presentò il Festival dal '92 al '96, ma solo nelle ultime tre edizioni fu il gestore dell'evento), e comunque il rischio di saturare e stancare è sempre dietro l'angolo. Soprattutto perché, come scritto ieri, la formula Ama, pur vincente, è ripetitiva sul piano della costruzione dello spettacolo, prevedibile e con pochi spazi autenticamente spiazzanti. Però il conduttore di "I soliti ignoti" può vantare una mano assolutamente felice, come pochi altri prima di lui, nella scelta di cantanti e canzoni in concorso, che sono ormai ridiventate centralissime nella kermesse. Un bel rebus: ci ritorneremo.  

sabato 5 febbraio 2022

SANREMO 2022, GARA COVER: MORANDI VINCITORE INELEGANTE. SPLENDIDA INTESA EMMA-MICHIELIN, LA SORPRESA MATTEO ROMANO, MA LA SERATA E' DA RIPENSARE (ED ABOLIRE)


Proseguendo sulla via dei paragoni calcistici intrapresa ieri, e riprendendo un'espressione molto usata in ambito "pallonaro", possiamo dire che nelle annate buone ti gira tutto bene e tutte le ciambelle riescono col buco, e così accade perfino, rientrando nell'arengo festivaliero, che venga fuori una gara cover perlomeno decorosa. Nulla che faccia gridare al miracolo, intendiamoci, ma una manciata di performance degne di nota le abbiamo viste, e non è poco per una serata che, nel passato recente, ha spesso regalato mediocrità e cadute di tono. 
LE "COVER" DI MORANDI - Certo, continua a sfuggire la ratio del meccanismo di competizione introdotto da Amadeus, in base al quale questi rifacimenti vanno ad influire sul concorso degli inediti. Lo si è ripetuto all'infinito in questi anni, ma la considerazione è adesso quantomai d'attualità, visto l'esito della sfida di ieri: Gianni Morandi si è imposto, ben coadiuvato da Jovanotti, con un medley che comprendeva due evergreen del suo sconfinato repertorio. Ora, premesso che ciò non è vietato dal regolamento, mi è parsa una mossa quantomeno inelegante. Lo spirito della serata cover, se proprio va inserita in cartellone (per me no, ma ci ritorneremo magari in sede di consuntivo), è quello di mettere alla prova gli artisti partecipanti con qualcosa di diverso dalla loro produzione, con capolavori epocali magari lontani dalle loro corde e non facilissimi da eseguire. Sennò, tanto vale far portare a tutti le loro hit storiche, ma sarebbe una corsa impari, perché la quasi totalità dei cantanti selezionati quest'anno non può (ovviamente) vantare l'elenco di successi di Gianni; però, ad esempio, sarebbe stato curioso vedere gli esiti conclusivi, se Sangiovanni avesse portato "Malibù" o Rkomi uno dei pezzi coi quali ha disseminato il suo 2021 di certificazioni platino FIMI.
FORZATURE - Nulla contro Morandi, e teniamo come punto fermo l'assoluta buona fede sua e dell'organizzazione, ma, insomma, non va bene; così come non andava bene l'àncora di salvezza benevolmente lanciatagli dalla Rai, dopo la diffusione in rete di un cospicuo spezzone di "Apri tutte le porte" con settimane di anticipo sull'inizio della kermesse. All'epoca non scrissi niente né qui né sui social, ma oggi non si può non rilevare come il comunicato con cui l'azienda "salvò" l'artista di Monghidoro (che aveva ammesso lui stesso la propria colpa) fu abbastanza improbabile, facendo leva sui suoi problemi di salute. Ecco, io comprendo benissimo la real politik, la necessità di fare comunque di tutto per mantenere in cartellone questo artista, per rispetto alla sua carriera, perché la canzone funziona e perché comunque è uno che porta seguito, audience, simpatia e interesse, ma il troppo stroppia. 
Tutto ciò, sorvolando anche su un Jovanotti duettante in concorso e rapidamente convertito in superospite di giornata: toccante e ben impostata la sua parentesi, con poesia declamata e il presentatore dietro di lui a disegnare su un banco di scuola, ma inopportuna perché si trattava di un co-concorrente a tutti gli effetti; un siparietto del genere sarebbe andato bene se, come qualche anno fa, la serata cover avesse rappresentato un happening a sé, senza andare a incidere sulla vera gara. 
TELEVOTO MAL CALIBRATO - Insomma, una serie di scivoloni non da poco, ai quali aggiungerei una ulteriore pecca del regolamento, ossia la chiusura del televoto immediatamente dopo l'ultima esibizione. Così, ovvio che il povero Tananai, già partito ad handicap, si sia ritrovato per l'ennesima volta in fondo alla graduatoria: vero che si potevano votare tutta la serata, ma si trattava comunque di esibizioni inedite, che andrebbero viste e soppesate prima di giudicarle, e le ultime in scaletta hanno avuto poco tempo a disposizione per recepire i voti di chi magari, favorevolmente colpito, aveva deciso in extremis di inviare le proprie preferenze. 
ABOLIRE! - Un'altra ragione, una delle tante, per archiviare definitivamente questo corpo estraneo del Festival, cosa che, temo, potrà accadere solo con un nuovo direttore artistico. Riconvertire questa quarta sera in ciò che è stata per diversi anni, ossia la serata dedicata alle Nuove Proposte, quest'anno ingiustamente cancellate dalla kermesse di febbraio e relegate a un evento singolo pre natalizio: credo sia l'unica via, e sarà una garanzia per il futuro di Sanremo, che non può pensare di restare sempre ad alti livelli senza coltivare adeguatamente il suo settore giovanile. 
BENE MATTEO-MALIKA, EMMA-FRANCESCA, NOEMI, TRUPPI - Le performance, dicevamo: fra le migliori in assoluto, a sorpresa, quella di Matteo Romano con Malika Ayane in "Your song". Merito di entrambi, ma con mezzo voto in più per il ragazzino, che in questo Festival ha sfoderato una dimestichezza col palco imprevedibile, e che si è trovato a meraviglia con Malika, in una splendida fusione di voci: non è un caso che l'interprete di "Virale" abbia fatto un bel balzo in classifica generale, avvicinandosi addirittura alla Top 10. Eccellenti anche Emma e Michielin, la chimica (termine molto in voga a  Sanremo '22) fra le due è stata assoluta in "Baby one more time". Molto a proprio agio Noemi, con la sua calda vocalità piena di feeling, in "You make me feel like a natural woman", trascinante la "Live and let die" offerta dalle Vibrazioni con Sophie and the Giants e Vessicchio, raffinato ma tutto sommato prevedibile il trio Truppi - Pagani - Capossela (che strano effetto vederlo al Festivalone)  nel loro tributo a De André ("Nella mia ora di libertà"). 
LA CREATIVITA' DEI RAPPER - Quelli che fino a ieri erano i due battistrada, Elisa e la coppia Mahmood-Blanco, hanno confermato la loro buona ispirazione con versioni di notevole calibro, e tutto sommato rispettose degli originali, di "What a feeling" e "Il cielo in una stanza"; ragguardevole il morbido arrangiamento dance di "Be my Baby" della Rappresentante di Lista con Cosmo, Margherita Vicario e Ginevra. Della truppa rap ho apprezzato più che altro lo sforzo compositivo compiuto nell'arricchire con versi propri i testi degli evergreen: non le trovo intrusioni sgradevoli e penso anzi che spesso diano a queste hit nuovi colori, nuove parole per esprimere gli stessi concetti coi linguaggi di oggi: nulla di blasfemo, insomma. 
MANO TESA DI AMADEUS ALLO SPAURITO GRIGNANI - Abbastanza straniante il duetto Sangiovanni-Mannoia, due mondi davvero distanti che non si sono incontrati appieno in "A muso duro", qualche incertezza nell'esecuzione di "Cambiare" da parte di Arisa e Aka 7even, piacevoli Ranieri e Nek ("Anna verrà"), tenerezza mista a tristezza per un Grignani palesemente non a fuoco con la sua "La mia storia fra le dita" che ha penalizzato più che aiutato Irama: il bravo cantautore ha bisogno di un reset per ritrovare serenità e brillantezza, la prima mano gliel'ha tesa proprio il direttore artistico, invitandolo a passare più spesso dalle parti dell'Ariston. 
PODIO SICURO PER GIANNI. SORPASSO IN VISTA? Hanno vinto Jova e Gianni, come detto, e quest'ultimo stasera difficilmente resterà fuori dal podio, sulle ali del televoto che, da solo, deciderà la prima parte della gara (ma facendo media con le precedenti votazioni, attenzione). Mi schiero palesemente e auspico che, nel rush finale a tre, le altre giurie, e lo stesso televoto, equilibrino la situazione a favore di quelle che continuo a ritenere le due proposte di gran lunga più meritevoli di tutto il lotto, ossia "Brividi" e "O forse sei tu". 
BRAVA MARIA CHIARA! - Per il resto, la serata non ha avuto grossi spazi per intermezzi più o meno graditi, deo gratias: e allora, tributiamo il giusto applauso a Maria Chiara Giannetta, rivelazione o conferma, ma comunque ottima partner di Amadeus, più presente e con più sostanza rispetto alla Muti e alla Cesarini (Drusilla Foer fa corsa a sé). Spigliata, totalmente a proprio agio, abile e divertente nello sketch con Maurizio Lastrico (pace fatta con Ama dopo il piccolo "scazzo" dell'anno scorso legato allo spot della Regione Liguria) basato su titoli e parole di canzoni trasformate in dialogo fra amanti: idea non nuova, ma da nessuna parte sta scritto che non si possano ripetere trovate del passato magari aggiornandole, arricchendole e, in definitiva, migliorandole. 

