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domenica 11 febbraio 2024

SANREMO 2024: ANGELINA MANGO VINCE UNA GARA MOZZAFIATO, LA PIU' INCERTA DEGLI ULTIMI ANNI. NESSUN PICCO CANORO EPOCALE MA TANTI PEZZI DA HIT PARADE. GHALI E' ORA UN BIG PER TUTTI


E' caduta (letteralmente), si è rialzata, ha trionfato. La serata di Angelina Mango è stata un caleidoscopio di emozioni fortissime: prima il capitombolo in chiusura di esibizione, dovuto al grande trasporto con cui sempre interpreta "La noia" (e la mente è subito andata a un analogo patatrac che vide protagonista Loredana Bertè in un altro momento felice, quando si aggiudicò il Festivalbar '82), poi, a notte fonda, il traguardo tagliato per prima, un risultato da molti atteso ma tutt'altro che scontato, anzi. E così, si può proprio dire che la figlia d'arte sia passata in poche ore dal... tonfo al trionfo, e mi sarà permesso di scherzarci su, visto che la ragazza non si è fatta assolutamente nulla. 

ANGELINA, PERSONALITA' E NUOVO SOUND - Una vittoria significativa, sotto molti punti di vista. In primis, perché segna il decollo di un astro nascente della musica italiana, un talento puro che, personalmente, "inquadrai" per bene già nell'agosto scorso, in sede di commento qui sul blog della finalissima di Power Hits, la rassegna estiva di RTL 102.5: già allora, scrissi che la sua "Ci pensiamo domani" era per me il vero tormentone balneare, più della decoratissima "Italodisco". Da lì in poi, ho sempre data per certa la partecipazione di Angelina a questa edizione del Festival, ma non pensavo che potesse già arrivare a conquistare la medaglia più pregiata. Aggiudicarsi Sanremo così presto è sempre un rischio, un'arma a doppio taglio: solo il tempo ci dirà se sia stato un bene; oggi, all'indomani dell'evento, posso solo riconoscere l'indubbia unicità artistica di questa fanciulla. E qui veniamo a un altro aspetto rilevante del risultato di poche ore fa: Angelina, ben spalleggiata da un team di autori di prim'ordine, ha portato in gara un pezzo totalmente fuori dagli schemi festivalieri, ma anche non propriamente in linea con certe tendenze radiofoniche, perché la cumbia, per quanto adattata a certi stilemi contemporanei, non è il genere che va per la maggiore nel nostro Paese. E però funziona, è di impatto, grazie a una scrittura astuta, a un sound vivace e dai colori mediterranei e arabeggianti, e, torniamo al punto di partenza, alle doti performanti della cantante, che riesce a dare un'anima genuina e spontanea alle sue canzoni, e le "porge" con energia, aggressività positiva, personalità da autentico animale da palcoscenico e voce tutt'altro che anonima. 

ANNALISA POTEVA VINCERE DEGNAMENTE - In ogni caso, una vincitrice degna, il che non esclude un'altra considerazione: in misura diversa, molti altri avrebbero avuto titolo per occupare il gradino più alto del podio. Limitandoci alla cinquina finale, forse a mettere d'accordo tutti, o quasi, poteva essere Annalisa, che personalmente ritenevo la più meritevole, sia pur di un'incollatura, per titoli acquisiti in quasi quindici anni di carriera, per mole di consensi recenti e per abilità di un pezzo che, alla fine, rinnova con successo il filone inaugurato con  "Bellissima" e ne consolida la posizione di diva pop glamour del momento. E se Irama si è confermato uno splendido cantore moderno di atmosfere romantiche retrò eppure sempre di moda, con il suo struggente urlo d'amore, Ghali si è ripresentato al grande pubblico vincendo la sua sfida e guadagnando una credibilità che va oltre il suo consueto bacino di fruitori, abbattendo il muro del residuo scetticismo: "Casa mia" è una proposta fresca per eccellente grado di cantabilità in ogni sua parte, giusto compromesso fra lo stile ruvido di certa sua produzione passata e una maggiore immediatezza elettropop, e contiene un importante e ben chiaro messaggio pacifista, ribadito anche ieri sera in chiusura di esibizione con uno "stop al genocidio" che finalmente, dopo tante remore e timidezze, alla lunga ha fatto almeno parzialmente breccia sul palco dell'Ariston. 

GEOLIER E IL REGOLAMENTO - Discorso a parte per Geolier, sul quale comunque mi confermo: sul piano prettamente musicale, una sua affermazione non sarebbe stata scandalosa, anche se mi avrebbe lasciato un po' di amaro in bocca. Una trap urban ammorbidita con accenti  da neomelodico napoletano e un refrain ficcante, ossessionante. Il punto è che la sua ammissione in gara è frutto di un'interpretazione del regolamento assolutamente lecita (ci mancherebbe) ma attuata sul filo del rasoio e dell'equilibrio; nelle "tavole della legge" rivierasche, al paragrafo A del capitolo "Canzoni", si legge che il testo delle suddette "dovrà essere in lingua italiana. Si considera in lingua italiana anche il testo che contenga parole e/o locuzioni e/o brevi frasi in lingua dialettale e/o straniera (o di neo-idiomi o locuzioni verbali non aventi alcun significato letterale/linguistico), purché tali da non snaturarne il complessivo carattere italiano, sulla base delle valutazioni artistiche/editoriali del Direttore Artistico". Ecco, quest'ultima frase salva capra e cavoli, attribuendo peso dirimente alla sensibilità, al sentire e alla linea del responsabile massimo della manifestazione, ma è chiaro che, appunto, si ricama in punto di diritto, ed è ovvio che, dopo la vicenda che ha coinvolto il giovane partenopeo, il regolamento dell'anno prossimo dovrà essere adeguatamente aggiornato. 

INUTILE SCAGLIARSI CONTRO LE GIURIE - Sempre a proposito di Geolier, che come si vede ha catalizzato le poche polemiche di questa edizione relativamente alla gara, trovo tutto sommato stucchevoli le grida di dolore per il rovesciamento del verdetto del televoto da parte di sala stampa e radio: si è giunti a questo complesso sistema di "bilanciamento fra giurie" negli ultimi lustri, proprio per attutire l'impatto devastante e non sempre positivo che il voto tramite sms ebbe nei primi anni della sua introduzione, decretando vincitori senza grossi meriti e rivelatisi spesso effimeri. E' così da tempo, c'è un regolamento che cantanti, management e discografici leggono e accettano prima di affrontare la tenzone, e che, dai primi anni di questo secolo, la Rai mette giustamente on line, rendendone disponibile la consultazione a chiunque; cadere oggi dal pero e fare gli scandalizzati è fuori dal mondo. Insomma, questo meccanismo di riequilibrio è nei poteri delle giurie presenti in loco (in tempi più lontani se ne avvalse con disinvoltura anche la giuria di qualità, oggi non più esistente), a volte può avere esiti apprezzabili, altri più infelici, ma, insomma, fa legalmente parte del gioco. 

SANREMO THRILLING - E così, a notte fonda si è chiuso uno dei Festival più incerti e combattuti di sempre. Del resto, l'avevamo detto alla vigilia: almeno la metà dei concorrenti poteva legittimamente ambire a centrare il bersaglio grosso, sia pur con argomenti diversi e di diversa consistenza. Amadeus aveva allestito quest'anno un cast ricco di nomi di primissimo piano, soprattutto di big del momento, assolutamente sulla cresta dell'onda, nel cuore degli appassionati. Cast del genere danno prestigio all'evento e, indubbiamente, moltiplicano il loro potere promozionale a favore dei partecipanti, ma hanno anche il rovescio della medaglia, ossia che, in un mare immenso di proposte, fatalmente anche delle opere di pregio rischiano di perdersi e di scomparire nella massa. Ed ecco quindi che la melodia tradizionale a pieni polmoni del Volo, ariosa e d'impatto, non è mai riuscita a entrare nei giochi di alta classifica, clamoroso se si pensa alla popolarità internazionale del trio e ai risultati colti dallo stesso nelle due precedenti partecipazioni. E ancor più clamoroso è stato il buco nell'acqua in graduatoria dei Negramaro, il nome di spicco che il direttore aveva estratto quest'anno dal cilindro, sulla scia dei grandi ritorni recenti dei grossi calibri dell'ultimo ventennio, pensiamo a Elisa (2022) e Giorgia (2023). Erano nel lotto dei papabili, sono finiti nelle retrovie, colpa di una "Ricominciamo tutto" raffinata e complessa, non facile all'ascolto, che è salita di tono nel corso delle serate ma non abbastanza per tornare in lizza; una composizione di cui comunque torno a sottolineare le buone qualità, con il tocco di quell'omaggio al Dalla di fine Settanta - primi Ottanta, di cui non era facile riprodurre le atmosfere evocative e nostalgiche. 

DANCE, BALLAD E IMPEGNO - Dovrei citare molti altri artisti, fra chi ha raccolto meno di quanto seminato, ma per i dettagli rimando al pagellone audiovideo realizzato con Markus del canale You Tube "Profumo di Sanremo e non solo". Accenno solo alla sofisticata architettura sonora dei Santi Francesi, a cavallo fra attualità e riscoperta del passato con quel bel sintetizzatore eighties, la dance sostenuta in salsa Lazza, ma con una propria originalità, della bravissima Clara, il sound estivo di Emma, la cui "Apnea" potrebbe diventare un tormentone balneare, se riuscirà ad arrivare ai mesi caldi senza essere travolta dai tanti nuovi dischi che usciranno nel frattempo; e ancora la ballad di pregio di Maninni, che ha appreso, con intelligenza, le lezioni di tanti habitué del genere, Il Tre con un'altra operazione nostalgia rivolta in questo caso al sapore di rap-pop in salsa novantiana, e aggiungiamoci l'azzardata operazione di Dargen D'Amico, che per lanciare un importante messaggio di pace ha optato per un pezzo nelle sue corde, fatto di ritmi martellanti e massima orecchiabilità che rischiano di sommergere e far passare in secondo piano il significato del testo. Ad ogni modo, Dargen è stato il primo, martedì notte, a esporsi nella sua richiesta di cessate il fuoco, e con il passare delle serate qualcuno si è fatto avanti con coraggio, ma, dicevo, sempre troppo pochi, con il picco dello "stop al genocidio" invocato da Ghali. 

BUON LIVELLO MEDIO, TANTE HIT IN PECTORE, RISCHIO OMOLOGAZIONE - Ho citato tante canzoni, e altre ancora avrei potuto citarne (penso a quelle di Mahmood, Mr. Rain e Diodato, sulle quali mi ero comunque espresso positivamente nei giorni scorsi), ma, nel mio proverbiale ottimismo, credo di avere individuato un buon livello medio della proposta festivaliera appena ascoltata. Senza picchi come in anni passati, penso al Mengoni pigliatutto, ma con tante canzoni costruite con  astuzia, ben confezionate, con tutti i crismi per "spaccare" in radio, nelle charts, in streaming. Capolavori? A naso direi di no, ma brani con una loro precisa dignità e con la possibilità di farsi ricordare. Non vi piace un Sanremo così? Ci sarà modo di parlarne nel dettaglio. Troppa dance, si era detto quest'anno, e poi abbiamo visto che le proposte classiche, le melodie, le ballate hanno comunque avuto il loro vasto spazio. Poco spazio per certi generi più di nicchia, e su questo si può essere anche d'accordo, è uno degli aspetti su cui maggiormente si dovrà lavorare in futuro per non offrire una produzione troppo omologata. In questo senso, è balzata agli occhi la presenza massiccia di un ristretto numero di autori a firmare un elevato numero di canzoni; non è una novità, certi nomi che ricorrevano con costanza sono stati una caratteristica anche di Festival molto lontani nel tempo, forse nel 2024 si è un tantinello esagerato, ecco. Senza entrare in meccanismi di management, collaborazioni e rapporti professionali che non mi appartengono e che non conosco, penso sia normale che un interprete si affidi ai compositori più in voga, i re Mida della canzonetta che trasformano in oro tutto quel che scrivono; casomai posso rimproverare loro scarso coraggio nel non affidarsi anche a qualche autore emergente o comunque meno "sfruttato".

