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sabato 13 novembre 2021

QUALIFICAZIONI MONDIALI: ITALIA-SVIZZERA 1-1. GLI AZZURRI E MANCINI SONO RIMASTI A WEMBLEY, GESTIONE INACCETTABILE DEI MOMENTI TOPICI. URGE RINFRESCARE LA FORMAZIONE

Tradimento azzurro. Non avrei mai pensato di dover usare espressioni così forti nei confronti dell'Italia di Mancini. Non così presto almeno. Ma anche le storie più belle prima o poi finiscono. Perché la realtà dei fatti questo dice: la Nazionale europea si è dissolta in questo freddo e grigio autunno, non esiste più, ed è opportuno prenderne atto prima che sia troppo tardi. Il dopo Wembley è stato fin qui una via crucis, un viaggio doloroso attraverso tappe opache, deludenti, discutibili: tolti il 5-0 alla Lituania, che fa relativamente testo, e l'acuto col Belgio, in quella che qui ho definito poco più di un'amichevole di prestigio, abbiamo assistito al ko interno con la Spagna, contraddistinto da fasi di gioco quasi umilianti, e a tre pareggini che equivalgono ad altrettante mezze sconfitte, se è vero che hanno fatto pericolosamente impennare la strada verso il Qatar. 

Già i due passi falsi settembrini di Firenze e Basilea avevano fatto suonare chiari allarmi, che su queste pagine erano stati prontamente sottolineati ma che troppi avevano preso sottogamba. Ora, se è vero che tre indizi fanno una prova, qui di indizi ne sono stati accumulati decisamente di più, fino all'abisso di ieri sera, alla "partita dell'anno", così l'aveva pomposamente battezzata il CT (dimenticando che  le nostre partite dell'anno si sono giocate in luglio), approcciata in maniera che definisco soltanto approssimativa, per carità di patria, e che si è sviluppata sotto i nostri occhi come sappiamo. 

COME BEARZOT - La sensazione, da parte mia, è netta: il Mancini post Londra somiglia pericolosamente al Bearzot post Mundial '82. Bobby-gol è rimasto fermo a quell'impresa, la sua foga opportunamente innovatrice si è placata, la sindrome della riconoscenza e della fedeltà al gruppo storico lo hanno incatenato come accaduto al suo mitico predecessore. Non saprei spiegare in altra maniera il surreale schieramento iniziale di Roma, con un Barella uscito malconcio dal derby, con Belotti a scartamento ridotto dopo il lungo infortunio e sì e no al 30 per cento delle proprie possibilità, con un Insigne che in questa prima parte di stagione si è costantemente dimostrato poco "a fuoco" in rappresentativa. 

Non è un caso che i pochi sprazzi degni di nota, all'altezza di una compagine campione continentale, si siano manifestati all'ingresso in campo di Tonali, svettante nel reparto di mezzo, e Berardi, guizzante e propositivo. Due che dovevano essere dentro da subito, come Calabria e Raspadori, entrati a giochi ormai fatti: e se è vero che la minuscola punta del Sassuolo continua a incidere poco nei match di alto livello con la Selezione, è altresì innegabile che forse bisognerebbe puntare su di lui (o su Kean, o su Scamacca) fin dall'inizio, perché giocando pezzettini di partita risulta giocoforza più impervio l'inserimento in un meccanismo tattico comunque complesso come il nostro. E, stante la penuria drammatica di attaccanti di peso, non possiamo permetterci di vivacchiare nell'attesa della maturazione di Lucca, che promette tantissimo ma al momento è soltanto al primo anno di Serie B. 

IL POLSO DELLA SITUAZIONE - Il cittì, lo ribadisco, sembra prigioniero di un sogno, il nostro bellissimo sogno estivo. E' rimasto inchiodato sulla panchina londinese. Perché un allenatore che abbia il polso della situazione, all'89esimo minuto, o urla a squarciagola o entra in campo per strappare il pallone dalle braccia di Jorginho e affidarlo a qualcun altro, che sia Berardi, Bonucci, Chiesa o addirittura Tonali. "Si sentiva di tirarlo", quel rigore, si è detto a fine gara. Già: in genere i calciatori si sentono di fare tutto, anche l'impresentabile Barella di ieri si sentiva di restare in campo, e del resto la storia è piena di pugili che si sentivano di restare sul ring e poi sono finiti all'ospedale massacrati di pugni. Un trainer, a questi livelli, non può affidarsi mani e piedi al "sentiment" dei suoi atleti. E non mi si venga a dire, per favore, che comunque l'italobrasiliano resterà il rigorista principale della squadra. Sono convinto che così non sarà, perché le gerarchie non sono immutabili, e in tal caso potevano essere cambiate con congruo anticipo; se invece così sarà, attendo con curiosità di vedere cosa accadrà dopo un eventuale quarto penalty decisivo sbagliato. Come se dare un paio di turni di riposo sulle massime punizioni fosse un'offesa o una diminutio. 

