E così, per una sera ci siamo ritrovati ad esser (quasi) tutti romanisti. Perché il calcio italiano ha bisogno anche di imprese come quella giallorossa, per uscire dal pericoloso impasse in cui staziona da quando si è ritrovato escluso dai Mondiali prossimi venturi. La clamorosa qualificazione ai danni del super Barcellona ha un significato che va oltre il risultato del campo, di per sé strepitoso. E' una lezione salutare per tutto il football di casa nostra: un invito a smetterla di piangersi addosso, a darci un taglio con questo inferiority complex che ci attanaglia da troppi anni e che fa accettare con rassegnazione sconfitte considerate pressoché inevitabili.
CRISI TECNICA? SI', MA... - Di Francesco e i suoi ragazzi ci hanno invece detto che "si può fare". Il pallone tricolore è in crisi? Nessuno lo nega. E' un movimento che ha tanti problemi, e qui sul blog è stato scritto un'infinità di volte; è un sistema-calcio sicuramente in soggezione, sul piano dell'organizzazione, delle risorse finanziarie, del talento puro, del livello tecnico complessivo, rispetto ad altri Paesi. Tanto ancora bisogna fare per venir fuori da questo buco nero, ma il punto di partenza non possono essere le lamentazioni alla Fabio Capello, che in un'intervista di pochi giorni fa si è sentito in dovere di dichiarare che "mancano elementi di grande livello, mancano i talenti, è difficile fare bene con giocatori mediocri". Non c'era bisogno di scomodare l'ex tecnico di Milan, Roma e Real Madrid per sentirsi ripetere tali banalità, ma le sue parole sono anche emblematiche del modo sbagliato in cui, da più parti, si sta approcciando questa crisi.
MEGLIO LA FILOSOFIA DI CONTE CHE QUELLA DI CAPELLO - Sì, perché viviamo una fase storica di chiaro ribasso qualitativo degli atleti a disposizione dei vari club e delle rappresentative nazionali, ma non siamo stati rasi al suolo come da più parti si cerca di fare intendere. Ci stanno davanti Spagna, Germania e Inghilterra, ma non siamo precipitati a livelli di modestia calcistica assoluta, non siamo la Finlandia, l'Ungheria o la Scozia, con tutto il rispetto. Abbiamo ancora qualche risorsa di classe, e allenatori che sul piano della genialità strategica, oggi, hanno ben poco da invidiare ad altri referenziati mister di fuorivia. Con una guida tecnica all'altezza, con materiale umano buono pur se non eccezionale, con applicazione, impegno e ferrea volontà, quasi nessun traguardo è precluso. Piuttosto che quelli di Capello, meglio seguire gli insegnamenti di Conte, che alla guida di una Nazionale senza campionissimi, due anni fa, sconfisse sonoramente le superpotenze Belgio e Spagna e mancò di un soffio l'ammissione alle semifinali di Euro 2016.
CAPOLAVORO ROMA - La Roma ha messo a segno un autentico colpaccio, che però non era una mission impossible come la grande maggioranza degli esperti riteneva. Il team capitolino aveva le potenzialità per centrare un 3-0 casalingo, perché è squadra che ha nelle sue corde certe imprese: ricordiamo i quattro punti su sei sottratti al Chelsea nella prima fase, e ricordiamo anche la gara di andata al Nou Camp, in cui la Lupa fu vittima soprattutto della sfortuna (due autoreti!) ma dimostrò di potersela se non altro giocare. Il retour match dell'Olimpico è stato un capolavoro, sotto tutti i punti di vista: i giallorossi hanno saputo aggredire con continuità ma senza lasciarsi prendere dalla foga, hanno reso pressoché inoffensiva la manovra azulgrana, ricevendo una spinta supplementare dal sollecito gol dello strepitoso Dzeko, gigante dai piedi buoni che con la sua mole, i suoi movimenti sincronizzati al secondo e precisi al millimetro, ha messo da solo in ambasce la retroguardia catalana. In terza linea, Manolas ha giganteggiato con una serie di salvataggi provvidenziali, effettuati dopo aver siglato, con una perfetta deviazione su corner, il gol del trionfo, e Allison ha trasmesso ai compagni una costanze sensazione di sicurezza assoluta. Ma anche la sparuta pattuglia tricolore si è ben distinta: De Rossi non ha sprecato un pallone, Florenzi ha corso per tre ma con lucidità, e quando è subentrato anche El Shaarawy si è mostrato più vivo che mai, costringendo alla paratona Ter Stegen su un'azione che avrebbe potuto anticipare il 3-0. Poi, certo, anche gli avversari sono parsi decisamente al di sotto del loro standard: ma, da sempre, per poter ribaltare un pronostico non basta far tutto bene, è anche necessario che chi ti sta davanti sbagli qualcosa o sia in giornata storta.
