Forse, nel calcio, hanno ragione i rivoluzionari. Forse, dopo un grande trionfo internazionale, bisognerebbe davvero voltare pagina e ripartire da zero, con volti e idee nuove. Certo, non lo si può fare né lo si deve, per tutta una serie di motivi che chi conosce a fondo i meccanismi di questo sport può benissimo comprendere. Ed è a maggior ragione un'ipotesi balzana, se riferita a una Nazionale vincente eppur sostanzialmente giovane, con ancora un promettente futuro davanti. E però, al momento, il quadro è da allarme rosso e potrebbe indurre a pensieri così estremi: l'ho già dolorosamente scritto pochi giorni fa, l'ItalMancio campione continentale non c'è più, si è dissolta, o forse è rimasta inchiodata piedi e testa sul campo di Londra, a cantare, brindare e discettare di pastasciutta.
ERA SVIZZERO IL VERO VANTAGGIO - L'orripilante post Europeo azzurro ha toccato un nuovo fondo ieri sera, in maniera persino prevedibile. Rabbia relativa, da parte mia, al termine della pallida prova di Belfast, nella consapevolezza che l'ultimo, vero bonus ce lo fossimo giocati venerdì a Roma: i playoff ce li siamo guadagnati quella sera, il risicato vantaggio numerico che ancora ci offriva la classifica era solo uno scherzo della matematica, la realtà diceva tutt'altro, ossia che l'inerzia era passata saldamente nelle mani della Svizzera, lanciatissima, col morale a mille, sicura dei propri mezzi e con un ultimo impegno casalingo più che abbordabile. Chi si aggrappava ancora alla differenza reti mentiva a se stesso, già il solo fatto che la qualificazione non dipendesse più solo dal nostro risultato ci poneva in una posizione di disagio: quello che è accaduto poi è stata solo una logica conseguenza, lo sviluppo più naturale.
NON CI SI RICOSTRUISCE IN TRE GIORNI - Nutrivo seri dubbi, e l'avevo scritto, sul fatto che l'Italia potesse imporsi nitidamente in Nord Irlanda; per farlo, dicevo, occorreva rinfrescare la formazione e ritrovare gli antichi standard di gioco, quelli del primo triennio manciniano. Mission impossibile, in tre giorni, perché quegli standard sono quasi sistematicamente mancati, da settembre a oggi. Certo, il primo tempo aveva parzialmente illuso: notevole aggressività, un po' di velocità, ma manovra non esente da errori di tocco e di misura e, soprattutto, ancora una produzione offensiva troppo scarsa, troppo inferiore alle medie di questa gestione, perché al tirar delle somme solo Di Lorenzo con un tiro cross e Insigne, conclusione debole su assist di Berardi che l'aveva messo davanti al portiere, sono andati davvero vicini alla segnatura, e la situazione è ulteriormente peggiorata nella ripresa: nulla, a parte un sinistro di Chiesa di poco a lato e un bel diagonale dalla distanza di Emerson deviato in angolo. E anzi, se andiamo a vedere, i britannici hanno qualche motivo in più per recriminare, perché Donnarumma ha ben salvato su Saville poco dopo l'intervallo e in chiusura, nel marasma tattico in cui era precipitata l'Italia, Washington ha calciato a porta vuota trovando la fortunosa opposizione di Bonucci.
TORNA LA STERILITA' - E' stata, in buona sostanza, una recita all'insegna dell'impotenza, un inno alla sterilità. La prima Azzurra del Mancio aveva piacevolmente stupito tutti anche perché, ponendo fine a un andazzo ormai cronico, sapeva trovare il gol con frequenza, riuscendo alfine a stanare anche avversari che facevano mucchio davanti e dentro l'area. L'ha fatto, lo ripeto per l'ultima volta, per tre anni, non solo ad Euro 2020, ma tanto è inutile cercare di tacitare chi, sfidando il pudore e l'evidenza, torna fuori in questi giorni a sottolineare la mediocrità di questo gruppo e la casualità dei suoi successi. Che sia chiaro una volta per tutte: questo gruppo non è scarso, del resto basta aver visto giocare la Nazionale una manciata di volte, anche prima dell'Europeo. Ma che lo dico a fare?
