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domenica 19 maggio 2013

EUROVISION SONG CONTEST 2013, BILANCIO CONCLUSIVO: GRECI VINCITORI MORALI, MENGONI ELEGANTE ED ESSENZIALE, UNGHERIA E MALTA SUGLI SCUDI E...



Marco Mengoni sul podio degli "umani", dietro ai greci "vincitori morali". Si può partire da questa considerazione, per tracciare un bilancio dell'Eurovision Song Contest, il concorso canoro europeo che, anche in questa edizione 2013, ha mostrato il suo tallone d'Achille nell'assoluta aleatorietà, per non dire inattendibilità, del verdetto delle giurie. Strani giochi di alleanze incrociate, più che serena e corretta valutazione della qualità artistica dei pezzi e delle performance; Paesi che si donano voti a vicenda sulla scorta della viciniorità o di imprecisate affinità elettive. La geopolitica invade lo spartito, come e più di sempre (o, perlomeno, tale è l'immagine che passa all'esterno), e questo è uno dei fattori che impedisce all'Esc di assumere autentica credibilità sostanziale, al di là di quella, assodata e dimostrata dall'audience oceanica, conquistata sul piano del glamour e dell'efficacia "visiva" dello spettacolo. 
VIVA LA DANCE! - Peccato. Peccato perché quest'anno mi era parso di cogliere un leggero passo avanti, rispetto a dodici mesi fa, sul piano della proposta musicale, che poi dovrebbe essere l'unica cosa veramente importante in una rassegna del genere. Nulla che facesse davvero gridare al miracolo, in riferimento alle 26 canzoni finaliste, intendiamoci: ma un pizzico in più di varietà di stili, più coraggio, e una maggiore contemporaneità. Senza esagerare, perché questo repertorio "eurofestivaliero" continua ad essere sostanzialmente datato. La principale "musa ispiratrice" per buona parte degli autori rimane sempre la dance anni Novanta, quel genere che prima o poi anche noi italiani riscopriremo (del resto abbiamo bisogno di tempo: il mito degli Eighties è esploso dopo che per anni si è spalato fango sul quel periodo, presto verrà anche il tempo del rilancio dei Nineties e di tutto ciò che hanno proposto, non solo sul piano canzonettistico...), e penso che alla nostra Alexia siano più volte fischiate le orecchie, se per caso ieri sera si è trovata davanti alla tv ad assistere alla kermesse di Malmoe. Ma hanno fatto capolino anche certi schemi ritmici della decade Ottantiana, mentre apprendiamo con soddisfazione che, al di fuori dei nostri confini, gli elementi classici della melodia all'italiana continuano ad essere giustamente apprezzati, benché  rielaborati (il che non vuol dire migliorati) secondo canoni più in linea con il pop internazionale dei giorni nostri. 



POCHI CORAGGIOSI - Rimane un ricorso eccessivo ad atmosfere sonore epiche, solenni, in stile "Titanic", qualcosa che in Italia è stato ormai dimenticato e che invece sembra aver segnato in maniera esageratamente profonda il gusto musicale di molti Paesi del Vecchio continente. Tutti fattori che, in ogni caso, contribuiscono a un generale appiattimento del livello dei brani in gara, unitamente al ricorso sempre più massiccio alla lingua inglese da parte di una buona fetta dei partecipanti. Male, perché una gara come l'ESC dovrebbe essere prima di tutto esaltazione della diversità artistica, delle peculiarità delle singole tradizioni musicali di ogni nazione. 
Con questo spirito la manifestazione è stata interpretata soprattutto dagli ellenici Koza Mostra (con la partecipazione di Agathon Iakovidis), la cui "Alcohol is free" è stata in effetti la proposta più singolare, innovativa, spiazzante, con un sapore etnico che sa però strizzare l'occhio alla modernità senza cadere nel provincialismo o nel trash. Per questo ho parlato di loro come "vincitori" morali", e qui si ritorna al discorso iniziale: la vera classifica, opinione naturalmente personalissima, parte dai greci, ossia dal sesto posto: prima di loro, Danimarca, Azerbaigian, Ucraina, Russia e Norvegia hanno fatto il vuoto per le ragioni in precedenza esposte: una sorta di blocco "russo - scandinavo" che ha schierato brani biecamente commerciali, standardizzati, certo non brutti e in linea di massima anche orecchiabili, ma nulla che potesse far drizzare autenticamente le antenne, nessun guizzo creativo, nessuna trovata autenticamente originale. Roba destinata a cadere nel dimenticatoio nel giro di pochi mesi, a voler essere generosi. 
MENGONI... ELEGANTEMENTE "ESSENZIALE" - Dietro i greci, dunque, ecco il nostro Mengoni. Un altro che merita l'elogio pieno per più di un motivo, fra i quali il miglioramento del piazzamento di Nina Zilli nel 2012 (dal nono al settimo posto) è di certo il più trascurabile. Innanzitutto il brano, "L'essenziale", regge brillantemente al passare delle settimane, e continua ad essere un ottimo esempio di come la canzone pop italiana stia brillantemente procedendo, negli ultimi anni, a un rinnovamento dei propri stilemi compositivi che ne stanno accentuando la contemporaneità pur senza tradire le radici. Quello portato da Marco sul palco svedese resta un sound fresco, non banale, e lui l'ha impreziosito con una performance... essenziale, per l'appunto: solo la sua presenza fisica e la sua voce, in uno show che invece, quest'anno più che mai, ha visto puntare la quasi totalità dei cantanti in lizza su coreografie sopra le righe, che finivano per rubare l'occhio e per distogliere l'attenzione degli spettatori da prodotti musicali, peraltro, speso tutt'altro che eccelsi. Coreografie che in più di un'occasione sono parse più fumo che arrosto, e soprattutto pacchianamente superflue, ben lungi dall'arricchire le esibizioni degli artisti. 


