Sei su sei, filotto di vittorie, e l'Europeo ormai a portata di mano. Chi l'avrebbe mai detto, solo un anno fa, dopo le prime, pallide prove della nuova Italia in Nations League? L'Azzurra di Mancini è cresciuta inaspettatamente in fretta, ha riconquistato una discreta credibilità internazionale, ha rialzato la testa dopo l'umiliazione dell'esclusione dal Mondiale. Tantissimo, in così poco tempo: non è pertanto il caso di fare troppo gli schizzinosi di fronte a certi cali di tensione, a certi impacci emersi in queste due prime gare stagionali. Fra Jerevan e Tampere, onestamente, non mi è parso di vedere un orizzonte così fosco come qualcuno lo ha dipinto. Ricordiamoci che siamo a settembre, il mese dell'azzurro - tenebra, quello in cui le nostre selezioni, storicamente, faticano di più; ma non è stato soltanto questo il problema. Fenomeni non ce ne sono, nel girone J, ma squadre belle toste sì: del resto l'Armenia, dopo averci creato non poche difficoltà, ha castigato la quotata Bosnia di Dzeko, e la Finlandia si era messa nella condizione di arrivare al confronto diretto di poche ore fa da seconda in classifica; se avesse vinto, ci avrebbe raggiunti.
SENSI E PELLEGRINI, SIMBOLI DEL NUOVO CORSO - Esistono anche gli avversari, insomma, anche se spesso ce ne dimentichiamo. Con tutto ciò, la giovane Italia torna a casa con un bilancio largamente positivo non solo e non tanto sul piano dei risultati (contro i finnici poteva anche finire in parità, visto il generoso rigore poi trasformato da Jorginho), quanto su quelli del gioco espresso e del rendimento degli uomini utilizzati. Cominciamo da quest'ultimo punto: il Mancio sta allargando la rosa dei giocatori su cui fare totale affidamento. Sensi e Lorenzo Pellegrini sono ormai due titolari, e sono, se vogliamo, anche gli uomini simbolo della filosofia del nuovo corso. Se è vero che il cittì desidera una Nazionale che comandi il più possibile le operazioni in campo, una Nazionale propositiva, col muso costantemente puntato verso la porta dei rivali, ecco, l'interista e il romanista ne incarnano alla perfezione lo spirito: due centrocampisti che sanno appoggiare costantemente la fase offensiva, inserendosi, creando spazi, lavorando palloni, andando alla conclusione. E, nel caso di Pellegrini, adattandosi con profitto anche a giostrare nel trio avanzato, proprio per le sue caratteristiche di uomo di costruzione (ma mantenendo, in linea di massima, le attitudini di gioco tipiche del suo ruolo naturale): subentrato in Armenia, ha immediatamente cercato il gol su punizione, l'ha poi realizzato di testa su lungo traversone di Bonucci e ne ha sfiorato un altro nel finale con un destro sul portiere, mentre in Finlandia ha disputato una gara tatticamente ineccepibile pur se meno appariscente, giocando con abilità e intelligenza a sostegno dei compagni di prima linea. Quanto a Sensi, ieri in campo al posto di Verratti, due suoi formidabili tiri a lunga gittata avrebbero potuto dare ai nostri un vantaggio meritato già nella prima frazione: bravo il numero uno di casa la prima volta, questione di centimetri la seconda.
IL CONTRIBUTO DELLE FASCE - L'ulteriore dimostrazione che le fortune di questa nuova Italia originano dal settore di mezzo, un settore manovriero, rapido, elastico, abile nel palleggio. E poi dallo sfruttamento delle fasce: giovedì Emerson ha fatto il diavolo a quattro sulla sinistra (suo l'assist per l'1-1- di Belotti), mentre poche ore fa, uscito dopo otto minuti appena per infortunio, è stato più che dignitosamente rimpiazzato da un Florenzi sempre pronto a proiettarsi in avanti, sfiorando anche la segnatura con un bel destro al volo parato a terra da Hradecky; se pensiamo che, in fatto di esterni bassi, dovremmo in futuro poter contare pure sui vari Piccini, Calabria, Zappacosta, Biraghi e Spinazzola, oltre all'ormai esperto De Sciglio e auspicando un recupero di Conti, il lavoro sulle corsie laterali è destinato a diventare una soluzione ancor più determinante per l'ulteriore crescita della rappresentativa.
