Dunque, ho visto "Sole a catinelle". L'ho visto perché, piaccia o non piaccia, sul piano commerciale è stato il fenomeno cinematografico italiano del 2013, e alla nascita di questo fenomeno ho in pratica assistito in presa diretta. Alcune settimane fa, prese forma davanti ai miei occhi l'oceanico assalto ai botteghini in una delle prime giornate di proiezione della terza opera di Checco Zalone. Ero in coda per vedere un altro film, ma quella massa di gente di ogni età mi colpì, inevitabilmente. Scoprire i segreti di questo travolgente successo è impresa ardua: certi boom a volte nascono per caso, o sono comunque figli di fattori e contingenze che esulano dalla mera qualità artistica della pellicola. Lo stesso, del resto, avviene in un altro settore "pop" dalle tendenze molto ondivaghe e difficilmente inquadrabili, quello della musica leggera, con canzonette di scarsa consistenza autoriale che diventano autentici tormentoni planetari (ricordate il modesto "Gangnam style" che, giusto l'anno scorso di questi tempi, ci veniva proposto in tutte le salse ovunque, dalla radio a Internet, persino nei telegiornali?).
FACILE PRESA - Se proprio si volesse azzardare una spiegazione, si potrebbe dire che nel mondo della canzone sfondano più sovente l'immediatezza e la semplicità, e lo stesso criterio si può applicare alla celluloide. Ecco, con una forzatura linguistica "Sole a catinelle" può essere catalogato come un film... orecchiabile, di facile presa, e come tale costruito su misura per conquistare la vetta della hit parade. Attenzione: non siamo di fronte a una "trashata" indegna, come molti l'hanno aprioristicamente bollata. "Sole a catinelle", diretto da Gennaro Nunziante, è un prodotto onesto e pulito: tiene fede alle premesse, perché si ride, si ride davvero. I cali di "tensione comica" sono ben pochi, e soprattutto ben poche volte si scade nella trivialità "dura e pura" per strappare il sorriso allo spettatore. Zalone conosce il mestiere e lo ha affinato negli anni: è uno "zelighiano" atipico, nel senso che, al contrario di molti dei colleghi con cui ha condiviso il popolare palcoscenico Mediaset, è in grado di sopravvivere decorosamente anche al di fuori dello show campione di ascolti televisivi.
NON SOLO ZELIG - Non è un cabarettista da tormentoni, uno di quelli, per l'appunto, che fanno la fortuna di programmi come il citato "Zelig", o il vecchio "Drive in" o, ancora, il nuovo "Made in Sud", ma che tolti da quel meccanismo rigidamente schematico finiscono col boccheggiare come pesci fuor d'acqua: Checco ha un repertorio più ampio e articolato, sia pure con certi capisaldi, dall'ostentata e artefatta ignoranza linguistica a certi pregiudizi tipici di un'italianità non ancora scolarizzata o culturalmente arretrata, fino a un pizzico di sbrigativa perfidia nell'affrontare argomenti non facili; in più, la solita pennellata musicale, un suo marchio di fabbrica, con la canzoncina "finto - seria" o ironica tout court, eppure costruita con la perizia tecnica di una vera hit commerciale (nel caso specifico, "Superpapà", orecchiabile sigla del film).
IRONIA NON OFFENSIVA - "Sole a catinelle" non ha in sé molto di originale, il canovaccio è semplice e lineare, ma fa leva sull'attualità più stretta, sul dramma del restare senza lavoro, della crisi professionale che finisce col riverberarsi anche sulla famiglia, mettendo a repentaglio annosi legami affettivi. Poi, certo, il dramma vira ben presto in farsa, ma non nego che nelle battute iniziali del film il sottoscritto abbia persino avvertito un vago senso di malinconia, un certo magone di sottofondo, perché parlare di licenziamenti e di difficoltà a sbarcare il lunario di questi tempi è pur sempre un pugno nello stomaco. Zalone e la sua squadra riescono ad alleggerire un tema pesante, ispido, ma lo fanno in modo non offensivo, ironizzando il giusto e offrendo sempre una chiave di lettura ottimistica, un voler cercare lo sbocco positivo anche in situazioni dai risvolti amarissimi. Intrecci narrativi per palati facili e lieto fine assicurato, ma vi è qualcosa di disdicevole in tutto ciò? Altri registi, altri attori sviscereranno in modo crudo la piaga della disoccupazione galoppante. Zalone invita al sorriso e, ripeto, lo fa con misura, da battitore libero, giocando sempre sul filo del "politicamente scorretto", com'è suo costume, ma senza pesantezza e riuscendo comunque a non minimizzare, a non "svuotare" del reale significato la difficile situazione sociale rappresentata,.
OTTIME SPALLE - Tuttavia, non siamo davanti a un "one man film", e questo è un altro punto a favore della pellicola. Zalone è ovviamente il mattatore, ma si è saputo circondare di spalle all'altezza. Il termine "spalla" va sottolineato, perché, certo, l'unico protagonista è lui e gli altri fanno contorno, ma è un contorno sostanzioso, attivo. Bravissimi i due bambini, Robert Dancs che impersona Nicolò, lo studiosissimo figlio di Checco, davvero un mostro di abilità recitativa, così come Ruben Aprea nei panni di Lorenzo, il "ragazzino problematico" (l'espressione è usata da Checco, a proposito del mutismo selettivo da cui il piccolo è affetto): due mini attori che potrebbero dare lezioni a tanti interpreti di alcune sciape fiction Rai e Mediaset, gonfie di prove attoriali "adulte" francamente imbarazzanti.
Ho rivisto con piacere Valeria Cavalli, che ricordo come valletta, assieme alla splendida Jinny Steffan, ai tempi dello show di Raiuno Fantastico 4, quello con Gigi Proietti e Teresa De Sio. E Marco Paolini, mai sopra le righe, riesce a ritagliarsi una sua credibilità scenica anche al di fuori del contesto di "teatro civile" che ormai è il suo brodo di coltura ideale. Basta tutto questo a spiegare pienamente il tutto esaurito di "Sole a catinelle"? No, chiaro, ma va anche detto che far comicità, in Italia, pare essere diventata oggi un'impresa titanica. Zalone è uno dei pochi in grado di riuscirci in maniera organica, e non solo con il rapido sketch "one shot": che il pubblico si precipiti a guardarlo non è, in fondo, più di tanto sorprendente.
mi fa piacere che pure tu abbia apprezzato o quantomeno valutato in maniera scevra da facili preconcetti un film certamente non catalogabile alla voce "capolavoro", nè tantomeno paragonabile alle vecchie commedie all'italiana. Tuttavia hai colto tutti gli aspetti che sostanzialmente avevano colpito positivamente anche me. Nota di merito davvero ai due bimbi, in particolare "il figlio". Non so se hai letto anche tu, ma in pratica la parte era già stata assegnata a un attore a quanto pare altrettanto convincente, quando spuntò questo timido bambino romeno accompagnato dalla madre, a cui bastarono pochi minuti e una decisa e spontanea interpretazione per stregare tutta l'equipe. :-)
RispondiEliminaNo, non la sapevo questa storia, ma hai usato la parola giusta: spontaneità. Ecco, tanto per non far nomi, molti degli attori della recente fiction su Meroni, sulla quale del resto mi ero già espresso, dovrebbero, davvero, andare a lezione da questo bambino, per apprendere disinvoltura e spontaneità recitativa.
Elimina