Premessa: Fabio Volo (o meglio, il personaggio che Fabio Volo si è costruito addosso) è e sarà sempre destinato a far discutere e a dividere. Allo stesso modo, criticare e analizzare un suo prodotto (che sia un libro, un film o un programma televisivo) comporterà sempre, inevitabilmente, anche una critica e un'analisi su di lui, sul personaggio. Perché Volo non "presenta una trasmissione", non "scrive un libro" e basta: mette in scena se stesso, il suo mondo (o quello che vuol farci credere sia il suo mondo, ma personalmente non amo i processi alle intenzioni, non essendo ancora in grado di penetrare nei cervelli altrui).
Nella fattispecie del piccolo schermo, Volo non è né un Frizzi, né un Conti (bella scoperta, direte voi...): non è, cioè, un esemplare (e un po' grigio) professionista dell'intrattenimento. Fin dagli esordi, fin da quando era una delle tante "Iene" in servizio permanente effettivo, ha cercato di dare una marcata impronta personale ai progetti a cui, di volta in volta, era chiamato a partecipare: di questo occorre dargli pienamente atto, prima di caricare a pallettoni il fucile della critica.
IL MONDO DI FABIO - Il suo mondo interiore ed esteriore, Volo ha cercato di sintetizzarlo e condensarlo in poco più di mezz'ora di programma, quel "Volo in diretta" che va in onda da qualche settimana si Rai Tre, prima della mezzanotte. E tutto sommato c'è riuscito, perché quei 30 minuti (o giù di lì) scorrono via con discreta fluidità e qualche piacevolezza. Certo, in molti si attendevano lo show epocale, anticonformista, spiazzante e innovativo. E verrebbe da chiedersi perché, visto che la cosa più anticonformista che abbiamo visto fare al nostro fu il denudarsi davanti a non so quale starlette durante una puntata delle Iene.
La verità è che il mondo di Fabio Volo è di una semplicità e di una banalità a tratti persino irritanti; il suo è uno stile ammantato di una patina di "alternativo", ma dietro il velo del nuovo, dietro la pretesa voglia di stupire, emergono i buoni sentimenti più scontati, la ricerca di un "bello" morale e materiale non troppo sofisticato, alla portata di tutte le menti. L'inseguimento, anche, di un ideale di mondo e di società più giusti e vivibili. Ricerca che procede attraverso binari "alti" (penso all'intervista a Dario Fo, o al monologo di Corrado Augias) e "bassi" (i comici, i cantanti, le ospitate di vippette e vippetti), ma in cui anche l'alto è strutturato in maniera tale da metterlo alla portata di tutti.
FENOMENO MEDIATICO - Certo, la colpa è un po' anche sua. Per come si era presentato agli esordi, Volo sembrava destinato a diventare uno dei volti di punta della tv del Duemila (intesa come tv ultramoderna e all'avanguardia), simbolo di un nuovo modo di fare comunicazione. In realtà, fenomeno mediatico lo è diventato, ma percorrendo canali assai più tradizionali. Sui libri come sul piccolo schermo, il Volo - pensiero è: offrire serenità e leggerezza con qualche digressione verso cose un po' più "pesanti", con qualche spunto di riflessione sulle storture della realtà, a patto che anche questi ultimi contribuiscano al raggiungimento di tale serenità, che vuole dire anche maggiore consapevolezza di noi e di ciò che ci circonda. Del resto il... manifesto programmatico della trasmissione parla chiaro e non si presta a fraintendimenti di sorta: l'intento è "mandarvi a letto con una sensazione di serenità prima di
chiudere gli occhi. Il tentativo insomma di darci una buona buonanotte".
BUONI SENTIMENTI - Ecco, direi che tutto sommato il suo obiettivo "Volo in diretta" lo raggiunge. In esso si avverte la necessità, da parte dell'ideatore e conduttore, di tirare fuori tutto ciò che ha dentro, un bisogno quasi "bulimico" di comunicare, di trasmettere la sua tensione a una vita equilibrata e "leggera", in pace con se stessi, e anche, perché no, a una società più giusta. Buoni sentimenti e idee che piacciono a chi sogna un mondo migliore, ma se a veicolarle sono gli interventi di gente come Gherardo Colombo, o i citati Fo e Augias, beh, le si può accettare di buon grado.
