Dopo dieci gare di campionato e due di Coppa Italia, è giunto il momento di fare un primo punto sulla stagione del Genoa. Stagione terribilmente difficile da decifrare e da giudicare, diciamolo subito. La classifica sorride, i rossoblù, con una gara da recuperare, sono in settima posizione, a pari merito con altre compagini (fra cui il reclamizzatissimo Napoli, che sta pagando un prezzo carissimo all'impegno Champions, nonostante l'allargamento della rosa), la zona che occupano profuma d'Europa e, nell'ambito di una graduatoria che rimane piuttosto corta, l'area B dista ben sette punti, non pochi.
Questi sono i fatti numerici, quelli che in ultima istanza determinano il successo o il fallimento di una stagione sportiva. Tutto bene e prospettive rosee, dunque? Beh, non proprio. Se è vero che in Italia conta solo il risultato, è altrettanto innegabile che non andare oltre le apparenze sarebbe intellettualmente disonesto. E dunque, diciamolo, a maggior ragione dopo aver visto le ultime due gare chiuse vittoriosamente dal Grifone, col Novara in campionato e col Bari in Coppa: il Genoa gioca male, a tratti malissimo, o, meglio (o peggio?) di gioco sembra proprio non averne.
Su blog e muretti vari, le obiezioni ad affermazioni del genere sono sempre le stesse, ripetute come un mantra e con scarsissima fantasia: 1) Dopo tutto quello che si è passato, fra Serie B e Serie C, bisognerebbe solo ringraziare società e squadra per essere dove si è adesso, senza essere troppo schizzinosi. 2) Ora certi genoani fanno i signorini e pretendono il bel gioco, come se avessero goduto sempre del miglior football e non fossero, invece, reduci da decenni di oscurantismo calcistico e di mezze figure. Bene, rispondiamo in breve: gli stenti del passato implicano di certo in automatico la gratitudine alla dirigenza attuale per aver risollevato le sorti del club più antico d'Italia, ma non possono né annebbiare il senso critico né impedire che si desideri sempre un miglioramento, un passetto in più rispetto all'anno precedente. In seconda battuta, non si pretende il bel gioco (che, pure, Gasperini aveva fatto vedere, e lo dice uno che, pur stimando il tecnico di Grugliasco, non appartiene alla schiera delle sue vedove inconsolabili e la stagione passata ritenne giusto il suo allontanamento), ma "un" gioco, scintillante o scarno che sia.
Per una volta, dunque, mi schiero con i genoani "mugugnoni". Ma non perché, come tanti tifosi, io provi più soddisfazione quando le cose non vanno bene, godendo addirittura nel criticare. Penso invece che in questo caso il mugugno sia legittimo: perché il Genoa sta andando avanti improvvisando, e nel campionato italiano di Serie A con l'improvvisazione e con la fortuna non si sopravvive a lungo, a meno che non si abbiano le potenzialità tecniche ed economiche dei grandi squadroni metropolitani, i quali in una maniera o nell'altra la sfangano sempre, anche nelle stagioni più disgraziate.
Rispetto all'ultima stagione, il Grifo ha quattro cose in più: un portiere vero, un Veloso finalmente su livelli presentabili, grande praticità (ed è la cosa più importante) e tanto, tanto fattore C. Che, per carità, è benedetto, soprattutto per un club che dalla buona sorte non è mai stato guardato con occhi di riguardo. Però non basta, così come non può bastare l'affidarsi ai saltuari colpi di genio dei buoni giocatori che non mancano nell'organico, dallo stesso Veloso a Palacio. Improvvisazione, appunto.
