C'è una sensazione che tutti gli appassionati di calcio dovrebbero sperimentare almeno una volta nella vita. E' una sensazione inebriante, che ti avvolge quando ti rendi conto di avere appena assistito a un match che entrerà nella leggenda di questo sport, e vi rimarrà per sempre. Un misto di entusiasmo, appagamento, quasi genuina commozione, il classico orgoglio di poter dire "io c'ero", pur se soltanto davanti alla tv, di esser stato testimone di un evento di cui fra decenni si parlerà ancora, e il cui ricordo verrà tramandato di generazione in generazione. Personalmente, tutto questo mi è accaduto poche ore fa: la prima semifinale del Mundial 2014, Germania - Brasile 7 a 1, è già una pietra miliare nel libro d'oro del football planetario.
IL DRAMMA? SOLO SUL CAMPO - Nei prossimi giorni, sui giornali, in tv, sul web, tutti racconteranno il nuovo dramma brasiliano. Dramma tecnico, dramma di campo e basta, credo e spero: per gli aficionados verdeoro la vita continuerà, altri più seri problemi incombono, i tempi delle autentiche tragedie che fecero da macabra cornice al "maracanazo 1950" (malori, infarti, suicidi) sono lontani, e lo si è intuito già stasera, allo stadio di Belo Horizonte, "in corso d'opera": la reazione della torcida è stata, appunto, da tifosi: dopo le lacrime, solo fischi assordanti ai beniamini di cartapesta locali, e "olè" irridenti a sottolineare la breve melina tedesca a secondo tempo inoltrato.
Sette a uno: mai visto un divario così abissale, in una semifinale iridata. Punteggi simili hanno le stimmate dell'eccezionalità, prescindono dalle differenze di valori in campo, dalla modestia di una delle contendenti, dalle giornate storte e da quelle di grazia: sono eventi di un'enormità tale da non poter essere spiegati totalmente con dotte disquisizioni specialistiche. La notizia di questo epocale 8 luglio 2014, è chiaro, non può che essere il disfacimento della Seleçao "che doveva vincere la Coppa", perché la più grande potenza del futébol non poteva permettersi di perdere due Mondiali su due in casa. E' successo, invece, e paradossalmente l'unicità calcistica di questo contraddittorio Paese sarà d'ora in avanti rappresentata anche da questo assurdo record: i veri maestri del pallone (altro che inglesi) protagonisti della più clamorosa débacle casalinga nella storia della manifestazione, roba che neanche anfitrioni di secondo o terzo livello come States, Sudafrica, Giappone o Sudcorea. Ma il Brasile, pur fra mille demeriti, è crollato sotto i colpi di una corazzata, forse in questo momento l'unica attendibile erede della invincibile Roja spagnola andata in pensione poche settimane fa.
Sette a uno: mai visto un divario così abissale, in una semifinale iridata. Punteggi simili hanno le stimmate dell'eccezionalità, prescindono dalle differenze di valori in campo, dalla modestia di una delle contendenti, dalle giornate storte e da quelle di grazia: sono eventi di un'enormità tale da non poter essere spiegati totalmente con dotte disquisizioni specialistiche. La notizia di questo epocale 8 luglio 2014, è chiaro, non può che essere il disfacimento della Seleçao "che doveva vincere la Coppa", perché la più grande potenza del futébol non poteva permettersi di perdere due Mondiali su due in casa. E' successo, invece, e paradossalmente l'unicità calcistica di questo contraddittorio Paese sarà d'ora in avanti rappresentata anche da questo assurdo record: i veri maestri del pallone (altro che inglesi) protagonisti della più clamorosa débacle casalinga nella storia della manifestazione, roba che neanche anfitrioni di secondo o terzo livello come States, Sudafrica, Giappone o Sudcorea. Ma il Brasile, pur fra mille demeriti, è crollato sotto i colpi di una corazzata, forse in questo momento l'unica attendibile erede della invincibile Roja spagnola andata in pensione poche settimane fa.