Ebbene, quella capacità di sfinire i rivali, di lavorarli ai fianchi e poi di affondare i colpi con trame efficaci e persino pregevoli, sembra essersi dissolta. Anche a Belfast tanto possesso, tanti tentativi di costruire, ma al limitar dell'area mancava sempre qualcosa: idee, giocate individuali, visione d'insieme che permettesse di fare le più idonee scelte di passaggio e smarcamento. E anche poca precisione e poca cattiveria al tiro: perché, oltre alle sparute occasioni prima citate, Insigne un paio di volte e Barella ci sono pure arrivati alla conclusione, ma in maniera così innocua da fare solo il solletico a Peacock-Farrell.
CRISI VERA, NON "MOMENTO NO" - Ripeto: se parlo di Italia europea prematuramente dissoltasi, non lo faccio per amarezza (che pure c'è, ed è tanta) o per gusto dell'enfasi. Si dice che sia solo un momento negativo, che a inizio primavera, per gli spareggi, staranno tutti meglio (perché dovrebbero stare meglio di adesso con circa due terzi di stagione di club sulle spalle? E perché ora sono così a terra, in quello che storicamente è uno dei periodi dell'anno migliori per il Club Italia?), ma sette partite spalmate su tre mesi, con due vittorie di scarso rilievo, una sconfitta che ci è costata la Nations League in casa e quattro pareggi equivalenti ad altrettanti ko per gli effetti nefasti che hanno prodotto, non possono essere liquidate come "un momento negativo". E' una crisi vera e propria, risolvibile, certo, ma da affrontare di petto prima che la situazione precipiti definitivamente.
GLI ERRORI DELLA PANCHINA - Per inciso, risulta stucchevole chi ricomincia a parlare di discese dal carro dei vincitori. C'è questa fissazione della discesa e della risalita dal fantomatico carro, quando in realtà si esercita solo il sacrosanto diritto alla critica. Siccome personalmente ho la coscienza più che a posto riguardo all'avventura azzurra di Bobby Gol, allo stesso modo mi sento più che mai libero di suonare la sveglia di fronte a una palese involuzione che altri, non me, hanno colpevolmente preso sottogamba fin dai due passi falsi settembrini, l'inizio dell'incubo. Ed è giusto ribadire, visto che già l'ho scritto, quanto sia stata discutibile la gestione di questo disgraziato finale di girone. Dalle formazioni iniziali alle scelte in corso d'opera, sorvolando su episodi come quello del terzo rigore decisivo lasciato battere a Jorginho. Ieri, nell'ultimo quarto di gara, in campo c'era il caos, con una quantità abnorme di punte ed esterni offensivi che sono andati a intrupparsi nell'affollata terza linea verde, partorendo il nulla: non è certo questo il modo di aiutare Scamacca a crescere (come poteva realizzare un qualche exploit in quel contesto?), né si fa un favore a Belotti continuando a riproporlo in un momento in cui fa fatica, per questioni prettamente fisiche, anche in Serie A. Ma soprattutto, intasare lo schieramento con punte a go go è la classica mossa della disperazione di chi non riesce a trovare il bandolo della matassa, e da Mancini mi aspetto ben altro.
POCO GENIO E IL FALLIMENTO DELL'ATTACCO LEGGERO - Nemmeno l'innesto di Cristante per Tonali è stato una genialata. Il milanista era gravato da un'ammonizione, d'accordo, ma con lui in campo il reparto di mezzo ha girato discretamente, pur se non ai livelli pre e durante Europei, mentre col romanista si è sposata una scelta muscolare che ha ulteriormente tolto linearità e imprevedibilità a una fase di impostazione già asfittica. Insomma, la sensazione è che latitino le intuizioni anche nella guida tecnica, come dimostra la cocciutaggine nell'insistere sul modulo senza punte "pesanti" che sta infilando fallimenti in serie, partita dopo partita. In questo clima crepuscolare si è intristito perfino Chiesa, poco ficcante, poco ispirato, troppo fumoso. Che sta succedendo?
