Balotelli: ha dato il pari all'Italia
Italia - Brasile di ieri sera è stata, forse, la partita - manifesto più emblematica della filosofia ispiratrice della gestione azzurra targata Prandelli. Praticare un calcio d'iniziativa, produrre una consistente mole di gioco, cercare sempre, per quanto possibile, di aggredire l'avversario, di tenere pallino. Lo abbiamo visto fare tante volte, dal 2010 in poi, alla nostra Nazionale, ma, certo, riuscirci contro la mitologica Seleçao ti lascia in bocca un sapore particolare. Dolce, dolcissimo, inutile dirlo. Lo si è scritto tante volte, su questo blog: la crescita, la maturazione di una squadra che aspira a diventare grande, passa anche attraverso certi test amichevoli, a dispetto di chi è sempre più fermamente convinto che, nel calcio d'oggidì, i match senza punti in palio non abbiano alcuna attendibilità tecnica.
ESAMI IMPORTANTI - Nossignori: se l'Italia uscita a pezzi dal Mondiale sudafricano è riuscita ad arrampicarsi fino all'argento europeo, nel luglio scorso, lo deve anche al brillante superamento di impegni amichevoli di alto spessore, come le sfide con Germania (febbraio 2011) e Spagna (agosto dello stesso anno), citate innumerevoli volte da queste parti. E ora, l'ottima prestazione di Ginevra contro i pentacampeon può, deve rappresentare un ulteriore passo, forse il più consistente, nel cammino verso l'acquisizione di una dimensione da "potenza mondiale" del football.
E' vero, al momento quella di Scolari non pare una rappresentativa all'altezza di tante illustrissime antenate (compresa quella che lo stesso Felipao guidò, quasi contro ogni pronostico, al trionfo iridato del 2002). Ma è compagine che ha ampi margini di miglioramento e che può comunque contare su elementi di spessore assoluto. E' squadra di rango (anche se al momento il solo Neymar può considerarsi un fuoriclasse in pectore), che anche nelle serate meno felici sa trovare il modo di ferire l'avversario, se è vero che in Svizzera, contro di noi, ha concretizzato la quasi totalità delle palle gol costruite.
SPAVALDERIA AZZURRA - La prova, tanto severa, è stata superata dai nostri in primis sotto il profilo della personalità. Era forse dalla leggendaria partita del Sarrià, nel 1982, che non si vedeva una selezione italiana affrontare il rivale più temuto al mondo con tanta spavalderia, senza alcun timore reverenziale, con la voglia evidente di fare risultato pieno. Dopo quell'epico Mundial spagnolo ci sono stati altri confronti, ma nella maggior parte di essi, penso soprattutto ai due affrontati dalla decadente Italia lippiana nel 2009, aveva prevalso un atteggiamento prudente quando non tremebondo, con esiti sconfortanti che sono ancora nella nostra memoria. Nemmeno il famoso 3-3 del '97, al Torneo di Francia, può essere messo sullo stesso piano del 2-2 di poche ore fa: è vero, fu una gara affrontata con buonissimo piglio dalla formazione di Cesare Maldini, ma a tenere in mano le redini del gioco fu, per larga parte del confronto, il Brasile, che creò tantissimo e ci mise ripetutamente in difficoltà, lasciando comunque intravedere, pur fra qualche smagliatura, la sua superiorità nei confronti di Del Piero e compagni.
ITALIA SUGLI SCUDI - Il canovaccio del match ginevrino è stato del tutto diverso: è stata l'Italia a tenere banco, quasi dall'inizio alla fine. Ha avuto occasioni nel primo tempo come nel secondo, inizialmente ha optato per una manovra più elaborata, per una tessitura di centrocampo quasi "spagnola", è stata scossa dall'immeritato uno - due brasiliano ma non è crollata, e nella ripresa ha addirittura alzato il ritmo, sveltendo la manovra e trovando quella concretezza sotto porta che nelle ultime uscite (soprattutto quella parmense con la Francia) era apparsa un po' annacquata. E' vero, gli auriverdes hanno comunque trovato il modo di farci tremare, ma solo perché, soprattutto nella prima frazione, hanno avuto la possibilità di liberare la loro classe, la loro corsa, la loro rapidità di esecuzione negli ampi spazi che i nostri un po' avventatamente lasciavano loro, traditi dalla voglia di strafare, di sfatare finalmente la lunga tradizione negativa. In parole povere, un Brasile costretto ad agire quasi esclusivamente in contropiede, contro un'Italia arrembante: il capovolgimento totale di tradizioni tattiche storicamente cristallizzate ma, per la verità, un po' impolverate e legate ormai a vieti luoghi comuni, se è vero che dai tempi dell'era Bearzot l'Italia non ha quasi mai più giocato un calcio prettamente difensivo (eccezion fatta per il già citato interregno maldiniano), mentre i maestri del Sudamerica hanno spesso mietuto successi mettendo da parte il fioretto e facendosi meno belli a vedersi e più "ispidi", come nel 1994 negli Stati Uniti.
