Powered By Blogger

mercoledì 15 agosto 2018

CROLLO DEL PONTE MORANDI: LA TRAGEDIA DI GENOVA E DI UN'ITALIA PRIGIONIERA DEL PASSATO


Trentanove morti è una cifra raccapricciante. Richiama alla memoria l'Heysel, quella assurda strage allo stadio nel 1985, solo che questa volta il dato numerico è terribilmente provvisorio, forse destinato ad aumentare nelle prossime ore. Il crollo del viadotto Morandi a Genova è un colpo al cuore: mai una tragedia così enorme, immane, assoluta, era avvenuta a così poca distanza da me e dai miei affetti. Mio fratello, che lavora in zona, ha percorso innumerevoli volte in auto quel ponte, come del resto tantissime altre persone, non solo genovesi, tutti i giorni, da decenni a questa parte: perché era un'infrastruttura portante del trasporto regionale, un'arteria centrale. Mai come in questo caso, dunque, è lecito dire che poteva davvero accadere a chiunque. Scriverlo fa male, genera un senso di angoscia insopprimibile, di smarrimento, ma è così, è la realtà delle cose. E l'angoscia che abbiamo provato io e la mia famiglia, ieri, l'hanno provata in tantissimi, forse tutti, in città e non solo.
Si parla spesso di tragedie all'italiana: bene, quella di ieri è la rappresentazione plastica di tale tipologia di sciagure. Un'opera di ingegneria fiaccata dalla vecchiaia, verosimilmente non più in linea con i moderni standard di sicurezza, non più in grado di reggere quantitativi di traffico imparagonabili con quelli dell'epoca di costruzione (fu ultimata nel 1967): del resto non sono io a dirlo, perché l'ultima cosa che vorrei fare in questo momento è improvvisarmi esperto di questioni a me ignote. Ci sono le affermazioni di chi già in tempi non sospetti aveva denunciato, senza tanti giri di parole, la pericolosità del viadotto sul Polcevera: pareri di tecnici come Antonio Brencich, docente di Costruzioni in cemento armato presso l'Università di Genova, che già nel 2016 aveva parlato di quel ponte come di "un fallimento dell'ingegneria"; e poi interrogazioni parlamentari, come le due del senatore Maurizio Rossi nel 2015 e nel 2016, fino a una recentissima seduta di una Commissione del Comune di Genova dedicata all'argomento, come ricorda oggi il Corriere della Sera. Tanti interventi di manutenzione e di consolidamento nel corso del tempo, problematiche più volte segnalate ma, come al solito, si è attesa la catastrofe prima di por mente a ipotesi di interventi radicali. 
Nel dramma, la conferma di una sensazione sgradevolissima, terribile, che in molti in questi ultimi anni stiamo provando: quella di un'Italia prigioniera del passato, un'Italia che cade a pezzi nell'incuria e nell'indifferenza di chi avrebbe i mezzi, il potere, il denaro per porre rimedio. La malagestione della cosa pubblica fa danni da secoli, ma quando il prezzo da pagare è rappresentato da decine di vite umane bisogna dire basta, una volta per tutte, perché la salvaguardia della salute delle persone dovrebbe essere al primo posto fra le priorità delle istituzioni, delle aziende pubbliche e private. Da almeno due lustri assistiamo alla decadenza di infrastrutture non più moderne, così come di vestigia storiche del nostro ex Bel paese. Ritengo però che stavolta la cosa non finirà nel dimenticatoio tanto facilmente: 39 morti accertati a oggi, decine di feriti e sfollati, come in un terribile terremoto, sono cifre che nessun uomo politico può pensare di ignorare senza andare incontro al disprezzo dei cittadini elettori; dopodiché, è triste dirlo ma occorre essere pragmatici, quel ponte, una specie di cattedrale nel deserto nel Ponente di Genova, rappresentava, lo si è detto, uno snodo chiave per la viabilità della città, della Liguria, del Nord Italia, fondamentale anche per i traffici commerciali; dovranno quindi essere studiati e realizzati nuovi percorsi, nuove costruzioni al passo coi tempi, e dovrà essere fatto a stretto giro di posta, pena una gravissima congiuntura economico - lavorativa destinata a colpire la città e la nazione stessa, una città e una nazione già fiaccate da un decennio di crisi, nonostante gli sbandierati, flebili sintomi di ripresa di cui, però, la gran parte della popolazione non riesce a percepire i presunti benefici effetti. 
