Poche storie: se un cantante affronta una competizione contando su buona parte dei favori del pronostico e conclude la gara in sesta posizione, oltretutto più che doppiato dal primo classificato sul piano del punteggio (758 contro 334), non si può che parlare di delusione e di fallimento. Un sesto posto può valere in un torneo calcistico, magari per qualificarsi a una coppa internazionale, nemmeno la più prestigiosa: ma in una rassegna canora conta poco o nulla, non lascerà tracce e verrà presto dimenticato. Spiace esser così sferzanti, ma è il punto fermo (personale, ovvio) da cui bisogna partire per analizzare con obiettività l'esperienza di Francesco Gabbani all'Eurovision Song Contest 2017, esperienza che si presta a diverse chiavi di lettura, molto diverse l'una dall'altra.
GABBANI, TRIONFO.... LONTANO DA KIEV - E' fuori discussione che il vincitore dell'ultimo Sanremo abbia goduto di una esposizione mediatica senza precedenti, per un artista italiano in lizza all'Eurofestival: esposizione comunque creatasi già nei mesi di vigilia, quando "Occidentali's karma" ha progressivamente allargato i confini del proprio successo trasformandosi in autentico fenomeno continentale, come testimonia inequivocabilmente l'eccezionale riscontro di visualizzazioni su You Tube. Sono questi numeri a sancire lo spessore internazionale dell'opera di Francesco, opera che, dal mio punto di vista e senza voler apparire blasfemo, non è molto lontana dal concetto di "capolavoro pop", ovviamente nel suo particolare genere (intelligentemente scanzonato) e senza per forza volerlo accostare a tanti evergreen italiani dei decenni passati.
EFFETTO SATURAZIONE - E' fondamentalmente su tale dato che è stata costruita, dai media italiani, l'icona del Gabbani favorito, ma dagli esperti mi sarei aspettato sulla kermesse analisi un po' più approfondite, ad esempio, della retorica a piene mani versata dal critico Ernesto Assante di Repubblica. Sconsolante invece l'atteggiamento della Rai, che dopo anni di assenza ingiustificata ha riscoperto l'evento nel 2011, ma l'ha riscoperto "a modo suo", e a quanto pare non ha ancora saputo coglierne l'essenza e i segreti: per questo 2017 si è limitata a un'esaltazione continua, ripetuta, financo nauseante del candidato italiano, magari col rischio di suscitare nel pubblico un effetto di saturazione, cioè il peggio che possa capitare.
Quello che voglio dire è che si è forse creata un'aspettativa sovrastimata, da parte di chi avrebbe invece dovuto avere un maggior controllo delle dinamiche della manifestazione europea, dei trabocchetti del meccanismo di voto e di altre particolarità della kermesse. Poco male, da questo punto di vista: per "Occidentali's karma" vale il discorso di altre pietre miliari della musica rimaste incomprese nelle varie gare canore a cui hanno presto parte, Sanremo in primis.
UNA BRUTTA VERSIONE DEL BRANO - Personalmente, mi ha lasciato perplesso anche la forma in cui il brano italiano è stato presentato: brutalmente tagliato e sintetizzato rispetto alla versione originale, ha perso molto del suo potenziale, riducendosi quasi a una sorta di eterno ritornello, anche piuttosto monotono. Sentirlo non mi ha fatto un bell'effetto: pur mantenendo in parte la sua freschezza e unicità, si era forse un po' troppo avvicinato a certi inflazionati prodotti dell'ESC, per stagliarsi nitidamente sopra di essi.
