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domenica 13 ottobre 2019

VERSO EURO 2020: L'ITALIA "IN VERDE" È GIÀ QUALIFICATA. PIÙ FORTI DEL CATENACCIO GRECO, MA SENSI E PELLEGRINI PAIONO INDISPENSABILI

                      Bernardeschi: il suo ingresso ha cambiato marcia all'Italia (foto Guerin Sportivo)

Siamo fuori dal tunnel, direbbe Caparezza. Pronti per l'Europa, in attesa di riconquistare un posticino al sole anche... nel mondo. Un passetto alla volta, ma la qualificazione al torneo continentale (con tre turni di anticipo!) è già tanta manna, se pensiamo ai due anni terribili lasciati alle spalle. Nel novembre 2017, dopo il play off iridato perso con la Svezia, eravamo il nulla calcistico o quasi, un'entità tecnicamente trascurabile nel panorama planetario. Da Ventura a Mancini, passando per l'oscuro interregno di Di Biagio, eccoci qua. Non era scontato, non poteva esserci nulla di scontato dopo un'apocalisse (la definizione fu dell'allora presidente federale Tavecchio), come quella che ci precluse il viaggio in Russia. 
Ricostruire una squadra nazionale da zero è impresa che richiede tempo, fatica, esperimenti falliti, delusioni: è la storia a dirlo, basti pensare alla lunga incubazione che ebbe, negli anni Settanta, la rappresentativa del duo Bernardini - Bearzot prima di assurgere ai trionfali livelli argentini e spagnoli. Bobby gol è ancora lontano dal raggiungere quella perfezione, ma intanto un primo traguardo l'ha centrato. Poi si potrà dire tutto: che il girone non proponeva ostacoli insormontabili, che il pass per Euro 2020 è stato ufficialmente staccato in una serata tutto sommato grigia della nostra formazione. Però sette partite consecutive bisogna comunque vincerle sul campo, ed è ancora una volta il passato a venirci in soccorso ricordandoci che niente è scontato per il Club Italia, spessissimo in difficoltà soprattutto contro compagini anche estremamente modeste. 
IL MATCH PIÙ DELICATO - La gara dell'Olimpico romano era la più delicata fin qui nel percorso netto del cittì. Non certo per la caratura degli ellenici, quanto per tutti i significati che essa racchiudeva: vincere voleva dire uscire definitivamente dal limbo per tornare a battersi contro la créme internazionale del pallone, e occorreva dimostrare di essere pronti ai nuovi impegnativi confronti, quelli che dovremo sostenere nell'Europeo itinerante del giugno prossimo. Non conquistare la qualificazione ieri sera avrebbe avuto scarsa rilevanza sul piano prettamente matematico (i punti necessari sarebbero comunque arrivati più avanti), ma enorme su quello della credibilità dei nostri e del processo di crescita del gruppo, che avrebbe smarrito più di una certezza. Ci attendeva un impegno ricco di insidie, dunque, ma pochi se ne sono accorti, passando questi ultimi giorni a baloccarsi polemicamente col "caso" della casacca verde, del quale tornerò a parlare in chiusura. 
GRECIA CATENACCIARA - Poi, certo, la gara in sé per sé non ha offerto un bello spettacolo, anzi. Da quando l'Italia ha cominciato a ridiventare una squadra, direi quindi dall'ottima trasferta polacca in Nations League, quella di ieri sera è stata la sua peggior prestazione. Con una postilla, però, già più volte sottolineata in passato su questo blog in circostanze analoghe: per veder giocare del buon calcio occorre il contributo di entrambe le contendenti. La Grecia è giunta nella Capitale a fare catenaccio duro e puro, un'orrenda ammucchiata fra area e trequarti. Se questo è il modulo su cui il buon Johnny Van't Schip vuole impostare il rilancio della sua selezione, per il calcio ellenico si prospettano tempi grami: nemmeno la formazione-miracolo del 2004, quella di Dellas e Charisteas che pur non brillava per luminarie di manovra, si arroccava così davanti al proprio portiere. E dunque, per far saltare certi dispositivi difensivi, la strada è una sola, a meno che non si posseggano il fuoriclasse alla Baggio in grado di inventare la super giocata estemporanea o il bomber alla Vieri capace di far centro alla prima palla gol che gli capita tra i piedi: palleggiare in velocità fino a slabbrare gli avversari e poi cogliere il primo varco utile fiondandocisi dentro. 
LENTEZZA E FASCE POCO ISPIRATE - Una strategia che non è riuscita ieri ai nostri, quantomeno nel primo tempo, fatto di avanzate lente e prevedibili, facilmente rintuzzate. E nemmeno le manovre di aggiramento hanno avuto efficacia: è stato cercato fin troppo Chiesa sulla destra, nonostante il fiorentino avesse mostrato fin dall'inizio scarsa vena, tanto da non esser quasi mai in grado di saltare l'uomo, il che è invece una delle sue caratteristiche migliori. Sulla sinistra, Spinazzola ha spinto come un forsennato, e di questo gliene va dato atto, ma raramente ha saputo mettere cross apprezzabili in area, mentre l'altro esterno basso, D'Ambrosio, forse menomato per un infortunio subìto nelle battute iniziali, si è limitato ad adempiere ai suoi compiti di copertura ed è stato un peccato, perché l'unica volta che è andato al traversone ha messo sulla testa di Immobile una delle migliori opportunità della gara: sull'inzuccata del laziale, il guardiano Paschalakis si è esibito in una affannosa deviazione in corner. 
