Una volta evaporata l'euforia un po' buonista delle prime ore, quella che qualifica il terzo posto del Volo come un trionfo o qualcosa di molto simile, l'Eurovision Song Contest 2015 rimarrà negli annali come una colossale occasione perduta per la canzone italiana. Opinione minoritaria, la mia, me ne sto rendendo conto "annusando" l'atmosfera in giro per i social network e sul web in generale, ma è questa la sensazione che mi è rimasta addosso, dopo aver ascoltato le ventisette finaliste della rassegna continentale.
RIMPIANTI - Occasione perduta, intendiamoci, non per colpa dei tre vincitori di Sanremo, che sul palco viennese hanno dato il meglio, senza sovrastrutture coreografiche e artifizi spettacolari, puntando sulla forza di un pezzo che nella Penisola ha già fatto centro da mesi, confermando nelle classifiche di vendita il verdetto della Riviera dei Fiori, e che nella circostanza ha mostrato di possedere un certo respiro internazionale, facendo breccia nelle preferenze di buona parte delle giurie continentali. Ma in fondo lo si sapeva, e proprio per questo "Grande amore" era stato inserito, alla vigilia, nel ristretto novero delle favorite: una canzone in linea con una certa tradizione classicheggiante nostrana, quel pop lirico che ha conquistato il mondo con Bocelli e che adesso sembra aver trovato degni continuatori del genere. Lo si sapeva, dicevamo, e allora proprio per questo rimane un po' di amaro in bocca: le carte in regola per portare a casa la medaglia d'oro c'erano tutte, anche tenendo conto dell'ipotetico orientamento generale del pubblico europeo, per la verità risultato più "fluttuante" e meno prevedibile di quanto si credesse. L'Italia che piace all'estero è questa, si pensava, non quella dalle sonorità contemporanee di Nina Zilli, Mengoni ed Emma, scelte artistiche che negli ultimi anni hanno portato qualche discreto piazzamento senza però farci partecipare ai giochi che contano, quelli per il successo finale.
LIVELLO BASSO - Ma la mia è anche una considerazione di natura qualitativa: la vittoria pareva alla portata perché il livello generale della proposta musicale è parso quest'anno particolarmente basso. Difficile, molto difficile che anche solo uno dei brani finalisti resti nella memoria collettiva (ma quante volte è accaduto davvero, nella storia di questo evento?). Già negli anni passati avevo scritto di una tendenza all'appiattimento stilistico, e a Vienna 2015 si è forse raggiunto il punto di non ritorno, in questo senso. Pochissimi i guizzi di originalità, in un'ondata pop di grana grossa che rimastica stancamente sounds più o meno recenti, attingendo, come e più del solito, a quelle atmosfere epiche e solenni, declamate a voce spiegata preferibilmente da dotate fanciulle, che continuano misteriosamente a catturare l'udito dei fans dell'ESC. Stili non dissimili da quello portato da Lara Fabian all'ultimo Sanremone, e implacabilmente bocciato dalle giurie liguri. In Europa invece funziona, e così ecco la prevedibile e pomposa "A million voices" della russa Polina Gagarina issarsi fino a un'incredibile medaglia d'argento, dopo essere stata a lungo in corsa per il metallo più nobile. Meglio, allora, che a trionfare sia stato lo svedese Mans Zelmerlow, con una "Heroes" non particolarmente innovativa ma tutto sommato contemporanea e dall'arrangiamento piuttosto elaborato.
Ma poi? Inspiegabile il (discreto) entusiasmo che ha circondato la performance della serba Bojana Stamenov, che in "Beauty never dies" ha attinto discretamente a certa dance anni Novanta in salsa "Alexiana", altro vizio dell'Eurofestival che ogni anno rispunta fuori, in dosi più o meno massicce. Anche l'attesa Elhaida Dani, vincitrice del primo "The Voice of Italy" e rappresentante dell'Albania, ha tentato la fortuna con una melodia leggera leggera, senza squilli, che scivola via senza lasciare tracce, oltretutto non sostenuta, nella circostanza, da una prestazione vocale impeccabile. Fra i paesi nordici, tradizionali assi pigliatutto della kermesse, da salvare la proposta norvegese di Morland e Debrah Scarlett, una "Monster like me" carica d'atmosfera e ricca si variegate sfaccettature sonore; nota di merito anche per la ballata, orecchiabile, giocosa e non pretenziosa, dei lituani Monika Linkytè e Vaidas Baumila ("This time").
