Chiesa e Tonali, due da cui ripartire (foto Guerin Sportivo)
Invece di denigrarlo, sminuirlo e infangarlo stupidamente a ogni piè sospinto, fareste bene a riservare un posto speciale, nel vostro cuore, al trionfo azzurro di Euro 2021, a conservarlo fra i ricordi più belli e cari della vostra vita sportiva. Perché mi pare chiaro che dovranno passare parecchi anni prima di rivedere una Nazionale italiana vincente, capace di alzare una qualsiasi coppa. Prepariamoci ad altri momenti difficili: le battute d'arresto, quando non le batoste, sono storicamente numerose nelle fasi iniziali di ogni ricostruzione (è stato così anche agli albori di questo ciclo ormai chiuso), e tanto più bisogna attendersi il peggio al momento di approcciarsi a questa rifondazione, nello specifico, che si preannuncia come una delle più difficili della storia calcistica nostrana.
IL SECONDO TEMPO DELL'IMPOTENZA - La disfatta nella cosiddetta "Finalissima" londinese mi ha avvilito ma non sorpreso: è stata semplicemente il cascame di una ben nota situazione deteriorata, colpevolmente portata avanti dal settembre scorso senza correttivi apprezzabili. Poi, chiaro, i passi falsi nel girone mondiale e nel playoff furono frutto anche di contingenze sfortunate e irripetibili, il k.o. con la Macedonia talmente assurdo da poter essere assimilato a un Roma-Lecce '86, per intendersi, mentre è ovvio che il confronto con una superpotenza mondiale, in stato di grazia tecnica e con una prima linea da podio iridato, abbia snudato le nostre attuali carenze oltre il limite del sopportabile. L'Argentina è grande, ma noi l'abbiamo resa grandissima, non prima di aver giocato una quarantina di minuti più che dignitosi, nei quali eravamo anzi stati noi a manovrare con buon palleggio e a tentare la via della rete (conclusioni di Raspadori e Belotti, pericoloso cross in mezzo di Bernardeschi), pur con le consuete deficienze in fase conclusiva. Dopo la prodezza di Di Maria, a pochi minuti dall'intervallo, si è spenta la luce, e nella ripresa è andata in scena la non-partita della nostra umiliazione e dell'impotenza manciniana, che ha cambiato formazione e modulo schierando un improbabile undici, fragile e senza riferimenti, ed esponendo a una inutile brutta figura alcuni degli elementi che dovrebbero essere i pilastri della nuova era.
ERA MEGLIO AFFONDARE COI FEDELISSIMI - Voglio dire: se proprio si vuol essere coerenti, occorre esserlo fino in fondo. Il cittì ha voluto proseguire su una strada già dimostratasi nefasta in stagione, quella della riconoscenza, e affrontare l'Intercontinentale con gli uomini del trionfo europeo, esclusi ovviamente gli acciaccati. E allora, invece di improvvisare la squadra nella ripresa, mandando Scamacca e compagni al massacro in un contesto tattico caotico, avrebbe potuto affondare con i suoi fedelissimi, perché tanto dietro ci pensava un ritrovato Donnarumma, unica nota lieta della serata, ad evitarci il cappotto con prodigi su prodigi. Personalmente, ma non sono nessuno, l'operazione rinnovamento l'avrei iniziata subito, essendo di evidente urgenza da mesi. Per tutta una serie di motivi, per i meriti accumulati in tre anni, è stato giusto confermare Bobby gol sulla panca azzurra, ma non si può nemmeno pensare che un'eliminazione mondiale possa scorrere via liscia senza lasciare tracce, per quanto, l'ho scritto in altra sede e lo ribadisco qui, qualificarsi in Europa per il torneo iridato, oggi, sia molto più difficile rispetto a quanto accadeva nel secolo scorso, "è fattuale", direbbe Crozza-Feltri.
LA FINALISSIMA... POMPATISSIMA - Alle corte: la sperimentazione poteva già iniziare ieri sera, perché tanto, figuraccia per figuraccia, tanto valeva consentire ai nuovi e semi-nuovi di accumulare subito esperienza e minutaggio in un confronto di altissimo spessore. Fosse stato un impegno di prestigio e importanza autentiche, poi... Un evento inventato, anzi ripescato dai meandri calcistici degli anni Ottanta e Novanta (ricordate la Coppa Franchi?), e pompato all'inverosimile a livello mediatico. Da onorare, certo, ma non come fosse davvero "la sfida delle sfide" per la supremazia planetaria: per sancire quella, bastano e avanzano i mondiali, quelli a cui noi non parteciperemo per la seconda volta consecutiva.