RIPRESA: INSIGNE E BERNA SUGLI SCUDI - Morale della favola: primo tempo senza occasioni per i nostri, e, anzi, con un brivido per Donnarumma, abile a deviare una botta di Koulouris. La ripresa ha mostrato un'Italia più rapida e precisa negli affondo, anche se non ci voleva molto e anche se ciò ha comportato qualche problema di equilibri tattici, stante il contropiede vanificato ancora da Koulouris con una conclusione sull'esterno della rete. Bernardeschi ha portato più verve rispetto allo spento Chiesa, Verratti e Insigne han cominciato a giostrare con la perizia che è loro propria e il napoletano si è procurato il rigore sblocca punteggio, costringendo Bouchalakis al fallo di mano: l'ha trasformato Jorginho, che per tutta la partita si è dato un gran da fare nella zona nevralgica senza però attingere ai consueti livelli di lucidità. Dopo, la difesa ellenica ha allargato le maglie e sono arrivati i tanto sospirati spazi per i nostri, al prezzo di qualche rischio in più in retroguardia, con Bakasetas che, da posizione favorevolissima a centro area, si è prodotto in un tiraccio fuori bersaglio. Parte finale tutta tricolore: Bernardeschi ha trovato il meritato sigillo personale con un bel sinistro da fuori (e leggera deviazione di Giannoulis), poi ha attivato con uno splendido lancio Insigne, il cui destro al volo è stato deviato in angolo dal portiere. Lo stesso Insigne aveva in precedenza sfiorato il raddoppio con una bordata dalla distanza, meritandosi la palma di azzurro più attivo e insidioso in fase offensiva, assieme al citato juventino ed ex fiorentino che pare stia superando il suo prolungato momento difficile: dopo il gol in Champions col Bayer, questa volta gol e rendimento personale di tutto rispetto. Avanti così. 
CON SENSI, PELLEGRINI E BELOTTI LA MUSICA È DIVERSA - Rimane l'impressione di un'Italia che ha comunque faticato non poco a produrre il suo consueto gioco: forse è presto per parlare di intoccabili e imprescindibili, ma la sensazione è che il rendimento di questa squadra possa crescere in maniera esponenziale con l'apporto di Sensi nel mezzo e di Lorenzo Pellegrini nelle sue molteplici vesti tattiche, così come al momento Belotti sembra in grado di offrire più garanzie e maggior killer instinct rispetto a Immobile. Però, ecco, alla fine si è vinto, e anche meritatamente, perché è giusto che chi sta chiuso a riccio (è mancato solo il pallone scagliato in tribuna) alla fine paghi dazio: non accadde due anni fa alla Svezia, perché quella che l'affrontò era un'Azzurra sbagliata nelle idee, in alcuni uomini in campo e nella guida in panchina. Oggi è tutta un'altra storia: il nostro calcio è degnamente rappresentato  da una selezione con ampi margini di crescita e con buone alternative in larga parte dei ruoli. 
VERDE O AZZURRO, L'IMPORTANTE È FARE BENE - Resta da parlare della famigerata maglia verde, che ha scatenato dibattiti incredibili, con opinioni spesso degnissime e in altri casi assolutamente fuori dal mondo, fino a intravedere inquietanti finalità politiche dietro questa scelta. Si tratta di marketing e merchandising, solo questo: chiaro che non verrà mai detto esplicitamente, così come nessuna azienda che si rispetti affermerà chiaramente "lanciamo questo prodotto perché vogliamo incrementare i nostri profitti". Ci sarà sempre lo slogan accattivante a far da paravento, nel caso specifico il verde a simboleggiare la speranza nel futuro e la rinascita del nostro football (il che poi ci può anche stare): è una delle basi della pubblicità e delle attività imprenditoriali, scoprirlo nel 2019 fa un po' specie. Poi si può discutere sull'opportunità dell'iniziativa, senza dimenticare che la nuova casacca non andrà a sostituire tout court il classico azzurro e che comunque questa divisa ha un legame con la storia della nostra Nazionale, basti pensare all'analoga maglietta verde indossata nella lontana amichevole del '54 contro l'Argentina. In fatto di tenute da gioco, abbiamo visto di peggio: ricordo l'incredibile casacca simil - uruguagia indossata dai nostri alla Confederations 2009, o certi arditi esperimenti cromatici adottati da altre nazionali fra anni Ottanta e Novanta (Belgio e Spagna, giusto per citarne due). Ci si scandalizza per altre cose: i prodi che fallirono la qualificazione mondiale nel 2017 indossavano uno sgargiante azzurro, per dire. A me, scusate, preme di più che i calciatori italiani offrano rappresentazioni degne della tradizione del nostro movimento calcistico, e l'Italia di Mancini, fra alti e bassi, lo sta facendo. Poi viva l'azzurro, sempre e comunque, ma per tornare sul podio di una grande competizione internazionale accetterei anche una casacca gialla... 

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