Ottimo esordio per il granata Cerci
DE ROSSI BANDIERA - Intendiamoci: nessuna esaltazione assoluta, perché malgrado tutto l'Italia di Ginevra non è stata perfetta, limitatamente ai primi 45 minuti. Lo si è detto, troppo esitante nel verticalizzare, e troppo farfallona in retroguardia. Ma altrettanto onestamente va riconosciuto che i "più" hanno superato abbondantemente i "meno". In difesa la conferma dell'assoluta statura internazionale di Barzagli, più affidabile oggi di quando è diventato campione del mondo, sette anni fa: sicuro, tempista, abile nel rilanciare. De Sciglio, pur fra qualche inevitabile sbavatura, ha mostrato di poter essere un prospetto su cui contare a occhi chiusi, per carattere e concentrazione. E Bonucci si è confermato efficacissimo nelle sue... apparizioni offensive, andando a un passo dal gol del 3 a 2.
Solo conferme dalla zona nevralgica, dove semmai si è visto un Montolivo un po' più timido rispetto alle ultime convincenti prestazioni, più faticatore che tessitore e incursore, mentre Giaccherini ha regalato il consueto fervore e l'intraprendenza negli inserimenti che ne stanno caratterizzando buona parte di questa stagione, anche in bianconero. Discorso a parte per Daniele De Rossi, destinato comunque a entrare nella storia del calcio nostrano come una delle bandiere più rappresentative di un'epoca: 13 gol in quasi dieci anni (il quattordicesimo che gli viene attribuito, quello del 2 a 0 alla Francia a Euro 2008, fu in realtà una netta autorete) sono una cifra d'altri tempi per un centrocampista; aggiungiamoci il suo rendimento quasi sempre elevato, anche più che in maglia romanista, quelle sue fasi di gioco micidiali per tempra, aggressività, lucidità, capacità di trascinare i compagni, di cui anche ieri sera ci ha fornito un impeccabile saggio, e avremo il ritratto dell'azzurro perfetto.
SUPERMARIO, CERCI E GLI ALTRI - In avanti, nulla che già non si sapesse su Balotelli: chi continua ancora a metterne in dubbio la caratura dovrebbe forse farsi un esamino di coscienza. E, come era prevedibile, il suo ritorno in Italia, la possibilità di giocare e allenarsi quotidianamente con altri compagni di Nazionale (con uno, soprattutto, il "gemello" El Shaarawy) lo ha ritemprato, restituendogli l'inesorabilità vista all'ultimo Europeo, il gusto per la giocata da urlo eppure mai fine a se stessa. Riguardo ai gol sbagliati, al momento restano un dettaglio, sul quale il giovanissimo Mario ha tempo per lavorare e aggiustare la mira. Degli altri, più del Faraone, comunque ben disposto al sacrificio e utile nei rientri, è assai piaciuto un Cerci che non mi aspettavo così incisivo, così nel vivo del gioco, al suo debutto in azzurro. Un'arma tattica importante in più per il domani, anche se resta più che altro un'alternativa a un reparto che ha già tante efficaci frecce al proprio arco. E, a proposito di alternative, persino le fugaci apparizioni di Poli e Antonelli possono fare ben sperare, per voglia, applicazione e intraprendenza; e, in questa fase, è anche importante che la famiglia azzurra si allarghi; più alternative plausibili ci sono al blocco dei titolari, più vi è la possibilità di andar lontano. E anche questa, a bene vedere, è una vittoria di Prandelli: aver creato un gruppo ampio e pieno di "benzina verde", in una fase congiunturale in cui lanciare nuove leve, ai massimi livelli del nostro football, pareva diventata impresa impossibile. Invece, i nostri giovanotti ci sono, e non tremano nemmeno di fronte al mito brasiliano.
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