FESTIVAL COMMERCIALE, COME SEMPRE - Ma molti sembrano dimenticare cosa sia davvero Sanremo: una rassegna a carattere commerciale, che deve offrire essenzialmente (non esclusivamente) musica da classifica, "da canticchiare", composizioni che fanno vendere, che danno popolarità e riscontri economici ai cantanti e che quindi aiutano l'industria discografica a girare e a poter investire denaro su nuove produzioni e, si spera, su sempre più emergenti. E' sempre stato così, il Festivalone non è né il Tenco né Musicultura. Del resto, proprio sul piano discografico, gli esiti dei cinque anni di gestione Amadeus sono stati un crescendo rossiniano di certificazioni oro e platino; i cantanti fanno la fila sempre più numerosi per entrare nel cast, che dal 2020 si è allargato a dismisura anche per fare il minor numero di scontenti possibile; e qualche settimana fa Enzo Mazza, il presidente della Fimi, colui che a fine anni zero aveva pronosticato l'estinzione del Festival nel giro di poco tempo, ha chiesto a gran voce la riconferma di "Ama" alla luce degli straordinari risultati conseguiti. Questi sono dati oggettivi, che dimostrano come la gestione appena conclusasi, la linea editoriale emersa, pur con tutti i suoi limiti, era e rimane una delle migliori per la salute dell'universo canoro nostrano. 

E IL FUTURO? - Per tutto questo, l'abbandono ormai quasi sicuro dell'attuale responsabile (ma i vertici Rai sperano ancora di convincerlo a tornare sui suoi passi) apre problematiche non di poco conto. Innanzitutto perché non è facile scegliere un successore credibile (il ritorno della sicurezza Conti? Il clamoroso ripescaggio di Baglioni prima dell'annunciato ritiro? L'idea da me lanciata di Fiorella Mannoia? Una Pausini però ancora in piena attività, fra dischi e live?), e perché chi verrà dovrà ovviamente avere liberta di scelta e di realizzazione della sua idea di Festival, ma anche l'estrema umiltà, e direi l'intelligenza, di non toccare alcuni meccanismi e alcuni criteri di selezione messi a punto da Amadeus, che ha allineato Sanremo alla realtà musicale del nostro Paese come era riuscito a pochissimi prima di lui . E' di nuovo l'appuntamento più ambito da tutti, e chi ci va, soprattutto se nome di primo piano, lo fa con brani di spessore, mentre in epoche passate accadeva spesso che i big arrivassero con produzione di seconda scelta, riservandosi il meglio per altre occasioni. Si apre una successione difficile, insomma, forse la più difficile, perché l'anchorman siciliano non è stato il primo a sbancare l'Auditel (certo, questi livelli non si raggiungevano dai tempi del miglior Baudo), ma l'eredità principale del suo operato è appunto l'aver ridato all'evento assoluta centralità nell'andamento del mercato musicale. 

sabato 10 febbraio 2024

SANREMO 2024: LA SOLITA SERATA COVER, POCHI PICCHI DI BELLEZZA E TROPPE CONCESSIONI AL FACILE CONSENSO. ANNALISA E ANGELINA IL TOP CON VOLO E SANTI FRANCESI, NON SCANDALOSO IL PRIMATO DI GEOLIER

 


Lo scrivo e lo dico da anni: la serata cover è il più grande "buco nero" della gestione festivaliera targata Amadeus. Soprattutto perché è musicalmente un corpo estraneo alla gara di inediti, e però finisce con l'incidere tecnicamente sull'esito della gara stessa, una distorsione regolamentare a cui nessuno è mai riuscito a fornire una spiegazione artisticamente accettabile, semplicemente perché non ne esiste alcuna. Ma non è solo questo: c'è la sensazione che questo happening di indubbio fascino si muova all'interno di schemi fin troppo elastici, in cui tutto è consentito, con lacci e lacciuoli normativi ridotti al minimo sindacale. Il che sarebbe anche accettabile se, ripeto, rimanesse un concorso a sé stante, che esaurisce la sua funzione nella notte del venerdì (o del giovedì, come è successo in altre edizioni). 

Sul piano squisitamente musical-spettacolare, questa kermesse nella kermesse ha confermato tutti i suoi pochi pregi e i tanti difetti. Un kolossal animato da circa settanta fra cantanti e musicisti, con alcuni indubbi picchi di bellezza ma anche performance banali e dimenticabili e qualche furberia di troppo. Mi si dirà: ma è esattamente ciò che avviene, sempre, al Festival di Sanremo nel suo complesso. Vero solo in parte, perché almeno nel concorso canoro tutti partono più o meno alla pari, vale a dire con una canzone nuova di zecca e sconosciuta, che è ciò che conta nella tenzone ligure. Quando scatta il momento delle cover, invece, c'è chi rischia e si mette alla prova e chi va sul sicuro ammiccando eccessivamente al pubblico e, di conseguenza, ai votanti. 

Alle corte: veramente discutibile il karaoke simil Arena Suzuki con medley e pout pourri assortiti, ai limiti dell'inaccettabile l'autocelebrazione. Lo ripeterò allo sfinimento: è veramente grottesco che evergreen del pop italiano e internazionale vadano a incidere sul verdetto finale del Festivalone. Questo è il vero scandalo, non la vittoria di tappa di Geolier, che può essere discutibile come tanti altri primi posti nella storia della manifestazione, ma che rientra nel gioco spesso imperscrutabile delle giurie. Del resto il ragazzo di Secondigliano ha presentato, per la specifica occasione, un progetto dignitoso e con una linea ben precisa, un rapido excursus lungo i sentieri della trap e delle nuove frontiere sonore partenopee. Avrei preferito un'altra medaglia d'oro, ma meglio questo ensemble napoletano del best of di Renga e Nek, o di Sangiovanni che addirittura ha riproposto il suo precedente successo sanremese, "Farfalle", in versione spagnola (mai tante "mariposas" all'Ariston come quest'anno). E spiace che Geolier se la sia presa per i fischi, perché anch'essi vanno messi in preventivo in circostanze simili: non è che il pubblico in sala debba sempre e costantemente accettare pacificamente tutto, e il fischio è il modo più classico per manifestare il proprio disaccordo, da che mondo è mondo. Sennò certi atleti dovrebbero passare la vita a piangere, e del resto è accaduto, spesso e volentieri, anche nei teatri lirici, contro autentici mostri sacri del canto.

Senza sale gli omaggi di Rose Villain e The Kolors ai loro partners Gianna Nannini e Umberto Tozzi; meglio, per intensità, il duetto Vecchioni-Alfa in "Sogna ragazzo sogna", scelta azzeccata perché è un brano che, fin dal titolo, sa tanto di passaggio di consegne fra vecchia e nuova generazione canora. Il ragazzino genovese ha chiuso il pezzo con una strofa rappata scritta di suo pugno, una soluzione che è stata spesso praticata in questi anni di cover rivierasche e che personalmente trovo originale e azzeccata: lo stesso ieri, hanno (ben) fatto i Bnkr44 per dare una veste nuova a "Ma quale idea" di Pino D'Angiò,  rivisto con piacere a proprio agio sul palco, nonostante le difficoltà vocali. Personalmente, pur senza delirare per l'entusiasmo, ho apprezzato la rilettura sommessa e intimista di "Notte prima degli esami" da parte di Gazzelle e del bravo Fulminacci, che spero di rivedere in gara quanto prima, e anche il delicato omaggio di Mahmood a Dalla in "Com'è profondo il mare". Tutto sommato gradevole anche il duo Emma-Bresh, rispettoso del Tiziano Ferro originale, e all'insegna della totale spensieratezza la rimpatriata sanremese Gabbani-Mannoia, con lei che guardava lui con aria scettica mentre intonava "Occidentali's karma", reo di averle "soffiato" la medaglia d'oro nel 2017. 

Pollice in su per chi è stato coraggioso e non banale, si diceva. Il coraggio può essere declinato in tanti modi, a partire dalla scelta del brano da coverizzare fino al modo di metterlo in scena e di eseguirlo. Coraggio ha mostrato Ghali, che ha portato il suo universo musicale ricco di contaminazioni, il suo essere cittadino del mondo, con l'intro in lingua araba, ma anche profondamente italiano, con l'omaggio a Toto Cutugno. E coraggiosa è stata Angelina Mango, perché non è facile reinterpretare un evergreen di un padre prematuramente scomparso e amatissimo dagli appassionati: lei l'ha fatto riuscendo a dare di "La rondine" una lettura nuova, più delicata, di grande suggestione, impattante quanto l'originale. Probabilmente il top della serata, assieme ad altre tre performance che hanno raggiunto livelli di perfezione, forza emotiva e professionalità elevatissimi, ossia Annalisa e Rappresentante di lista in una "Sweet dreams" ricca di feeling, Il Volo con Stef Burns alle prese, nientemeno, con "Who wants to live forever", e i Santi Francesi, poco considerate rivelazioni di questa edizione, con una versione impeccabile dell'Hallelujah di Cohen, ben spalleggiati dalla sempreverde Skin. Di contro, assolutamente dimenticabile l'ennesima riproposizione, ad opera di Bigmama, Gaia, Sissi e La Nina, di una "Lady Marmalade" che negli ultimi vent'anni ci è stata propinata in tutte le salse in ogni tipo di trasmissione non solo Rai, una hit di grandissimo successo ma di cui mi sfugge il fascino talmente dirompente da imporne la necessità di inserirla nelle scalette di show, contenitori musicali e quant'altro, a ogni piè sospinto. 

In mezzo a una proposta così sovrabbondante, tutti gli elementi extra hanno avuto pochissimo spazio, ma merita la citazione una Arisa in superba forma fisica e soprattutto vocale, per la quale spero arrivino presto nuove canzoni in grado di valorizzarla e di riportarla al successo di qualche anno fa. Nessuna sorpresa per una Cuccarini a proprio agio nelle vesti di presentatrice che già tante volte ha indossato, anche all'Ariston, e che potrebbe essere un'idea per conduzioni future del Sanremone, chissà. Per i Jalisse è arrivato infine il ritorno all'Ariston, ma solo come contentino. E contenti loro, contenti tutti, ma diciamo che per ripartire davvero serve qualcosa di più. Non credo ai complotti contro di loro, e non credo nemmeno che dal '98 a oggi abbiano presentato solo brutte canzoni; bisogna che ci sia davvero l'occasione, il momento giusto per il rilancio, e non è facile individuarlo e intercettarlo, questo magic moment, soprattutto per chi è fuori dal grande giro discografico da tempo. Guardate quanto tempo hanno dovuto attendere Paola e Chiara... E stasera? Sarà difficile non trovare nella cinquina finale Geolier, Annalisa e Angelina, ma a notte fonda tutto si azzererà e molto potrà ancora accadere, anche se il consiglio, a chi non lo conosce, è di... cominciare a imparare il napoletano.

giovedì 8 febbraio 2024

SANREMO '24, LA SECONDA SERATA: VINCE GEOLIER, MA COLPISCE L'INTENSITA' DI IRAMA, CRESCE ANNALISA E SI CONFERMANO BERTE' E MAHMOOD. TRAVOLTA... TRAVOLTO DA UNO SKETCH POVERO DI IDEE E FANTASIA


 

Se esistono ancora dubbi sul proseguimento dell'esperienza sanremese di Amadeus (sarà il diretto interessato a sciogliere la riserva a Festival concluso, come è giusto che sia), quanto accaduto ieri sera con e attorno a John Travolta dovrebbe essere interpretato come un segnale che un'epoca sta per chiudersi, o quantomeno come un campanello d'allarme. Chiariamo subito: il fallimento totale di una singola ospitata non può certo essere motivo sufficiente per bocciare in toto una direzione artistica che ha accumulato meriti innumerevoli nel quinquennio (sì, mettiamoci anche l'edizione in corso). Il mio è un discorso di più ampio respiro, che riguarda più la "sceneggiatura" dello show che non la scelta delle canzoni in gara: la costruzione del terribile siparietto con la superstar d'Oltreoceano ha mostrato, in maniera inequivocabile, che le idee cominciano a latitare, che la stanchezza del gruppo di lavoro sta emergendo sempre più nitidamente. Perché Fiorello ha rappresentato spesso, in questi anni, l'ancora di salvezza, la scappatoia con la quale uscire brillantemente da situazioni spinose (ricordate la leggerezza con cui gestì lo scazzo Bugo-Morgan, per non parlare dell'abilità con cui si destreggiò nel clima pesante del teatro vuoto in era Covid?), ma non si può sempre sperare che la sua capacità di improvvisazione e il suo talento comico partoriscano sistematicamente la genialata di turno. Stavolta non è successo, ed è normale che la formula Ama-Fiore possa mostrare la corda dopo un lustro ai massimi livelli. 

Poi, certo, la questione è anche più complicata. Puntare su Fiorello e sulle sue idee finisce col risultare anche un alibi, perché dietro i due padroni di casa dovrebbe esserci una squadra di autori, profumatamente pagata per concepire qualcosa di più presentabile di quanto visto ieri, o comunque in grado di stoppare simili pseudo sketch prima che vadano in onda, capendone il potenziale nefasto. E dire, dopo, "vabbè, ma ci siamo divertiti" è un cavarsi di impiccio che sta cominciando a stufare, oltretutto mi pare che l'avesse sostenuto pure Blanco dopo la malriuscita performance floreale del 2023, quindi non insisterei su queste affermazioni. 

