Virginia Raffaele ha la grazia e il tocco leggero della comica di razza. Quella che sa far alternativamente sorridere, ridere, sganasciarsi ma anche riflettere, e che sa dosare accuratamente i vari registri, "shakerandoli" con perizia in cocktail quasi sempre equilibrati e riusciti. Ci ha abituati fin troppo bene, questa ragazzona "bella e brava" (come si diceva una volta), e ora ogni sua nuova esibizione viene attesa coi fucili della critica spianati. In fondo è giusto così, è il destino dei grandi essere sempre sotto esame da parte di penne severissime. "Facciamo che io ero" è il suo primo impegno televisivo autenticamente probante, è il debutto in Champions League: certo, oltre a mille altre cose, a un gavetta vera, a un tour teatrale trionfale (ma il piccolo schermo è una "bestia" completamente diversa), si è sobbarcata una settimana sanremese poco più di un anno fa, che è già una prova del fuoco mica da ridere. Ma all'Ariston non era sola, era una delle protagoniste della kermesse (la più scintillante e la più in forma del cast, d'accordo). Quello partito ieri è invece uno show tutto suo, è lei la stella, è lei che catalizza onori e oneri.
Un "quasi - one woman show", diciamo, perché nelle due ore e mezza on stage è coadiuvata da altri personaggi, e nemmeno pochi. Del resto non stiamo parlando di un'artista da monologhi - fiume, del Montesano o del Walter Chiari della situazione, ma di una performer che gioca su diversi terreni e che affida ben poco all'improvvisazione, necessitando per questo di strutture spettacolari non monocordi, ricche di parentesi e di momenti di stacco. Essendo quindi uno spettacolo lungo e composito, il suo, ha inevitabilmente dei picchi e delle piccole cadute di tono, peraltro poi immediatamente riscattate. E' fisiologico in certi eventi catodici. Ma ciò che conta è la bontà di fondo del progetto, la sua riuscita complessiva, e da questo punto di vista la prima puntata si presta a un giudizio nettamente positivo.
Di format come questi, costruiti attorno a un unico divo, la Rai ne ha proposti a bizzeffe, a partire dall'inizio del secolo. Ma solo in questo mi par di intravedere quel tocco in più. Il tocco leggero di cui dicevo all'inizio, la grazia evidente in un programma che la protagonista (coadiuvata dal suo staff autoriale) ha modellato su misura per se stessa. "Facciamo che io ero" è costruito addosso a Virginia, è un vestito che le calza a pennello; dentro ci sono la sua anima, la sua storia personale e professionale che, nel caso specifico, coincidono. C'è la genuinità di un talento cresciuto nel mondo circense e che ora a quel mondo vuol dire grazie, ad esso riferendosi in molti dei suoi interventi. C'è un entusiasmo autentico, "infantile" nel senso più positivo del termine, come può esserlo quello di una bambina che corona il sogno di ballare con un fuoriclasse della danza, nello specifico Roberto Bolle.
Per tutto questo, lo show ha una sua storia, una sua sceneggiatura, una linea artistica nitida, e non è poco di questi tempi. Nulla stona, nulla sembra avulso dal contesto. Ogni ospite è presente in funzione della "stella": così Gabbani (altro giovane fuoriclasse che d'ora in poi sarà atteso da prove del fuoco sempre più severe) è un'ottima spalla per una Virginia - Fiorella Mannoia palesemente adirata per la mancata vittoria sanremese, mentre il co - presentatore Fabio De Luigi dà il meglio nello sketch sul bacio cinematografico con Sabrina Ferilli (sempre Virginia, ovvio), caricatura alla quale si può perdonare qualche volgarità, perché poche parolacce sparse qua e là sono tollerabili in un contesto di grande eleganza, in cui la risata arriva attraverso altre strade; in cui il (sommesso) turpiloquio è solo un elemento fra i tanti e nemmeno il più importante, ma non certo il mezzo per fare centro.
La Raffaele sa rinnovarsi e lancia anche in questa circostanza nuovi personaggi: detto della Mannoia, è parsa a fuoco anche la sua Bianca Berlinguer dall'ego un po' troppo pronunciato, ma forse è riuscita ancor meglio la scrittrice - critica Michela Murgia (la stroncatura della Divina Commedia è una piccola genialata), uno di quei casi in cui la "vittima" di satira beneficerà, verosimilmente, di quel bagno di popolarità che i riflettori televisivi del programma mattutino di Augias non potranno mai darle. Donatella Versace, invece, rende più o meno bene a seconda del contesto, della scrittura di quel particolare momento di spettacolo: con Gabriel Garko non sono state proprio faville, anche perché l'attore, nella circostanza un po' freddo e poco ispirato, non ha rappresentato la più efficace delle spalle comiche. La firma di Virginia c'è dall'inizio alla fine, anche nel ripescaggio dello storico ed esilarante sketch del provino con Lillo e Greg, a lungo partner artistici della showgirl romana; e ancora prima, in quel monologo sulla paura in tutte le sue sfaccettature, soprattutto le più odiose e inaccettabili. In quei pochi minuti senza trucco e senza maschere, la vedette della serata ha saputo dimostrare che si possono mandare messaggi positivi senza tromboneggiare, senza retorica né buonismo, ma perfino giocando sul sottile filo della comicità intelligente.
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