BASE DI PARTENZA - Sorpresa? Sì, certo, ma, lo ripeto, fino a un certo punto. Il nostro campionato ha club che possono tirare fuori queste grandi prestazioni sulla scena internazionale: lo sta facendo la Lazio, pur nella dimensione ridotta dell'Europa League, lo hanno fatto negli anni passati il Napoli e la Juventus, la quale stasera si troverà davanti un ostacolo davvero proibitivo, ma che il Real Madrid lo ha meritatamente battuto ed eliminato nella semifinale Champions del 2015, e che nella passata stagione ha strapazzato il Barça di Messi, proprio come ha fatto la Roma, arrivando a giocarsi la seconda finale di Coppacampioni in tre anni. Se questa volta ai bianconeri ha detto male in Europa, è semplicemente perché la vecchia guardia è in declino, e nel telaio non sono stati inseriti quegli apporti qualitativi e di freschezza che le avrebbero consentito di puntare a un'altra campagna europea di primo piano. Ma il calcio italiano tiene ancora orgogliosamente le posizioni. La Roma ci ha detto che non è più tempo di pessimismo, di rimuginare all'infinito sulla nostra inferiorità: qualche cartuccia da sparare l'abbiamo ancora. L'impresa di Dzeko e compagni è un invito a crederci di più, a non rassegnarsi: non risolve i problemi del football nostrano, ma può essere una buona base di partenza per recuperare entusiasmo e per lavorare più alacremente alla risoluzione dei nostri guai. E allora, per una volta, "grazie Roma".
Sono contento, contentissimo anche per il club Roma (per quanto non abbia simpatie per loro, in genere) perché hanno conquistato sul campo tutto quel che cercavano, e forse di più: fiducia nel tecnico, fiducia in un gruppo che possiamo considerare al primo anno di un ciclo, di un dirigente - Monchi - che ha dovuto vendere forzatamente in estate alcuni giocatori importanti ma ha saputo rimpiazzarli. Questa Roma l'estate scorsa era la squadra che ha deciso che con quella rosa non avrebbe ottenuto nulla più di quanto non avesse già ottenuto, quindi era giusto sacrificare qualche pedina importante per smuovere le acque e battere nuove strade. In più il percorso europeo porterà nuove risorse al club e forse (non ho fatto i conti in tasca alla società) potrebbe evitare dolorose cessioni estive.
RispondiEliminaSulla partita di ieri. Sono d'accordo con l'idea che sia un crocevia importante per ridare slancio al movimento calcistico, e vanno fatti i complimenti alla squadra - tecnico in primis - per il risultato. Ma, e qui prendo in parte le distanze dal tuo pezzo, penso che sia un evento raro. Non mi sorprende il 3-0, che di per sé ci può stare (come giustamente hai detto anche tu). Ma mi sorprende in negativo il Barcellona, per questo penso che dovesse capitare nuovamente un sorteggio di questo tipo giocherebbero 90' con altra concentrazione e altro piglio. In sostanza, non credo che imprese di questa portata possano diventare la norma nei prossimi due/tre anni. Ma forse sono solo pessimista
Non credo diventeranno la regola, ma magari saranno un po' più frequenti, perché la sensazione è che, al di là di un'inferiorità tecnica esistente ma non così marcata come molti dicono, spesso le nostre squadre abbiano accettato in partenza uno stato di "sottomissione psicologica", andando incontro alla sconfitta quasi con rassegnazione. Comunque l'importante è che imprese come questa servano a riportare entusiasmo e, soprattutto, ad accelerare quegli interventi fondamentali per far uscire il nostro calcio dalla crisi.
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