E ancora, tutto questo è il risultato di una scelta di fondo doppiamente sbagliata: la scelta di continuare a cercare vip internazionali del cinema che rarissimamente hanno portato un valore aggiunto alla kermesse (ricordo solo una bella intervista a Sharon Stone nel 2003, poi sicuramente qualcos'altro che mi sfugge, ma in ogni caso poche gocce in un mare di mediocrità), e il fatto di concludere certi contratti a immediato ridosso della rassegna, quindi con pochissimo tempo a disposizione per preparare qualcosa di raffinato, ben costruito, godibile. Peccato davvero, perché il tutto era iniziato in maniera anche azzeccata, con le domande di Giorgia, poi la degenerazione, con la scontata banalità delle canzoni cult da ballare e con l'imbarazzante "Qua qua dance". 

Che poi, intendiamoci, nulla contro la canzoncina di Romina Power che dominò la hit parade fra l'81 e l'82: mi spingo a dire che non c'è scandalo nel balletto "imposto" a Travolta, un divertissement che però avrebbe avuto senso in un altro contesto, inserito in un numero più lungo e articolato, in cui l'attore avrebbe dovuto avere spazio per muoversi su diversi registri, per fare cose serie e meno serie, per poi concludere con questa sorta di "svacco"; è stata invece il fulcro di una presenza di pochi minuti, alla quale, è vero, lo stesso protagonista, a disagio e poco incline ai sorrisi, non ha fornito nemmeno il minimo sindacale di verve. E anche questo è un punto interrogativo: d'accordo l'estrema tristezza della gag, ammessa a tarda notte dallo stesso Fiorello, ma John non era stato avvertito? E' stato colto di sorpresa? E se ne era a conoscenza, non poteva opporsi e dire "no, questa proprio non la faccio"? Misteri della televisione. In tutto questo, continuo a non trovare spiegazioni logiche alla scomparsa, dalla Riviera ligure, dei big del pop internazionale, che avrebbero in cambio una massiccia promozione e non dovrebbero nemmeno prestarsi a scenette senza sale, ma solo cantare uno o due pezzi. Ne basterebbero tre o quattro, di questi grossi nomi, nessuno pretende l'invasione degli anni Ottanta. 

Insomma, una macchia non da poco su una serata che aveva anche mostrato come un'ospitata possa essere realizzata con tutti i crismi e risultare perfino emozionante, grazie al ritorno di Giovanni Allevi che non si è limitato a suonare (bene, per quel che me ne capisco) il pianoforte, ma ha anche raccontato con voce tremante il suo viaggio attraverso la malattia, invitando alla speranza, senza vergognarsi di chiedere comprensione per eventuali incertezze esecutive e plaudendo ai medici e alla ricerca, in una triste epoca in cui i medici sono spesso vittime dell'odio social, a volte addirittura aggrediti fisicamente, e la ricerca oggetto di scherno e derisione da parte dei laureati all'università della vita. E visto che abbiamo cominciato parlando della parte extragara, ma l'attualità lo imponeva, diciamo che la seconda co-co Giorgia è stata impeccabile ma, mi è parso, leggermente meno a suo agio nel ruolo di presentatrice aggiunta rispetto a Mengoni, meno a briglia sciolta, preferendo dare il meglio di sé nelle sue due performance canore. Quanto ai concorrenti che introducono altri concorrenti, è un'idea anche carina ma che non aggiunge nulla al racconto del Festival, se non la dimostrazione plastica che ormai larga parte dei cantanti sanno disimpegnarsi senza eccessivi problemi anche in ruoli che professionalmente non gli appartengono; del resto, la storia televisiva recente parla chiaro, coi vari Ruggeri, Mika e Nek che hanno indossato senza intoppi le vesti degli anchorman. Altri (e altre) seguiranno, scommetto. 

Il secondo ascolto di metà dei brani in concorso ha permesso di schiarire parzialmente le idee, ma non al punto di capire quale potrebbe essere, sabato notte, il vincitore o la vincitrice assoluta. Conferme e sorprese, ma sorprese parziali: perché comunque si sapeva che Geolier avrebbe potuto contare su una massiccia spinta da parte di radio e televoto. Il pezzo ha indubbio sprint e pathos, è contemporaneo, martellante, anche variegato nell'arrangiamento e nell'architettura: può piazzarsi, ma non sarebbe, quanto a genere musicale, il mio trionfatore ideale. Convince sempre più Mahmood, che si rinnova nella continuità e, come accennato ieri, spinge senza compromessi su un linguaggio giovanilistico estremo che rischia di renderlo alieno e incomprensibile alla platea di mezza età. Ha guadagnato credibilità "Sinceramente" di Annalisa, che, come detto, non presenta trovatine acchiappa-ascolto clamorose ma ha una ritmica accattivante e passaggi testuali, come il "quando" ripetuto ossessivamente, che comunque ne fanno un'opera di sicura presa commerciale. 

Conferma per la Bertè, la cui autobiografia ha una costruzione un po' altalenante nella poetica, con parti mature e altre un po' più di grana grossa, mentre la struttura complessiva della canzone rimanda, decisamente, allo stile compositivo di tanta musica leggera anni Ottanta, quella che dentro e fuori Sanremo si appiccicava subito alle orecchie. Pollice in su per Irama, che ha sfoderato una intensa e, direi, splendida canzone d'amore, anche meno scontata rispetto a quella "Ovunque sarai" che tanti consensi gli aveva portato due anni fa. Non mi sorprende il suo secondo posto di serata, mentre non mi aspettavo il fatto che, nelle prime due cinquine di questo Festival, non comparissero i ragazzi del Volo, con un classicone più pop e meno lirico, di grande impatto ed eseguito magistralmente. Per i Kolors è già tormentone totale (devo essere sincero: stanotte, quando stava per essere svelata la prima posizione parziale, mi aspettavo di trovare loro in vetta, e non Geolier, ma non credo che la vittoria sanremese sia in testa ai pensieri di Stash e compagni). 

Tanta dance ma anche una rappresentanza tutt'altro che sparuta del melodico tradizionale. Detto dei convincenti Irama e Volo, non deludono sul piano interpretativo e dell'impasto vocale Renga e Nek, con una "Pazzo di te" forse un po' datata, mentre va riascoltato il non banale intimismo cantautorale di Gazzelle. Assolutamente trascinante l'Apnea di Emma, che pare più un brano da rassegne canore estive che da Sanremo, e proprio per questo potrebbe avere vita lunga. Abilmente confezionato per le radio e lo streaming "Il cielo non ci vuole" di Fred De Palma, col tocco di classe di alcuni inserti simil-sinfonici grazie al poderoso sostengo degli archi, ma in questo ambito stilistico si fanno preferire i "Diamanti grezzi" di Clara, con quella intro malinconica che sa tanto di Hooverphonic inizio secolo, spruzzate dello stile  di Mahmood e una generale gradevolezza all'ascolto, così come sta emergendo Bigmama, che porta all'Ariston uno dei refrain più efficaci. Si conferma lo spessore di "Onda alta", un testo impegnato amplificato da un ritmo sostenuto con toni quasi drammatici, un messaggio che può arrivare maggiormente ai cuori delle persone grazie all'utilizzo di una modalità espressiva apprezzata dalle nuove generazioni. Interessante è "Vai" di Alfa, con quel marcato stile country all'americana, ma è un brano su cui va sospeso il giudizio, visto che, da quel che si legge e si sente in giro, non brillerebbe propriamente di originalità. 

mercoledì 7 febbraio 2024

SANREMO 2024, LA PRIMA SERATA: MENO IMMEDIATEZZA E TROVATINE FURBE, MA QUALCHE POTENZIALE TORMENTONE C'E'. IL CORAGGIO DI ANGELINA E IL GIOVANILISMO SPINTO DI MAHMOOD



Sensazioni. Solo a quelle ci si può affidare, una volta superato lo scoglio del primo ascolto del pacchetto-canzoni offerto da Sanremo '24. Una mole imponente di nuove produzioni, succedutesi a ritmo sostenuto lungo uno spettacolo fiume snodatosi per oltre cinque ore televisive. E dunque, ditemi voi come si possa anche solo azzardare un giudizio, sia pur parziale, sui trenta pezzi del 74esimo puzzle rivierasco. Ecco, appunto, sarebbe un azzardo, e non invidio le certezze di chi già ha stilato le proprie pagelle a caldo. Operazione legittima, soprattutto nell'era dei social che richiede di essere sempre "sulla notizia" e di proporre il proprio commento prima degli altri. Legittima ma rischiosa, perché le valutazioni sui primi ascolti di una tale abbondanza di opere non possono che essere affrettate e superficiali, persino se escono dalla tastiera dei critici più smaliziati, non dico da parte di dilettanti come me, che dunque per il momento prudenzialmente mi astengo (anche perché, davvero, per quasi tutte le canzoni sono fermo a quanto sentito ieri sera "on stage"), e mi limito ad annotare, come detto, solo alcune sensazioni immediate avvertite durante la diretta. 

Balza alle orecchie l'assenza di un brano che si stagli nitidamente al di sopra degli altri, come era accaduto per "Due vite" l'anno passato e, in misura minore, per "Brividi" nel '22. Soprattutto quello di Mengoni, era, anzi è, un "pezzone" che tutti, dalla stampa specializzata ai semplici ascoltatori, avevano avuto gioco facile nel pronosticare vincitore fin da subito. Quest'anno non è così, e non è detto che sia un male, anzi, è vero il contrario, perché ciò conferma quanto da me scritto ieri, ossia l'esistenza di un equilibrio esasperato nei quartieri alti, destinato a incrinarsi parzialmente solo dopo le due serate intermedie di oggi e domani. Un equilibrio costruito su fondamenta abbastanza solide, perché quello che si percepisce è un livello sostanzialmente più che dignitoso, pur se non siderale, dell'offerta musicale. In molte canzoni, questo sì, si è avvertita maggiore ricercatezza e minore immediatezza, ed è ciò che ha forse penalizzato i Negramaro, raffinati e nostalgici, in sede di prima, parzialissima classifica; in altre, pur gradevoli, sembra di primo acchito mancare la trovatina furba che assicura i primi posti delle charts, ma anche questo può essere visto come qualcosa di positivo, e in particolare è parsa coraggiosa l'attesissima Annalisa, che non ha la frase tormentone stile "Dove vaaaaai" o "Ho visto lei che bacia lui", ma porta comunque un singolo di notevole impatto, che non dovrebbe faticare a piazzarsi sia all'Ariston che fuori. 

Sensazioni e prime impressioni, dicevamo: è piaciuta la sofisticata dance di Clara, la coerenza artistica di Angelina Mango con un genere che non scimmiotta nessuno e che a Sanremo ha sempre trovato pochissimo spazio, il sapore vintage che ha vagamente colorato di anni Ottanta l'autobiografica "Pazza" della Bertè, trionfatrice di tappa. Più di tutti mi hanno colpito Emma, con un brano di grande incisività radiofonica, e Mahmood, uno dei pochi per i quali ho potuto beneficiare di un secondo ascolto: dopo la parentesi romantica con Blanco, è tornato a cantare di sé e delle sue esperienze giovanili, lo stile è sempre quello ma capace di rinnovarsi costantemente, con un ritmo ipnotico e un uso del linguaggio più estremo di quello di tanti trapper, un vero e proprio slang giovanilistico infarcito di espressioni incomprensibili a chi abbia più di vent'anni. Suggestivo e d'atmosfera Diodato, vocalmente imponente Irama, nel solco della tradizione la sofferta ballad di Alessandra Amoroso, meno lirici e più pop i ragazzi del Volo, che si mantengono comunque nell'alveo dei canoni melodici sanremesi. E anche Mr. Rain, pur senza bambini a supporto, sembra avere le stimmate per ripetere con "Due altalene", almeno parzialmente, l'exploit dell'anno passato, con una composizione delicata e intimistica. 

Queste ultime annotazioni confermano quanto si sospettava ieri, ovvero che ci sarà pure stato un incremento delle proposte ad alto tasso ritmico, ma non mancano, come è ovvio e doveroso che sia, le canzoni di stampo prettamente melodico, vecchia scuola italiana. Riguardo al comparto dance, forse solo ora si apprezza compiutamente l'importanza della partecipazione e del piazzamento di Lazza nell'edizione 2023: la sua ritmica, le sue sonorità, paiono far capolino in diversi brani, e non tutti sono riusciti a rivestirle di abiti nuovi e originali: attenzione, perché non basta appiattirsi su certi modelli per ripeterne il successo. I Kolors, se non altro, rifanno un po' il verso a loro stessi e, ad occhio e croce, si sono assicurati un altro tormentone dopo "Italodisco", vedremo se ugualmente destinato a lunga gloria.