PASSI INDIETRO RADICALI - Chiaro, poi, che l'episodio del tiro dal dischetto mandato alle stelle rappresenti solo la punta dell'iceberg, però è sintomatico di uno stato di disagio che parte dalla panchina per trasferirsi a tutta la squadra. Ed è evidente che, al ritorno in campo dopo l'indimenticabile trionfo di pochi mesi fa, il Club Italia abbia fatto passi indietro sotto ogni profilo: tecnico, tattico, atletico, e soprattutto mentale. Ritmo, brillantezza, precisione, ferocia, continuità non sono più quelli dei primi tre anni di questa gestione. Le ragioni? Onestamente non saprei. Se è vero che si è già manifestato un qualche appagamento inconscio, il tradimento sta soprattutto qui, perché l'Italia europea, al contrario di quella mundialista del 1982, non è una compagine al capolinea, sulle soglie dell'anzianità, ma, a parte pochi elementi (Bonucci e Chiellini soprattutto) ancora sostanzialmente giovane e quindi, in teoria, con la fame giusta per poter inseguire altri traguardi. Anche perché dopo l'Euro ci sarebbe il Mondiale, non proprio un torneo di dopolavoristi, e gli stimoli dovrebbero sorgere in automatico. 

RINFRESCARE LA FORMAZIONE: SI PUO' - Ma tant'è, ripeto: l'ItalMancio, l'Azzurra d'assalto che abbiamo conosciuto e apprezzato dall'autunno 2018 in poi, non c'è più. Forse è solo un momento, forse i Jorginho e gli Insigne ritroveranno l'inesorabilità di un tempo, ma al momento la cruda realtà è questa. E quando all'inizio ho detto che "è opportuno prenderne atto prima che sia troppo tardi" non mi riferivo certo a soluzioni drastiche, a repulisti vari, ci mancherebbe: Mancini è saldo in sella e merita il nostro appoggio (non incondizionato, però), la rosa da lui costruita fornisce ancora, in larga parte, buone garanzie. Semplicemente, si chiedono quei correttivi di formazione che l'attuale bacino azzurro consente: nonostante gli ultimi rovesci abbiano ridato fiato ai boccheggianti contestatori a oltranza, quelli per cui i calciatori italiani sono scarsi a prescindere (incredibile: nemmeno un meritato titolo europeo li ha tacitati), dietro ai campionissimi c'è una manciata di elementi in grado di sostituire (momentaneamente o definitivamente) certi abulici titolari senza farli troppo rimpiangere, e i nomi per il ricambio graduale, personalmente, ho cominciato a farli addirittura nel commento post Inghilterra-Italia, quindi personalmente la coscienza l'ho a posto. 

VANTAGGIO NOSTRO? SOLO SULLA CARTA - Restando all'attualità stringente, non sono indotto a ragionare sul futuro immediato con troppo ottimismo. Sarà per la rabbia che ha suscitato in me la prestazione di ieri, rabbia che, giuro, non provavo da Italia-Svezia, ma non mi sento di dar troppo credito a chi dice che abbiamo ancora il coltello dalla parte del manico, grazie ai due golletti di vantaggio nella differenza reti. I numeri dicono questo, certo, ma il campo sta dicendo altro: ossia che la squadra in vantaggio di classifica e psicologico, ossia la nostra, sta mostrando enorme disagio, come se fosse lei a dover rincorrere, mentre gli svizzeri inseguitori giocano in scioltezza e con atteggiamento positivo. Anche questo si è detto: un'Italia schiacciata dalla responsabilità di dover vincere. A parte che un'affermazione del genere è risibile, se applicata a una rappresentativa campione continentale, se fosse vero sarebbe un ulteriore tradimento, perché vorrebbe dire che Euro 2020/21 non ha dato a questo gruppo quella personalità internazionale che serve anche per tirarsi fuori dai guai nelle serate peggiori, e per vincere partite pur senza meritarlo, come quella di ieri. 