venerdì 4 febbraio 2022

SANREMO 2022, LA TERZA SERATA: E' IL FESTIVAL DEL DUELLO AL VERTICE, COME JUVE-TORO '77. SCONTRO ELISA-MAHMOOD E BLANCO, MA OCCHIO AGLI OUTSIDER: MORANDI, IRAMA, EMMA E SANGIO

Sembra una di quelle antiche edizioni della nostra Serie A calcistica tese fino allo spasimo e incerte fino all'ultimo, per i più anziani il '76/77, Juve 51 e Toro 50, per quelli della mia generazione Juve contro Inter '98. Il leit motiv di Sanremo '22 è ormai cristallizzato: Mahmood-Blanco contro Elisa, Elisa contro Mahmood-Blanco, coi primi che scattano subito in testa, il sorpasso della seconda e ancora, ieri sera, i due ragazzi di nuovo al comando. E' una novità, perlomeno guardando al passato recente della rassegna: negli ultimi anni, o regnava l'incertezza assoluta con un lotto di quattro-cinque papabili per il trionfo, oppure c'era il favoritissimo designato (Il Volo 2015, Meta-Moro 2018) con gli avversari costretti a difficili e improbabili inseguimenti. 

OCCHIO AGLI OUTSIDER - Il giudizio popolare ha sì spostato qualcosa in classifica generale, ma senza sconvolgimenti: com'era prevedibile si son fatti largo nei quartieri altissimi Morandi, Irama e Sangiovanni, mentre Emma è rimasta in posizione "di sparo", ossia con la possibilità di portare attacchi pericolosi ai capifila. Vale quanto detto ieri: con ancora due serate e altre tornate di votazioni davanti, siamo ancora in tempo per assistere a qualche ribaltone, soprattutto perché non conosciamo percentuali e totale esatto dei voti; per quanto ne sappiamo, lassù potrebbero essere tutti separati fra loro di un nonnulla, e allora qualcuno, nella notte di sabato, potrebbe piazzare un allungo improvviso e decisivo. Ricordiamoci del percorso di Ermal Meta nel 2021: dopo le prime sere pareva il favoritissimo, poi si ritrovò fra le mani un bronzo dolceamaro. E tuttavia, se valgono ancora qualcosa la qualità complessiva dei brani, la loro capacità di impatto senza scendere a compromessi con la banalità, le doti tecniche e di comunicativa di chi li propone, ecco, se la vittoria non arridesse a uno dei due battistrada ci sarebbe di che sorprendersi e perché no, rimanere un po' delusi. 