TEDESCHI STELLARI - Proprio così: nella prima mezz'ora tedesca al Mineirao ho intravisto tratti di perfezione assoluta, vette di calcio magistrale che ben poche squadre, nella storia, hanno saputo giocare. E non mi riferisco solo alla classe o alla sapienza tattica: perché sei pur sempre nella tana del grande Brasile (grande più per palmarés che per l'attualità, ma poco importa), sei immerso in un clima di delirio popolare a tratti sconfinante nel fanatismo: molte compagini anche reputate, molti campioni con carisma e pelo sullo stomaco, in situazioni similari finiscono per farsi condizionare e non riescono a rendere come potrebbero. La Germania no: ha giostrato con tranquillità, nervi distesi, fiducia cieca nei propri mezzi, e ha sollecitamente scritto una delle pagine più belle dell'interminabile romanzo dei Mondiali. Mezz'ora di struggente bellezza, dicevo, da far venire i lucciconi e da proiettare non solo nelle scuole calcio, ma anche durante le sedute di allenamento dei professionisti: manovra essenziale, rapida, verticale; precisione assoluta nel tocco di palla, nel controllo, nei passaggi (molti calciatori italiani, coi loro strafalcioni da "piedi quadri", dovrebbero solo arrossire e tornare a esercitarsi sui fondamentali), e una concretezza strabiliante, che ha portato a una percentuale realizzativa vicina al cento per cento delle occasioni create.
SPIETATI COME RICHIEDE LO SPORT - E' cosi che si fa: se hai la bravura di passare quasi subito in vantaggio e ti accorgi di avere davanti un gigante ferito e in difficoltà, ebbene, nel calcio bisogna affondare i colpi senza pietà, colpire e colpire, fino a mettere ko chi ti sta davanti, e fare in modo che non si alzi più. La Nationalmannschaft lo ha fatto, metodicamente, senza mai abbassare la guardia, senza farsi prendere dalla tremarella ogni volta che arrivava in area di rigore brasiliana. Ed è persino un peccato che, nel clima surreale venutosi ben presto a creare nello stadio, sia quasi passata in secondo piano l'impresa nell'impresa, l'impagabile Klose che, di prepotenza, è andato a segnare il raddoppio riprendendo una corta respinta di Julio Cesar su suo precedente tiro, issandosi infine in testa alla classifica dei bomber iridati di tutti i tempi, 16 gol contro i 15 di Ronaldo, l'altra sconfitta brasiliana della serata.
Si può poi discutere su quanto avvenuto nella ripresa, con i ragazzi di Low che, pur tenendo ritmi più bassi, sono ancora andati a nozze nel nulla difensivo dei locali, piazzando altre due stilettate con Schurrle: c'è chi pensa che ad un certo punto sia meglio tirare i remi in barca, chi invece ritiene che non ci si debba fermare. Io sono più per la seconda teoria: frenare non è una forma di rispetto per gli avversari, quanto un gridargli in faccia, a chiare lettere, "sei inferiore, pateticamente inferiore: se solo volessi potrei continuare, ma preferisco non infierire". Queste manfrine, questa magnanimità un po' ipocrita verso gli sconfitti, è una malattia molto italiana, una delle tante storture del nostro calcio. Evidentemente i panzer sono di diverso avviso.
BLUFF SMASCHERATO - E dunque, la Germania ha fatto il suo dovere. Stilare pagelle è quasi superfluo: tutti si sono espressi su livelli di eccellenza, da Neuer che ha continuato a chiudere la saracinesca anche sullo 0-5, nei minuti dell'unica breve fiammata brasiliana in avvio di ripresa, a un Boateng monumentale in retroguardia, da Khedira instancabile e onnipresente nel mezzo agli esemplari Muller e Kroos, formidabili sia come finalizzatori che come "creativi". La Germania, si diceva, ha fatto il suo, smascherando il bluff della Seleçao. Un colosso d'argilla, tenuto in piedi fin qui dal fattore campo (che non significa solo favori arbitrali, ma affetto del pubblico, e quel surplus di motivazione che arde dentro l'animo di chi gioca una Coppa del mondo in casa), dalle prodezze estemporanee dei suoi difensori dai piedi buoni e da un Neymar che stava marciando a ritmi sostenuti verso la consacrazione a fuoriclasse assoluto, prima dell'uscita di scena. Il genietto del Barcellona era semplicemente vitale per questa squadra povera di talento e di risorse tattiche: prima ancora che il campo lo dimostrasse in maniera inequivocabile, lo avevano lasciato intendere i suoi compagni, teneramente aggrappati alla maglietta del loro illustre collega infortunato durante l'esecuzione dell'inno: una plateale dimostrazione di affetto che era anche, però, un'ammissione di debolezza.