Quindi: per la classifica siamo ancora avanti noi, mentalmente la situazione in mano, piaccia o meno, l'hanno gli uomini di Yakin. Che hanno strappato due punti ai rivali freschi di gloria, hanno segnato in casa loro (anche questo potrebbe contare, alla fine), hanno evitato due sconfitte in maniera anche rocambolesca e ora si trovano di fronte a un impegno casalingo tutto sommato semplice, contro la modestissima Bulgaria che noi non siamo riusciti a piegare. E' vero, l'Italia vola a Belfast ad affrontare un team anch'esso di mediocre qualità, ma gioca in trasferta, fatto non trascurabile, e dovrebbe imporsi con un discreto scarto di reti (almeno tre, mi vien da dire) per mettersi al riparo da eventuali goleade elvetiche che purtroppo, al momento, non mi sento di escludere. 

OTTIMISMO? DI FRONTE A CERTE PRESTAZIONI... - Il punto è questo: l'Italia attuale è in grado di vincere nitidamente in Nord Irlanda? Sinceramente ho i miei dubbi. Il match di ieri non ha offerto spunti incoraggianti. Già si è detto dei momenti topici gestiti in maniera superficiale: non solo il rigore, ma anche il contropiede "infantilmente" preso, che ha poi prodotto la rete di Widmer. Ma in quel terrificante primo tempo, i rossocrociati hanno scherzato col centrocampo azzurro, facendolo quasi a fette con le loro veloci incursioni, recuperando palloni e manovrando in velocità, ciò che noi non sembriamo più in grado di fare. Sono naufragati tutti, lì in mezzo, e anche peggio sono andate le cose in avanti, con il trio di punta assente ingiustificato, non un guizzo, non una conclusione pericolosa; uniche occasioni per Barella, che non ha saputo ribadire in gol da pochi passi dopo un tiro di Jorginho smorzato da Zakaria, e per Di Lorenzo, che ha messo dentro di testa su punizione di Insigne. Schema elementare, da preistoria del calcio, utilizzato più o meno da tutti in ogni epoca, ma che ieri qualcuno ha esaltato come capolavoro covercianese. Mah...

TONALI E BERARDI SEMPRE DENTRO - Qualcosa di più si è visto nella ripresa, soprattutto, lo si è detto, dopo gli ingressi di Tonali e di Berardi, che ora come ora dovrebbero essere sempre nell'undici titolare. Un bel tiro di Insigne deviato da un difensore, sul quale Sommer si è salvato neanche lui sa come (il portiere elvetico è bravo ma, va detto, anche molto fortunato, e prima o poi la fortuna gira...), un'occasionissima per Chiesa che si è trovato nelle condizioni migliori per battere a rete ma ha orrendamente alzato sulla traversa, e poi lo sciagurato rigore che si era procurato abilmente l'ispirato Berardi. Non molto, come si vede. Dove è finita l'abbondante produzione offensiva del Club Italia? Ora i nostri manovrano e toccheggiano senza trovare sbocchi, si muovono attorno all'area avversaria senza riuscire a mettere nei sedici metri finali palloni davvero insidiosi, cincischiano, concludono poco, e mancano anche di precisione, facendo morire sul nascere costruzioni potenzialmente ricche di sviluppi. Tutto questo, senza dimenticare che gli ospiti avrebbero potuto piazzare il ko con Okafor subito dopo lo 0-1, e mandarci anticipatamente agli spareggi nel finale, con il mancato tocco in rete di Zeqiri dopo svarione di Donnarumma. 

Ecco, questo è  accaduto in una gara affrontata in buonissime condizioni di partenza, se non proprio ideali, con il destino serenamente nelle nostre mani. Dopo una prova del genere si può essere ottimisti? Insomma... Ricordiamo che, se siamo ancora primi per una strettissima incollatura, lo dobbiamo ai tre 2-0 consecutivi di inizio anno, mentre il trend recente fa tremar le vene ai polsi. L'Italia può vincere largo, lunedì, se ritrova le antiche misure di gioco: ritmo, rapidità, continuità di azione e velocità di esecuzione, precisione nei passaggi e nella battuta a rete. Ovvero, tutto quello che da settembre ad oggi non è stato quasi mai fatto. Si può cambiare pelle in tre giorni? Sì, ma solo rinfrescando la formazione. Nel momento attuale, sperare in reazioni d'orgoglio dei leoni feriti mi pare esercizio puramente fideistico, senza fondamento tecnico. 

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