ORIGINALITA' NON COMPRESA - Le proposte più moderne, ricercate e meno banali sono state tenute accuratamente alla larga dai giochi per la vittoria. Penso ad esempio a Belgio, Australia e Lettonia, che hanno chiuso a immediato ridosso del podio ma non sono mai stati autenticamente in lizza per il colpo grosso. La trovatina di ammettere in gara l'ospite oceanico è discutibile e senza motivazioni valide, un po' come il Giappone che partecipa alla Coppa America di calcio (è accaduto in passato), o come se il Brasile venisse invitato a una edizione degli Europei... Detto questo, Guy Sebastian è un signor professionista e un eccellente performer, che con "Tonight again" ha portato a Vienna una ventata di ritmi soul e funky di livello assoluto: un pezzo da classifica, uno dei pochi che questo ESC lascia in eredità. "Love Injected" della lettone Aminata è una canzone che riflette in parte lo stile lanciato da alcune delle popstar maggiormente à la page (come Katy Perry), dance al passo coi tempi e dal possente sostegno vocale, "Rhythm inside" del belga Loic Nottet ha una tessitura ardita, non facile, moderna ma con vaghi richiami agli anni Ottanta, in una riuscita fusion. Scandaloso il piazzamento sui bassifondi riservato ai britannici Electro Velvet, che con "Still in love with you" hanno ripescato stilemi sonori anni Trenta - Quaranta rielaborati in chiave attuale. Scelta troppo raffinata?
Mans Zelmerlow: il vincitore di ESC 2015
UNGHERIA, POLONIA E ROMANIA DA SALVARE - Per il resto, è forse ingeneroso parlare di veli pietosi da stendere, ma la realtà è quella di un piattume generale destinato a entrare da un orecchio e uscire dall'altro dopo pochi minuti. Da salvare il pezzo minimalista e delicato dell'ungherese Boggie ("Wars for nothing"), una essenziale chitarra ad accompagnare un soffuso inno alla pace, la convincente melodia di "In the name of love" con cui la polacca Monika Kuszynska ha portato sul palco la sua forza d'animo e la sua voglia di normalità, cioè quella di una ragazza destinata, da qualche anno, a vivere su una sedia a rotelle a causa di un incidente. Interessante l'impasto vocale degli armeni Genealogy, sostenuto solo in parte da una "Face the shadow" di scarsa originalità e che sa un po' di già sentito. Meritano generale benevolenza quei pochi artisti che hanno scelto di esprimersi nella lingua madre, in primis i romeni Voltaj ("De la capat") con un pop simil - Modà (un po' alla lontana), anche se ci sarebbe da eccepire sulla qualità di talune proposte, ad esempio quella della spagnola Edurne, una "Amanecer" convenzionale e inconsistente, al di là del buon impatto visivo della performance dell'artista.
TROPPO INGLESE - Proprio il ricorso massiccio alla lingua inglese rappresenta ormai da anni uno dei tasti dolenti dell'Eurovision Song Contest: canzoni prodotte in serie che potrebbero arrivare genericamente dalla Norvegia, dall'Estonia, dalla Danimarca o dalla Svizzera, un tentativo di riprodurre il modello originale senza aggiungervi farina del proprio sacco, mentre scompare quasi del tutto il sale dello scontro fra stili e tradizioni canore diverse, che dovrebbe essere l'essenza di una competizione come questa. L'Italia, su tale fronte, continua a resistere orgogliosamente (e giustamente) nella sua roccaforte, ma anche quest'anno è servito a poco. Tornando a bomba: il bronzo del Volo è traguardo di assoluto rilievo, il consenso è stato generalizzato (i tre ragazzi di "Ti lascio una canzone" hanno ricevuto voti da tutti i Paesi), eppure il sorriso non può non rimanere a metà: a far data dal nostro ritorno nell'arengo della gara continentale, questa era la canzone che, sulla carta, sembrava aver azzeccato il mix giusto di ingredienti per vincere, e molti esperti lo avevano più o meno implicitamente lasciato intendere, manifestando larga soddisfazione per la "qualificazione" all'ESC di "Grande amore" in seguito al trionfo sanremese.
QUAL E' LA FORMULA VINCENTE? - Ma allora, qual è la ricetta ideale per trionfare in tale consesso? La risposta sembra non esserci, o sembra quantomeno essere mutevole e sfuggente. E poi all'Eurofestival entrano in gioco troppi fattori che con lo spessore musicale hanno poco a che fare, in primis i discutibili incroci di alleanze e votazioni fra Paesi più o meno amici. Forse, si tratta solo di azzeccare la formula giusta nell'anno giusto, saper "leggere" in anticipo le oscillazioni dei gusti del pubblico: sentita la canzone vincitrice, forse questo poteva essere l'anno ad hoc per l'ultimo Nek, chissà... Parole al vento, e comunque non è il caso di farsene un cruccio eccessivo: come albo d'oro, una vittoria all'ESC fa curriculum ma forse non innalza il prestigio di un artista a livelli siderali; come popolarità, invece, di certo incide, e in questo senso Il Volo, nella settimana europea, ha senz'altro ampliato notevolmente il proprio bacino di utenza, un bacino comunque già assai largo e consolidatosi in questi anni in mercati discografici ben più significativi, in primis quello americano.
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