Siamo in una fase della "ricostruzione azzurra" in cui occorre guardare al bicchiere mezzo pieno, perché sennò è finita. L'Italia continua a non vincere, manca l'appuntamento per la quinta volta consecutiva. Certo, c'è chi ha fatto peggio in passato, anche in tempi più o meno recenti: penso all'ultima declinante stagione del cittì Prandelli, che fra il 2013 e il 2014 rimase a secco di successi per sette gare, per non parlare dell'insospettabile Bearzot dell'annata post Mundial '82, nella quale mise insieme soltanto tre pareggi e tre sconfitte.
FRA CALCIO E TRAGEDIA - È dunque il caso di non essere troppo schizzinosi, anche se da parte del Mancio ci si aspettava un avvio più convincente, sul piano dei risultati. Teniamoci quanto di buono ha espresso la Nazionale nel rendez - vous di Marassi con gli ucraini di mister Shevchenko, una di quelle gare che risulta oltremodo difficile da valutare in chiave strettamente calcistica, in quanto troppo labile è il confine fra fatto tecnico e quadro emotivo, nella fattispecie legato alla particolare (diciamo pure drammatica) situazione che Genova sta vivendo dal 14 agosto scorso. "Genova nel cuore": il logo simbolo del crollo del ponte Morandi ieri sera campeggiava sulle magliette sfoggiate dai bambini durante l'inno, sulle maniche delle casacche indossate dagli azzurri, sul tabellone luminoso dello stadio. E poi c'è stato il caloroso applauso di atleti e pubblico al minuto 43, 43 come le vittime di quell'assurda, ingiustificabile catastrofe.
CRESCITA IN ATTACCO - Ecco, diciamo che, per quanto occorra sempre pesare le parole allorché si accostano calcio e vere tragedie della vita, fino a quel fatidico minuto i nostri calciatori hanno onorato l'impegno che si erano prefissi, quello di regalare ai genovesi qualche minuto di serenità e di spensieratezza. E' stata così la migliore Italia della nuova gestione, un'Italia volitiva, aggressiva, con le idee ben chiare e con la capacità di arrivare frequentemente al tiro, capacità che era quasi totalmente mancata nelle precedenti uscite. Il primo tempo poteva concludersi con un vantaggio persino insperato per la nostra rappresentativa: hanno concluso pericolosamente Bernardeschi, Chiesa, Bonucci, Insigne e Barella, e il portiere ucraino Pyatov ci ha sovente messo affannose pezze. Si è invece arrivati all'intervallo a reti bianche, con la constatazione che l'incapacità di concretizzare risulta al momento uno dei più grandi limiti della Nazionale, un limite che la tiene a distanza notevole dalle migliori espressioni del football europeo. Però il passo avanti c'è stato, perché una cosa sono le recite all'insegna dell'impotenza offensiva tipo quelle recentissime con Polonia e soprattutto Portogallo, un'altra è mancare occasioni per imprecisione propria e bravura del numero uno avversario, occasioni che però sono state costruite con apprezzabile continuità. Insomma, è banale dirlo, ma per segnare bisogna creare palle gol: e se si creano, prima o poi i gol arrivano.
RIPRESA "ANNACQUATA" - Molte le cose apprezzabili viste nel primo tempo: in primis, la rapidità e l'incisività delle nostre incursioni in avanti, con un trio d'attacco che ha girato tutto sommato su buoni livelli. Insigne in crescita pur se intermittente, Chiesa meno preciso del solito ma comunque sempre nel vivo delle azioni, Bernardeschi il migliore del lotto per intraprendenza e proprietà di palleggio. Giusto che la gioia della rete sia toccata a lui nella ripresa, pur se con la complicità di quel Pyatov fino ad allora decisivo, ma a quel punto la partita aveva già cambiato volto. Italia in flessione atletica, Ucraina in crescita e pure fortunata, visto che riusciva a trovare il pari alla prima vera azione insidiosa, con un tiro di Malinovskiy sugli sviluppi di un corner, quel Malinovskiy che poi coglieva una clamorosa traversa direttamente su punizione (e dopo pochi secondi Donnarumma salvava su inzuccata di Stepanenko). Arrivavano anche le sostituzioni in serie, ben sei, ad annacquare il gioco dei nostri e a rendere del tutto inattendibile buona parte della ripresa.
CENTROCAMPO PLAUSIBILE, BARELLA OK - Prima, si erano avute notizie confortanti anche dalla zona nevralgica, conclamato tallone d'Achille di questo abbozzo di Nazionale "mancinesca". Dopo le recite imbarazzanti di Bologna e Lisbona, si è visto un reparto più concreto e in palla, grazie soprattutto a Verratti, peraltro come al solito più utile nella fase di interdizione che in quella di costruzione, e all'esordiente Barella, che si è confermato elemento di ottima statura e che ha fatto sentire il peso del suo gioco soprattutto dalla trequarti in avanti, sfiorando anche la segnatura con una bordata dalla distanza. Poche invece le indicazioni da una retroguardia scarsamente impegnata per larga parte della gara, con un Florenzi valido ma non precisissimo in fase di spinta e un Bonucci che ogni tanto ha cercato di dare sbocchi alternativi alla manovra come faceva nelle precedenti gestioni azzurre, con lanci lunghi peraltro mai sfruttati dai compagni.
Null'altro da aggiungere su Italia - Ucraina: una mezza partita che ha regalato il bicchiere mezzo pieno di cui si è detto all'inizio. Basterà per la trasferta in Polonia? Difficile dirlo, ma intanto Bobby-gol può lavorare su una base tecnica più confortante, su elementi cardine che si stanno ritrovando (Verratti, Insigne), e su alcuni piedi buoni (Bernardeschi, Barella) che, accumulando ancora un po' di esperienza, hanno tutto per incrementare il tasso di pericolosità del Club Italia. Si va avanti a piccoli passi, insomma, ma si va, e guai a lasciarsi abbattere.
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