GIOVANI PROMETTENTI, STRADE SBARRATE, PROBLEMA POLITICO - Così, ora, è tutto ancor più difficile di quanto già non fosse. La nuova fase comincia sabato a Bologna, si è detto, e impostare di punto in bianco una formazione nuova in un paio di giorni, con la prospettiva di affrontare la ringalluzzita Germania, non è proprio il massimo della vita, né della programmazione. Detto questo, il quadro della situazione è chiaro. Il vivaio italiano, pur messo nelle peggiori condizioni operative possibili, continua a produrre diversi talenti, anche se non tanti come avveniva fino a qualche lustro fa. Lo stage dei giovani di interesse nazionale organizzato nei giorni scorsi è stato emblematico in tal senso. I nomi su cui puntare a medio termine ci sono: Carnesecchi, Bellanova, Lovato, Gatti, Zanoli, Parisi, Miretti, Okoli, Scalvini, Casale, Fagioli, Rovella, Udogie, Ricci, Vignato, Pafundi, Oristanio, Esposito, Gnonto, Gaetano... La base c'è tutta, e se anche solo la metà dei sopracitati diventassero elementi di caratura internazionale ci sarebbe di che leccarsi i baffi: il problema "di sistema" dell'ultimo decennio è che, ad un certo punto, la crescita dei migliori prospetti si blocca, non perché siano scarsi e inadeguati, ma perché non viene dato loro spazio. La favoletta del "se sono bravi giocano" ormai non se la beve più nessuno, il problema è politico e legislativo, e occorre un intervento, che non credo impossibile, per consentire ai virgulti di casa nostra di emergere adeguatamente.
COVERCIANO ULTIMO FORTINO - E qui il Commissario Tecnico ha quasi le mani legate, e può fare solo ciò che ha fatto finora: in primis "forzare la mano" agli allenatori dl club, dando lui per primo fiducia agli emergenti, un modus operandi inaugurato da Prandelli e che, dal 2011 a oggi, ha garantito la sopravvivenza della Nazionale maggiore a livelli decenti, al netto delle due gravi disfatte mondiali (un primo e un secondo posto agli Europei, e un'eliminazione ai quarti, dopo i rigori, nel 2016: poteva andare peggio). E ora questi stage, appunto, che i soliti commentatori da bar social hanno accolto con sorrisini sprezzanti ma che rappresentano, al momento, l'unico modo per cominciare a inserire i giovanissimi in un progetto azzurro a lunga scadenza.
SERIE A STRANIERA, VERGOGNA NAZIONALE - Restano, sullo sfondo, le gravissime lacune organizzative e di mentalità, che hanno trasformato la Serie A in un campionato "straniero" sbarrando la strada ai nostri. Da parte di addetti ai lavori e tifosi (questi ultimi hanno anche doveri, non solo diritti) sarebbe auspicabile una maggiore maturità, che nella fattispecie vuol dire maggior sostegno, fiducia e pazienza per il "prodotto interno" e minori... orgasmi quando si legge dell'arrivo di improbabili calciatori di fuorivia. Da parte delle istituzioni, sportive e politiche, ci vorrebbero le riforme tanto attese, ma mi rendo conto che è come aspettare l'arrivo degli alieni: quasi tutte le grandi nazioni europee, Francia, Spagna e Germania, hanno investito forte nell'allevamento dei calciatori di casa, noi proprio non riusciamo, forse non vogliamo, e allora ci meritiamo tutto il peggio, compresa la vergogna da parte mia, in questo momento, di sentirmi un calciofilo italiano innamorato della Nazionale.
