Primo comandamento: guai a illudersi. La storia del calcio italiano è ricca di bagliori improvvisi che sembravano annunciare trionfi in serie, salvo poi costringerci a rinfoderare i sogni di gloria per tornare a masticare amaro. Ebbene sì, accadde anche con la Grecia, nostra malcapitata avversaria di poche ore fa: nell'ottobre dell'83, un luccicante 3-0 a Bari colto dagli eredi dei mundialisti spagnoli. Pareva l'inizio di una nuova era di potenza e dominio, ma nel giro di poche settimane Svezia e Cecoslovacchia ci fecero la festa nelle qualificazioni all'Europeo '84, ridimensionando le ambizioni della nuova truppa di Bearzot e preannunciando con largo anticipo la magra a cui la sbiadita compagine azzurra sarebbe andata incontro al Mundial '86. La premessa è forse sgradevole ma necessaria, perché lungo è ancora il cammino verso la totale rinascita, né potrebbe essere diversamente dopo l'onta e l'abisso dell'esclusione da Russia 2018. E tuttavia, ormai la realtà è palese e innegabile: abbiamo di nuovo una Nazionale, una Nazionale che ha ripreso a fare calcio come Dio comanda e che può andare in giro per l'Europa a testa alta.
BRILLANTE E PROPOSITIVA - Non era scontato, visto il buco nero dal quale eravamo stati inghiottiti. Ma Roberto Mancini, senza proclami, lavorando sottotraccia, preso in mezzo dalle esigenze dei club che riducono sempre più all'osso gli spazi delle rappresentative, ha già dato al gruppo azzurro un'identità ben precisa. Il copione di Grecia - Italia è stato, per i nostri, il medesimo delle precedenti sfide, a partire dall'eccellente trasferta polacca in Nations League: un undici che ha ritrovato il gusto del gioco, del possesso palla non fine a se stesso ma costantemente propositivo, una compagine che sa palleggiare con maestria a centrocampo ma anche cogliere il momento giusto per verticalizzare, per puntare con decisione la porta. D'accordo, la selezione ellenica attuale non è certo ai vertici continentali, anzi; la tara agli avversari va sempre fatta, ma ricordiamoci anche che nel passato recente, contro rivali ben più modesti di quelli di ieri, i nostri prodi hanno spesso stentato penosamente rimediando mezze figuracce o figuracce intere. Per non andare troppo lontano nel tempo, pensiamo alle ultime qualificazioni mondiali, alla doppia sfida con la Macedonia. Ecco, rispetto a quei momenti grami, è come essere passati dalla notte al giorno.
DOMINIO E AUTOREVOLEZZA - Il nuovo Club Italia è una boccata d'aria fresca per come si propone, per il piglio autorevole con cui assume l'iniziativa, per come riesce ad affondare i colpi. Chiaro che vada atteso a test assai più probanti, ma c'è già uno stile, un'impronta, che emerge a prescindere dal valore di chi gli sta di fronte. Ad Atene, i ragazzi del Mancio hanno subito messo le mani sulle leve di comando del match. Traccheggiando un po' nei primi venti minuti, ma sempre in pieno controllo della situazione, per poi rompere gli indugi e andare a cogliere un successo che hanno ben presto intuito essere alla portata. Il trainer ha saputo sfruttare il momento magico di Emerson, già protagonista della finale di Europa League e ieri instancabile stantuffo sulla fascia sinistra. Ed è stata proprio una vittoria "di sinistra", diciamo così, perché maturata esclusivamente sul versante mancino del campo, percosso con continuità ed efficacia dai nostri azzurri per tutto il primo tempo. Così Belotti, dopo aver sprecato calciando alto su assist di Insigne, ha messo a soqquadro la retroguardia dei blu, arrivando sul fondo e scodellando in mezzo un pallone che Barella ha calciato in rete con decisione. Sempre da sinistra è partita la fuga in contropiede di Insigne, che ha saltato il suo controllore con eleganza per poi trafiggere Barkas con un morbido tocco di destro, ed infine Emerson ha crossato per Bonucci, abile a realizzare di testa confermando la sua fama di difensore goleador.
SEMPRE PIU' CONCRETI - Altre occasioni sono state mancate da Barella, giunto a tu per tu col portiere che ne ha neutralizzato il tentativo di pallonetto, e poi da Insigne e Chiesa nel secondo tempo, per tacere di altre iniziative pericolose, ad esempio un tiro a fil di palo del subentrato De Sciglio. Ha tutto sommato ragione, Mancini, a rammaricarsi per non aver trovato il poker: ma se la scarsa efficacia in fase conclusiva è stata a lungo il tallone d'Achille di questa giovane Italia, si può dire che in parte l'handicap sia stato superato. Manca giusto il citato Chiesa, ad accrescere la forza penetrativa della squadra: lavora tanto in prima linea, per sé e per gli altri, ma non riesce a concretizzare come ci si attenderebbe, e sconta forse la stagione disgraziata della Fiorentina. In compenso, si è visto l'Insigne più convincente di sempre in azzurro, proprio quando la sua esplosione stava diventando una chimera, mentre il trio di centrocampo continua a girare a mille: detto di Barella, visto ancora una volta nelle vesti di abile incursore e con una personalità sempre più svettante, tanto da fargli superare con disinvoltura anche i rari momenti di impasse, sia Jorginho che Verratti si sono fatti valere nelle due fasi, a chiudere, cucire e far ripartire l'azione, gestendo il pallone con proprietà tecnica e sapienza tattica. Insomma, la sostanza c'è, più avanti arriveranno impegni più severi, ma è giusto che ad essi ci si avvicini gradualmente, per consentire una tranquilla maturazione dei giovani (anche se ieri l'autentica linea verde in campo è stata rappresentata dai soli Barella e Chiesa): intanto, vincere aiuta a vincere, e vincere brillando aumenta la fiducia nei propri mezzi di un gruppo che partiva con un fardello pesantissimo sulle spalle, lasciato in eredità dalla precedente gestione.
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