Preferisco dire poco o nulla su chi si è esibito fra mezzanotte e l'una inoltrata: mente annebbiata (la mia), impossibile cogliere pregi e difetti, anche se mi è parso di percepire del buono in Alfa, Gazzelle e Il Tre. Discorso a parte per Dargen D'Amico, con una "Onda alta" straniante, che fa ballare, trascina, ha facile presa e però tratta un tema spinoso, quello dei migranti e dell'inferno nel Mediterraneo. Bene ha fatto il funambolico artista a lanciare un appello per la pace a esibizione conclusa; una presa di posizione che si ritrova anche nel testo di Ghali, per una "Casa mia" che va riascoltata e soppesata per bene. 

Basta così, per ora. Qualche nota sullo spettacolo nel suo complesso, che ha offerto come unica sorpresa l'incursione di Ibrahimovic, di ritorno tre anni dopo la co-presentazione a teatro vuoto, Marco Mengoni ha giganteggiato come performer musicale e ha superato la prova come collaboratore di Amadeus, grazie ad alcuni semplici siparietti alimentati da un modo di fare da ingenuotto un po' a disagio nella grande kermesse. Una "intramuscolo" l'apparizione di Federica Brignone, di cui in questi termini non si avvertiva il bisogno, mentre anche Fiorello è andato sulla comicità "easy", con lo sketch del clone creato dall'intelligenza artificiale: si ride con poco, ma si ride, e al giorno d'oggi non tutti i comici di professione possono dire di sapere suscitare con tale abilità l'ilarità del pubblico. Ma tutto è sostanzialmente rimasto negli argini di una certa prevedibilità: certo, dopo l'apparizione del presidente della Repubblica dodici mesi fa, era difficile poter stupire, e allora ritorniamo a quanto si diceva ieri: la gara è tornata ad assumere centralità assoluta, sia pur diluita nell'arco di tante, troppe ore. Bene così.  Discorso a parte per la presenza della mamma di Giogiò Cutolo, il giovane musicista ucciso a Napoli, che ha suscitato emozione e commozione vere con una lettera al figlio perduto priva di odio e carica di ricordi e di voglia di giustizia. 

martedì 6 febbraio 2024

SANREMO 2024, TUTTI IN CARROZZA! GARA EXTRALARGE PER QUANTITA' E QUALITA': GROSSI NOMI E TANTO EQUILIBRIO, FRA DIVI DEL MOMENTO E VETERANE AGGUERRITE


Credo che raramente, dopo le edizioni kolossal degli anni Sessanta, il Festival di Sanremo abbia presentato ai nastri di partenza un cast di concorrenti di livello così elevato. Parole non usate a caso, le mie: nel concetto di "livello elevato" rientrano vari fattori. Il prestigio, il curriculum, la fama e il successo commerciale conquistati in archi temporali più o meno lunghi, e ovviamente il ruolino di marcia sulla Riviera ligure. Ecco, partiamo da qui: sono pronti a darsi battaglia quattro vincitori in tempi recenti, ossia Emma, Il Volo, Diodato e Mahmood, che la statuetta l'ha conquistata addirittura due volte. A questi vanno aggiunti Francesco Renga, impostosi comunque in un 2005 che sembra ieri e purtroppo non lo è, e i Ricchi e Poveri, trionfatori nel 1985 e per un paio di decenni assidui frequentatori della kermesse, prima di un lungo e inspiegabile oblio che durava dal 1992. 

CAST STELLARE - E poi, come detto, nomi di primissimo piano del panorama musicale italiano di oggi: l'asso pigliatutto delle classifiche Annalisa, diva pop glamour del momento, i debuttanti di lusso Ghali ed Alessandra Amoroso, colossi della discografia nostrana del ventunesimo secolo come i Negramaro, di ritorno dopo quasi vent'anni, giovani rampanti come Sangiovanni e soprattutto Angelina Mango, scintillante rivelazione dell'estate '23, stagione che ha visto spadroneggiare in radio, chart e piazze il tormentone "Italodisco" dei Kolors, ringalluzziti dopo un periodo di appannamento e loro pure pronti a inseguire il sogno dell'alloro più ambito. Ancora: un ragazzo già veterano come Irama, che dopo le incertezze degli esordi non ha più sbagliato un colpo all'Ariston, e i mostri sacri Fiorella Mannoia e Loredana Bertè: finite ai primi posti e con qualche recriminazione in occasione delle loro ultime partecipazioni (2017 e 2019), entrambe pronte ad affrontare la sfida con propositi bellicosi, il che, in campo canoro, significa semplicemente con dei brani di peso e di grande impatto emotivo, perlomeno in questi termini ne hanno parlato gli addetti ai lavori che hanno potuto ascoltarle in anteprima. 

QUANTI FAVORITI! - Questo lungo preambolo per dire che, cantante più cantante meno, la metà dei partecipanti può nutrire, a bocce ferme, legittime ambizioni di vittoria. Un equilibrio esasperato ed emozionante, degno della Serie A italiana di calcio negli anni Ottanta e Novanta; un equilibrio che, ovviamente, comincerà a spezzarsi fra martedì e giovedì, dopo aver ascoltato un paio di volte i pezzi. Perché è chiaro che è sempre la canzone a decidere, ma lo è a maggior ragione in una tenzone in cui i favoriti non sono solo due o tre, ma ben di più. Ora come ora, l'incertezza è assoluta: le stesse sensazioni dei critici, che con le loro pagelle hanno invaso giornali e web un paio di settimane fa, vanno prese con ampio beneficio d'inventario, in quanto non basta sentire una sola volta, e una dopo l'altra, una trentina di composizioni nuove di zecca per poterne fornire un'analisi ampia, oggettiva, dettagliata. Da giovedì cadranno certi favoriti, dicevamo (magari non per inadeguatezza del lavoro presentato, ma solo a causa di proposte meno immediate e incisive) ma forse se ne aggiungeranno altri, penso a emergenti interessantissimi come Rose Villain, Gazzelle, i Santi Francesi, o a un Mr. Rain estremamente coraggioso (ma il sottoscritto l'aveva previsto in tempi non sospetti) nel rimettersi subito in gioco dopo l'inaspettato riscontro di "Supereroi". 

MUSICA DI OGGI - Insomma, il thrilling è garantito, e così tanti bei nomi fra gli interpreti e gli autori dovrebbero assicurare una discreta messe di brani da quartieri alti delle hit parade. C'è ottimismo, è chiaro: un ottimismo giustificato dai risultati sensazionali del poker di edizioni fin qui guidate da Amadeus, edizioni che hanno aiutato il mercato tricolore della  musica leggera e che hanno assicurato al mastodontico carrozzone festivaliero una vigorosa cura ricostituente, realizzando il sogno proibito di tanti organizzatori e direttori artistici del passato, ossia riportare Sanremo nel pieno dell'attualità canora, nella contemporaneità, sia per lo spessore dei partecipanti sia per i generi dei brani in concorso, assolutamente in linea con quanto è oggi apprezzato dai fruitori di musica, soprattutto i più giovani. Certo è pur sempre un'arma a doppio taglio, che porta con sé il rischio di costruire una manifestazione fin troppo mainstream, con poco spazio per le realtà più di nicchia e con un pacchetto canzoni omologato e standardizzato, che va in direzione di uno solo tipo di gusto. Per questo 2024, ad esempio, pare che siamo attesi al varco da una nutrita serie di opere all'insegna del ritmo sostenuto e della ballabilità. 

TROPPA DANCE? - C'è chi teme un Sanremo troppo "dance", in altre parole: ebbene, a costoro direi di non preoccuparsi. A parte che, conoscendo il repertorio dei cantanti in lizza, anche questa volta non mancheranno ballad, pop di maniera e un pizzico di cantautorato. Ma comunque, che male potrà mai fare un po' di dance, di sonorità movimentate e trascinanti? Abbiamo assistito a edizioni del festivalone con una presenza oltremodo invasiva di melodia classica, di brani scritti seguendo i binari dei canoni più tradizionali e del bel canto all'italiana: anche in quel caso, il troppo stroppiava, e oltretutto allontanava Sanremo dal resto del mondo musicale, da ciò che si sentiva e si comprava, portandolo alla  crisi degli anni zero di questo secolo, una crisi non meno grave di quella dei Settanta e che prima o poi andrà approfondita in tutti i suoi aspetti, per evitare il ripetersi di certi errori.

LE ORE PICCOLE - Dunque, nessuna paura: un Sanremo radiofonico, à la page, pronto per download e streaming, è cosa buona, giusta e utile. Perfettibile, questo sicuramente, ma non da stravolgere nel momento, a quanto pare vicinissimo, in cui il conduttore di Affari tuoi passerà la mano. Avremo modo, credo, di tornare sul delicato argomento "successione" nei prossimi giorni. Un po' di timore, questo sì, c'è di fronte all'approccio per niente soft che ci richiede la kermesse numero 74, con tutti gli artisti subito in pista in una prima serata che si annuncia interminabile come una finalissima, per cui sarà difficilissimo apprezzare e comprendere, anche solo parzialmente, ogni singola canzone. Ecco, quello della lunghezza estenuante di tutte le serate, e non solo dell'ultima, è uno degli aspetti su cui il futuro direttore artistico dovrà lavorare, mettendosi una mano sulla coscienza pur salvaguardando le esigenze dell'audience, della Rai e degli investitori. E' anche vero che abbiamo già avuto vernissage pieni di canzoni: 29 nel 1997 e 28 nel 1998, i primi esempi che mi vengono in mente, ma all'epoca, un'epoca in cui il Festival era già molto più spettacolo televisivo e meno gara, c'era comunque una quantità inferiore di elementi di contorno extra, e meno chiacchiere ad allungare il brodo, tanto che ci si poteva permettere un Dopofestival a orari umani. 

PARCO OSPITI NON ESALTANTE - Ecco: parlando dello spettacolo nel senso più generale, non ci sono spunti di particolare interesse. Gli ospiti stranieri cantanti si sono pressoché dileguati (avremo Skin e Jack Savoretti nell'happening dei duetti del venerdì, ma quello è un capitolo a parte), si torna a pescare fra le superstar del cinema d'oltrefrontiera senza nemmeno cercare nomi nuovi, visto che Russel Crowe e John Travolta erano già stati all'Ariston nel 2001 e nel 2006, rispettivamente. Si era detto che che non ci sarebbero stati superospiti italiani, ma fin da subito chi conosce, anche superficialmente, i meccanismi del Festival, poteva immaginare che così non sarebbe stato: c'erano da riempire due palchi aggiunti, quello di Piazza Colombo e quello della nave da crociera, ed ecco quindi pronti a sfilare fuori concorso i vari Lazza, Tananai e Rosa Chemical, protagonisti in misura diversa nel 2023, ma anche Tedua e Bresh, quest'ultimo dato per concorrente quasi certo fino al momento della lettura del listone al Tg1. E poi le celebrazioni di Ramazzotti e della Cinquetti, doverose ma che non profumano certo di novità (entrambi hanno già calcato quel palco durante la gestione di "Ama"), senza contare che Mengoni, Giorgia e Paola e Chiara saranno... multitasking, presentatori (le due sorelline al Primafestival già partito), ospiti canori o duettanti. Ma con tutto il rispetto, il panorama delle guest stars è ben lungi dal suscitare entusiasmi, confermando una tendenza tutto sommato benefica per la salute della rassegna: la gara sempre più monopolizza l'attenzione e oscura tutto il contorno, riportando, ebbene sì, il Sanremo di oggi assai vicino alla filosofia dei suoi primi decenni di vita. 

giovedì 7 dicembre 2023

SANREMO 2024: APPROFONDIMENTO SUL CAST DELLA KERMESSE. ANNALISA E NEGRAMARO FAVORITI, OCCHIO A DIODATO, VOLO, AMOROSO, IRAMA



Esiste il cast sanremese perfetto? Direi senz'altro di no: non c'è mai stato e mai ci sarà. E' un puzzle troppo complesso, troppi tasselli dovrebbero andare a coincidere contemporaneamente per creare l'alchimia ideale. Non è perfetto nemmeno quello annunciato da Amadeus domenica scorsa, dunque, eppure il listone unico di concorrenti, allargatosi in extremis da 23 a 27 in attesa del tris di Sanremo Giovani, conferma il periodo storico favorevole che la rassegna sta attraversando. Il Festival, piaccia o meno, è una manifestazione di natura prettamente commerciale, che deve muovere il mercato discografico, e da questo punto di vista l'edizione '24, almeno sulla carta, promette gli stessi felici esiti delle ultime. 