RITORNA IN FORZE LA MELODIA - In attesa della finalissima, possiamo comunque individuare fin da ora una linea di tendenza ben precisa nel pacchetto-inediti offerto da questa 72esima kermesse: dopo la sbornia rock dei Maneskin, ritorna a padroneggiare l'Ariston la melodia tradizionale, adeguatamente modernizzata con arrangiamenti al passo coi tempi. Non solo i due superbig in odor di trionfo, ma anche Irama con la sua commovente ballad rafforzata dall'ormai nota possanza esecutiva, ed Emma, di cui dirò più avanti. Non c'è nulla di male e fa anzi piacere: a Sanremo c'è spazio per tutti, non si vede perché il classicismo debba essere messo da parte per far posto soltanto alle nuove tendenze: se ben concepito, può anche fare breccia, lo dimostrano queste quattro proposte come lo dimostrò Diodato due anni fa. 

SANGIO E AKA RADIOFONICI, ONORE ALLE VIBRAZIONI - La terza giornata di questo appassionante campionato della canzone è servita a chiarire un po' le idee soprattutto sulle proposte presentate mercoledì, come detto ieri meno immediate, al primo ascolto, di quelle del vernissage. E molte mie impressioni sono state confermate: Sangiovanni ha il pezzo più orecchiabile e radiofonico fra gli esponenti della new generation, una "Farfalle" accattivante che difficilmente bisserà i consensi oceanici di "Malibù" ma diventerà comunque un grosso successo commerciale. Funzionerà sicuramente anche "Perfetta così" di Aka 7even, un bel messaggio d'amore con un refrain efficacissimo, più da palati fini l'elaboratissima composizione di Giovanni Truppi, fra cantato e recitato, con una modalità interpretativa che a tratti ricorda Massimo Bubola, per chi ne conserva memoria. Trovo penalizzante l'attuale posizione in graduatoria delle Vibrazioni, con un moderato rock arricchito dalle scariche adrenaliniche fornite da Sarcina e con la non invasiva presenza di un coro molto anni '80 style: la band, in questa sua seconda vita, sta producendo musica che non sfigura assolutamente di fronte alle hit degli esordi, e soprattutto in questa "Tantissimo" viene dato libero sfogo all'energia genuina di un gruppo che ha ancora tanto da esprimere. 

NOEMI E GIUSY MERITANO DI PIU' - Ingiusta anche la presenza nelle retrovie di Noemi, amore con linguaggio moderno, una tessitura sonora che profuma di dance contemporanea quando va ad avvolgere un inciso di grande appeal. Sul versante stilistico opposto, pure meriterebbe di salire qualche posizione Giusy Ferreri, con il suo ballabile retrò tutt'altro che malvagio, al quale semmai poco aggiunge la trovata del megafono, comunque elemento di curiosità. Giusy, in seconda esibizione, è migliorata vocalmente ed è stata maggiormente aiutata da un audio senza imperfezioni, così come sono cresciuti altri big parsi un po' spauriti all'esordio. Migliorato Ranieri, anche se non ancora ai suoi consueti livelli: il suo sofferto e poetico canto d'immigrazione, a rigor di logica, dovrebbe guadagnare ancora un po' di terreno, però il podio pare fuori portata. 

ANA MENA... DA COSI' A COSI' - Decisamente in crescita anche Ana Mena, forse perfino un tantinello sopra le righe, ma va promossa perché ha comunque fatto di tutto per gettare la maschera e guadagnarsi il calore del pubblico; è parsa proprio un'altra persona rispetto alla prima serata e ha donato un minimo di valore aggiunto a "Duecentomila ore" che, come scritto, è una canzone esile, "leggerissima", direbbero Colapesce e Dimartino, fors'anche fuori stagione, perché in estate avrebbe fatto il consueto botto, ma chissà, lontano dall'Ariston potrebbe comunque funzionare... Là nei bassifondi c'è anche Yuman e me ne dispiace, perché il suo pezzo di romantica atmosfera soul ha alcuni tratti distintivi che possono farlo ricordare, e perché la sua voce è tutt'altro che anonima. Emma, infine, è sembrata un po' più contenuta nel modo di porsi rispetto alla prima uscita: fra le due esibizioni ho preferito la prima, ma "Ogni volta è così" è opera di assoluta sostanza, ottimo testo, gran crescendo vocale, arrangiamento quasi "ipnotico" nelle strofe. 

CREMONINI IMPERA, MA... - Lo spettacolo è stato oggettivamente di alto livello. Ribadendo, come alla vigilia, che il punto di forza di questo Festival è un concorso zeppo di mostri sacri e amatissimi, rilevo con assoluta onestà critica il peso decisivo che hanno avuto gli ospiti nella serata di ieri. Cremonini ha offerto un vero e proprio mini-concerto, cosa che a Sanremo non si vede spesso: i successi da solista, soprattutto la deliziosa Marmellata 25, il momento nostalgia con una "50 special" eseguita con una sicumera forse eccessiva ma comunque trascinante, e poi il nuovo singolo "La ragazza del futuro". Perché non presentarlo in gara? Che Sanremo ancor più memorabile sarebbe stato, se ai grossi calibri già in lizza si fosse aggiunto l'ex Lunapop... Cesare ha un talento prezioso, sa scrivere, sa ideare costruzioni musicali ben congegnate, è un animale da palco, ma sinceramente non ne ho mai capito la (legittima, per carità) idiosincrasia alla competizione ligure. Sperando che questa sua passerella sia servita a chiudere certi conti e a chiarire certi conflitti con la ribalta sanremese, il mio augurio, sincero, è di vederlo presto a concorrere, in allegria, in una sfida che è sempre sentitissima ma mai "all'ultimo sangue", se è vero che persino una riluttante Elisa è tornata quest'anno ad affrontarla. 

FESTIVAL SOCIALE - Sono da sempre altrettanto contrario alle intrusioni slegate dall'intrattenimento puro, e in questi ultimi lustri ce ne sono state, ma per parentesi come quella offerta da Saviano si può fare un'eccezione. Non si sottolinea mai abbastanza quanto sia un dovere civico mantenere viva la memoria di grandi uomini e persone comuni che hanno offerto il loro contributo, spesso fino all'estremo sacrificio, per rendere migliore il nostro disastrato Paese. Da "sanremologo" e "sanremofilo" quale io sono, a prescindere da ogni considerazione artistica, trovo sia motivo d'orgoglio che il Festival abbia nettamente assunto, in quest'ultimo decennio, una posizione di forte impegno sociale (ovviamente da coniugare con le esigenze di uno show leggero) e di lotta a ogni discriminazione. 

