È stata una domenica dolceamara per il calcio stars and stripes. Se la Nazionale maschile ha perso in casa la Gold Cup, il torneo continentale Concacaf (la confederazione del Nord America, del Centro America e dei Caraibi) contro un Messico che ha ribadito una volta di più la sua superiorità sui concorrenti di zona, dall'Europa sono invece giunte ottime notizie. Le ragazze del soccer in trionfo a Lione, campionesse del mondo per la seconda volta consecutiva, quarta in assoluto. Ma questo successo è forse il più significativo di sempre, perché giunto al termine di un Mondiale che resterà probabilmente nella storia come uno spartiacque nell'evoluzione del football femminile. Un torneo che ha evidenziato i macroscopici progressi tecnici di molte nazioni (con l'Italia in primo piano, possiamo dirlo?), e che ha catalizzato l'attenzione di una quantità di spettatori (in loco e davanti al video) impensabile alla vigilia.
INTERESSE A LIVELLI ALTISSIMI - Ribadisco la mia convinzione: non è stato solo un successo artificioso, pompato da una massiccia campagna mediatica. Trucchetti del genere possono reggere per poco tempo e generare comunque un seguito cospicuo ma non eccezionale, mentre per la kermesse francese l'audience è stata enorme e soprattutto accompagnata da una partecipazione e da una passione sintomatiche di un interesse genuino e non teleguidato. Sul campo, è alfine emerso il verdetto più giusto, che racchiude in sé anche il più grosso limite attuale del calciodonne a livello planetario: ancora troppo ampio è il divario qualitativo fra gli States e il resto del mondo. Nell'atto conclusivo, le olandesi hanno opposto una generosa difesa, contro avversarie arrembanti e note per la facilità nel trovare sbocchi offensivi vincenti. Oddio, nella prima mezz'ora il match non è stato granché, con eccessiva frenesia di manovra da parte della favorite e, più in generale, una troppo elevata percentuale di errori tecnici anche banali, al punto da far pensare che le nostre azzurre, pur destinate alla sconfitta contro le americane, non avrebbero sfigurato al posto delle loro giustiziere arancioni.
DOMINIO AMERICANO - Alla lunga, la gara ha preso quota, per esclusivo merito delle campionesse uscenti (e immediatamente... rientranti), che già prima dell'intervallo avrebbero potuto essere avanti nel punteggio: il portiere Van Veenendaal si superava tre volte, prima respingendo una botta di Lavelle, poi neutralizzando una deviazione ravvicinata di Morgan su cross di Rapinoe (con la collaborazione del palo destro) e infine deviando in corner un sinistro della stessa Morgan, la più pericolosa (al suo attivo anche una "spizzata" di testa nell'area piccola, finita di poco fuori bersaglio); segnali inequivocabili di una superiorità che si concretizzava nella ripresa. Tutto si decideva in dieci minuti, fra il 60' e il 70': prima il leader carismatico Rapinoe trasformava un rigore concesso per fallo di Van der Gragt sulla scatenata Morgan, quindi raddoppiava Lavelle con un bel sinistro dal limite al culmine di una discesa iniziata a centrocampo, che le "tulipane" non riuscivano a contrastare. Le europee si sbilanciavano in avanti nel tentativo di riaprire la sfida ma la loro veemenza produceva ben pochi pericoli per la retroguardia avversaria, mentre si aprivano invitanti spazi al contropiede delle statunitensi, che però non ne approfittavano per arrotondare il punteggio.
AZZURRE SUGLI SCUDI - Finiva 2-0 ed era un verdetto scontato, come detto. Ma non è il trionfo delle ragazze del cittì Ellis l'eredità più importante lasciata da questo Mondial francese. Ciò vale soprattutto per il nostro Paese: le azzurre meritano l'elogio pieno per aver centrato un traguardo che alla vigilia in pochi avevano pronosticato. Linari e Bonansea si sono dimostrate giocatrici di statura internazionale, le varie Gama, Giuliani, Giugliano, Galli e Girelli hanno offerto un rendimento elevatissimo, ma tutte in generale hanno buttato il cuore oltre l'ostacolo. Diamo merito a Milena Bertolini di aver allestito una squadra ben organizzata, capace di soffrire in trincea e di sganciarsi in micidiali affondo, pugnace in retroguardia e al centro e spesso rapida e mortifera in avanti. Essere fra le prime otto al mondo è un premio meritato e uno stimolo a continuare la scalata, perché ormai non ci si può più nascondere.
SFONDATO IL MURO DELL'INDIFFERENZA - La svolta c'è stata anche fuori dal campo. Che qualcosa sia cambiato, nel modo del pubblico italiano di approcciarsi al football in rosa, lo dimostra in fondo anche il dato di ascolto della finalissima: c'è chi ha parlato di flop, ricordando le stupefacenti cifre messe in fila dalla Nazionale italiana pochi giorni fa, ma posso assicurare che quasi due milioni di telespettatori (un milione e mezzo circa su Rai 2 e poco meno di mezzo milione su Sky) in una domenica pomeriggio di inizio luglio, per una partita di calciodonne fra due squadre straniere, è qualcosa di più di un miracolo, altro che storie. Questo sport fino ad oggi negletto ha fatto breccia, ma i problemi iniziano adesso: occorrerà quantomeno conservare questo zoccolo duro, perché la passione e l'entusiasmo vanno alimentati. Nella fattispecie, ci vuole un lavoro massiccio sia da parte dei media che delle istituzioni calcistiche: i primi devono assicurare una copertura dignitosa anche durante l'anno, lontano dai big events come i Mondiali, le seconde dovranno investire, migliorare le strutture e l'organizzazione, lavorare per approdare al professionismo.
ANCORA TRACCE DI DISCRIMINAZIONE - Riguardo all'atteggiamento di chi osserva da fuori, se passi avanti sono stati indubbiamente fatti, è anche vero che ci sono ancora grosse lacune culturali: sui social come sui mezzi d'informazione tradizionali, emerge talora un atteggiamento altezzoso e sprezzante verso questa disciplina e verso chi la pratica. Concentrare l'attenzione sulle tendenze sessuali delle praticanti è piuttosto triste (ma poi, cosa interessa a uno spettatore se la tal giocatrice è etero o lesbica? E soprattutto, cosa cambierebbe in un caso o nell'altro nella valutazione della persona e dell'atleta?), il paragone insistito col calcio maschile è del tutto fuori luogo e fuorviante: chiaro che ci siano differenze, che rimangono comunque limitate soprattutto all'aspetto della preparazione fisica, mentre sul piano tattico, del trattamento della palla e dell'approccio mentale agli incontri, i progressi negli ultimi anni sono stati lampanti. Se poi non li si vuole vedere è un altro discorso: io, in questi Mondiali, ho visto giocare un buon calcio, meno frenetico e atleticamente "rampante" rispetto a quello degli uomini, ma comunque gradevole e nient'affatto privo di pathos. Ma i luoghi comuni in stile "il calcio non è gioco da femminucce" hanno fatto danni profondi, e sono del resto il retaggio di una discriminazione fra sessi altrettanto radicata in tutti i settori della nostra società, lavorativi e non.
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