Conte chiama Conti. Proprio così: il cittì della nostra Nazionale sarà uno dei "superospiti" dell'ormai imminente Festival di Sanremo. Non è il primo condottiero azzurro a salire sul palco dell'Ariston: lo aveva già fatto Marcello Lippi, nel 2010, per una comparsata tristanzuola che, probabilmente, gli italiani davanti alla tv si sarebbero volentieri risparmiata. Fece da insolito "padrino", nella classica serata dei duetti, all'improbabile trio Pupo - Emanuele Filiberto - Luca Canonici, che rischiò addirittura di vincere quell'edizione, pericolo fortunatamente scongiurato in extremis. La sua infelice performance, non particolarmente gradita (eufemismo) dal pubblico in teatro, fu solo un innocuo anticipo del tonfo ben più fragoroso di cui lui e i suoi spompati pedatori si resero protagonisti pochi mesi dopo, al Mondiale sudafricano.
CT A TEMPO? - Per Conte le cose dovrebbero andare diversamente, e non solo perché figura nel cast con un ruolo del tutto diverso e più "neutro" rispetto a quello che venne affidato al decadente predecessore. L'attuale Commissario tecnico approda a Sanremo in un momento fra i più delicati nella storia del Club Italia. Personalmente, temo addirittura che il suo mandato biennale possa non conoscere la naturale scadenza, e non certo per mancanza di risultati, che finora sono tutto sommato arrivati, pur senza squilli di tromba. L'investitura dell'ex Juve a "grande capo" azzurro era stata accompagnata da precise speranze: recupero della centralità della Nazionale, collaborazione fra lo staff tecnico federale e gli allenatori dei club di A, ritorno alla valorizzazione del vivaio nostrano, per rilanciare la scuola calcistica tricolore e aumentare il "bacino d'utenza" della massima rappresentativa. Ebbene, è solare che tali speranze siano rimaste lettera morta, anzi: la situazione del nostro football, in questi mesi, è ulteriormente peggiorata.
NAZIONALE ISOLATA - Campionato dai contenuti tecnici sempre più modesti, giovani virgulti "made in Italy" del tutto ignorati, con pochi club a fare da sparute eccezioni (del resto, l'andamento del tristissimo mercato di riparazione è emblematico, in tal senso: si è mosso un solo azzurrabile di rilievo, Gabbiadini, peraltro andato a scaldar la panca a Napoli). E, amara ciliegina sulla torta, un ostracismo sempre più marcato alla Nazionale e alle sue esigenze: nessuna partita in calendario da novembre a marzo, stage invernali a ranghi ridotti, anche se Tavecchio ha detto che terrà conto di chi manderà i giocatori e di chi non li manderà, pur non potendo prendere alcun provvedimento nei confronti delle società "reticenti": il che, quindi, non vuol dire assolutamente nulla, un nulla travestito da "pugno di ferro", e del resto l'incidenza, l'autorevolezza, il decisionismo e il peso politico del nuovo presidente federale erano evidenti già prima della sua elezione.
SE SI DIMETTESSE... - E' una corsa all'inaridimento forzoso del vivaio nostrano: di questo passo, nel giro di tre - quattro stagioni calcistiche ci troveremo con squadre di club formate al 99 per cento da stranieri, e con rappresentative azzurre ridotte a fare da comparse nelle grandi competizioni internazionali, col rischio di percorrere l'identico cammino del gambero dell'Ungheria, pallido ricordo della "culla del football" che fu. In tale clima da basso impero, chiaro che Conte sia quantomai inquieto: sicuramente non accadrà, ma quasi quasi sarebbe auspicabile che utilizzasse il palco di Sanremo per annunciare le sue dimissioni. Quella sì che sarebbe una sberla a un calcio ripiegato su se stesso, fiaccato da strategie inqualificabili, intento a scavare industriosamente il fondo già da tempo toccato. Un cittì che, dal palco dello show più popolare e discusso, e seguito non solo nel nostro Paese, griderebbe "il re è nudo", alzando il velo sulle vergogne che stanno mettendo a repentaglio la sopravvivenza del pallone tricolore. Sarebbe un trauma e del resto sono sempre più convinto che solo un evento traumatico potrebbe scuotere il calcio - Titanic tricolore.
STRINGIAMCI A COORTE - Ma non accadrà, dicevamo, e allora non resta che auspicare che il fumantino coach pugliese utilizzi quel prestigioso pulpito per ricreare amore e interesse attorno al Club Italia: un sentito appello a rinserrare le file, a "stringersi a coorte" attorno a Verratti, Zaza e compagni. La storia lo insegna: la Nazionale è il più formidabile volano per qualsiasi movimento calcistico. Se gioca bene, schiera buoni giocatori, valorizza le nuove leve, ottiene risultati e fornisce esempi di moralità sportiva, ne beneficia tutto il carrozzone; ciò varrà a maggior ragione nei prossimi anni, quando le rappresentative saranno sempre più ultimi baluardi dell'identità nazionale calcistica, non più riconoscibile in club diventati accozzaglie di giocatori provenienti da ogni parte del globo. In parole povere, non potrà essere un trionfo in Europa League di Inter, Napoli o Fiorentina, squadre italiane solo sulla carta, a restituire orgoglio e dignità al nostro malmesso pallone, mentre "una selezione" in salute può generare un circolo virtuoso.
UN CONTI PER CONTE - E allora, si diceva, che Conte chiami a raccolta tutti attorno alla sua fragile Italia. Sanremo è il luogo ideale, il palcoscenico più nazionalpopolare che ci sia: se "L'italiano" di Cutugno", e persino la brutta "Italia" di Reitano, hanno coagulato attorno all'Ariston una sorta di amor patrio comunque da non sottovalutare, il medesimo risultato potrebbe ottenerlo un accorato atto d'amore per le nostre maglie color cielo. Dunque, se Tavecchio è l'immobilismo fatto persona, per rilanciare la nostra stinta "azzurra" non resta che affidarsi a... Carlo Conti. A questo siamo ridotti, ma le canzoni fanno miracoli, e a maggior ragione può farli San.... Remo. Generare affetto, entusiasmo ed interesse, questo basterebbe: perché un calcio che non ama la propria Nazionale è un calcio che ha imboccato la via dell'autodistruzione.
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