L'EFFICACE ELEGANZA DI DRUSILLA, L'INUTILITA' DEL PALCO MARINO - Quest'ultima battaglia è ormai una caratteristica fissa del Festival, e senza andare troppo lontano possiamo pensare alle scarpette rosse della Berte di undici mesi fa. Poi, chiaro, c'è chi la combatte meglio, chi con qualche incertezza: Lorena Cesarini, lo si è detto, ha zoppicato un po' mercoledì, mentre Drusilla Foer ha fatto centro con un breve ma accorato monologo sull'unicità di ciascuno di noi e sul dovere di ascoltare gli altri, pochi minuti eleganti e puntuti che hanno convinto, al culmine di una serata in cui ha cosparso perle del suo sottile sarcasmo, ironico e autoironico. Una critica? Usata troppo poco, la Drusilla, così come la suddetta performance avrebbe meritato una collocazione più decente di quella a ridosso delle due di notte. Qualcosa si poteva tagliare, in precedenza: ad esempio l'inutile collegamento con la nave, e l'evitabile esibizione di Gaia, carinissima, per carità, ma quale sarebbe la sua caratura di ospite d'onore? E, ripeto, qual è il senso di riproporre, durante Sanremo '22, una sintesi di Sanremo '21 in forma ridotta? Non c'erano proprio altre attrazioni da collocare al largo della costa ligure? 

giovedì 3 febbraio 2022

SANREMO 2022, LA SECONDA SERATA: DOMINA LA CLASSE DI ELISA, CANZONI DI MINOR IMPATTO IMMEDIATO E UN RITORNO AL CLASSICISMO

Forse, questa volta, i giornalisti e gli altri addetti ai lavori non sono andati troppo distanti dalla realtà. Mi rendo conto che dirlo adesso espone al rischio di figuracce notevoli, visto che ancora devono scendere in pista le giurie popolari, ossia il televoto e la demoscopica, e sappiamo quanto peso possano avere, soprattutto la prima. Tuttavia, allo stato delle cose ritengo che difficilmente la corsa alla medaglia d'oro festivaliera possa trovare altre candidature credibili al di fuori del duello fra Elisa e Mahmood-Blanco, i preferiti della critica specializzata come da classifica generale resa nota stanotte, a un'ora nemmeno troppo tarda. 

CORSA A DUE? - Una grande curiosità circondava il ritorno in gara dell'artista triestina dopo 21 anni, e le attese non sono andate deluse. "O forse sei tu" è paradossalmente un pezzo più classicheggiante rispetto alla modernissima "Luce" che la condusse al trionfo nell'unico Sanremo condotto da Raffaella Carrà, ma tuttavia assolutamente in linea con buona parte della sua produzione successiva: una composizione di grande impatto e intensità, con una veste sonora elegante, dal refrain incisivo ed emozionante. In definitiva, ha tutto per imporsi sulla ribalta ligure, così come ha tutto, l'abbiamo detto ieri e lo ripetiamo, l'ottima "Brividi". Corsa a due? Probabilmente sì, anche se "il popolo votante", a rigor di logica, dovrebbe poderosamente spingere Sangiovanni ed Emma, così come Ranieri e Morandi, mentre è lecito attendersi un exploit, leggasi conferma nelle zone alte, dai Rappresentante di Lista, graditi agli esperti e in grado di catturare l'attenzione e le preferenze del pubblico con la pazzerella "Ciao ciao". Gli altri, probabilmente, dovranno accontentarsi di dare la caccia al piazzamento di prestigio, che comunque al Festival può cambiarti la vita e il percorso professionale. 

PROPOSTE MENO "EASY" - Elisa a parte, che con la sua classe si è stagliata nitidamente sul resto del lotto, le proposte della seconda serata si prestano a una più difficile valutazione a caldo rispetto alla dozzina che ha sfilato nel vernissage. Caso o scelta di chi ha composto le due scalette, l'immediatezza registrata nella prima serata non ha trovato riscontro ieri, quasi tutte le canzoni hanno bisogno di qualche ascolto supplementare per essere recepite, e in tal senso fondamentale sarà la sfida collettiva di oggi. Una linea di tendenza però la si è individuata, e vede come capofila proprio la Toffoli: un ritorno alla tradizione melodica, ovviamente declinata al presente sul piano musicale. Cos'altro è, se non un pezzo tipicamente sanremese, "Ogni volta è così" di Emma? La canzone è comunque di buona fattura, con un arrangiamento non banale, interpretata con maestria da un'artista che sfodera la consueta grinta vocale soprattutto nel ritornello e mostra una padronanza del palco assoluta, quasi istrionica, pur se con gestualità a tratti discutibile. Ecco, se devo individuare una possibile terza incomoda nella lotta di vertice, la mia preferenza cadrebbe sulla vincitrice 2012, al momento. 

IRAMA TRADIZIONALE MA CONVINCENTE - Classicone e ballad senza rischio anche per Fabrizio Moro, ma "Sei tu" non svetta per originalità, anche se recupera qualche bel punto col crescendo che ne caratterizza la seconda parte. Meglio "Ovunque sarai" di Irama, che forse ci aveva abituati troppo bene con la possente "Genesi del tuo colore" e che nel 2022 ha scelto invece la strada intimistica, ma ha tutto sommato convinto, portando una canzone d'amore ben scritta ed eseguita con trasporto e passione, canzone da Sanremo anni Novanta, che avrebbe forse fatto la gioia del grande Pippo Baudo ma che può ritagliarsi  scampoli di gloria anche qui e ora. 

ORECCHIABILI SANGIOVANNI, AKA E IVA - Old style, come prevedibile, anche Iva Zanicchi, ma "Voglio amarti" si fa ascoltare e ha una struttura piuttosto originale, puntando tutto su un ritornello "esteso" che quasi monopolizza il brano e centra così l'obiettivo della "facile presa", dell'easy listening, impresa in cui non tutti, ieri sera, sono riusciti. Fra questi sicuramente Sangiovanni: certo non è semplice riprodurre il piglio di "Malibù", ma "Farfalle" sfodera una sua verve trascinante, le giuste trovatine testuali e sonore e non farà fatica a fare breccia nel cuore dei giovanissimi. Buono anche il debutto di Aka 7even, "Perfetta così" si giova di un bel testo e di una costruzione furbetta, detto in senso buono, con frasi e passaggi ad hoc per imprimersi nella testa dell'ascoltatore. 

