DEGNI EREDI - E già, sembrano ormai lontani i tempi in cui era d'obbligo rimpiangere acutamente Festivalbar. Beninteso, i professionisti del nostalgismo lo rimpiangono tuttora, e neppure a me dispiacerebbe un ritorno dello storico marchio, più che altro per il fascino e la tradizione che quel nome porta con sé anche adesso, che non esiste più da ormai sedici anni. Ma, francamente, nella fase attuale non c'è motivo di disperarsi: gli eventi sorti in questi anni ne sono degnissimi eredi. Lo dico da sempre con convinzione, prendendomi pernacchie a destra e a manca, lo ribadisco ora, così come ribadisco che, sotto certi aspetti, sono perfino meglio. Il Battiti Live, ad esempio, ha proposto una notevole quantità di musica live (il festival di Salvetti era stato il regno del playback, salvo redimersi tardivamente), e ha dato agli artisti la possibilità di proporre performance ad ampio respiro, con più brani, senza limitarsi allo sbrigativo lancio del singolo estivo. Si è cantato molto dal vivo anche al Power Hits che, dal canto suo, ha un altro vanto: è un concorso canoro vero, con tanto di classifiche settimanali, come lo era stato a lungo il Festivalbar prima di cambiare volto da metà anni Novanta, con vincitori decisi a tavolino o comunque secondo valutazioni che esulavano dai mitici juke box e dalle cartoline voto di Sorrisi e Canzoni.
LA NOSTALGIA DEL "BEL TEMPO CHE FU" - Se poi il motivo dei rimpianti risiede nella qualità dei pezzi in cartellone in questi eventi, temo che qui scenda inesorabile il velo del tempo che passa, a rendere tutto bellissimo degli anni della gioventù e tutto pessimo degli anni che ci tocca vivere oggi. E' un meccanismo mentale umano, che conosco bene, perché certi discorsi li sento più o meno da quando ero un bimbo, ed è un po' la stessa cosa che accade per il calcio: da piccolo sentivo il mio povero papà rimpiangere calciatori di un'epoca in cui la nostra Nazionale, magari, ai Mondiali ci arrivava, dopo aver superato qualificazioni ridicole, ma poi vi veniva sistematicamente eliminata al primo turno. Nello stesso periodo, veniva massacrata da ogni dove la dance italiana, salvo scoprire oggi che i vari Gazebo, Righeira, Spagna, Tracy Spencer e compagnia continuano ad essere richiesti ed applauditi, chi in circuiti minori, chi ancora su ribalte tutto sommato prestigiose, ma, insomma, sono ancora parte della memoria collettiva.
POLEMICHE ECCESSIVE - Eppure, si continua sulla stessa falsariga lamentosa, ed è un peccato, perché in questo mare di lacrime gratuite si annacquano spunti polemici di indubbio interesse. Come nel vespaio di inizio estate suscitato da Enrico Silvestrin, che partendo da motivazioni parzialmente (non del tutto) condivisibili ha rovinato tutto sparando nel mucchio del cast del Love MI, in cui hanno trovato posto personaggi la cui caratura artistica è oggettiva, e testimoniata da pochi o tanti anni di attività e di riscontri, e non possono essere buttati nel calderone della m...a cui il noto VJ ed ex conduttore tv ha fatto riferimento senza andare troppo per il sottile. Allo stesso modo, si sono lette articolesse sul declino di ispirazione poetica degli autori che non riescono più a scrivere testi decenti, tantopiù per le canzoni "balneari", al punto che qualcuno si è chiesto preoccupato che cosa significhi "Stasera che mi fai? La Disco Paradise!". Il significato deve essere analogo a "E' dolce la tapioca di Costarica", che gorgheggiava il Gruppo italiano nell'84, o di "oh oh oh, italian's a go go", l'ultimo tormentone dei citati Righeira risalente all'86. La canzone da ombrellone è sempre stata questa, allegria, leggerezza e disimpegno, fare gli scandalizzati nell'anno di (dis)grazia 2023 mi sembra davvero il colmo.
CAST OMOLOGATI - Poi i problemi ci sono, è chiaro. Ha ragione, ad esempio, chi dice che negli ultimi tempi, e soprattutto quest'anno, la produzione estiva abbia nettamente privilegiato questo filone stilistico, quello sintetizzabile in "stacco la spina e non penso a nulla". E guardando i cast dei festival citati all'inizio, va detto che si assomigliano un po' tutti fra loro: i nomi che girano sono più o meno gli stessi, impegnati in un tour massacrante da un evento all'altro, da una località all'altra, per promuovere la canzone appena uscita. Forse giusto la kermesse di 105 ha messo sotto i riflettori qualche personaggio meno inflazionato e meno visto altrove, ma si è trattato di eccezioni e comunque il dato di fatto è che, al di là del pop e del rap variamente declinati e contaminati, per altri generi lo spazio è veramente ridotto all'osso. Anche qui, però, nulla di nuovo sotto il sole, se è vero che negli anni Settanta i cantautori, disperati per la mancanza di attenzione mediatica, dovettero inventarsi ribalte alternative come il Premio Tenco, peraltro ancora oggi vitalissimo. Ma questa è indubbiamente una grave lacuna; oddio, i festival italiani ad impronta marcatamente commerciale non hanno mai brillato per eterogeneità artistica: ad esempio, troppo timidamente lo stesso Sanremo si apre al nuovo cantautorato, e mi chiedo perché, per fare un nome fra i tanti, per ascoltare in tv un talento puro come Fulminacci si debba aspettare il Concertone del Primo Maggio o sintonizzarsi in fascia preserale su Rai 3 per la bella trasmissione di Stefano Bollani e Valentina Cenni. Ecco, questi ed altri sono veri elementi di criticità del panorama discografico nostrano, ma non si risolvono né sparando nel mucchio né polemizzando su aspetti assolutamente secondari e, soprattutto, riscontrabili ampiamente anche nella produzione canora dei decenni passati.
