A campionato finito, torno dunque a parlare di Genoa. Non l'ho più fatto da gennaio, sul blog e sui miei social, per una lunga serie di motivi, calcistici e non. A monte di tutto, mai come quest'anno ho avuto ben chiaro il senso delle proporzioni e delle priorità della vita (non che prima mi sfuggisse, ma...): nella stagione sportiva post Ponte Morandi, sinceramente non mi andava di accalorarmi in infinite polemiche o discussioni frivole attorno al pallone. Ciascuno di noi vive certe tragedie come si sente di viverle, a prescindere dal fatto che ne sia stato coinvolto o meno: io l'ho vissuta come uno shock, ancora oggi ci penso ogni giorno, una ferita troppo grande perché, nei nove mesi successivi, mi potessi anche appassionare con pienezza alle vicende di una Serie A oltretutto fiacca e nel complesso avvitata su se stessa, di certo non salvata dalle luminarie finali regalate dalle corse alla Champions e alla salvezza (uniche eccezioni positive, la meravigliosa Atalanta e la crescita di tanti giovani di casa nostra). E' il mio punto di vista ovviamente, c'è chi ha la capacità di guardare da subito avanti, io questa volta non ce l'ho fatta.
LE TAPPE DI UNA VIA CRUCIS CALCISTICA - Ci sono poi stati, come detto, anche i motivi calcistici. Il Genoa l'ho comunque seguito sottotraccia, nella via crucis di questa orrida "temporada", ma onestamente non mi ha mai emozionato. Tanto che nemmeno i drammatici novanta minuti finali mi hanno inchiodato al pathos di prammatica, che pure sarebbe stato d'obbligo per una squadra rimasta a lungo pericolosamente in bilico sul baratro della Serie B. E comunque questo Grifo 2018/19 non meritava troppa partecipazione emotiva: una squadra prima sopravvalutata (anche da me l'estate scorsa, lo ammetto), poi smontata pezzo a pezzo, indebolita, male assemblata, mandata allo sbaraglio senza mezzi di rilievo per ottenere neppure il risultato minimo della salvezza, se non grazie a esiti favorevoli su altri campi o al fieno messo in cascina prima dei rigori invernali. Una società gestita in maniera incommentabile da una dirigenza giunta al capolinea, palesemente non più motivata a restare sotto la Lanterna, ostracizzata (giustamente) da tutta o quasi la tifoseria. Tornando al mio silenzio, e chiudendo la parentesi: per me il sipario è calato dopo la cessione di Piatek in gennaio. Non posso aggiungere altro che già non sia stato detto e scritto, arrivo buon ultimo e c'è poco da inventar giri di parole: una delle vendite più incomprensibili e intempestive nella storia del calcio italiano, ma alla quale ha fatto seguito un mercato di riparazione ancor più incomprensibile. In quelle settimane, l'ascendente di Preziosi, evidentemente ancora in parte funzionante, portò taluni aficionados a parlare perfino di organico rafforzato (!), con elogi sperticati a nuovi arrivi dal talento molto relativo quali Lerager e Sanabria.
DEPAUPERAMENTO E MERCATO FALLIMENTARE - Il risultato è stato simile a quello già visto altre volte in passato, soprattutto un paio di stagioni fa: una rosa ingolfata da giocatori tecnicamente non all'altezza della massima serie nostrana, oppure tatticamente inadatti alla bisogna, o, ancora, fisicamente alle corde (pazzesca, incredibile l'operazione Sturaro). Anche qui, nulla di sorprendente: il depauperamento qualitativo del gruppo rossoblù è in atto da anni, ed è diventato talmente profondo da aver reso impossibile qualsiasi tentativo di aggiustamento in corsa. Perché finché andavano via certi grossi calibri, ma rimanevano pur sempre i Perin, i Laxalt, gli Izzo, qualcosa nelle alte sfere societarie ci si riusciva pure a inventare per rimettere in linea di galleggiamento una barca che faceva acqua. Ma quando non rimane proprio nulla, quando il tasso di classe è sceso sotto il livello di guardia, le strade sono due: o spendi pesantemente e bene per ricostruire una squadra degna di tal nome, oppure resti in balia degli eventi, sperando che la grinta di chi resta e i risultati delle avversarie producano il miracolo salvezza. Non ci sono altre vie, e se poi ti complichi ulteriormente la vita allontanando le uniche tre pedine che avrebbero potuto tenere in piedi la baracca (il bomber polacco, l'ex nazionale Romulo, mister Ballardini col suo pragmatismo), beh, un po' le disgrazie sportive te le cerchi...