GIOIELLI: TRUPPI E "DITORETTORE" - Fra i gioiellini per il momento nascosti della seconda manche vanno inseriti di diritto Giovanni Truppi, che ha portato stralci di Premio Tenco e di cantautorato alto con l'elaborata "Tuo padre, mia madre, Lucia", e la contaminazione di stili nella movimentata, coinvolgente e martellante "Chimica" di Ditonellapiaga-Rettore, che però ha una architettura articolata e complessa pur dando la sensazione di "cazzeggio". Cazzeggio puro, senza equivoci, sembra invece quello di Tananai, a conferma di quanto mostrato a Sanremo Giovani: "Sesso occasionale" è leggera e scanzonata, forse troppo, rischia l'inconsistenza ed è stata penalizzata da un'interpretazione non eccelsa del ragazzo, emozionato nonostante la corazza di sfrontatezza. Meritava di più la trascinante energia vocale e strumentale pop-rock delle Vibrazioni, mentre sospendo il giudizio su gli altri esordienti, la coppia Highsnob-Hu con un cupo amore urban, e Mattia Romano il quale, già lo si era intuito a dicembre, cerca un difficile compromesso fra schemi canori della scuola melodica e inserimento di stilemi contemporanei, sia linguistici che nella strutturazione del brano: il risultato è una "Virale" abbastanza brillante ma tutto sommato acerba. Da risentire. 

ZALONE E CESARINI, TONI OPPOSTI SULL'INTOLLERANZA - La "cornice" della seconda puntata è stata rappresentata soprattutto da Checco Zalone, che ha fatto centro e non poteva essere diversamente. Fustigatore di costumi a modo suo, come è giusto che sia: l'ironia sull'universo rap-trap con il rapper finto povero e finto tormentato, quella sui virostar con Oronzo Carrisi e la sua mal tollerata parentela con Al Bano, e soprattutto lo sketch iniziale, che ha affrontato, per chi non se ne fosse accorto, il tema dell'intolleranza con tonalità grevi ed esplicite, ma che, per chi sa coglierle, possono centrare il bersaglio forse più del lungo e pesante monologo della primadonna di serata, Lorena Cesarini, che non ha saputo incanalare nel modo giusto, complici autori poco ispirati, la sua sacrosanta rabbia e indignazione per gli insulti social. A proposito dei quali do un consiglio non richiesto: i social sono la feccia, il male assoluto, in cui hanno preso un potere quasi "dittatoriale" i peggiori minus habens che abitano questo paese. Per cui, cara Lorena, li lasci perdere e se li faccia scorrere addosso, perché è una battaglia impari, e la vera lotta a ogni forma di razzismo si combatte al di fuori di quella inutile e perniciosa bolla web. 

MIKA E CATTELAN IL FUTURO DI SANREMO? - Lo show si è concluso ancor prima di quello d'esordio, nonostante qualche piccolo intoppo iniziale: una pausa troppo lunga dopo l'esibizione dei primi tre concorrenti e due ospitate super messe una di seguito all'altra, la prima uscita di Zalone e la performance di Laura Pausini. A proposito: doveroso il lungo passaggio di consegne Sanremo-Eurovision coi tre presentatori della kermesse continentale, che potrebbe anche essere passaggio di consegne per la rassegna ligure, chissà: non mi stupirei, in un futuro non molto lontano, di vedere alla guida del Festivalone Mika e Cattelan, magari anche con funzioni di direzione artistica; quella di Torino potrebbe essere una sorta di prova generale. Per intanto, i due hanno affiancato la Pausini in una riproposizione di "I have a dream", che è almeno servita, 39 anni dopo l'ospitata di Frida, a far tornare gli Abba all'Ariston, sia pure in versione... surrogata. 

ARISA E MALIKA "OLIMPICHE" - Imprevista e interessante l'appendice con Arisa e Malika Ayane, per la scelta della canzone inno delle Olimpiadi invernali italiane 2026: due brani abbastanza impattanti, fra l'altro, certo fatti su misura secondo lo stile solenne delle musiche che, solitamente, accompagnano i grandi eventi sportivi. Per quel poco che conta, la mia preferenza, per una incollatura, va alla morbida proposta eseguita da Malika ("Un po' più in là"), rispetto a quella un tantino retorica affidata a Rosalba ("Fino all'alba"), ma il direttore artistico Peppe Vessicchio, assente imprevisto alla direzione d'orchestra delle Vibrazioni, ha fatto un buon lavoro (altro candidato credibile per il dopo Amadeus, che dite?). Qualche dubbio sulla gestione del secondo palco sanremese, quello sulla nave da crociera: in sé non sarebbe una cattiva idea, ma è poco e male impiegato. Perché riproporre canzoni e cantanti della scorsa edizione di Sanremo, che rischiano di suscitare nel pubblico confronti assolutamente ingenerosi? Come detto ieri, non ha molto senso accostare brani di successo, sentiti e risentiti, a novità appena sfornate e tutte da assimilare. 

mercoledì 2 febbraio 2022

SANREMO 2022, LA PRIMA SERATA: APERTA LA CACCIA A MAHMOOD-BLANCO, L'EMOZIONE ATTANAGLIA I VETERANI RANIERI E MORANDI

Il doppio ciclone Mahmood - Blanco irrompe fulmineamente sulla scena di Sanremo 72, indicando da subito una tendenza ben precisa per la lotta al vertice: chi ambisce al gradino più alto del podio dovrà fare i conti con loro. Non è propriamente un imprevisto, perché i due erano già molto quotati alla vigilia, ma il primo ascolto di "Brividi" ha fugato i dubbi: è un pezzo ottimamente confezionato e magistralmente interpretato, che può mettere d'accordo tutti, giovani e meno giovani. Perché è un brano sorprendentemente classico nella costruzione, ma con linguaggio e modalità espressive assolutamente contemporanee; e poi la novità delle novità, ossia una canzone d'amore cantata a due voci da due uomini, con un trasporto che nulla ha da invidiare a storiche coppie tradizionali viste all'Ariston, da Oxa - Leali a Baldi - Alotta. Normalissimo, al giorno d'oggi, straordinario per il Festivalone e la tv di Stato. 