Fissarsi sulla necessità di avere un gioco non è roba da palati fini. Un impianto di gioco, un canovaccio da seguire in ogni partita, è ciò che ti sostiene nei momenti (e arriveranno) il cui la ruota della fortuna prende a girare dalla parte opposta, in cui i big avranno un calo di rendimento e non regaleranno più alzate di genio, e in cui il vecchio cuore rossoblù, determinante ad esempio nella sfida col Novara, non basterà più a togliere le castagne dal fuoco. Senza gioco, puoi bluffare per qualche settimana, qualche mese, ma alla lunga paghi dazio. E dire che comunque quanto visto sinora sia sufficiente per raggiungere gli obiettivi stagionali (sempre molto aleatori, oltretutto: parte sinistra? Europa League? Coppa Italia? Salvezza tranquilla?) è falso e rischioso: il nostro campionato rimane il più difficile ed equilibrato, e domenica scorsa, siamo onesti, sarebbe bastato che la Dea bendata avesse deciso di rivolgere i suoi favori al Novara piuttosto che a noi per determinare un risultato radicalmente diverso, e forse di proporzioni clamorose.
Certo, non tutte le colpe sono di Malesani: che si è ritrovato per le mani una squadra certo di buona qualità complessiva, ma ancora una volta rivoluzionata rispetto alla stagione precedente, coi nuovi che sono in larga parte stranieri, giovani ed esordienti in Italia, e che quindi alle fisiologiche difficoltà di inserimento tecnico aggiungono anche quelle di ambientamento in una nuova realtà sociale e nazionale. Ed è, inoltre, una squadra incompleta: minimo sindacale in difesa (con la fascia destra depauperata nel corso degli anni, a causa della progressiva rinuncia a Sokratis, Tomovic, Rafinha e Konko: oggi c'è in pratica il solo Mesto a cantare e portare la croce) e un attacco che, per l'ennesima volta, non propone l'attaccante di peso in grado di spalleggiare adeguatamente il brillante ma discontinuo Palacio. Caracciolo è un centravanti da bassa Serie A - alta Serie B, Pratto un cavallone con pochissima classe nei piedi. Zè Eduardo è forse il migliore di tutti ma fin qui è stato azzerato dai problemi fisici e pensare che possa arrivare lui a risolvere tutti i guai è assai rischioso. L'anno scorso c'erano Boselli, Paloschi, Destro e Floro Flores: tutta gente che, presa singolarmente, vale assai di più dell'ex bresciano e dell'argentino, sospendendo per il momento il giudizio sul brasiliano.
Insomma, non è disfattismo, mi limito a giudicare quello che vedo e sento. Se poi, stamane, anche un giornalista dell'esperienza di Gessi Adamoli (Repubblica - Lavoro) sostiene che, nonostante la classifica e la Coppa Italia, Malesani rischi il posto in caso di passo falso a Cesena, perché Preziosi non è per nulla soddisfatto delle prestazioni offerte, beh, magari non c'è nulla di vero, però può essere anche una sensazione dovuta a un certo clima che si respira dalle parti di Pegli, e che chi frequenta giornalmente il campo di allenamento può percepire meglio di me.
Personalmente, e non sembri un controsenso rispetto a quanto detto fin qui, la riterrei una mossa azzardata: perché l'alternativa sarebbe De Canio, tecnico di basso profilo che qui a Genova abbiamo già visto all'opera in tempi non sospetti, coi risultati che sappiamo; e perché, anche, in questo primo scorcio di torneo qualche sprazzo incoraggiante c'è stato: il secondo tempo di Roma con la Lazio, la gara col Catania, magari non bellissima ma di grande concretezza, la splendida partita dello Juventus Stadium e anche quella con la Roma, di certo sofferta ma perlomeno condotta sulla base di una idea tattica ben precisa. Ecco, certi episodi significano che qualcosa di buono sotto sotto c'è, e che quindi vale la pena di insistere, magari tirando avanti fino a gennaio, quando però dovranno giungere rinforzi di peso (auspicati dallo stesso Malesani nel dopo gara di domenica scorsa) soprattutto per la prima linea. Sperando che la situazione non cambi in peggio prima.