Pippo Baudo torna in scena, ed è subito spettacolo old style. Canzoni, balletti e la comicità del bel tempo che fu, quella dei monologhi, lontana anni luce dagli sketch mordi e fuggi modello Zelig. Una scelta artistico - editoriale quasi obbligata, del resto, nel momento in cui si è deciso di costruire uno show celebrativo dei primi cinquant'anni del teatro Sistina di Roma, il tempio del varietà leggero e della commedia musicale italiana. Così, "Sistina story" (regia di Massimo Romeo Piparo), che in questi giorni salpa per Napoli dopo una lunga serie di rappresentazioni nella casa madre, è un'operazione nostalgia senza mezzi termini, ma sempre col sorriso a fior di labbra e la risata pronta a deflagrare: un racconto per nulla struggente, e anzi movimentato da un allestimento assai vivace, dell'età dell'oro del teatro nostrano, il teatro di Rascel e di Modugno, di Dorelli e di Fabrizi, nonché di Enrico Montesano, l'altro grande mattatore di questo show - biografia.
Baudo e Montesano: il re del varietà del ventesimo secolo e un irriducibile reduce della citata golden age. L'accoppiata funziona, e fornisce un saggio di come un tempo si riuscisse a fare spettacolo di qualità senza annoiare: schemi tradizionali che avrebbero un senso anche oggi, sol che non si fosse abituato il pubblico al brutto, alla volgarità, alla mancanza di talento (un paradosso, nell'era dei talent). Il Pippo nazionale ha fame di palco e non lo dà a nascondere, in questi tempi in cui la tv si è fatta per lui improvvisamente matrigna: introduce, lega le varie fasi dello show da par suo, dialoga col pubblico, spalleggia Enrico senza invadere il campo: l'anchorman onnivoro e onnipresente di Sanremo e di Fantastico appartiene ormai al passato.
A dominare la scena è soprattutto l'attore romano: in forma strepitosa, oltre ogni aspettativa, tanto da far sorgere acuti rimpianti sulla sua prolungata assenza dal video: a meno che non si tratti di un esilio volontario, c'è da chiedersi perché la televisione italiana abbia scelto, da anni, di rinunciare a un tale fuoriclasse. Non ricordo molte altre sue apparizioni sul piccolo schermo dopo l'ospitata a Sanremo 2003, guarda caso anche all'epoca accanto al presentatore di Militello. Il tempo, da allora, sembra essersi fermato: Enrico canta, balla, tira fuori dall'album dei ricordi alcune delle sue più popolari macchiette, in primis la signora inglese del tormentone "molto pittoresco!".Commovente e divertente al tempo stesso l'omaggio tributato ad Aldo Fabrizi, uno dei colossi che hanno fatto grande il Sistina: Montesano lo imita quasi alla perfezione, e snocciola aneddoti irresistibili sull'illustre collega, sulla sua passione per il cibo, i divertenti dietro le quinte e le "variazioni sul tema" che entrambi mettevano in atto sul palco nel bel mezzo delle rappresentazioni, con improvvisazioni nate sul momento, finezze che riescono solo agli artisti di gran pregio.
Scorrono ricordi di commedie epocali, da "Aggiungi un posto a tavola" a "Bravo", passando ovviamente per quel "Rugantino" che è forse il manifesto del Sistina e del teatro romano, e che ancora oggi continua a mietere successi in tutto il mondo. C'è tanta musica, grazie all'abilità canora delle giovani Sabrina Marciano e Valentina Spalletta; c'è leggera ironia sul tempo che passa inesorabile, come quando Baudo ha un momentaneo vuoto di memoria nel ricordare alcuni personaggi portati al successo da Renato Rascel, e il suo partner interviene rampognandolo bonariamente: "A Pippo, non ce staremo mica a rincoglionì'?". Ma c'è anche la voglia di andare oltre l'esaltazione del passato, perché il Sistina continua il suo percorso e occorre gettare uno sguardo verso il domani: ed ecco dunque i monologhi di Montesano, che piomba nel presente con una serie di impietose "punture di spillo" satiriche sulla realtà, soprattutto politica, d'oggidì, talmente centrate da poterne perdonare alcune lievi cadute di stile nel linguaggio. Insomma, "Sistina story" è nostalgia attiva e non fine a se stessa, è rievocazione ma non rimpianto, non chiude un'era: mette soltanto un punto e a capo, ma indica una strada ben definita, lungo la quale dovrà muoversi il Sistina del futuro: rinnovamento nella continuità, fedeltà ai canoni classici di un modo di fare teatro, commedia e varietà frettolosamente pensionato dai "nuovi media".
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