TUTTI CONTRO "BRIVIDI" - Abbiamo dunque i primi favoritissimi, ma ovviamente nulla è scontato, perché devono ancora entrare in lizza grossi calibri mica da ridere: ci si aspetta moltissimo, è ovvio, da Elisa, ma anche da Fabrizio Moro ed Emma, quest'ultima un po' sottovalutata in sede di pronostico ma da tenere accuratamente d'occhio (con la curiosità della direzione d'orchestra affidata a Francesca Michielin), senza trascurare l'idolo teen Sangiovanni e, perché no, Irama, che quest'anno punta su una ballad, arma a doppio taglio in Riviera: se l'azzecchi, corri per vincere, se scivoli nella banalità scivoli anche nel dimenticatoio. I super big c'erano anche ieri sera, e stranamente la tensione del palco festivaliero ha attanagliato in primis proprio i due più insospettabili, Morandi e Ranieri: se il primo ha comunque condotto in porto con grande mestiere la sua performance, l'esibizione del napoletano è parsa a tratti non impeccabile.

L'EMOZIONE DEI GRANDISSIMI - Rimangono però due artisti destinati a piazzamento sicuro e a una probabilissima crescita in classifica, da qui a sabato: "Apri tutte le porte" ci fa riscoprire il Gianni allegrotto e spiritoso di "Andavo a cento all'ora" e "Fatti mandare dalla mamma", lo spirito bambinesco che già Jovanotti aveva riportato a galla in estate, tirando fuori l'esperto collega da un difficile periodo personale, per via del noto incidente; "Lettera di là dal mare" è un'opera struggente, con tratti di drammaticità, tecnicamente non facilissima da eseguire e però cantata con sentimento, e forse questo può spiegare gli intoppi incontrati da Ranieri "on stage"; è anche una composizione non immediata ma di cui già si percepisce una certa sostanza, e se il grande performer riuscirà a recuperare appieno le sue potenzialità, potrebbe anche regalarsi un exploit insperato. 

ORECCHIABILITA' - Con un solo ascolto alle spalle, vedete, quest'anno si può già azzardare qualche superficiale considerazione sui brani. Questo significa due cose: che il livello generale è ben più che discreto, e che un primo obiettivo è stato centrato, quello di una certa orecchiabilità, imprescindibile per garantire a queste canzoni una lunga vita dal 6 febbraio in poi. Non manca la qualità, quindi, persino nelle proposte all'apparenza meno centrate: "Domenica" di Achille Lauro, ad esempio, inizialmente ricalca un po' troppo gli schemi di "Rolls Royce", ma poi prende una strada propria e offre un ritornello martellante, da tormentone estivo; e a proposito di tormentoni canicolari, Ana Mena, una delle regine dei mesi caldi, è stata vistosamente frenata dall'emozione, da quel terrore del palco che del resto aveva in qualche modo anticipato, nell'intervista di presentazione a "Sorrisi"; ha dunque fatto il compitino, senza scivoloni ma anche senza trascinare il pubblico: ci riuscirà nelle prossime esibizioni, "Duecentomila ore" è una canzonetta gracilina, ma facile da ricordare e con un ritmo spagnoleggiante (ovvio) che coinvolge. 

RAPPRESENTANTE E NOEMI CAMBIANO STRADA - Scrivevo ieri che chi ritornava dopo soli undici mesi aveva il dovere di superarsi e sorprendere: non so ancora dire se Noemi e Rappresentante di Lista abbiano fatto meglio del 2021 (ingeneroso e inutile paragonare prodotti nuovi di zecca a pezzi che sono stati la colonna sonora di un anno), ma di certo hanno mostrato un notevole eclettismo. I Rappresentante hanno del tutto abbandonato gli stilemi sanremesi di "Amare" gettandosi fra le braccia di un ritmatissimo ed elettronico divertissement, spiazzante e di buon impatto, che peraltro difficilmente potrà lottare per il massimo traguardo, mentre Noemi si è lasciata modellare dall'ispirazione di Mahmood e dalle sonorità di Durdust, con un risultato tutto sommato apprezzabile. 

YUMAN MEGLIO DEL PREVISTO - E gli altri? Favorevole impressione ha destato Yuman, che non mi aveva particolarmente colpito a Sanremo Giovani, nonostante la vittoria, e che ho invece trovato assai cresciuto: la sua "Ora e qui" è una melodia soul ben concepita, e in certi passaggi ricorda il miglior Alex Baroni, potrebbe ottenere risultati superiori al previsto sia durante che dopo la kermesse. Penalizzata da un audio non perfetto Giusy Ferreri, ma "Miele" non sembra male, un ballabile all'antica, con un arrangiamento scarno, un po' folk un po' latino. Da risentire, come la delicata e introspettiva "Inverno dei fiori" di Michele Bravi. Dei due "extratterestri" di questa prima serata, ha convinto la dance vintage di Dargen  D'Amico, un po' meno la contaminazione rap-rock di Rkomi.  

PIU' RISPETTO PER IL PUBBLICO TV - Come previsto, la vera attrazione è stata la gara, eccezion fatta per l'applauditissima parentesi offerta dal ritorno dei Maneskin, superlativi soprattutto nel proporre l'intensa "Coraline", con tanto di lacrime finali (sincere) di Damiano. Eccellenze italiane, come i Meduza, che anche grazie alla collaborazione con Hozier hanno riportato all'Ariston echi di quell'internazionalità che veniva data, un tempo, dai mai abbastanza rimpianti ospiti stranieri. Una bella parentesi in una serata del resto abilmente costruita, anche con maggior rispetto per il telespettatore. Il palinsesto pubblicato dalla "Bibbia" Sorrisi è stato smentito, si è finito ben prima delle 2 e tutti i concorrenti si sono esibiti prima della mezzanotte; pollice verso solo per l'eccessiva attesa che ha accompagnato l'entrata in scena dell'ultima della lista, la Ferreri, anche lei divorata il giusto dalla tensione, inevitabilmente. Quest'anno si è sicuramente fatto un passo avanti, a giudicare da ieri, nella equilibrata distribuzione dei cantanti nel corso della puntata, ma c'è ancora qualcosa da limare. 