Personaggi autorevoli che parlano di giustizia, libertà e democrazia; gente comune che spiega cosa vorrebbe cambiare del mondo attuale se avesse il potere, o che racconta vite semplici, irte di ostacoli e di momenti drammatici ma vissute con dignità: messaggi che non hanno il pregio dell'originalità, ma che mi paiono momenti di buona televisione. Momenti dietro ai quali si avverte, forse, il tentativo di emulare quel gran prodotto che fu "Vieni via con me", mai abbastanza rimpianto. Certo, più autoriale e più elaborato quello, più di grana grossa e "bignamizzato" questo, ma qualcosa di simile si intravede. E poi ogni tanto rispunta fuori il Volo trasgressivo, ricordo del tempo che fu, come nella presa in giro del "Brosio illuminato d'immenso", che qualcuno non ha gradito, ma che personalmente ho trovato nient'affatto di cattivo gusto (pesantemente sarcastica sì, ma il cattivo gusto è un'altra cosa) e anzi quasi doverosa, in un panorama di reti generaliste che negli ultimi anni a troppe ore del giorno e della notte sembrano essersi trasformate in succursali della tv vaticana, oltretutto costruendo attorno a cose terribilmente serie come la fede un circo mediatico che è, quello sì, di gusto assai dubbio.
I POST-IT E LA SIGLA - Per questo non mi sento di essere troppo severo, nei confronti di un personaggio che pure suscita in me sentimenti contrastanti. Volo ha tentato di fare un programma pieno di qualcosa, in una tv che, anche in Rai, è drammaticamente ricca di "vuoti spinti": in parte ci è riuscito, al di là degli inevitabili buchi neri, dalle ospitate di attricette tutta forma e niente sostanza a certe interviste che non riescono a mettere in luce lati poco scandagliati dei personaggi posti sotto la lente.
Il peggio sta forse nel giochetto finale dei post-it che il presentatore lascia in giro in ogni dove per trasmettere "al mondo" messaggi... alla Fabio Volo, che spaziano dal buonismo esasperato a motti in apparenza pregni di significato ma in realtà di una superficialità sconcertante ("Sii sempre capitano della tua nave" e amenità simili, roba da twittatori incalliti). Qualche dubbio sulla sigla finale, che pure è la bellissima "Across the universe" di Rufus Wainwright: la scelta di un brano non commercialissimo sembra più che altro un vezzo per dare un "vestito" di seriosità e ricercatezza a un programma che, lo si è detto, persegue altri obiettivi e non ha certo bisogno di maschere. Un programma che, per concludere, ha fra i suoi pregi quello di saper mettere insieme tanti spunti di spettacolo in un arco di tempo estremamente stringato. Trasmissioni brevi ma abbastanza ricche: se ne sente il bisogno, in un'epoca in cui certi show sono allungati all'inverosimile, e più lunghi sono più sono poveri di contenuti.
hai cercato di essere il più obbiettivo, pur parlando di un soggetto alquanto controverso o comunque discutibile. Uno che è riuscito a creare un business sulla propria persona, a partire dai primi irriverenti programmi tv, col suo atteggiamento scanzonato e spesso mascalzone, fino ai plurivenduti libri sui quali fatico a esprimermi, in quanto mi scatta in automatico il confronto con i molti scrittori che, attraverso la sana e dura gavetta, stanno cercando di farsi strada nello sterminato e intricato mondo editoriale. Leggere i suoi libri può essere traumatico oppure terapeutico ma in ogni caso è ovvio ammettere che ha racchiuso degli stilemi alquanto banali e, credo, pure lontani dalla realtà - per quanto si voglia invece sostenere quasi il contrario - Per chiudere il suo programma mi è capitato di vederlo esclusivamente per poter vedere dal vivo uno dei gruppi indie italiani che maggiormente (e da anni, ben prima dell'approdo in tv) seguo con passione, apprezzandone spunti e contenuti: gli A toys Orchestra
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