Cerci: vero rinforzo per il Grifo
Quota quaranta punti è raggiunta, il Genoa è fuori dalle secche. Sono sincero, come sempre: a gennaio, al culmine dell'orribile sequela di cinque sconfitte consecutive (con la... ciliegina sulla torta dell'ingiustificabile eliminazione in Coppitalia per mano dell'Alessandria, a Marassi), non avrei mai scommesso su una salvezza "virtuale" messa in cassaforte con così ampio anticipo. Recito dunque il mea culpa, e del resto è facile vedere orizzonti cupi quando si accumulano così tanti segnali negativi come avvenne in quel periodo: partite perse dopo aver meritato di vincere (Bologna), gol decisivi sbagliati a porta vuota o giù di lì (Lazovic nel derby), acciacchi a catena e squalifiche di uomini decisivi (Pavoletti, Perotti).
Sembrava la classica stagione stregata, anche per le zavorre lasciate in eredità da un'estate tormentata: la qualificazione europea svanita per mancata licenza, nuovi acquisti di fuorivia che, settimana dopo settimana, trapanavano l'acqua in maniera sempre più evidente, e un Gasperini che pareva aver perso i suoi... poteri magici, come dimostrava il gioco della squadra, appannato come raramente era capitato durante la sua lunga permanenza in Liguria. Già, Gasperson: senza far torto a nessuno, mai come quest'anno appare chiara, evidente, lampante la sua impronta sul raggiungimento dell'obiettivo prefissato. Perché ha ricostruito il morale di una truppa psicologicamente rasa al suolo da quell'inizio di inverno, ha ricaricato e motivato giocatori reduci da mesi difficili e tratto il massimo da elementi non propriamente eccezionali; perché, infine, ha saputo incrementare il rendimento del complesso proprio quando sono venuti a mancare due apparenti pilastri, il Pavoletti lanciato verso l'azzurro e poi appiedato da un lungo infortunio, e quel Perotti sulla cui importanza, peraltro, si è francamente ricamato un po' troppo.
IL PEROTTI SOVRASTIMATO - La partenza per Roma dell'agile fantasista aveva provocato crisi di disperazione fra molti tifosi e pessimismo cosmico presso diversi addetti ai lavori, che ritenevano l'argentino figura chiave per la manovra offensiva rossoblù. Personalmente, il Perotti visto quest'anno non mi ha mai convinto, e del resto i dati oggettivi, quelli che più contano nel calcio, parlano di un'incidenza minima sulla classifica da parte sua. Alessio Cerci, suo sostituto quasi testuale sul piano della classe pura (no, non è una bestemmia) e su quello tattico, è stato più decisivo in un paio di mesi che non Diego in tutto il girone d'andata. Questa è la cruda verità, piaccia o non piaccia: sul fatto che poi Perotti, una volta nella Capitale, si sia scatenato con gol, tiri, assist e una presenza costante nel vivo dell'azione che qui non si vedeva da tempo, preferisco sorvolare. E' pur vero che il contesto tecnico giallorosso è nettamente superiore rispetto a quello del Grifone, oltre ad essere più stimolante quanto a traguardi da inseguire, ma non è che in casa Genoa si piangesse miseria o vi fosse penuria di talento: da Perin a Burdisso, da Izzo ad Ansaldi, da Laxalt a Rincon, da Dzemaili a Pavoletti, mi pare non ci fosse da strapparsi i capelli per la disperazione, perché gente che parlava il suo medesimo linguaggio calcistico ce n'è anche qui. Forse era solo questione di carattere, scarsa adattabilità alle situazioni difficili, ciò che distingue gli ottimi calciatori dai campioni e dai fuoriclasse.
MERCATO DI GENNAIO OK - Perotti sotto zero, dunque, mentre Cerci e Suso hanno spinto il Vecchio Balordo lontano dalle fiamme dell'inferno. Ecco la conferma a una mia vecchia teoria: fra le tante brutture del football italiano d'oggi, il mercato di riparazione piazzato a gennaio è una delle poche cose da salvare. Se fatto con criterio, può consentire di rimediare agli errori agostani, anche ai più clamorosi, e di rimettere in sesto una barca che fa acqua da tutte le parti. E' successo sotto il Cupolone, col citato Perotti e con l'indemoniato El Shaarawy, gioiello ritrovato a cui si aggrappa la fragile (sul piano delle risorse in prima linea) Nazionale di Conte: è accaduto, più modestamente, sotto la Lanterna, dove i due ex milanisti hanno dato sprint e imprevidibilità nei sedici metri finali, col supporto, alle spalle, dell'impagabile Luca Rigoni, sostanza, intelligenza tattica e colpi da bomber consumato sotto porta, la classe operaia che va davvero in paradiso.