Di sostanza anche il contributo degli esterni alti. Oltre al già citato Pellegrini, Chiesa è salito di tono da un match all'altro: qualche pausa di troppo in Armenia (ma anche un assist sciaguratamente sprecato dal "Gallo"), una più consistente presenza a Tampere, con varie scorribande sulla destra, un pallone ribattuto dall'estremo difensore e il cross vincente per Immobile. Promosso con riserva Bernardeschi, che quando si accende fa balenare tutto il suo talento, peccato lo faccia ancora troppo a intermittenza: nel finale di primo tempo di giovedì, due splendide conclusioni, che hanno fruttato una traversa e una salvifica prodezza del guardiano Ayrapetyan.
SOFFERENZE TEORICHE - Dicevamo dell'allargamento del Club Italia: ci sono nuovi titolari, ma sono venuti prepotentemente alla ribalta elementi che potranno tornare utili, pur non partendo dalle prime file. Izzo e Acerbi, ad esempio, hanno sbagliato poco in copertura e contribuito con continuità alla fase di costruzione, soprattutto il laziale, nel segno di una partecipazione corale a una pressione che, alla lunga, sfianca anche compagini chiuse a riccio. Fateci caso: al di là delle critiche preconcette da parte degli incontentabili, quanto hanno davvero sofferto i Mancini-boys in questa settimana azzurra? Poco, poco davvero. La prima metà del primo tempo in entrambe le partite, poi i primi 25' della ripresa contro Mkhitaryan e soci, quando i nostri sono paradossalmente calati proprio nel momento in cui hanno dovuto fronteggiare un avversario ridotto in dieci; infine, gli ultimi minuti coi finnici, protesi alla disperata, ma disordinata, ricerca del pareggio. In entrambi i match, spesso si è trattato di sofferenze più teoriche che reali: gol iniziale a parte, gli armeni hanno avuto le uniche vere occasioni nel corso della sfuriata di metà secondo tempo, con il citato neo romanista e con Mkrtchyan, mentre il rigore del finlandese Pukki è frutto soprattutto di un isolato errore di un Sensi a quel punto in debito di ossigeno. In compenso, per i nostri, cinque gol, almeno un'altra decina sfumati di un soffio, una serie di azioni potenzialmente pericolose e un sostanziale controllo della situazione nei momenti topici delle due sfide.
IN ATTACCO SI DEVE CRESCERE - C'è da lavorare sulla mira nei sedici metri finali, in effetti: difetto tipico, a ben pensarci, di tante buone squadre in sboccio, limite nonostante il quale si viaggia alla media di tre segnature a incontro nella fase eliminatoria, con tutto che Immobile ha interrotto un digiuno di due anni, Insigne e Kean sono ai box e aspettiamo ancora la prima prodezza di Chiesa junior. Insomma, questo duplice battesimo stagionale ci lascia più conferme che dubbi, più momenti brillanti che fasi di sofferenza e gioco opaco. E siamo a settembre, il mese delle nostre sofferenze calcistiche. Come si fa a non essere ottimisti? Capisco l'ansia di riguadagnare al più presto le tante posizioni perdute, ma non è questo il momento di spaccare il capello in due. La ricetta giusta è quella di Bobby gol: responsabilizzare le nuove leve ma senza caricarle di pressioni eccessive. I risultati li stiamo vedendo e, ripeto, sono sbalorditivi, pensando al vuoto in cui eravamo precipitati dopo il castigo svedese.
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