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sabato 31 ottobre 2015

LE MIE RECENSIONI: "THE WALK" DI ROBERT ZEMECKIS



Andiamo subito al sodo: "The walk" è quello che si può definire un buon film. Anzi, qualcosa di più. Direte: per una produzione griffata Robert Zemeckis è poco meno che scontato. Nel caso specifico, però, l'opera ha fatto centro riuscendo ad essere più forte dei limiti oggettivi imposti dal genere, nonché dei limiti sorti in fase di scrittura a causa del format narrativo adottato. I limiti oggettivi sono quelli insiti in una pellicola che racconta un fatto realmente accaduto, di risonanza mondiale e quindi, si presume, noto a molti dei potenziali spettatori (pur se in Italia, all'epoca, non ebbe in fondo un grossissimo rilievo mediatico: date un'occhiata agli archivi on line di alcuni quotidiani per farvene un'idea). Nel caso specifico, l'evento, per certi versi addirittura epico, è l'incredibile camminata del funambolo francese Philippe Petit su di un cavo teso fra le sommità delle due Twin Towers di New York, nell'agosto del 1974. Riguardo invece ai limiti "autogenerati" da chi ha creato il film, beh, la vicenda è qui evocata in prima persona proprio da Petit (interpretato da Joseph Gordon-Levitt), per cui non è difficile intuirne il lieto fine... E già, il problema spoiler, una "piaga" dell'informazione cinematografica 2.0, non si pone nemmeno: il giovane artista scavezzacollo non solo sopravvive a una tale folle camminata, ma addirittura si permette di andare avanti e indietro più volte sul filo, prima di toccare la... terra ferma, ossia il terrazzo di una delle due torri. 
IL PATHOS PRE - IMPRESA - Ma il fascino, l'impatto emozionale, la forza di coinvolgimento di simili imprese quasi bastano, da soli, ad assicurare il felice esito di una trasposizione in formato celluloide. Quando già si sa come va a finire, cosa fanno un buon regista, un eccellente sceneggiatore e tutto il team creativo? Riescono comunque a modellare una trama "energica", dando il più largo spazio possibile agli elementi della vicenda meno esplorati dalla cronaca giornalistica, se non misconosciuti, e caricando di pathos la parte nota, anche tratteggiandola nei minimi dettagli. Zemeckis e compagnia centrano in pieno il bersaglio, in tal senso: mirabile è soprattutto la ricostruzione di tutta la fase preparatoria della "traversata impossibile". L'analisi maniacale, quasi ingegneristica, della struttura delle torri, i materiali da utilizzare, i parametri di sicurezza da rispettare, le misurazioni che devono essere precise al millimetro, le astuzie da adoperare per mettere a punto il tutto senza farsi scoprire dai vigilanti in servizio nel World Trade Center.
Ne viene fuori il quadro di un apparato organizzativo profondamente professionalizzato, ancorché messo in piedi da giovani ribelli, sognanti, estrosi (Petit e i suoi "complici"). Il messaggio è preciso: la voglia di strafare fine a se stessa, la genialità non adeguatamente canalizzata, non portano da nessuna parte, se non sono sostenute da una base di raziocinio, da una seria e meticolosa cura dei particolari. In fondo, è lo stesso discorso, amplificato all'ennesima potenza (perché qui di mezzo c'è addirittura la vita, la sopravvivenza) applicabile a certi calciatori particolarmente talentuosi, ma che quel talento non sono in grado di gestirlo con il dovuto equilibrio, finendo col fornire un rendimento nettamente inferiore alle potenzialità. 
MAGIA NARRATIVA - Poi, la lunga narrazione della camminata, che occupa in pratica l'intero secondo tempo di "The walk". Impreziosita da strepitosi effetti speciali e dall'abilità ginnica di Gordon-Levitt, la ricostruzione per il grande schermo risulta oltremodo efficace, mozzafiato. Una sfida ai confini della realtà che, lo ripetiamo, non aveva bisogno di thrilling né di incertezza per risultare coinvolgente, ma se la tensione rimane intatta fino in fondo è anche merito di una magia narrativa che non tutti i cineasti sono in grado di generare: sappiamo benissimo che Petit non cadrà mai, nemmeno quando ha un attimo di incertezza e l'equilibrio sembra vacillare, nemmeno quando viene sfiorato da un uccello, eppure restiamo col cuore in gola, ansiosi di sapere cosa accadrà pochi secondi dopo.
TUTTI PROTAGONISTI. E IL WTC... - C'è un'ottima caratterizzazione dei personaggi, cosa tutt'altro che scontata per un film monopolizzato dalla personalità del protagonista assoluto. Petit recita da mattatore ma non deborda, riesce a non mettere in ombra i vari comprimari, i compagni di avventura i cui ruoli nella vicenda vengono adeguatamente valorizzati, tratteggiati con essenziale completezza: alla fine, di ciascuno di essi abbiam saputo tutto ciò che era necessario sapere; e anche quello di Ben Kingsley, burbero "maestro d'arte" del giovin funambolo, è tutt'altro che un cameo: un vecchio saggio al quale bastano poche apparizioni per incidere profondamente nel tessuto del racconto. Certo, ad accentuare il potenziale emotivo contribuisce anche la ricostruzione virtuale delle due torri, tornate a nuova vita grazie alle moderne tecnologie filmiche: un convitato di pietra, il WTC, sul quale nella pellicola si evita di ricamare troppo, per non cadere nel retorico. Ma le Twin sono una presenza pressoché costante, occupano silenziosamente la scena quasi più dello spericolato equilibrista.
PETIT UN EROE? - Ovvio, poi, che in opere come queste l'esaltazione acritica dell'impresa narrata sia la trappola in cui anche i registi più scafati tendono a cadere. Del resto, non è compito del cinema, di fronte a certi eventi eccezionali, tranciare giudizi e sindacare sull'opportunità di lanciasi in tali prodezze. Io, da spettatore, posso dirlo: non riuscirò mai a considerare Philippe Petit un eroe, un genio. Certo è uno che ha realizzato un suo sogno e che ha dimostrato come, spesso, gli uomini possano mettere a segno conquiste sulla carta impossibili. Ma sfidare la sorte e spingersi continuamente al limite, e anche oltre, non è un merito, neanche quando lo si fa sorretti da solida preparazione, come in questo caso. Petit non può essere un esempio a cui guardare. I veri eroi sono quelli delle sfide quotidiane, delle battaglie contro gli ostacoli della normalità. Detto questo, "The walk" resta un tributo ottimamente confezionato, che dona un'aura da epopea al fatto e universalizza un'impresa altrimenti destinata a restare patrimonio condiviso di un pubblico di nicchia, quello formato da chi, come me, di certe alzate di ingegno sente parlare dalla tv (che le riporta come notizie "bizzarre") per poi dimenticarsene. 

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