CERCI NELL'ANNO BUONO - Cerci è uno di quei calciatori che fa quasi innervosire, per il patrimonio di talento sprecato. Aveva tutto per sfondare ad alti livelli, invece è rimasto imprigionato in quel limbo che ha inghiottito tanti calciatori nostrani venuti alla ribalta nel primo decennio del secolo, ragazzi che sembravano destinati a spaccare il mondo e invece entreranno nei libri di storia del pallone come grandi incompiuti. Alessio fece grandi partite in azzurro, durante la gestione Prandelli, ne ricordo soprattutto una col Brasile in amichevole (un 2-2 in cui i nostri avrebbero meritato la vittoria), al Torino recitò un ruolo fondamentale nell'innalzare Immobile in vetta alla classifica cannonieri di Serie A, fu quindi giustamente selezionato per il Mondiale 2014, dove fallì come quasi tutti, ma avendo a disposizione un minutaggio estremamente ridotto. Anche al Milan, quest'anno, le cose sono andate male, a lui e ad altri attesi protagonisti, ma in rossoblù, prima di fermarsi per un infortunio, ha prodotto gol e assist fondamentali, anche trasformando con freddezza rigori pesanti come macigni.
GASPERINI, IL MIGLIORE - Al di là del contributo dei singoli (l'esperienza internazionale di Ansaldi e Rincon, il dinamismo di Laxalt, la crescita di Izzo, l'utilità di Munoz, un Perin di nuovo da Nazionale), sono da sottolineare, dunque, l'impennata sul piano mentale e della personalità, e la capacità del trainer di serrare le fila e di tenere saldo il timone in un ambiente fin troppo fumantino, anche per via dei rapporti tesi fra lo stesso mister e alcuni esponenti della tifoseria. Insomma, nonostante una stagione all'insegna delle vacche magre, dopo quella della ritrovata grandeur e dell'Europa conquistata "solo" sul campo, il Genoa in versione 2016 merita ugualmente l'elogio pieno, per la perentorietà con cui è riemerso da mazzate che avrebbero abbattuto anche un toro. E vien da pensare a cosa sarebbe stato, di questa "temporada", senza quello sciagurato scivolone col Carpi, secondo me la svolta negativa, un tonfo talmente assurdo che non poteva non lasciare tracce pesanti.
GENOA CHIAMA ITALIA - Pazienza: è già un successo poter puntare al raggiungimento delle prime dieci posizioni, il massimo a cui questa squadra potesse aspirare in partenza, e guardare al derby della penultima giornata come una mera occasione per stabilire le gerarchie cittadine, e non come un "mors tua vita mea"; il tutto, sulla scorta di un rendimento interno da alta classifica (nove vittorie a Marassi, come in tutto il campionato scorso), il Ferraris tornato fortino. Senza tralasciare un particolare: questo team ha ritrovato un'anima italiana, dopo le eccessive concessioni al'esterofilia dell'ultimo anno; Perin, Izzo, Rigoni, Cerci, Pavoletti, tutti decisivi, alcuni con prospettive azzurre assai concrete. Avere un cuore azzurro è importante, in questi tempi grigi per il vivaio nazionale. E il Genoa è il papà del calcio italiano, deve tenere alta questa bandiera oltremodo sgualcita.
DOMANI? MEGLIO COL GASP... - Il futuro? Col Genoa, il futuro cambia vorticosamente, ogni anni si riparte con tantissime novità non tutte gradite, non tutte necessarie (anche se ultimamente un filo conduttore si trova, uno zoccolo duro in spogliatoio si è formato): dunque, è inutile tormentarsi con ipotesi di partenze illustri e arrivi non all'altezza. Certo, l'unico autentico elemento di continuità, una garanzia pressoché totale per la sopravvivenza ai massimi livelli, è Gasperini, che ha ripetuto fino alla noia di aver fatto la sua scelta l'anno scorso (prolungando il contratto), chiarendo però di aver bisogno di una società credibile e di un presidente forte, ciò che dal giugno scorso in poi, col pasticciaccio Uefa, le incognite di bilancio, le trattative per la vendita del club non andate in porto, francamente non si percepisce. Non si possono nemmeno chiamare pretese, le sue: sono i requisiti minimi per poter continuare a lavorare fruttuosamente. Chiaro che il Genoa sopravviverebbe anche senza Gasp (che non può essere eterno), ma, dopo l'ennesimo capolavoro, Preziosi può permettersi di lasciarsi sfuggire il trainer che più ha capito la piazza (senza per questo blandirla), l'ambiente societario e le sue dinamiche, che sa gestire mirabilmente il gruppo e valorizzare tutti i giocatori valorizzabili, offrendo anche scampoli di buonissimo calcio?
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