Bentornato, 007. L'ultimo James Bond, quello di "Skyfall", in questi giorni nelle sale, ritrova in parte la sua originaria identità, quella annacquata dalla "nouvelle vague" dei due precedenti film, i primi col volto di pietra di Daniel Craig. Soprattutto in "Quantum of solace" le stimmate classiche della saga, le modalità narrative, la caratterizzazione dei personaggi consolidatesi nei decenni erano state quasi completamente dissolte da scelte registiche e di scrittura che volevano forse essere innovative, e invece avevano fatto dell'ennesima avventura dell'agente segreto inglese niente più che un contorto action movie, con un eccesso di scene caotiche ed effetti speciali che ci si può aspettare di trovare in qualsiasi produzione americana del genere, non certo in una "isola cinematografica" dalle caratteristiche storiche assolutamente uniche e peculiari come quella di Bond, M, Q e compagnia impavida.
RITORNO AL CLASSICO - Certo, ripetere all'infinito lo stesso identico canovaccio può essere deleterio, e in tal senso era stata apprezzabile la scelta, compiuta col primo film di quest'ultima trilogia - Craig, "Casino Royale", di smitizzare alcuni tormentoni dei precedenti 007 (resta memorabile lo scambio di battute fra Bond e il barman del Casinò: "Come lo vuole il suo Martini, agitato o mescolato?"; "Ma che vuole che me ne importi!"). In "Quantum", come detto, la filosofia delle origini era stata invece essenzialmente tradita, mentre viene parzialmente rispolverata, sia pure in chiave moderna, in "Skyfall", diretto da Sam Mendes.
Si ritorna a una trama più lineare, tradizionale, diciamo pure classicheggiante. Facile da seguire, laddove, in parte già a partire dal periodo Brosnan, spesso ci si trovava in difficoltà a comprendere i vari passaggi di un filo narrativo troppo spesso cervellotico e arzigogolato, anche perché non adeguatamente spiegato nel corso dei film. Il glaciale Craig trova in questa produzione una caratterizzazione finalmente più umana: e questo è forse uno degli elementi più rivoluzionari di questo episodio un po' più convenzionale.
BOND UMANO E FRAGILE - Sì, perché, forse per la prima volta, si vede un Bond alle prese con le sue debolezze, la sua fragilità fisica e psicologica; un Bond che ritrova i fantasmi del suo passato, dei genitori persi in giovane età; un Bond che, profondamente offeso e ferito nell'orgoglio per la scelta del suo capo, la sempre inappuntabile e rigidissima Judi Dench, di metterne a repentaglio la vita nella classica "missione a inseguimento" di inizio film, si finge morto e si dà alla macchia, costruendosi una nuova vita invero un po' triste e grigia, con qualche superalcolico di troppo, lontano, anzi lontanissimo dalla Gran Bretagna, ove però torna quando scopre che l'organizzazione di cui fa parte, l'MI6, è minacciata da un folle genio dell'informatica. E quando torna, però, scopre di aver perso lo smalto da infallibile agente "con licenza di uccidere": vedrete tremare la mano di James una volta impugnata la pistola, una primizia assoluta, e lo vedrete col fiatone, incapace di portare a termine una sequela di esercizi fisici che, per lui, sarebbero dovuti essere acqua fresca...
SMITIZZAZIONI ED EPICI RIPESCAGGI - Uno 007 fra storia e contemporaneità, dicevamo: perché, come in "Casino Royale", prosegue la smitizzazione di certi elementi fissi del passato: il nuovo Q dice a James di non aspettarsi da lui la dotazione di armi bizzarre e sofisticate che gli fornivano i suoi predecessori, questa volta ci sono solo una pistola un po' particolare e una trasmittente satellitare (sarà un riferimento alla crisi economica globale?); non c'è una autentica "Bond girl" dominante, una di quelle che compaiono all'improvviso e che diventano essenziali fino alla fine del film: sembrerebbe poter ambire a questo ruolo, ad un certo punto, la fatalona ed enigmatica Bérénice Marlohe, invece la sua sarà una presenza effimera; c'è però la presenza tutto sommato discreta di Naomie Harris, giovane collega del protagonista, la cui identità coglierà di certo gli spettatori di sorpresa...
Ma la storia, anzi, la mitologia della saga si riappropria prepotentemente della scena e reclama i suoi diritti a tornare in primo piano con un ripescaggio da lacrimoni, l'Aston Martin d'epoca che è una delle icone della serie. E il "classicismo" trionfa nel duello finale, comunque non privo di colpi di scena del tutto imprevisti, in cui alle dotazioni faraoniche del nemico, un crudele e istrionico Javier Bardem in una delle interpretazioni più convincenti della sua carriera, il protagonista contrappone una... frugalità assoluta, armi e difese che più tradizionali non potrebbero essere.
FRA PASSATO E FUTURO - Per le modalità in cui avviene, per l'esito e per il teatro dello scontro, ossia Skyfall, il luogo dell'infanzia di Bond, la battaglia conclusiva è densa di significati: riscoperta delle radici, resa dei conti col passato per ridare un significato all'avvenire, apertura di una nuova era per la saga e per il suo primattore. Insomma, in estrema sintesi, uno 007 che si riconcilia (e ci riconcilia) con la sua storia dopo aver troppo "flirtato" con una deteriore ultramodernità, un film più pacato e persino introspettivo che però non rinuncia a strizzare l'occhio al futuro, un futuro da guardare con la tranquillità di chi ha alle spalle un importante bagaglio cinematografico da continuare a valorizzare, e senza l'ansia di doversi per forza rinnovare fino a snaturarsi.
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