CRESCITA MENTALE MANCATA, IL FALLIMENTO PIU' GRANDE - Non crisetta ma crisi vera, ripeto: un malessere che ha radici profonde, nella testa dei giocatori, nell'impostazione tattica, nella capacità di produrre gioco, in un "manico" non più tanto sul pezzo. Ma l'aspetto più grave, la sconfitta più dolorosa, è che il trionfo continentale, ottenuto in maniera assolutamente meritata, non abbia fornito ai campioni quel'autorevolezza internazionale, quella cattiveria, quel "pelo sullo stomaco" che porta le grandi squadre a cavarsi d'impaccio nelle situazioni più intricate, a far risultato anche senza meritarlo; sono bastate le prime contrarietà per creare sofferenza psicologica, ansia da prestazione, paura di non farcela. Inaccettabile.
I NOMI PER USCIRNE - Si è liberi di pensare che a marzo Jorginho, Insigne e Chiesa, per citare alcuni dei più deludenti nelle ultime uscite, come d'incanto possano rifiorire fino a portarci in Qatar. Personalmente penso sia meglio pararsi le spalle e fare scelte più coraggiose. E torniamo al discorso iniziale: non repulisti da rivoluzionari, ma nemmeno deleterio immobilismo. Rinnovamento nella continuità ci vuole, qualche ritocco da apportare pescando in un mazzo di carte che già sono affidabili o lo saranno presto: insistere su Tonali, lanciare Calabria e magari Dimarco, incrementare la fiducia nei confronti di Lollo Pellegrini e di Gianluca Mancini, riscoprire Zappacosta, Pessina, il fragile Sensi, Politano, dare un palcoscenico europeo a Bastoni, Castrovilli, Zaniolo, Scamacca, Kean e Raspadori. Come si vede, non si tratta di salti nel buio, ma di elementi il cui valore è ben noto a Mancini, alcuni di essi già da tempo nel giro azzurro. E, fra i "grandi vecchi", recuperare Spinazzola e Verratti, queste sì assenze pesanti, come sta pesando, piaccia o no, quella di Immobile, che ad esempio in Irlanda sarebbe servito come il pane. Una manata di bianco, una rinfrescata che servirebbe anche da stimolo per alcuni titolarissimi forse troppo sicuri del posto.
IL SORTEGGIO NON CONTA - Ma il tempo stringe, i test match a disposizione saranno giusto un paio, a gennaio, e i playoff nuova formula sono una roulette russa. Una cosa deve essere ben chiara: non sarà un problema di sorteggio e di abbinamenti. La vera Italia targata Mancio, anche solo l'80 per cento di quella che ci ha fatto stropicciare gli occhi all'Europeo, può farcela benissimo pure contro Russia e Portogallo; l'Italia degli ultimi incontri è destinata a patire anche contro Austria (già successo a Wembley, peraltro), Ucraina, Galles e Macedonia. Il problema siamo noi, non chi ci troveremo davanti. Ripartiamo da questa consapevolezza e da un'analisi spietata dei nostri errori a cui nessuno dovrà sottrarsi, cittì in testa. Il quale, se mi è consentito, potrebbe anche evitare di sottolineare che, comunque, "Noi ai Mondiali ci andremo". A parte che certe uscite ricordano sinistramente il peggior Ventura, siamo tutti adulti e vaccinati e non abbiamo bisogno di rassicurazioni che oltretutto non rassicurano per nulla, visti gli esiti del campo. Ci vogliono fatti, perché il secondo Mondiale consecutivo mancato sarebbe la fine di "questo" calcio italiano.
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