NIENTE FOSFORO, NIENTE GENIO - La partita ha detto il resto: quando i nodi devono venire al pettine, dopo che la polvere è stata troppo a lungo nascosta sotto il tappeto, il crollo è spesso clamoroso. E' accaduto alla Spagna sazia di trionfi, è accaduto all'Italia mal guidata, mal gestita e mal costruita; è accaduto al Brasile forse più dimesso di ogni tempo, un Brasile, lo abbiamo detto più volte, edificato su una terza linea che era chiamata a un compito ingrato e sfiancante, dovendo chiudere e impostare scavalcando un centrocampo a corto di idee e votato a un cieco sferragliare, col gregario Fernandinho eletto a elemento cardine, e cercando vanamente di attivare un reparto offensivo che dalla trequarti in su, tolto Neymar, ha mostrato da subito classe approssimativa e forza penetrativa pressoché nulla, con Oscar costantemente sotto tono e Hulk prima ai margini della manovra, poi confusionario e sprecone una volta riportato più vicino alla porta.
SCOLARI MONOCORDE - Gettare la croce addosso all'impresentabile Fred è ingiusto: ha fallito lui, ha fallito chi doveva attivarlo nei sedici metri finali, ha fallito un progetto di gioco acefalo, privo di fosforo e inventiva nel mezzo, "vizio di fabbricazione" inaccettabile per la tradizione brasileira; hanno fallito Scolari, Parreira e tutto lo staff tecnico, mostrandosi drammaticamente a corto di alternative strategiche (non c'era proprio altro modo per ovviare all'assenza del campionissimo? Era improponibile un rimpasto fra centrocampo e attacco, magari dando fiducia a un Hernanes che è uno dei pochi, nella Seleçao, a saper fare discretamente filtro e a portare buone giocate in fase di costruzione e rifinitura?). Questo mediocre Brazil poteva arrivare in fondo solo con i ritmi, il pragmatismo, l'aggressività mostrate in chiusura di Confederations l'anno scorso. Venuti a mancare questi presupposti fin dall'inizio della competizione, sparito successivamente dai radar Neymar, la conclusione era quasi inevitabile. Che poi, oltre al disastro tecnico, tattico e agonistico, vi sia stato pure quello psicologico, aggiunge poco al quadro generale, se non la constatazione che sotto nessun aspetto questi auriverdes erano degni di figurare in una finale mondiale. Rimane l'epicità di una sfida di cui si parlerà per lustri, per decenni. E non ci sarà neppure bisogno di arricchirne il ricordo con particolari romanzeschi: la realtà è stata più che sufficiente, Germania - Brasile brillerà per sempre di luce propria...
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RispondiEliminaSu alcuni spunti dico: anch'io sono dell'idea che rallentare e poi fermarsi quando il risultato inizia a degenerare non solo è scorretto, penso sia molto più umiliante del 7-1 finale.
Non si può neanche dare la colpa di una tale debacle ad un solo attore: che Fred non sia un mostro sacro lo si era visto e rivisto, ma adesso lui non ha più colpe di molti suoi compagni. Lo stesso Scolari ha ammesso le proprie colpe, più che altro per togliere accuse a ragazzi che rischiano di uscirne distrutti. Se Scolari fosse davvero così incapace di fronteggiare un avversario più forte allora sarebbe un allenatore da quattro soldi. Ma non mi sembra il suo caso.
Ti ringrazio, sei troppo buono. ^^ Per il resto, come detto, le colpe sono di molti, Scolari ne ha di grosse, ma in passato ha dimostrato di essere un signor tecnico. La gestione di questo Mondiale è stata però fallimentare, aggiungiamoci la penuria di talenti in ruoli che un tempo, in Brasile, sfornavano buoni / ottimi giocatori a gogò e il disastro è fatto.
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