PILOTA AUTOMATICO - Il Festival griffato Amadeus ormai fila via con il pilota automatico: è una macchina oliata e dai meccanismi financo scontati, "telefonati", e magari su questo punto torneremo nei prossimi giorni, perché sul lungo periodo la ripetitività degli schemi spettacolari può stancare. Ai limiti della sopportazione umana la sfiancante passerella dei volti Rai in promozione (Gioè di una tristezza infinita col suo "atto unico" per il lancio di Makari, si può dire?), di basso profilo una Muti dal sorriso splendido ma che si è donata con eccessiva parsimonia, prevedibili le incursioni "a sorpresa" (?) di Fiorello, che però bene o male ha sempre in canna la trovatina, e ieri ha avuto la mano particolarmente felice sia negli sfottò ai no vax, sia nella rielaborazione ridanciana di storiche evergreen struggenti e malinconiche (anche se forse si poteva evitare di inserire Tenco nel gruppo, ma ci addentreremmo in un terreno assai scivoloso). Ma verosimilmente quest'anno si risparmierà, e ad esempio stasera non credo "intralcerà" il lavoro dell'attesissimo Zalone, una delle poche, autentiche attrazioni fuori concorso di questo Sanremo. Perché anche oggi ad accendere l'interesse sarà soprattutto la competizione. La caccia alla premiata ditta Mahmood-Blanco è aperta. 