LA LISTA DELLE DELUSIONI, DA PRANDELLI IN GIU' - Non c'è stato nulla di ben fatto, nulla di azzeccato in questa stagione genoana: si è detto dell'esonero del Balla, ma vogliamo parlare dell'ennesima fiducia concessa a uno Juric che aveva già ampiamente dimostrato di non essere coach da Serie A? Quanto a Prandelli, piange il cuore, perché è un signore e un ottimo professionista: ma non era stata cattiveria, la mia, se già all'indomani di Brasile 2014 ne avevo purtroppo pronosticato un rapido declino; troppi erano stati gli errori commessi nella preparazione e nella conduzione di quella che, al momento, rimane l'ultima spedizione iridata degli azzurri. L'ex cittì dell'Italia aveva iniziato bene, nella sua nuova esperienza, poi si è visto sfiorire rapidamente Sanabria fra le mani e ha perso il controllo della situazione: poco gioco, incisività quasi nulla, bassa intensità, fragilità e amnesie in tutti i reparti. Non ha portato, dunque, il quid in più che si chiederebbe a un ex big della panchina, ma c'è da dire che i suoi margini di manovra erano strettissimi, per l'impoverimento e le lacune nella rosa di cui si è detto. Né è stato aiutato dai veterani: al solito velleitario il contributo di Veloso nella zona nevralgica, Marchetti ha rappresentato un prezioso collante nello spogliatoio, ma in campo è diventato subito marginale (troppo frettoloso il suo accantonamento, si può dire senza passare per blasfemi?), Criscito, pur generoso e attaccato alla maglia, sul piano squisitamente tecnico non è stato determinante e carismatico come era lecito attendersi da un "ragazzo di casa" oltretutto teoricamente ancora nel giro della Nazionale (il rigore al Cagliari sul filo del rasoio, decisivo alla resa dei conti, lo assolve solo in parte).
FINALMENTE UN PO' DI SORTE... - Dopodiché, si parla di salvezza fortunosa e immeritata. Fortunosa è evidente, immeritata... mah. Il Genoa è finito in zona retrocessione solo al termine della penultima giornata, e per una frazione di gioco e... spiccioli nella serata di ieri; oltreché dei suoi enormi limiti, è stato anche vittima dei soliti risultati scarsamente attendibili di fine campionato; nulla di illecito, ci mancherebbe e che sia ben chiaro, ma le impennate che portano alla effimera nascita dei "Bayern Empoli" e dei "Real Crotone" di turno, instancabili macinatori di punti e vittorie entusiasmanti negli ultimi mesi del torneo, lasciano il tempo che trovano, tanto che risultano fuori luogo articoli scandalizzati come quello letto stamane sulla Gazzetta a proposito del pari quasi non giocato dello stadio Franchi... Conta di più la continuità sul lungo periodo, e conta il regolamento: i rossoblù hanno vinto entrambe le sfide coi toscani di Andreazzoli, ed era ciò che valeva ai fini della salvezza. Quante volte in passato il Grifone è stato beffato in identica e anche più crudele maniera, in punta di "legge"? Ricordiamole: nel '78 chiude alla pari con la Fiorentina e in vantaggio nei confronti diretti, ma si tiene conto della differenza reti che condanna i liguri; nell'84, pari merito con la Lazio e in vantaggio per differenza reti, ma questa volta contano i confronti diretti, che premiano i romani; nel '95, pari punti col Padova, Genoa in vantaggio sia per scontri diretti sia per differenza reti, ma le regole sono di nuovo cambiate ed è previsto lo spareggio in gara secca, che finisce in parità e vede prevalere i patavini ai rigori... Non può piovere per sempre, giusto? E in questo 2019 certi tabù storici sono caduti: il citato spareggio salvezza si disputò proprio a Firenze, che già, con due 0-0 analoghi a quello di poche ore fa, ci condannò alla discesa in due occasioni (stagioni '77/78 e '83/84, come detto). Quest'anno il trend si è invertito ed è sacrosanto che la Dea Bendata abbia per una volta guardato con benevolenza al tartassatissimo Grifone spelacchiato.
IL FUTURO E' UN'IPOTESI - Giusto questo ci resta, ed è ben poco. Il Genoa 2019/20 riparte dal nulla, o quasi. I pochi elementi di valore sono virtualmente già lontani: Radu in prestito dall'Inter, Romero promesso alla Juve. Poi cosa rimane? Questa politica della vendita continua, instancabile, cocciuta, ha portato all'anno zero; e ha portato anche, fattore non trascurabile, alla perdita di appeal del club più antico d'Italia, non più punto di arrivo ma neanche di partenza, bensì solo porto di mare e di transito per giocatori che ambiscono al grande salto, o parcheggio per onesti pedatori senza apprezzabili prospettive. Anche per ridare nuovo credito, nuovo spessore al sodalizio, ci vorranno anni. L'unica soluzione è un cambio di proprietà che porti un qualche progetto un minimo, ma giusto un minimo, ambizioso, perché la retrocessione miracolosamente evitata questa volta attende comunque dietro l'angolo. Ma per riportare a galla questa società occorrono investimenti importanti e sostanziosi, non la ricerca del meno peggio e il tirare a campare delle ultime stagioni.
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