Rimane il senso di sbigottimento per una giornata fra le più terribili della mia vita. Perché, davvero, è come se ci fossimo stati noi tutti, su quel ponte. Decine di esistenze finite in un amen, all'improvviso, persone che hanno avuto il solo "torto" di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, destino maledetto; altri che si sono salvati per il fatto di essere passati poco prima, e magari hanno visto negli specchietti retrovisori la strada che crollava e le macchine che andavano giù; o chi, come l'autista del pulmino della Basko reso famoso da una foto che è già tristemente storica, ha avuto la prontezza, ma soprattutto l'immensa fortuna, di azionare il freno a pochi metri dalla morte. Sono cose che fanno rabbrividire anche chi non è stato colpito direttamente negli affetti, momenti che rimarranno scolpiti nella mente, sequenze di orrore che periodicamente torneranno davanti ai nostri occhi, come drammatici flash. 
In gioventù, ho vissuto in un mondo sostanzialmente sereno, o forse lo percepivo così perché ero solo un ragazzino e non avevo piena consapevolezza dei problemi più o meno gravi che affliggevano l'umanità, anche se mi piaceva tenermi informato, guardare i telegiornali, dare uno sguardo ai quotidiani. Di certo, oggi, c'è che dall'adolescenza in poi ho attraversato invece una serie incredibile di drammi, locali, nazionali e internazionali, che non mi sarei mai immaginato e che speravo mi fossero risparmiati: la rivoluzione romena, la prima guerra del Golfo, le stragi e gli attentati della mafia, la guerra nell'ex Jugoslavia, il sanguinoso G8 di Genova, le Torri gemelle, la seconda guerra del Golfo, lo stramaledetto Isis con le sue infami prodezze, terremoti e alluvioni devastanti, la tragedia della Torre piloti, un dittatorello orientale con aspirazioni hitleriane, e adesso questa enorme catastrofe quasi sotto casa. Sulla quale scrivo queste righe disordinate, pochi e confusi pensieri affastellati senza un preciso criterio, perché vorrei che anche questo post contribuisse nel suo piccolo a tenere accesi i riflettori su questa sciagura, un crollo che è emblema del crollo definitivo dell'Italia fiorente, quella del miracolo economico e dell'effimero boom degli anni Ottanta. Un'Italia che non c'è più, spazzata via da una mentalità arretrata e conservatrice e dall'incuria (se è vero, come disse Milena Gabanelli nella scorsa primavera, che nel Paese ci sono ben 30mila ponti a rischio, tanto per dire), e che deve lasciare il posto a un Paese al passo coi tempi, facendo piazza pulita, senza pietà, senza remore, delle tante teste che hanno portato a questo scempio. Ci riusciremo? 

2 commenti:

  1. La tua analisi, Carlo. è tristemente analitica, completa, ragionevole, vera. Una tragedia che mai ci saremmo aspettati di vivere e di condividere. Ancora più tremenda perché in qualche modo ci fa sentire tutti dei sopravvissuti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie per essere intervenuta anche qui, maestra. I giorni passano ma l'angoscia e lo sgomento restano. Mi rincuora solo il fatto che chi di dovere si sta muovendo, almeno così sembra, nella maniera giusta in ambito politico, tecnico, giudiziario. Spero che chi dovrà pagare paghi tutto, fino in fondo.

      Elimina