martedì 1 febbraio 2022

SANREMO 2022, CI SIAMO: IL VERO SPETTACOLO SARA' LA GARA, CON TANTI BIG VERI CHE FARANNO OMBRA A OSPITI E SUPEROSPITI


Dalla notte al giorno, rispetto a undici mesi fa. La terribile vigilia di Sanremo 2021, coi suoi toni cupi, le polemiche sull'opportunità dell'evento, il senso di dramma e di tragedia che aleggiava sull'Ariston per via di una pandemia senza vaccini, è ancora incisa nell'animo di tutti noi, anche di chi, come me nel mio piccolissimo, combatté la sua infinitesimale battaglia per la riuscita e la sopravvivenza di una kermesse storica, in definitiva vincendola. Altra atmosfera, oggi: una fase di approccio tutto sommato soft, nonostante ci sia stato chi nuovamente ha cercato di rimestare nel torbido, trovando però, deo gratias, scarsissimo seguito. Non sarà nemmeno questo il Festival della rinascita, slogan coniato da Amadeus nella preparazione della precedente edizione e oggi messo da parte, nella consapevolezza che, probabilmente, non toccherà a lui allestire in futuro il primo vero Sanremo post Covid. Sarà però un Festival più sereno, di una serenità concreta e autentica che prescinde dalle inevitabili discussioni pronte a tener banco da mercoledì mattina, quelle su Auditel, qualità delle canzoni, livello dello spettacolo: pseudodrammi, tasselli di un puzzle che tradizionalmente compone la settimana rivierasca, contribuendo in fondo a tenerne vivo il mito. 
COL PUBBLICO RITORNA L'ATMOSFERA - Torneranno gli spettatori in sala, e già questo aspetto rivolta la rassegna come un calzino: l'anno scorso la bravura di tutti i protagonisti, la maestria della regia e un palcoscenico costruito ad hoc attutirono, sul teleschermo, l'impatto del teatro vuoto, che però fu sicuramente devastante per tutti gli animatori on stage dell'evento: il pubblico scatena emozioni che possono ringalluzzire o raffreddare gli interpreti, incidendo sul livello delle performance. Certo, permane lo spauracchio positività, che nel '21 colpì indirettamente lo sfortunato Irama, ma la "bolla" dell'Ariston, costruita attorno a un protocollo estremamente rigido, resse molto bene e non c'è ragione di pensare che quest'anno vada diversamente, vieppiù in ragione dell'efficacia del vaccino e delle mutate caratteristiche del virus, di cui gli esperti hanno dato ampie spiegazioni in queste settimane.
AMADEUS AL TG - Mare calmo nel ponente ligure, dunque. La serenità è stata un tratto predominante anche nella narrazione che la Rai ha voluto fare del periodo di avvicinamento alla kermesse, inaugurando un nuovo, estemporaneo format: Amadeus che annuncia le novità legate al Festival tramite interventi al Tg1 delle 20. Qualcosa di moderatamente rivoluzionario e di audace, se ci pensate: uno spazio della testata giornalistica tv tuttora più sobria, autorevole, per certi versi seriosa,  dedicato alle breaking news prodotte dall'evento leggero e glamour per eccellenza: un modo, appunto, per attutire la crudezza dello scenario politico e sanitario che lo stesso tg ci porta in casa ogni giorno. L'esperimento è riuscito, ma forse se n'è abusato: ok per la comunicazione del cast dei concorrenti, uno dei momenti chiave della liturgia festivaliera, ok per il lancio di ospitate straordinarie come quella di Checco Zalone, ma per altri passaggi tutto sommato normali si poteva soprassedere. 
GLI OSPITI EVITABILI E LE INUTILI SOVRASTRUTTURE - Come sempre negli ultimi tempi, il cartellone degli ospiti fatica a prendere forma. Si gonfierà a dismisura fino a sabato, con arrivi dell'ultimo e penultimo momento, atleti sulla cresta dell'onda (il primo della lista è Berrettini, notizia di ieri), personaggi Rai in promozione di fiction e show (riprendono Màkari e L'amica geniale, vuoi mettere?), qualche cantante italiano e poco o nulla dall'estero. In tal senso, non ci sono da attendersi inversioni di tendenza rispetto al passato recente, ma materiale dovrà pur arrivarne, perché i palinsesti  pubblicati dai giornali parlano chiaro: si chiuderà a notte fonda fin dalla prima serata, urgono dunque riempitivi. E' un discorso ormai annoso, anche in questo mio piccolo spazio: le sovrastrutture spettacolari che "pachidermizzano" il Festival hanno una funzione esclusivamente televisiva, ma sul piano artistico rischiano di nuocergli, più che rinvigorirlo. 
Sono da sempre favorevole agli ospiti, purché siano un arricchimento: lo erano le grandi vedettes di oltrefrontiera che ormai sono diventate merce rarissima da queste parti, ma lo è certo anche il citato Zalone, una primizia e un colpaccio autentico, essendo uno che quasi mai si presta a passerelle catodiche più o meno prestigiose. E ci possono stare, ovvio i Maneskin, che sono diventati in pochi mesi dei colossi, ma ci mancava pure che non tornassero all'Ariston a stretto giro di posta, visto che da lì è partito il loro sogno intercontinentale. Ci sta già un po' meno Laura Pausini, all'ennesima presenza, per non parlare di Cesare Cremonini, un cantautore di vasta popolarità ma non una superstar internazionale, che oltretutto mai si è sognato di mettere piede a Sanremo da concorrente e che vi approda direttamente da superospite vantando decisamente meno titoli di tanti artisti in concorso, stesse considerazioni fatte in tempi recenti per la Amoroso, per Antonacci, per Ghali. 
CENTRALITA' DELLA GARA - Sono solo appesantimenti, questo è, perché ormai, al Festivalone, la gara basta a se stessa. Avviene più o meno da quando Carlo Conti prese in mano il timone, nel 2015, raccogliendo la non entusiasmante eredità del Fazio quater: da allora, il concorso è tornato centrale, checché se ne dica. E non mi riferisco solo alla competizione in sé, ai piazzamenti, alla classifica: fattori che contavano moltissimo anche, ad esempio, nelle edizioni griffate Gianmarco Mazzi, solo che erano esasperati, con agonismo portato agli estremi, decimazioni più che eliminazioni, e concorrenti ridotti all'osso per la finalissima. No, centralità della gara significa soprattutto centralità di chi la anima, di chi vi partecipa, valorizzazione e spazio dato ai cantanti, possibilmente tanti, in modo da offrire ogni volta uno spettro sufficientemente ampio delle tendenze musicali nostrane. 
Ed è ciò che sta avvenendo sistematicamente da oltre un lustro, magari con linee artistiche ogni volta diverse, perché se l'anno scorso si è puntato coraggiosamente su nomi fuori dal giro mainstream, questa volta sono stati cercati e trovati i grandi e i grandissimi della nostra canzone. Del resto, fateci caso: a parte un Fiorello che fa sempre notizia, cosa è rimasto degli ultimi festival nella memoria collettiva? Non le tante passerelle promozionali, ma il trionfo dei Maneskin, il tormentone di Colapesce - Dimartino, la struggente invocazione di Diodato, il sorprendente Mahmood che per poco non vinceva anche lui l'Eurovision, la delusione di Ultimo per un argento che fino alla fine pareva poter essere oro, lo "scazzo" Bugo - Morgan, la vecchia che balla dello Stato Sociale... Tutti elementi, curiosità, "casi" inerenti la gara, non il resto. 
PRESTIGIO ANNI SESSANTA: I VETERANI... - Questa volta, davvero, sarebbe bastato solo il listone dei partecipanti per illuminare la rassegna (sperando che l'anno prossimo si torni al numero pari di cantanti: sembra una stupidaggine, forse lo è, ma è uno dei quegli tratti distintivi storici della manifestazione che, secondo me, non andrebbero mai toccati), sarebbe bastata una cornice meno ridondante perché il cast è davvero al livello dei Sanremo all stars anni Sessanta: forse il migliore di questo secolo, sul piano della qualità dei nomi in lizza, capaci di reggere benissimo sulle proprie spalle il peso dell'impatto con la spada di Damocle dell'Auditel. Ci sono i superbig di ieri ancora sulla cresta dell'onda, Ranieri, Zanicchi e Morandi, ci sono i divi pop della penultima generazione ancora pienamente nel cuore della gente, Elisa soprattutto, ma anche Emma e Fabrizio  Moro: tutti quanti, fra l'altro, ex vincitori che si rimettono in gioco, altro fatto non da poco, in contrapposizione a chi invece non vuole mai prendersi il minimo rischio. 
...E I NUOVI BENIAMINI - Ex vincitore è anche Mahmood, che in coppa con Blanco già raccoglie non pochi pronostici favorevoli: sono i capofila della cosiddetta musica giovane, quella che ascoltano e scaricano i ragazzi, quella che schiera all'Ariston anche Sangiovanni, Rkomi, Aka7even, per non parlare di Achille Lauro, di nuovo nell'agone dopo la pausa da guest star, ormai presenza fissa da quelle parti; e a proposito, sono sotto esame quelli che ritornano dopo soli undici mesi, perché dovranno superarsi: gli ascolti in anteprima degli esperti, che valgono quel che valgono, hanno promosso il pezzo dei Rappresentante di lista, avvolto quello di Noemi di qualche perplessità, raccontato di un Irama più classicheggiante e morbido rispetto al brano bomba che nel 2021 l'avrebbe probabilmente portato alla vittoria o lì vicino, se non avesse avuto l'handicap della quarantena. C'è ovvia curiosità per Ana Mena che riporta l'internazionalità nel certame ligure, e per i nomi meno commerciali, da Truppi a D'Amico, fino ai giovanissimi lanciati dalle Nuove Proposte in versione ridotta passate fugacemente da Rai 1 prima di Natale, ossia Yuman, Tananai e Matteo Romano.
PRONOSTICI? SARA' SFIDA FRA I SUPER - Scusandomi con chi non ho citato, ma che salirà di certo alla ribalta su queste pagine nei prossimi giorni, stento davvero a credere che questo cartellone possa lasciare qualcuno indifferente, perché c'è davvero di tutto, passato, presente e futuro, stili tradizionali e contemporanei, ci sono le ballad, il cantautorato, la dance, il rap e il rock, fors'anche il reggaeton. E  c'è una grossa incertezza su chi arriverà a contendersi il successo, perché è fin troppo facile, e probabilmente sacrosanto, parlare di Elisa o Morandi, Ranieri o Mahmood-Blanco, ma sono in tanti ad avere, almeno sulla carta, i mezzi per puntare alla sorpresa. Ecco, se ci saranno, queste sorprese, saranno però moderate, perché ad esempio i citati tre esordienti difficilmente riusciranno a inserirsi nello scontro al vertice fra giganti che, ci scommetterei, sarà il leit motiv di questo Sanremone numero 72, equilibrato più che mai ma con pochi spazi per colpi di scena epocali.