OBIETTIVI CENTRATI - Si è sempre chiesto alla kermesse ligure di essere in linea con la realtà canora italiana del momento, intercettandone le tendenze e, laddove possibile, anticipandole. Le si è sempre chiesto, anche, di scoprire o consacrare volti nuovi in grado di percorrere un discreto tratto della via della gloria. Infine, le si chiede costantemente di portare sul palco almeno uno di quei nomi "colossali" da sempre allergici alle tenzoni canzonettistiche, e a quella rivierasca in particolare. Ebbene, direi che, per l'ennesima volta, l'obiettivo è stato sostanzialmente raggiunto su tutti i fronti citati, e ciò conferma gli enormi meriti di  un direttore artistico che, partito fra mille perplessità, ha saputo ricostruire l'immagine un po' vintage  e appannata del Festivalone (opera già iniziata da Conti e Baglioni) rendendolo un evento gradito anche agli appassionati più giovani e, di conseguenza, più credibile e più appetibile agli occhi degli artisti di nuova generazione e dei loro management. Lo straordinario risultato in termini di certificazioni (platino e oro) e di popolarità conseguiti dai partecipanti all'edizione '23 lo testimoniano in maniera inequivocabile. 

C'E' TUTTO IL POP DA CLASSIFICA - Sarà possibile ripeterli o superarli? Numericamente difficile, ma dipende comunque dalla qualità dei brani, di cui ancora non conosciamo nemmeno i titoli, mentre sul piano del prestigio dei concorrenti il livello è grosso modo lo stesso, medio-alto. Dicevamo di un Sanremo inserito nella realtà musicale odierna, quella delle heavy rotation e degli streaming: ebbene, i protagonisti attuali delle chart ci sono in larga parte tutti, dai trionfatori estivi Kolors, Angelina Mango e Alfa a Mahmood, che torna in gara appena due anni dopo la sua seconda vittoria, fatto non comune,  e che da quelle parti si esprime al meglio come, onestamente, non sempre gli riesce fuori da quel contesto, fino a Rose Villain, che sa alternare testi fin troppo espliciti ad altri più delicati, e Geolier, che ha aggiornato le frontiere del rap-trap in lingua partenopea e che era da mesi nella lista dei papabili. E fra i protagonisti del pop anni Venti  figura anche un drappello di artisti che ritroviamo sulla ribalta più importante 24 mesi dopo l'ultima partecipazione, tempo fisiologico abbastanza comune per godersi i frutti dell'affermazione e rimettersi in gioco, ossia l'istrionico Dargen D'Amico, forse perfino travolto dall'inatteso successo di "Dove si balla", un Sangiovanni più maturo e più eclettico ma che difficilmente rivedremo in panni diversi da quelli leggeri e scanzonati che l'hanno portato alle stelle,  e quell'Irama che è stato presenza quasi fissa dei Festival targati Ama, sempre convincente, a proprio agio in aree espressive diverse, prima con la cupa dance internazionale del '21 e poi con la ballatona romantica del '22, un ragazzo che ha voce, ispirazione e presenza scenica, e che se azzecca il pezzo potrebbe perfino lottare per vincere. 

I RITORNI DI EMMA E MR. RAIN - Dal '22 riemerge anche Emma, che aveva presentato una "Ogni volta è così" dalla parte delle donne, come da suo impegno costante, una canzone intensa e interpretata con trasporto ma che solo in parte aveva fatto breccia. Dal '23, invece, un solo rientro, ed era prevedibile che toccasse a Mr. Rain: troppo clamoroso l'exploit colto con "Supereroi" per non tentare di battere il ferro finché è caldo e consolidare l'acquisita posizione di personaggio di primo piano del pop rap italico. Certo per lui ora viene il difficile: un'operazione come quella è irripetibile, tantopiù nello stesso contesto, ma il ragazzo vive un periodo di buona vena creativa e il duetto estivo con il citato Sangiovanni dimostra che ha nel proprio arco altre frecce per fare ancora centro. 

NEGRAMARO, CHE COLPACCIO! - Si diceva dei grandissimi, dei riluttanti al Festivalone. Ci sono, e anche quest'anno non è mancato il colpo da maestro del conduttore di Affari tuoi: i Negramaro. Che a Sanremo in concorso ci sono già stati, nel 2005, ed è una pagina nera nella storia della manifestazione, perché venne estromessa al primo turno una canzone pilastro della musica leggera italiana di questo secolo e della carriera stessa del gruppo salentino, ossia "Mentre tutto scorre". Ci sta anche che Sangiorgi  e compagni se la siano legata al dito, ma da allora, vivaddio, il Festival è cambiato totalmente nell'impostazione e nella concezione e si possono lasciare i rancori alle spalle: rieccoli, dunque, ancora tutto sommato forti del favore di schiere di fans, e pronti a prendersi lo scomodo ruolo di favoriti, peraltro da dividere con altri che vedremo fra breve. E' un gran colpo, lo ripeto: certo, forse ci si attendeva almeno un altro maxibig di lungo corso, soprattutto dal momento in cui il "diretur" ha dichiarato che quest'anno i suoi superospiti italiani saranno i cantanti in gara (ma sarà poi vero che i big fuori concorso non ci saranno? Mi sembra impossibile, ci sono ore e ore di spettacolo e vari palchi da riempire...). 

AMOROSO E GHALI, DEBUTTI ILLUSTRI - Si era parlato di Gianna Nannini, di Biagio Antonacci che però si è chiamato fuori a poche ore dall'annuncio del cast, qualcuno ha esagerato citando Cremonini e Ferro (bocciature improbabili, con tutta la buona volontà) e nelle ultime ore si era fatto cenno a Renato Zero, che poteva anche starci e che magari rivedremo in futuro. Ma va bene lo stesso, e del resto a compensare il tutto ci sono due debutti di lusso, anche se riguardano "vip" dalla gloria relativamente recente: l'eternamente attesa Alessandra Amoroso (quante volte abbiamo letto il suo nome fra i papabili, per poi veder sistematicamente sfumare la sua candidatura?),  e Ghali, con il suo rap a tratti ispido e a tratti più pop e mainstream, due artisti agli antipodi ma con un punto in comune, la necessità di farsi perdonare l'inaccettabile ospitata al Festival senza mai avervi prima gareggiato, un "peccato" che verrà finalmente emendato il 6 febbraio... Due nomi sicuramente solidi ma che hanno forse bisogno di una rinfrescatina alla loro popolarità, così come Fred De Palma, altro deb tardivo, sulla cresta dell'onda oggi meno di un paio di anni fa, ma comunque interessante per la sua forma espressiva che  attraversa e mixa vari generi, sempre con un occhio, e un orecchio, alla radiofonicità. 

MANNOIA FIGURA CENTRALE: FUTURO DA DIRETTRICE? - L'idiosincrasia all'Ariston, dopo le numerose partecipazioni degli anni Ottanta, Fiorella Mannoia l'ha fortunatamente vinta già nel 2017, colpo d'ala dell'ultimo Conti, per cui è una relativa sorpresa rivederla quest'anno. Presenza significativa in un momento in cui la difesa della figura e della dignità femminili deve essere portata avanti con tutte le forze possibili (e Fiorella è una portabandiera di questa lotta, al punto da avere addirittura parzialmente cambiato il finale di "Quello che le donne non dicono" per lanciare un messaggio forte in tal senso), ma anche perché, mia sensazione personalissima e probabilmente sbagliata, nell'ultima tappa della direzione Amadeus potrebbe concretizzarsi un passaggio di consegne proprio con lei: non sarebbe una direttrice artistica autorevole e apprezzata? Probabilmente non succederà, ma intanto avanzo io la sua candidatura, e in fondo credo che a lei non dispiacerebbe. 

RITORNA IL VOLO, E DIODATO CHIUDE IL CERCHIO - Ancora grandi nomi: al di là dei gusti personali, bisogna essere orgogliosi di avere in gara Il Volo, che torna la seconda volta dopo la vittoria del 2015 e che riesce ancora a trovare un angolino nella propria agenda fitta di impegni internazionali. Di default, il trio deve essere sempre inserito fra i favoriti, ma c'è l'incognita rappresentata da un repertorio debole quanto a numero di hit inedite: con la certezza che cambiamenti di genere non ce ne saranno, dovranno ritrovare il medesimo feeling di "Grande amore", impresa difficilissima, tanto che non ci riuscirono nel 2019 con la pur gradevole "Musica che resta". E a proposito di vincitori di ritorno, riecco infine l'atteso Diodato, che ha lasciato ai posteri l'evergreen "Fai rumore", ma che ebbe la sfortuna di incappare nei terribili mesi del lockdown, vedendosi bloccata la promozione e la partecipazione all'Eurovision. Da allora, periodi di riflessione, un timido ritorno senza grossi riscontri, e ora il cerchio che si chiude cinque anni dopo il primo Sanremo di Ama, con la certezza che all'Ariston il ragazzo ha sempre portato opere di spessore notevolissimo (ricordate "Adesso" del 2018?). 

ANNALISA PIGLIATUTTO? - Si parlava all'inizio di superbig e cantanti à la page, sulla cresta dell'onda mediatica e commerciale. Ecco, c'è un nome trasversale a queste due categorie, che eleggo fin da ora a mia favorita numero uno: Annalisa. Avevo citato proprio lei chiudendo i commenti all'edizione 2023, auspicando per il '24 una maggior partecipazione di voci femminili e magari una sua medaglia d'oro. Non posso che confermare, visto ciò che è accaduto nell'ultimo anno attorno all'artista savonese: popolarità oceanica, hit sfornate a getto continuo, dischi di platino come se piovesse, status di primadonna della canzone nostrana conquistato a buon diritto. Certo, per lei Sanremo 2024 è un'arma a doppio taglio: se non confermerà, in tutto o almeno in parte, quanto di strepitoso fatto in questi mesi, potrebbe cadere dall'alto e farsi male. E spero che il brano proposto non sia troppo lontano da come l'abbiamo vista e sentita di recente: lei e i suoi autori hanno individuato un mood glamour che le calza a pennello, che è orecchiabile e penetrante, che in questo momento è in piena sintonia coi gusti del pubblico e può dare ancora qualche buon frutto; insomma, non vorrei vedere, con tutto il rispetto, un percorso simile a quello di Alexia, che per vincere Sanremo cambiò radicalmente stile puntando sulla complessità e sulla maestosità vocale a scapito dell'immediatezza dell'opera proposta. 

CANTAUTORI, VETERANI, IGNOTI O QUASI - In un cast veramente extralarge, ritroviamo altri tratti distintivi della linea editoriale-artistica palesatasi nel quinquennio che va a concludersi: soprattutto, l'azzardo nel lanciare nomi poco noti o del tutto ignoti alla platea generalista (anche se non si sono più toccate le vette di coraggio raggiunte in tal senso nel 2021). Nel primo gruppo possiamo inserire la talentuosa Big Mama, altra rapper di grande grinta, dallo stile ruvido e urban, con un piglio interpretativo che ricorda in qualche misura Madame, e Il Tre, che penso possa invece essere considerato un rapper di matrice più tradizionale, legato alla vecchia scuola italiana del genere. Nel secondo gruppo ci sono invece i La Sad, di cui so molto poco se non che producono musica "indiavolata" con una matrice punk, ma che mi riservo di conoscere meglio. Pillole di cantautorato new generation con l'esperto Gazzelle e il giovane imberbe Maninni, già escluso da Sanremo Giovani '22 (una bella rivincita, come capitò a Hu un paio di anni fa).  E poi la solita quota veterani: prevedibile il duo Renga - Nek, che però deve trovare una hit convincente, cosa che finora non è riuscita a fare, apprezzabile il ripescaggio dei Ricchi e Poveri, ancora in buona forma vocale, sorprendente quello della Bertè, di cui ricordo, ma forse la memoria mi inganna, la volontà di non tornare più in competizione dopo la parziale delusione del quarto posto del '19, ma gli artisti sono volubili e comunque, sia detto senza malizia, con gli anni cambiano le prospettive, si aprono nuovi orizzonti professionali e, ci mancherebbe, si può anche ritornare sulle proprie opinioni. 