PER RIPARTIRE SUBITO: PESCARE NEL GRUPPO EUROPEO... - Sul piano strettamente contingente, è chiaro fin dall'autunno scorso che molti "califfi" di questa squadra non siano più all'altezza del compito, a causa di esaurimento fisico e/o psicologico: onestamente, non vedo più un'Azzurra aggrappata a Emerson, Bonucci (sempre più in difficoltà, sempre più falloso), Jorginho, Bernardeschi, Belotti e Insigne, per tacere di Chiellini che lascia per raggiunti limiti di età. Continuo a sostenere che i nomi per ripartire non manchino. Innanzitutto sarà fondamentale il recupero di un drappello di "lungodegenti", parlo di uomini chiave dell'Europeo vinto come Spinazzola (che si sta finalmente riaffacciando in campo) e Chiesa, senza dimenticare il giovane Castrovilli, che era nei 26 dell'estate scorsa ed è stato spazzato via da un grave infortunio. Bastoni sarà promosso d'autorità, per valore suo e mancanza di alternative immediate al centro della difesa, Pessina si è appena affacciato al calcio che conta e si ritroverà dopo una stagione in chiaroscuro, Cristante è un leader della Roma e merita più spazio, Berardi è sempre in gran forma, sempre più prolifico, sa saltare l'uomo, certe sue défaillance in rappresentativa sono state più occasionali che frutto di un evidente logorio, Raspadori sta crescendo e ieri è stato uno dei pochi a rendersi sporadicamente pericoloso dalle parti dell'area argentina.
... E ALLARGARLO - Poi c'è chi non ha fatto parte della vittoriosa spedizione continentale ma era già nel giro, e va provato con più convinzione. Calabria, Lazzari e Mancini in difesa, Tonali, Pobega e Frattesi nel mezzo, Zaniolo, Pellegrini, Zaccagni, Politano, Pinamonti e Scamacca davanti. Non è molto? Forse, ma è comunque sufficiente per fare punto e a capo, se unito al graduale inserimento di alcune delle verdi speranze sopra citate, perché qualcuno, tipo Udogie ma non solo, è già pronto per i primi approcci, e l'atto di coraggio manciniano su Gnonto non deve rimanere un episodio isolato. Certo, è lampante la più grave lacuna tecnica che affligge il nostro calcio: non eravamo mai stati così poveri di attaccanti di razza, disperati al punto che, nell'autunno scorso, in molti (non io) si sono aggrappati alle prime prodezze cadette di Lucca, poi sollecitamente rientrato nei ranghi, forse schiacciato dal peso di responsabilità precoci ed eccessive, oltreché da problemi fisici.
COME GESTIRE IL CASO IMMOBILE - La situazione è drammatica: i rampanti Scamacca, Raspadori e Pinamonti meritano fiducia, si spera in una risalita di Kean, ma Belotti, come detto, si è involuto e, lo ha dimostrato anche ieri, non pare più proponibile sui massimi palcoscenici, mentre, guardando ai vertici della classifica cannonieri di A, siamo ancora tristemente fermi a Immobile. Il quale ha bisogno di un gioco "su misura" per rendere al meglio come, da anni, sa fare nella Lazio. Ma Mancini ha intrapreso una strada radicalmente diversa sul piano tattico, una strada che gli ha dato pienamente ragione fino all'11 luglio scorso. L'alternativa sarebbe rimodellare profondamente le concezioni di gioco della sua Italia, costruendo una manovra fondata totalmente su Ciro.
PER CIRO, MODULO ALTERNATIVO - La domanda è: ne vale la pena? Stiamo parlando di un validissimo elemento, non più di primo pelo, che in campionato fa il diavolo a quattro, ma in Nazionale, anche prima del Mancio, ha sempre segnato col contagocce. Voglio dire: si poteva anche costruire, ai bei tempi andati, una Nazionale Baggio-dipendente, con tutti i rischi del caso, ma Immobile-dipendente, ecco, ci penserei due volte. Ci vorrebbe un po' di elasticità, semplicemente, perché non è detto che una squadra debba giocare sempre allo stesso modo, e forse in tutti questi mesi, i mesi in cui il palleggio azzurro, l'avvolgente gioco di iniziativa marchio di fabbrica manciniano, ha perso via via brillantezza, precisione, efficacia, velocità, sarebbe stato opportuno sposare un modo di stare in campo più prosaico e "verticale", terreno di coltura ideale per il bomber biancoceleste. Che, solo in questo contesto, potrebbe avere ancora qualche anno di utilità nella Selezione. E sarebbe il caso di pensarci, perché non siamo nella condizione di gettare alle ortiche il potenziale bottino di gol che ci garantirebbe il napoletano.
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