NON TROVIAMO LA CHIAVE - Qui veniamo a un altro punto dolente: siamo ormai a sette tentativi, dal ritorno in gara del 2011 affidato a Raphael Gualazzi (che rimane la nostra performance migliore di questo periodo, col secondo posto assoluto), ma ancora l'Italia non ha trovato la chiave per penetrare gli ingranaggi di questa bizzarra e discutibile gara canora. Con Marco Mengoni e con Francesca Michielin aveva proposto dei pezzi non immediatissimi, lontani dal clamore scintillante e un po' plastificato che domina di questi tempi la kermesse continentale, e i risultati erano stati tutt'altro che eccezionali (settimo posto per "L'essenziale", addirittura sedicesimo per "Nessun grado di separazione", che peraltro proprio nelle settimane scorse ha centrato il secondo disco di platino certificato FIMI, segno che non si trattava proprio di una composizione di basso livello). Con Il Volo aveva sposato senza remore la più classica tradizione del bel canto nostrano, che, si dice, sia ancora il genere italiano più apprezzato nel mondo: anche in quel caso enormi attese circondarono la nostra spedizione, ma arrivò "solo" una medaglia di bronzo.
Ebbene, questa volta l'Italia ha presentato una proposta un po' più in linea con i più recenti stilemi eurovisivi, briosa, vivace (ma su una linea superiore per originalità di scrittura testuale e musicale), e invece, voilà, ecco che le giurie vanno in brodo di giuggiole per un concorrente con un pezzo di matrice melodico - sofisticato - cantautoriale, cose che da queste parti raramente hanno vita facile. Forse siamo noi ad arrivare sempre in ritardo, ad agganciarci a un carro musicale quando questo è ormai fuori moda: forse dovremmo solo essere noi stessi e selezionare la nostra rappresentante prescindendo dal gusto dominante del momento, perché c'è anche la possibilità che la chiave giusta per dominare la "bestia" Eurofestival in fondo non esista, vista la volubilità di chi è chiamato a votare. Ciò non toglie che, intendiamoci, la canzone mandata quest'anno "al massacro" fosse di gran lunga la migliore possibile, e la scelta non va rimpianta.
VINCITORE DEGNO, MA... - Certo, visto l'andazzo a Kiev, si potrebbe arrivare a pensare che i brani seri e tormentati piazzatisi secondo e terzo a Sanremo, quelli di Mannoia e Meta, avrebbero potuto far breccia con maggior efficacia. Tutto può essere, a questo punto. "Amar pelos dois" di Salvador Sobral, la canzone trionfatrice, è intensa ed evocativa, scarna ed essenziale, magistralmente interpretata: è una degna vincitrice, ma non vuol dire che fosse la migliore del lotto, né che fosse migliore di "Occidentali's karma", con la quale il paragone è improponibile perché si parla di generi distanti anni luce tra loro. Di certo si è trattato di un plebiscito, ma non per questo meno contestabile. Credo di poter parlare, senza offesa per nessuno, di innamoramento delle giurie per un'opera che colpisce nel profondo dell'animo (non la prima a farlo, del resto), ma penso che un giudizio musicale completo dovrebbe tener conto non solo dell'aspetto emozionale.
GIUDIZIO TECNICO IN SECONDO PIANO - Può sembrare inutile dire queste cose, visto che, anno dopo anno, la sensazione per noi "profani" è che l'ESC, per proclamare i suoi eletti, si muova attraverso altri sentieri che non quelli della validità oggettiva della proposta canora: sentieri leciti, intendiamoci, ma che mettono in un cantuccio le valutazioni di squisito carattere tecnico; pensiamo al gioco delle alleanze fra Paesi, qualcosa di indecoroso ma che in ogni caso l'Italia non riesce assolutamente a sfruttare (tre punti da San Marino, due dalla Svizzera, zero dalla Romania: suvvia...). Del resto, dal punto di vista delle sette note l'Eurovision è quello che è, e non lo scopriamo di certo oggi, né c'era bisogno dei crudi articoli di certi critici nostrani per scoprire come il re sia nudo. Io lo scrivo da tempo: musicalmente Sanremo dà tantissimi punti all'evento europeo, e ultimamente ha acquisito anche più credibilità sul piano delle votazioni, che pure sono lungi dall'esser perfette; il nostro Festivalone rimane invece in netto svantaggio rispetto alla costruzione dello show ESC e alla sua resa televisiva: quest'ultimo è più agile e snello, anche se, intendiamoci, la serata finale è comunque durata sulle tre ore e mezza, neanche poco.