In conclusione, lo ripetiamo, Sanremo 2024 sarà un festival nel presente, con un occhio al futuro ma che non dimentica il passato, e questo è già un successo, se pensiamo a certi cast fuori dal tempo di epoche non troppo lontane. Un Festival con nomi nel cuore della gente e altri meno o scarsamente noti ma che hanno buone possibilità di emergere. Avrei composto un cartellone diverso? Non più di tanto, onestamente. Larga parte dei nomi che ho fatto fin dai primi pronostici estivi li ho ritrovati nel listone del Tg1 di domenica scorsa, quindi la soddisfazione è di gran lunga superiore all'amarezza. La parola, adesso, passa alle note. Per il momento, in una ipotetica griglia di partenza metterei in prima fila Negramaro e Annalisa, in seconda Diodato e Amoroso, in terza Mannoia e Mahmood, in quarta Volo ed Emma, con outsider Angelina Mango, Kolors e Irama, ma è tutto assai aleatorio. 


mercoledì 30 agosto 2023

IL POWER HITS E GLI ALTRI FESTIVAL, I PRO E I CONTRO DELLA MUSICA ESTIVA 2023: IL TRIONFO DEI KOLORS, LA RIVELAZIONE ANGELINA MANGO


 Con la serata veronese del Power Hits di RTL 102.5, ieri si è virtualmente conclusa l'estate canora 2023. Una stagione che, sul piano qualitativo e quantitativo della proposta musicale, non ha marcato né differenze né cambi di passo epocali rispetto a tante estati che l'hanno preceduta. Eppure, mai come in passato è stata terreno di scontro fra critici ed esperti, tutti ad accapigliarsi sullo stato (pietoso, ça va sans dire) della canzone leggera nostrana, ma a corto di argomenti veri sui rimedi realistici da adottare per uscirne fuori. Ci torneremo, non prima di aver sottolineato che è stata anche, forse come non mai nei tempi recenti, una estate ricchissima di rassegne canzonettistiche. Prima della citata kermesse dell'Arena, erano andati in scena il TIM Summer Hits di Rai 2, il Radio Norba Battiti Live di Italia 1, lo Yoga Radio Bruno Estate su La5, e ancora il Tezenis Summer Festival di Radio 105, il Radio Italia Live, il Love MI di Fedez e altro che probabilmente dimentico. 

DEGNI EREDI - E già, sembrano ormai lontani i tempi in cui era d'obbligo rimpiangere acutamente Festivalbar. Beninteso, i professionisti del nostalgismo lo rimpiangono tuttora, e neppure a me dispiacerebbe un ritorno dello storico marchio, più che altro per il fascino e la tradizione che quel nome porta con sé anche adesso, che non esiste più da ormai sedici anni. Ma, francamente, nella fase attuale non c'è motivo di disperarsi: gli eventi sorti in questi anni ne sono degnissimi eredi. Lo dico da sempre con convinzione, prendendomi pernacchie a destra e a manca, lo ribadisco ora, così come ribadisco che, sotto certi aspetti, sono perfino meglio. Il Battiti Live, ad esempio, ha proposto una notevole quantità di musica live (il festival di Salvetti era stato il regno del playback, salvo redimersi tardivamente), e ha dato agli artisti la possibilità di proporre performance ad ampio respiro, con più brani, senza limitarsi allo sbrigativo lancio del singolo estivo. Si è cantato molto dal vivo anche al Power Hits che, dal canto suo, ha un altro vanto: è un concorso canoro vero, con tanto di classifiche settimanali, come lo era stato a lungo il Festivalbar prima di cambiare volto da metà anni Novanta, con vincitori decisi a tavolino o comunque secondo valutazioni che esulavano dai mitici juke box e dalle cartoline voto di Sorrisi e Canzoni. 

LA NOSTALGIA DEL "BEL TEMPO CHE FU" - Se poi il motivo dei rimpianti risiede nella qualità dei pezzi in cartellone in questi eventi, temo che qui scenda inesorabile il velo del tempo che passa, a rendere tutto bellissimo degli anni della gioventù e tutto pessimo degli anni che ci tocca vivere oggi. E' un meccanismo mentale umano, che conosco bene, perché certi discorsi li sento più o meno da quando ero un bimbo, ed è un po' la stessa cosa che accade per il calcio: da piccolo sentivo il mio povero papà rimpiangere calciatori di un'epoca in cui la nostra Nazionale, magari, ai Mondiali ci arrivava, dopo aver superato qualificazioni ridicole, ma poi vi veniva sistematicamente eliminata al primo turno. Nello stesso periodo, veniva massacrata da ogni dove la dance italiana, salvo scoprire oggi che i vari Gazebo, Righeira, Spagna, Tracy Spencer e compagnia continuano ad essere richiesti ed applauditi, chi in circuiti minori, chi ancora su ribalte tutto sommato prestigiose, ma, insomma, sono ancora parte della memoria collettiva. 

POLEMICHE ECCESSIVE - Eppure, si continua sulla stessa falsariga lamentosa, ed è un peccato, perché in questo mare di lacrime gratuite si annacquano spunti polemici di indubbio interesse. Come nel vespaio di inizio estate suscitato da Enrico Silvestrin, che partendo da motivazioni parzialmente (non del tutto) condivisibili ha rovinato tutto sparando nel mucchio del cast del Love MI, in cui hanno trovato posto personaggi la cui caratura artistica è oggettiva, e testimoniata da pochi o tanti anni di attività e di riscontri, e non possono essere buttati nel calderone della m...a cui il noto VJ ed ex conduttore tv ha fatto riferimento senza andare troppo per il sottile. Allo stesso modo, si sono lette articolesse sul declino di ispirazione poetica degli autori che non riescono più a scrivere testi decenti, tantopiù per le canzoni "balneari", al punto che qualcuno si è chiesto preoccupato che cosa significhi "Stasera che mi fai? La Disco Paradise!". Il significato deve essere analogo a "E' dolce la tapioca di Costarica", che gorgheggiava il Gruppo italiano nell'84, o di "oh oh oh, italian's a go go", l'ultimo tormentone dei citati Righeira risalente all'86. La canzone da ombrellone è sempre stata questa, allegria, leggerezza e disimpegno, fare gli scandalizzati nell'anno di (dis)grazia 2023 mi sembra davvero il colmo. 

CAST OMOLOGATI - Poi i problemi ci sono, è chiaro. Ha ragione, ad esempio, chi dice che negli ultimi tempi, e soprattutto quest'anno, la produzione estiva abbia nettamente privilegiato questo filone stilistico, quello sintetizzabile in "stacco la spina e non penso a nulla". E guardando i cast dei festival citati all'inizio, va detto che si assomigliano un po' tutti fra loro: i nomi che girano sono più o meno gli stessi, impegnati in un tour massacrante da un evento all'altro, da una località all'altra, per  promuovere la canzone appena uscita. Forse giusto la kermesse di 105 ha messo sotto i riflettori qualche personaggio meno inflazionato e meno visto altrove, ma si è trattato di eccezioni e comunque il dato di fatto è che, al di là del pop e del rap variamente declinati e contaminati, per altri generi lo spazio è veramente ridotto all'osso. Anche qui, però, nulla di nuovo sotto il sole, se è vero che negli anni Settanta i cantautori, disperati per la mancanza di attenzione mediatica, dovettero inventarsi ribalte alternative come il Premio Tenco, peraltro ancora oggi vitalissimo. Ma questa è indubbiamente una grave lacuna;  oddio, i festival italiani ad impronta marcatamente commerciale non hanno mai brillato per eterogeneità artistica: ad esempio, troppo timidamente lo stesso Sanremo si apre al nuovo cantautorato, e mi chiedo perché, per fare un nome fra i tanti, per ascoltare in tv un talento puro come Fulminacci si debba aspettare il Concertone del Primo Maggio o sintonizzarsi in fascia preserale su Rai 3 per la bella trasmissione di Stefano Bollani e Valentina Cenni. Ecco, questi ed altri sono veri elementi di criticità del panorama discografico nostrano, ma non si risolvono né sparando nel mucchio né polemizzando su aspetti assolutamente secondari e, soprattutto, riscontrabili ampiamente anche nella produzione canora dei decenni passati. 

I KOLORS E GLI ALTRI - Chiudendo questa lunga disquisizione e tornando al succo della proposta estiva 2023, il Power Hits ha visto trionfare "Italodisco" dei Kolors, ed è stato giusto così, perché la "Disco Paradise" è stata fin troppo strombazzata e infilata in ogni dove, tanto da farla quasi venire a noia. Stash e compagni sono stati abili, in qualche modo furbetti, ma con genio e qualità, solleticando appunto quella nostalgia anni Ottanta di cui si diceva, ma piegandola al loro sound, costruendoci sopra un motivetto ben strutturato e orecchiabile. Contento per loro, che riemergono dopo anni in cui hanno sbarcato il lunario senza particolare gloria.  Altri pezzi solari hanno illuminato questi mesi caldissimi in maniera assolutamente dignitosa, senza che, come vorrebbe qualcuno, ci si debba vergognare dell'ascolto: i Pinguini Tattici Nucleari di "Rubami la notte" hanno indovinato un'altra hit, confermando il loro stile personalissimo, contemporaneo, fatto di originalità testuale e sonorità efficaci, e sono ormai pronti per un secondo Sanremo da protagonisti assoluti; Achille Lauro si è divertito con una soave "Fragole" in cui quasi sovrasta la sottile vocina di Rose Villain, mentre anche Levante ha fatto centro attingendo a certe atmosfere Settanta-Ottanta con una "Canzone d'estate" a metà strada fra lo spensierato e l'evocativo. E al decennio ottantiano, odiato da tutti a parole, in realtà amato sottovoce, si è palesemente ispirata anche la Pausini, ospite a sorpresa con la trascinante "Il primo passo sulla luna". 

ANGELINA MANGO SUGLI SCUDI - Non mi è dispiaciuto il duetto fra Mr. Rain e Sangiovanni in "La fine del mondo", ottimo esempio di rap all'italiana old style, privo di volgarità, in perfetta simbiosi con i canoni del più efficace pop radiofonico. Non male Emma in "Mezzo mondo", vagamente malinconica eppur sostenuta dalla consueta energia, conferma per Colapesce e Dimartino sulla loro ormai riconoscibilissima linea elegante e crepuscolare, in "Considera". E' cresciuta strada facendo, nelle mie valutazioni, la coppia Elodie-Mengoni: "Pazza musica" è alfine una canzone di buon livello, dai sapori soul e funky e con quel ritornello spiazzante che finisce in calando, quasi spegnendosi, modalità lontana dagli stilemi della tradizione nostrana. Sul mio personalissimo cartellino la migliore proposta della bella stagione è stata quella di Angelina Mango, uscita dall'Arena a mani vuote ma vincitrice morale: "Ci pensiamo domani", ascoltatissimo ovunque, è un brano allegro, che esprime alla perfezione, nel testo e nella musica, la sana e consapevole gioia di vivere di una ragazza del 2023. Questa figlia d'arte, che forse non ha le virtù vocali degli illustri genitori ma che sa cantare, scrivere, ha grande comunicativa e tiene il palco con perizia, promette bene e potrebbe essere un'altra carta da giocare sul tavolo del teatro Ariston. 

STRANIERI, VETERANI, OMAGGI E... SANREMO - In generale, la serata di RTL è da considerare riuscita perché lo spettacolo è stato concepito in modo da soddisfare il più ampio spettro di esigenze: c'erano, lo abbiamo visto, le canzoni delle chart, c'erano i superbig in versione autocelebrativa, da Giorgia ai Negramaro fino a un Antonacci con una discutibile versione remix di alcuni suoi successi, e c'è stato, da parte dei Pooh, il primo vero omaggio televisivo di rilievo a Toto Cutugno, che finora aveva avuto solo una replica di Techetecheté e trasmissioni mattutine e pomeridiane. E poi sono arrivati gli ospiti stranieri, sempre più rari dalle nostre parti, da Yungblud arrampicato sulle scalee dell'Arena a Rita Ora, da Sophie and the Giants a Jain ed altri ancora. Infine, da sottolineare che, ormai alle soglie di settembre, sono ancora massicciamente nell'aria i successi di Sanremo: anche ieri sera, hanno mandato in visibilio il pubblico "Cenere" di Lazza e "Tango" di Tananai, segno della mano felicissima avuta quest'anno (e non solo quest'anno) da Amadeus. Chiudendo ancora sul filo della nostalgia, quel palco bagnato dalla pioggia di questi giorni mi ha davvero riportato a certe finali del Festivalbar che fu, come quella del 1999, quando i Vengaboys cantavano "We're going to Ibiza" e Geri Halliwel "Mi chico latino" sotto una pioggia scrosciante, e lì percepivi pienamente i segni di un'estate ancora in corso ma che stava inesorabilmente volando via. Proprio come ieri sera. 

mercoledì 3 marzo 2021

SANREMO 2021: LA COSTRUZIONE TELEVISIVA DELL'EVENTO ATTUTISCE LA MANCANZA DI PUBBLICO. AUDITEL IN CALO, CANZONI TENDENTI AL CLASSICO. ARISA, MANESKIN, COLAPESCE-DIMARTINO SUGLI SCUDI

Se ne parla già dagli anni Ottanta, ma è in questo 2021 che, complice la pandemia, si è definitivamente completata la transizione di Sanremo da rassegna canora a show televisivo. E nell'attuale situazione di emergenza è stata una mano santa, riconosciamolo: la costruzione dello spettacolo fatta su misura per il piccolo schermo (complice una scenografia ad hoc, mai così decisiva) ha reso meno impattante lo shock della platea desolatamente deserta, quasi neutralizzandolo. Certo, dal vivo, on stage, deve essere diverso, me ne rendo conto. E dev'essere terribile per cantanti, presentatori, performers esibirsi davanti a nessuno, soprattutto per professionisti di vasta esperienza che hanno bisogno del contatto col pubblico come dell'ossigeno. Ma il filtro della tv attutisce tutto, anche se magari alla lunga il disagio riemergerà: no, non sono stati gli applausi finti, espediente discutibile in tempi normali (quando spesso se ne abusa) ma accettabile oggi. Per quanto di basica elementarità, la trovatina esorcizzante del dialogo con le sedie vuote ha contribuito invece a sciogliere gli animi: il saluto alle poltronissime partito da Fiorello e poi ripreso da vari artisti in corso di serata, l'invito ad applaudire rivolto... ai braccioli, la corsa fanciullesca dei due presentatori fra i corridoi della sala vuota. Tutto fa, ma nel vernissage di Sanremo 2021 è stato fondamentale concepire l'evento come trasmissione tout court, non un grande happening ma un intrattenimento che è soprattutto vetrina promozionale catodica per novità musicali, e lo si è percepito soprattutto nelle esibizioni dei cantanti in gara, ciò che continua a contare di più, nonostante l'allungamento sempre più indecoroso di un brodo che potrebbe serenamente chiudere i battenti a mezzanotte e dintorni.