BRAVI UNGHERESI, MALTESI e ROMENI - Fuggire dalla convenzioni del pop globalizzato: questo ci si attenderebbe dal caro vecchio Eurofestival, e possiamo dire che, anche quest'anno, la missione sia sostanzialmente fallita. A parte Grecia e Italia, hanno provato ad uscire dagli schemi del "già sentito e rimasticato" il bravissimo ungherese ByeAlex con "Kedvesem", una lenta e suadente ballad del tutto al passo coi tempi, il maltese Gianluca con l'allegra "Tomorrow", impreziosita da vaghe venature country, e l'incredibile controtenore romeno Cezar, che in "It's my life" ha saputo proporre una fusion di discreta fattura fra le sue potenzialità vocali liriche e i migliori cascami dance anni Ottanta  e Novanta. Ci ha ricordato un po', in certi passaggi, il nostro Giovanni Miani, che tentò un esperimento simile nella prima metà degli anni Ottanta e che, con "Me ne andrò", per poco non vinse Sanremo fra le Nuove proposte... 
OTTANTA E NOVANTA - Anni Ottanta, si diceva. C'è chi li ha "ripescati" bene, chi meno. Fra i primi indubbiamente il giovanissimo belga Roberto Bellarosa, con una "Love kills" estremamente accattivante e che suona attuale pur facendo ricorso a schemi ritmici d'antan (il refrain è forse il più orecchiabile di tutta la kermesse), fra i secondi il lituano Andrius Pojavis, la cui "Something", ancorché tutt'altro che malvagia, appare un tantino datata. Per la categoria "Ridateci i Novanta!", merita la citazione la finlandese Krista Siegfrids, che in "Marry me" ha dispensato ampie dosi di "Spice girls style", sapientemente dosato senza per questo indulgere all'imitazione pedissequa, per un prodotto brioso e di indubbio impatto. A proposito: le due proposte più interessanti del "blocco scandinavo", quella finlandese e quella svedese, sono le uniche ad essere rimaste escluse dai giochi d'alta classifica: il "padrone di casa" Robin Stjernberg, con "You", ha fornito un esempio di quanto si diceva prima, ossia una linea melodica tradizionale riveduta e corretta secondo stilemi più attuali. 


IL ROCK, BONNIE E ANOUK - C'è stato, ebbene sì, anche un po' di rock: pennellate intense nell'interessante "L'enfer et moi" della francese Amandine Bourgeois, più sostenuto, pur senza eccessi, in "Lonely planet" degli armeni Dorians. Dignitoso il ritorno di Bonnie Tyler, con un pop leggero e gradevole, perfettamente in linea col lo stile portato avanti per decenni, mentre spiazzante è risultata la performance minimalista di Anouk in "Birds" (Olanda), forse troppo sofisticata per la platea dal palato facile dell'Eurovision. Gli spagnoli "El sueno de Morfeo" avevano un "Contigo hasta el final" di grana buona, a cavallo fra tradizione e modernità, senza cedimenti al pop standard che ha banalizzato larga parte della proposta di Esc 2013, ma la voce incerta di Raquel Del Rosario (la ricordate a Sanremo 2011 con Luca Barbarossa?) non è parsa sostenere adeguatamente la canzone.  Delusione anche per la tedesca Cascada, la cui "Glorious" non brilla certo per fantasia (qualche assonanza di troppo con "Euphoria", il pezzo di Loreena che vinse l'anno scorso). 


I PRIMI DELLA CLASSE - Chiudiamo, noblesse oblige, con i primi della classe, che però non meritano molte righe. La vittoria della danese Emmelie De Forest era scontatissima, e non se ne comprende il motivo: "Only teardrops" si avvale di qualche trovatina furba (come il  sostegno fondamentale del flauto), di quelle atmosfere "epiche" di cui ho detto all'inizio e che alla lunga possono risultare eccessivamente  ridondanti, e di uno stile "Shakira" (nella vocalità e nella costruzione del ritornello) indubbiamente accattivante, ma c'era di meglio. Linea melodica senza squilli e che sa di già sentito per "Hold me" dell'azero Farid Mammadov, in linea di massima inconsistenti le proposte dell'ucraina Zlata Ognevich ("Gravity") e della russa Dina Garipova ("What if"), di certo più efficace il vivace "I feed you my love" della norvegese Margaret Berger, il più attuale, come costruzione, fra i brani da discoteca ascoltati ieri, assieme a "Solayoh" della bielorussa Alyona Lanskaya. Rimane la notazione che nel resto del mondo è ancora possibile costruire con successo spettacoli musicali per la tv con quasi 30 canzoni proposte in due ore circa. Solo in Italia la si ritiene una iattura è si  progressivamente ridotto il numero di cantanti in lizza a Sanremo. Ma, si sa, i più furbi siamo noi... 

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