CHI SI SALVA - Tornando al livello canoro, va detto che qualcosa di meglio si è visto, rispetto alle più recenti edizioni: rimane una quota troppo ampia di omologazione pop, di inglesismo spinto, di ritmi standard, di ispirazioni più o meno velate ai più freschi fenomeni da classifica (un po' di Ed Sheeran qua e là, per dire), ma c'è chi ha osato di più. Meritavano maggior considerazione, ad esempio, il sound etno - arabeggiante dell'ungherese Joci Papai, l'algido pop contemporaneo della belga Blanche, la cui "City lights" potrebbe perfino dire la sua nelle charts europee, così come "Skeletons" della bella Dihaj (Azerbaijan), con sonorità assolutamente al passo coi tempi; e ancora, il duo bielorusso Naviband con qualche vaga reminiscenza folk, e l'insolito impasto melodico - tenorile italo - croato di Jacques Houdek. Onore soprattutto a chi ha scelto di cantare nella propria lingua. Per il resto, prodotti tutti abilmente confezionati, senza sbavature, ma un po' troppo anonimi e convenzionali. L'Eurofestival questo è, prendere o lasciare. Ma, a parte gli esempi citati, viene da chiedersi quanti di questi brani resteranno nel tempo. Io una risposta ce l'ho ed è pessimistica, ma sicuramente mi sbaglio.
ottimo articolo! commento le tue riflessioni perchè non ho avuto modo di vedere il programma... il troppo hype in questo caso ha nuociuto a Gabbani, il cui pezzo si differenziava dalle altre proposte italiane degli ultimi anni. Poi che sia stato tagliato davvero è una cosa indegna ma non penso abbia avuto questo peso nel giudizio. Se come dici, io non ne ero al corrente, ci sono voti di scambio palese, già questo va a inficiare di molto il valore delle classifiche. Ho sentito il brano vincitore, indubbiamente non è male, una sorta di fado moderno che allo stesso tempo si rifà ai classicissimi.. non replicabile credo, nè tanto meno in terra italica. Non c'è mai una ricetta per primeggiare, in fondo le nostra proposte non si assomigliavano negli anni.. pensiamo a Mengoni o alla Michielin, avrei scommesso sul Volo ma nemmeno loro hanno sbancato (che poi fosse più o meno importante ai fini della loro carriera, questo non so...). Quello che più conta è che Francesco vada avanti sereno per la sua strada, e il nuovo album sta a testimoniare che il ragazzo ha diverse frecce al suo arco, come era tra l'altro prevedibile... Non me ne farei troppo un cruccio sinceramente, ma che sia stato pompato all'inverosimile, causando l'effetto contrario quello sì, è una "legge naturale" Gianni G.
RispondiEliminaNon parlerei di voto di scambio, quanto di affettuosa amicizia tra Paesi (Grecia e Cipro che si danno 12 voti reciprocamente, per canzoni che non hanno lasciato traccia nella classifica generale e che non avevano alcuna possibilità di ben figurare), un malcostume che non so se sia così diffuso come si dice (dovrei controllarmi tutte le votazioni anche degli anni scorsi), ma che comunque ogni tanto si manifesta, come nel caso sopra citato, o in quello di un recente scambio di cortesie fra Serbia e Montenegro un paio di anni fa, o per la simpatia che spesso la Finlandia riserva agli svedesi... E' abbastanza triste, per quanto forse non sempre decisivo, mentre trovo che quest'anno abbia prevalso l'aspetto emozionale, perché sinceramente che un brano come quello portoghese potesse trionfare in un contesto "glamour"come quello eurovisivo era difficilmente prevedibile. Come dici tu, poco male per Gabbani: non è retorica dire che abbia vinto comunque, visti gli straordinari consensi di pubblico e critica, ma tutto ciò lo si sapeva già alla vigilia, e proprio per questo, per la solidità della candidatura, era stato dato per favorito. Dopo aver trionfato sul piano commerciale e popolare, l'obiettivo era dunque riportare il trofeo in Italia, ed è stato mancato.
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