 GIOCARE CON L'AUDITEL - Lo si fa per giocare coi numeri dell'Auditel, solo che questa volta il trucchetto si è rivolto contro i signori dei dati, dello share e delle percentuali: avesse avuto una durata più umana, questa prima serata si sarebbe chiusa con un bilancio di spettatori del tutto soddisfacente, come possono esserlo 11 milioni e rotti di televisori sintonizzati sulla kermesse. La media ponderata con la seconda parte della puntata ha portato il calo che, del resto, avevo temuto, al di là dell'ottimismo di facciata sbandierato da molti. Lo abbiamo già detto: la concorrenza della Juve, un cast molto avveniristico e privo o quasi di "grandi vecchi", e soprattutto, ripeto, la lunghezza. Minore il peso dell'indegna campagna d'odio delle ultime settimane, fondata su argomenti talmente labili e imbarazzanti, per chi li porta avanti, da non poter essere fattore scatenante di un boicottaggio catodico. Ma poi, non ci sono cose più importanti da boicottare? Se proprio sentite la necessità fisiologica impellente di boicottare qualcosa, fatelo con  l'emittente ligure Primocanale e con la sua grottesca e ossessiva campagna anti festival, non vi pare?

 BERTE' EVITABILE, DIODATO SUPER - Torniamo all'Ariston. Le trovate carine non sono mancate, come la sigletta in stile musical di Ama e Fiore e le telefonate da casa dei vip sintonizzati su Rai 1. Evitabilissima, e anche questo era prevedibile, la presenza di Ibrahimovic, che sembra davvero la caricatura di se stesso: cose che accadono quando si diventa prigionieri di un personaggio, e non si riesce più a distinguere la realtà dalla parodia della stessa. Fra i tanti ospiti, meglio sorvolare, per carità di patria, sulla presenza della Bertè, che ha ormai dato al festival tutto ciò che le era possibile dare senza che si sentisse la necessità di questa ulteriore presenza, priva di pathos e colma solo di rimpianti per la bella voce che fu, mentre ha giganteggiato Diodato, davvero un nuovo fuoriclasse della canzone italiana. Molto, troppo autoreferenziale fino ad essere criptico Achille Lauro, sul pezzo Matilda De Angelis, che sarebbe stato bello vedere anche nelle prossime serate.

 L'ELEGANZA CLASSICA DI ARISA, MICHIELIN E FEDEZ PER VINCERE - Capitolo gara: per chi ha seguito in autunno AmaSanremo, nessuna novità dalle Nuove proposte: il pezzo d'atmosfera di Folcast e quello da "pugno nello stomaco" di Gaudiano, che rimane il mio favorito, erano nettamente superiori alla concorrenza, e non potevano temere scherzi se non un inserimento del fin troppo scanzonato Avincola, mentre Elena Faggi è passata senza lasciare tracce. Riguardo alla prima infornata di Big, sinceramente il livello mi è parso buono, pur se non siderale, e tenendo conto che per me si è trattato del primo ascolto in assoluto. Se una critica debbo fare sulla media delle canzoni, è forse mancato del coraggio ai veterani, quelli che hanno meno da giocarsi rispetto ad altri e potrebbero, una buona volta, osare un po' di più. Ma tant'è. Al netto di questa considerazione, Arisa e Annalisa portano avanti la classica linea melodica sanremese con due proposte di notevole classe ed eleganza, soprattutto quella di Rosalba, mentre forse la savonese tende un po' ad affondare nella banalità, pur facendosi ascoltare gradevolmente. Di Noemi ho apprezzato il buon crescendo vocale e orchestrale nella seconda parte di "Glicine", mentre Michielin (bellissima nel suo new look) e Fedez hanno il tipico pezzo costruito per soddisfare ogni esigenza: quelle radiofoniche e di streaming, quelle... economiche di vendita, quelle immediate di classifica al Festivalone. Possono vincere? Dopo questo primo approccio sembrerebbe di sì, ma tante cose possono ancora accadere, vista la quantità di giurie chiamate ancora a pronunciarsi di qui a sabato.

 POLLICE IN SU PER MANESKIN E COLAPESCE-DIMARTINO - Anche se c'è chi lo nega, quello dei Maneskin è rock duro e puro. Certo rock all'italiana, ma pur sempre genuino, sporco e maleducato: la loro "Zitti e buoni" è destinata a percorrere una buona strada fuori dall'Ariston. Lo stesso accadrà per Colapesce e Dimartino, grazie a una "Musica leggerissima" con deliziose reminiscenze seventies, in particolare nei rimandi ai primi Matia Bazar. Troppo forzata l'interpretazione di Aiello, sotto la cui veemenza non pare esserci molto se non un brano che musicalmente non appare modernissimo come nel testo, mentre per Max Gazzè c'è il rischio di cadere nella... prevedibilità dell'imprevedibilità. Alla fine persino gli Elii hanno stufato con la loro ricerca dell'originalità a tutti i costi... "Il farmacista" è comunque ancora un prodotto di spessore, certo con sprazzi di genialità, ma che sostanzialmente nulla aggiunge al suo percorso artistico. Gli devo comunque dare atto di avermi fregato: pensavo che la sua Trifluoperazina monstery band fosse un gruppo reale, di giovani musicisti sconosciuti, e invece erano dei cartonati di personaggi iconici. E vabbè.

 FASMA SUL SICURO, MISTERO RENGA - Fasma ha fatto breccia nel cuore della demoscopica con un "capitolo 2" del brano che gli ha dato popolarità l'anno passato. Nulla di male: per quanti anni abbiamo osannato e gratificato economicamente, comprandone i dischi, cantanti italiani e stranieri che proponevano ogni anno lo stesso pezzo, con piccole variazioni sul tema? Qui c'è almeno uno stile riconoscibile a chi frequenta quei territori musicali. Allegrotta, coinvolgente e neppur troppo spiazzante "Fiamme negli occhi" dei Coma_Cose, Madame più "omologata" del previsto, adattata cioè al palco sanremese che ne ha smussato certi angoli, anche se il punto forte rimane la sua particolarissima, straniante, distorta maniera di "porgere" la canzone, mentre chi non ha esitato a lanciarsi nel buio, sfidando le giurie, è stato il buon Ghemon con una miscela di jazz, soul e funk di non facile digeribilità, eppur rimarchevole. Una postilla per Francesco Renga: che non sia più molto "a fuoco" è chiaro perlomeno dalla sua precedente, opaca performance ligure del 2019, e ieri ha nuovamente lasciato interdetti. Forse qualche difficoltà esecutiva, sicuramente un'opera dalla costruzione strana e ardua da percorrere anche per corde vocali d'eccellenza come quelle del bresciano. Gli strali per lui si sprecano, io voglio riascoltarlo, perché non mi pare  terribile: sicuramente più ardimentoso di due anni fa, quando non rischiò alcunché e andò incontro al disastro.

 BATTAGLIA TERRIBILE CON LA SERIE A - Stasera seconda infornata di big e giovani. La battaglia è terribile: se ieri in concorrenza c'era "solo" la Juventus, ossia la squadra più amata e seguita in Italia, oggi c'è il resto della Serie A (con Ibra assente forzato all'Ariston, e non è detto sia un male), e c'è soprattutto il derby della Lanterna. Io ovviamente vedrò Sanremo, per antica passione e perché odio profondamente la stracittadina, una partita che provoca in me solo ansia e tensione, ma ovviamente sarò costretto a uno zapping compulsivo, perché al cuor calcistico non si comanda. Anche nel 2011 un derby genovese si svolse nei giorni del Festival, ma venne evitata la sovrapposizione anticipandolo al tardo pomeriggio. Vedremo come andrà, e capiremo nei prossimi giorni se, dati Auditel alla mano, sarà il caso di porre mano a un ripensamento della concezione artistica del progetto Sanremo, per quanto riguarda le edizioni future. Tante sbavature, tanti lati oscuri erano già emersi in questi anni (e puntualmente registrati su queste pagine, se avete avuto la bontà di leggere), ma il successo oceanico di pubblico aveva mitigato il tutto. A volte prendere qualche facciata fa bene, ma avremo modo di riparlarne.

martedì 2 marzo 2021

SANREMO 2021 AL VIA DOPO UNA DRAMMATICA VIGILIA: FESTIVAL MADE IN ITALY E SPACCATO DELLA NUOVA CANZONE NOSTRANA. LEGGEREZZA CHE NON DIMENTICA LA TRAGEDIA

 Finalmente si canta. Siamo ai nastri di partenza del Festival più drammatico, surreale, straniante di sempre. La lunghissima vigilia è terminata, vivaddio. Tormentata come mai in passato, per motivi tremendamente seri ma anche per un eccesso di polemiche costruite su presupposti sbagliati, se non inesistenti. Avendo già sviscerato la tematica in maniera più che esauriente in questa sede, null'altro ho da aggiungere in merito. La mia scelta di campo l'ho fatta in tempi non sospetti, sono contento che il fronte dei favorevoli alla rassegna si sia nel frattempo arricchito di nomi prestigiosi e autorevoli, ma anche fossi rimasto da solo nulla sarebbe cambiato nel mio modo di vedere le cose. 

Il Sanremo numero 71 sarà un unicum, si dice. Lo spero sinceramente, anche se non ne sono più molto sicuro, alla luce dell'andamento sostanzialmente imprevedibile della pandemia e dell'inaccettabile lentezza della campagna vaccinale. E dunque, in una situazione del genere, l'auspicio è che possa essere se non altro uno show prototipo, un modello per tutti gli eventi spettacolari che verranno messi in scena nei prossimi mesi sul piccolo schermo e, sarebbe ora, nei teatri, in attesa di un'uscita dall'emergenza che ancora non si intravede all'orizzonte. Il protocollo sanitario ha creato attorno all'Ariston una bolla che, sulla carta, offre tutte le garanzie. Chi sta appollaiato sul trespolo nell'attesa quasi spasmodica del tampone positivo fa semplicemente pena, e ha evidentemente una vita molto triste. 

UN DISPERATO BISOGNO DI NORMALITA' - La mission della tv di Stato, ha ricordato ieri in conferenza stampa il direttore di Rai 1 Stefano Coletta, è sì informare, ma anche intrattenere con leggerezza. Del tutto refrattario all'idea di dovermi listare a lutto e chiudermi in casa in raccoglimento perenne con radio, televisione e pc spenti, per un malinteso senso di solidarietà posticcia, mi abbandono a questo disperato bisogno di evasione, in me tanto più accentuato in questo periodo, per questioni personali che vanno a sovrapporsi a quelle nazionali e mondiali. Già, un disperato bisogno di gioia e di normalità, seppur effimere; fame di una settimana di canzoni da poter vivere e raccontare comunque ai posteri. 