I KOLORS E GLI ALTRI - Chiudendo questa lunga disquisizione e tornando al succo della proposta estiva 2023, il Power Hits ha visto trionfare "Italodisco" dei Kolors, ed è stato giusto così, perché la "Disco Paradise" è stata fin troppo strombazzata e infilata in ogni dove, tanto da farla quasi venire a noia. Stash e compagni sono stati abili, in qualche modo furbetti, ma con genio e qualità, solleticando appunto quella nostalgia anni Ottanta di cui si diceva, ma piegandola al loro sound, costruendoci sopra un motivetto ben strutturato e orecchiabile. Contento per loro, che riemergono dopo anni in cui hanno sbarcato il lunario senza particolare gloria. Altri pezzi solari hanno illuminato questi mesi caldissimi in maniera assolutamente dignitosa, senza che, come vorrebbe qualcuno, ci si debba vergognare dell'ascolto: i Pinguini Tattici Nucleari di "Rubami la notte" hanno indovinato un'altra hit, confermando il loro stile personalissimo, contemporaneo, fatto di originalità testuale e sonorità efficaci, e sono ormai pronti per un secondo Sanremo da protagonisti assoluti; Achille Lauro si è divertito con una soave "Fragole" in cui quasi sovrasta la sottile vocina di Rose Villain, mentre anche Levante ha fatto centro attingendo a certe atmosfere Settanta-Ottanta con una "Canzone d'estate" a metà strada fra lo spensierato e l'evocativo. E al decennio ottantiano, odiato da tutti a parole, in realtà amato sottovoce, si è palesemente ispirata anche la Pausini, ospite a sorpresa con la trascinante "Il primo passo sulla luna".
ANGELINA MANGO SUGLI SCUDI - Non mi è dispiaciuto il duetto fra Mr. Rain e Sangiovanni in "La fine del mondo", ottimo esempio di rap all'italiana old style, privo di volgarità, in perfetta simbiosi con i canoni del più efficace pop radiofonico. Non male Emma in "Mezzo mondo", vagamente malinconica eppur sostenuta dalla consueta energia, conferma per Colapesce e Dimartino sulla loro ormai riconoscibilissima linea elegante e crepuscolare, in "Considera". E' cresciuta strada facendo, nelle mie valutazioni, la coppia Elodie-Mengoni: "Pazza musica" è alfine una canzone di buon livello, dai sapori soul e funky e con quel ritornello spiazzante che finisce in calando, quasi spegnendosi, modalità lontana dagli stilemi della tradizione nostrana. Sul mio personalissimo cartellino la migliore proposta della bella stagione è stata quella di Angelina Mango, uscita dall'Arena a mani vuote ma vincitrice morale: "Ci pensiamo domani", ascoltatissimo ovunque, è un brano allegro, che esprime alla perfezione, nel testo e nella musica, la sana e consapevole gioia di vivere di una ragazza del 2023. Questa figlia d'arte, che forse non ha le virtù vocali degli illustri genitori ma che sa cantare, scrivere, ha grande comunicativa e tiene il palco con perizia, promette bene e potrebbe essere un'altra carta da giocare sul tavolo del teatro Ariston.
STRANIERI, VETERANI, OMAGGI E... SANREMO - In generale, la serata di RTL è da considerare riuscita perché lo spettacolo è stato concepito in modo da soddisfare il più ampio spettro di esigenze: c'erano, lo abbiamo visto, le canzoni delle chart, c'erano i superbig in versione autocelebrativa, da Giorgia ai Negramaro fino a un Antonacci con una discutibile versione remix di alcuni suoi successi, e c'è stato, da parte dei Pooh, il primo vero omaggio televisivo di rilievo a Toto Cutugno, che finora aveva avuto solo una replica di Techetecheté e trasmissioni mattutine e pomeridiane. E poi sono arrivati gli ospiti stranieri, sempre più rari dalle nostre parti, da Yungblud arrampicato sulle scalee dell'Arena a Rita Ora, da Sophie and the Giants a Jain ed altri ancora. Infine, da sottolineare che, ormai alle soglie di settembre, sono ancora massicciamente nell'aria i successi di Sanremo: anche ieri sera, hanno mandato in visibilio il pubblico "Cenere" di Lazza e "Tango" di Tananai, segno della mano felicissima avuta quest'anno (e non solo quest'anno) da Amadeus. Chiudendo ancora sul filo della nostalgia, quel palco bagnato dalla pioggia di questi giorni mi ha davvero riportato a certe finali del Festivalbar che fu, come quella del 1999, quando i Vengaboys cantavano "We're going to Ibiza" e Geri Halliwel "Mi chico latino" sotto una pioggia scrosciante, e lì percepivi pienamente i segni di un'estate ancora in corso ma che stava inesorabilmente volando via. Proprio come ieri sera.
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