Sì, sarà strano, anzi straniante: sono sicuro che nessuno, sia chi seguirà da casa sia chi animerà l'evento on stage, perderà contatto con una realtà troppo cruda e incalzante per essere messa in un angolo; ma quando le luci si accenderanno sulla scintillante scenografia, per cinque serate tornerà la magia. "And It's gonna be so different when I'm on the stage tonight", cantava Frida degli Abba nella struggente Super Trouper: una frase che, tutto sommato, racchiude il senso di questo Sanremo 71. Ci sono il dramma e la tragedia, ognuno deve fare la sua parte, e gli artisti possono fare tantissimo tornando a cantare e suonare, facendoci rivedere spiragli di speranza e dando una poderosa spinta per la ripartenza di un settore in sofferenza. Questo non è ignorare il Covid, le sue vittime, il disastro economico, anzi: è voler almeno provare a dare un contributo per saltare l'ostacolo, un primo piccolo tassello per la ricostruzione e, fatto non trascurabile, per risollevare il morale di un popolo prostrato. 

SENZA PUBBLICO E' POSSIBILE - Un anno di tv ci ha dimostrato che, superati comprensibili imbarazzi iniziali, si può dare spettacolo anche senza pubblico. Abbiamo visto tanti varietà brillanti e luccicosi, eventi canori a vasta partecipazione, filati via lisci come l'olio. Non voglio farla passare come normalità perché, ovvio, così non è, ma si tratta dell'ultimo dei problemi, e non ci si dovrà scandalizzare per gli applausi finti, usati anche in passato a Sanremo per "mascherare" la proverbiale freddezza della platea festivaliera. Qualche impaccio in più potrebbe forse esserci per Fiorello: ricordo le prime puntate dell'one man show di Maurizio Crozza in lockdown, col comico genovese visibilmente a disagio a sfornare le sue battute davanti a seggiole vuote. Ma Rosario è talmente istrionico, geniale improvvisatore, che saprà tirare fuori il meglio anche da un quadro così emergenziale: già in questi giorni di approccio, nelle sue incursioni in varie trasmissioni televisive, si è mostrato in discreta forma. 

L'ORA (ANZI, LE ORE) DEL CHIACCHIERICCIO - Guardando a come è stato costruito, impostato e strutturato Sanremo 71, del resto, mi vien da pensare che non ci sarà tempo per avvertire momenti di vuoto e di freddezza. Personalmente non condivido la scelta di occupare militarmente le fasce di prima, seconda e terza serata per cinque giorni consecutivi, con venticinque ore complessive di trasmissione che, facilmente, diverranno ventisei, se non di più. Ma va dato atto all'organizzazione di aver fatto il possibile per riempire ognuna delle cinque puntate coprendo la più ampia gamma di gusti possibile. Fra conduttori, copresentatrici, battitori liberi (Fiore, appunto) e ospiti non cantanti, ci sarà un notevole chiacchiericcio, fatto apposta per tirare tardi, ma, al contrario di quanto avvenuto a volte in passato, soprattutto nel primo decennio di questo secolo, ciò non andrà a detrimento della musica, che è presente in maniera oltremodo massiccia, in termini di quantità e, credo, qualità. 

GOLDEN GLOBE E MOSTRI SACRI - Sarà la più grande celebrazione di sempre del made in Italy canoro, vista la scontata impossibilità di scritturare vedette straniere. Il parterre dei superospiti nostrani, presenza solitamente sgradita per via del "due pesi e due misure" che viene a crearsi con i concorrenti, quest'anno era imprescindibile, anche per andare nella direzione di quel "festival partecipato" che personalmente avevo auspicato fin dall'estate: partecipato sia in concorso che fuori. E se non altro, accanto ai soliti noti, offre qualche spunto degno di interesse: perché la Pausini torna, sì, ma lo fa per celebrare lo storico Golden Globe appena conquistato. Perché Diodato aprirà la kermesse con la sua canzone vincitrice di Sanremo 2020, diventata un inno alla speranza in questi dodici mesi cupi e duri. E perché ci saranno quelle vecchie glorie (senza offesa) da qualche anno sempre più distanti dalla gara: Gigliola Cinquetti, Marcella e Fausto Leali verranno a cantare alcuni loro successi del passato. Giusto così, perché la storia di Sanremo la fanno cantanti e canzoni in gara, e la gara ligure non poteva continuare in eterno a lisciare il pelo al pubblico di mezza età e oltre, proponendo oltre ogni logica personaggi ormai fuori da ogni discorso discografico. Pubblico che peraltro pare aver raggiunto il livello di saturazione, a giudicare dai recenti, clamorosi flop delle trasmissioni celebrative dedicate a Patty Pravo (prezzemolina di tanti festival recenti e dei palinsesti Rai in generale) e ai Ricchi e Poveri. 

LA NOSTALGIA HA STANCATO? - Un buon segno, sì, confermato indirettamente dal consenso che, invece, ha incontrato il progressivo svecchiamento del carrozzone rivierasco già in atto da almeno un decennio, pur se su presupposti via via diversi. Se direttori artistici come Gianmarco Mazzi e Carlo Conti portarono una ventata di freschezza facendo massiccio ricorso al vivaio sanremese e a quello dei talent show, Baglioni e Amadeus hanno deciso di scandagliare con coraggio i mondi rap, indie e della nuova musica in streaming, che ha creato idoli sconosciuti al popolo generalista ma apprezzatissimi in rete. Signori miei, tutto cambia, e la musica non può stare ferma: a chi protesta sui social parlando di cast di sconosciuti, di Nuove proposte travestite da Big, di assenza dei grandissimi nomi, è giunta l'ora di dire due paroline, senza illudermi che possano capire perché certe convinzioni sono difficili da scalfire.  

GUARDARE AVANTI - Orbene, i "grandissimi nomi", a Sanremo, in gara non ci vanno da almeno mezzo secolo. Quanto ai vostri/nostri idoli di gioventù, hanno avuto anni e anni di passaggi ripetuti, di occasioni più o meno sfruttate, ma ora hanno poco o nulla di nuovo e di valido da offrire; non si poteva continuare a fare Sanremo con i "Campioni" degli anni Ottanta, Novanta, Duemila. Avanti bisogna guardare, è vitale essere curiosi, affamati di novità, avere voglia di scoprire quanto fermento c'è nel sottobosco della canzone leggera tricolore. E se proprio non avete l'apertura mentale per compiere questi passi, beh, è legittimo, ma non giudicate ciò che non conoscete. E poi del resto funziona così, da sempre, è un automatismo mentale che proprio non si riesce a spezzare: negli anni Sessanta si rimpiangevano Achille Togliani e Giorgio Consolini contestando gli eccessi di Celentano e Little Tony; nei Settanta e negli Ottanta si rimpiangevano gli idoli Sixties guardando con sospetto all'innovazione (moderata) portata da Alice, Ruggeri, Mannoia ecc. Sempre, sempre a rimpiangere i tempi andati, che, guarda un po', sono sempre migliori di quelli che si stanno vivendo. E' un meccanismo pernicioso, un freno alla crescita culturale e musicale del paese che ha un solo nome: pigrizia mentale. 

CAST "FAMILIARE", NONOSTANTE LE APPARENZE - Nel dettaglio, il cast dei Big di Sanremo 2021 fornisce uno spaccato interessante e credibile, per quanto non esaustivo, della nuova canzone tricolore, di quello che, con buona pace dei nostalgici ad libitum, funziona oggi fra chi sull'ascolto di musica investe tempo, passione, denaro. Un cartellone che è sì fortemente innovativo e rivoluzionario, ma non al punto di lasciare di sasso il pubblico un po' più attempato. Se Orietta Berti è l'unica concessione ai "classic", c'è però un drappello di nomi divenuti ormai familiari anche per gli utenti in fascia "anta": Renga e Meta, Arisa e Annalisa, Malika e Noemi, tutti, fra l'altro, vincenti o piazzati in edizioni a noi vicine, quindi con solido palmarés e notevole repertorio. Nel gruppo dei volti, diciamo così, familiari, possono trovare posto anche l'estroso Gazzè, in pista ormai da fine anni Novanta, e, perché no, Lo Stato Sociale, "sdoganato" dal primo Festival baglioniano con un secondo posto a sorpresa e con la trovata scenica della "vecchia che balla", nonché Irama, principe delle hit parade estive. Ed è sicuramente una coppa da copertina quella formata da Michielin, seconda nel 2016, e Fedez, colpaccio di Amadeus. 

Aggiungiamoci Gaia e Maneskin, che si portano dietro l'enorme bacino di popolarità derivante dai talent, Bugo, per via del bagno di visibilità (non si sa quanto gradito) avuto l'anno scorso in seguito allo "scazzo" con Morgan, e tutto sommato Ghemon, raffinato artista già visto all'Ariston come concorrente e come duettante, senza contare Fasma che è perfettamente inserito nel meccanismo tipico del festival, arrivando dalla sezione giovani e promosso grazie a un maggior successo commerciale rispetto al vincitore di categoria Leo Gassman: nulla di diverso rispetto a quanto accaduto negli anni Ottanta a Marco Armani e Flavia Fortunato, e nei Novanta ad Alessandro Canino, Gerardina Trovato e Marina Rei, per fare solo qualche esempio. Al tirar della somme, una buona metà del cast non sarà assolutamente spiazzante, e renderà meno pesante lo sforzo di dover scoprire gli altri. Conoscendo e apprezzando buona parte di questi "nuovi" o presunti tali, posso dire che in linea di massima non ci sarà di che essere delusi e che, azzardo, possiamo ritenerci fortunati se il futuro immediato della canzone italiana è nelle loro mani, perché ci sono doti di scrittura, ricerca sonora e capacità di abbracciare la modernità senza abbandonare del tutto il solco della tradizione. Forse solo Madame e, in parte, Coma_Cose potrebbero risultare di difficile digeribilità, essendo persino oltre la contemporaneità e sconfinando nel futurismo canoro, ma non è detto. 

CHI VINCE? MICHIELIN E FEDEZ NOMI FORTI, MA... - Pronostici? Sulla gara non mi sento di farne. Ci troviamo alle prese con una di quelle edizioni in cui la canzone avrà un peso determinante, più del "peso" del nome dell'interprete. Ultimamente è successo spesso, in verità: nel decennio che ci siamo lasciati alle spalle, gli unici vincitori annunciati sono forse stati i soli Vecchioni, Volo e Meta-Moro. Certo, il collaudato duo Michielin - Fedez parte col vento in poppa, le pagelle giornalistiche seguite al preascolto dei brani, per quel che valgono, hanno un po' raffreddato gli entusiasmi attorno alla loro proposta. Vedremo, anzi, ascolteremo. Personalmente, sperando finalmente in una riscossa femminile, mi auguro un'affermazione di Malika ed Annalisa, con un occhio alle outsider Rappresentante di Lista e Coma_Cose. Fra i maschietti, punterei forte su Ermal Meta, che "sa come si fa" a Sanremo, meno su Renga, che nella sua ultima uscita rivierasca era parso un po' appannato, mentre si dice un gran bene della coppia Colapesce - Dimartino, di Aiello, di Fulminacci. E occhio allo Stato sociale, che dopo il primo assaggio potrebbero essere tornati per vincere. Fra i giovani "veri", in pole position metterei Gaudiano e il suo pezzo da pugno nello stomaco, per chi ha avuto l'occasione di ascoltarlo ad AmaSanremo nel tardo autunno scorso. 

COME RISPONDERA' IL PUBBLICO A CASA? - Altro tipo di pronostico, molto delicato, lo si potrebbe fare sulla resa Auditel del festival. Qui ancor di più è opportuno andarci coi piedi di piombo. Perché sulla carta potrebbe essere un'edizione da record, per la sua triste e auspicata unicità, per la situazione pandemica che costringe tutti a casa, ma anche, è ovvio, per gli innumerevoli spunti di interesse offerti sia dal lotto dei concorrenti che da quello degli ospiti. Ma ci sono tre incognite: la durata esagerata delle serate (passi per la finale, ma si farà notte già da stasera), la concorrenza del campionato di calcio (nel 2008 il Festival si fermò il mercoledì per non sovrapporsi alla disputa di un turno infrasettimanale di Serie A) e soprattutto la campagna di odio anti Sanremo che, per settimane, ha percorso innumerevoli pagine social. Io rimango del mio parere, e cioè che Facebook e compagnia siano il megafono di una esigua minoranza estremamente rumorosa e volgare, che sopperisce con i toni a un pauroso vuoto argomentativo che emerge da ogni rigo delle loro sgangherate tirate contro il festivalone. E tuttavia, anche solo parzialmente, il seme gettato potrebbe non essere caduto nel vuoto. Per questo ritengo che debba esser messo in preventivo un non marcatissimo calo negli ascolti, e che la conferma dei livelli del 2020 rappresenterebbe già un magnifico traguardo, in attesa di tempi migliori. Spero ovviamente di sbagliarmi.