Era importante ripartire, possibilmente senza troppi danni, ed è stato fatto. In una situazione come quella attuale, è difficile e forse anche poco sensato tracciare un quadro critico della performance azzurra con la Bosnia. Si tornava in campo dopo dieci mesi di stop, un intervallo agonistico così lungo la Nazionale non lo viveva dal 1946, e già questo dovrebbe bastare a dare un'idea dell'eccezionalità del momento. Sarà difficile considerare attendibili le gare di una Nations League collocata a cavallo fra le due stagioni più anomale nella storia del calcio mondiale del dopoguerra, con campionati e coppe di club finiti da poche settimane e già prossimi alla ripresa, con calciatori storditi da un tour de force di partite estive, con poche vacanze per rigenerarsi e pochi giorni di allenamento nelle gambe.
Questo non è calcio, mi pare evidente. Poi vale più o meno per tutti, a tutte le latitudini, ma in fasi del genere soffre di più chi ha un'idea di gioco propositiva. Ecco, se non altro la gara di Firenze ha lasciato l'impressione che la lunghissima pausa non abbia annacquato gli insegnamenti di Roberto Mancini, i cui primi risultati si videro proprio in chiusura della precedente Nations League, in Polonia, quando sbocciò improvvisa e inattesa una squadra manovriera, capace di impadronirsi del campo e di tenere costantemente sotto pressione gli avversari. I cardini di questa filosofia si sono intravisti al Franchi, ma al di là delle buone intenzioni non si poteva andare. Mancavano troppi fattori determinanti: l'Italia scesa in campo poche ore fa non è la migliore possibile in senso assoluto. Nemmeno le Nazionali più forti, esperte e consolidate nella loro struttura possono rinunciare contemporaneamente a due pedine chiave nel reparto più importante: la nostra selezione era priva di Verratti e Jorginho (quest'ultimo in panca ed evidentemente non al meglio, dopo il rientro in extremis dal Chelsea), cioè il cuore pulsante di tutto il meccanismo. Lo splendido Barella di questo 2020 ha confermato l'acquisita personalità internazionale caricandosi sulle spalle il lavoro di tutto il reparto, ma è ovvio che non possa cantare e portare la croce da solo. Sensi può essere una buona spalla ma solo in condizioni di forma accettabili, che non ha ancora raggiunto, comprensibilmente, dopo i triboli della stagione interista; ha trovato comunque il modo di lasciare il segno sul match propiziando l'autorete del pareggio, confermandosi arma letale negli inserimenti offensivi. Risulterà utilissimo quando tornerà al top, così come Lorenzo Pellegrini acquisirà maggior efficacia giocando qualche metro più avanti, da trequartista, cosa che accadrà inevitabilmente quando nel mezzo rientreranno i grandi assenti di ieri sera.
Per una gara così delicata, un nuovo debutto dopo un vuoto quasi "bellico", il cittì ha evitato sperimentazioni (ci saranno un paio di amichevoli più avanti, per tentare strade nuove), affidandosi ad alcune certezze acquisite nella prima parte della sua gestione, diciamo a un manipolo di "pretoriani". Da qui, ad esempio, l'utilizzo di Biraghi in luogo del titolare Emerson, e di Chiesa sulla fascia destra d'attacco. Se il laterale basso ha fatto il suo, dignitosamente, come quasi sempre in rappresentativa, il figlio d'arte continua ad essere né carne né pesce: un buon tiro sull'esterno della rete nel primo tempo, il lungo traversone per il palo di Insigne, tanti tentativi abortiti sul nascere, molto fumo e poco arrosto per quello che, avanti di questo passo, rischia di diventare il primo vero "caso" della Nazionale targata Mancio. Ma, lo ripetiamo, tutto è relativo: questa è una squadra nata per tenere l'iniziativa, far girare palla, aggredire; per riuscirci deve avere brillantezza fisica e lucidità, ciò che al momento latita. Troppo lenta la fase di impostazione per poter far assumere al gioco i connotati della pericolosità: senza dinamismo, senza passaggi e smarcamenti rapidi, una compagine votata alla difesa come quella bosniaca non può che avere vita facile, costringendoti a soluzioni estemporanee e velleitarie come i continui cambi di fronte, da destra a sinistra e viceversa, attuati dai nostri nei primi quarantacinque minuti, con esiti sconfortanti.
Contenimento e contropiede: questo e null'altro hanno fatto gli uomini del santone Bajevic, dopodiché, quando si può contare su uno dei pochi fuoriclasse d'attacco del calcio mondiale, si può anche riuscire a sfruttare una delle poche palle gol e a sfiorare una vittoria che sarebbe stato premio fin troppo eccessivo. Verrebbe da dire che se questa Italia avesse un Dzeko, là davanti, potrebbe persino avvicinarsi ai massimi valori del football europeo, una volta raggiunta la miglior condizione atletica. Al Franchi Belotti ha deluso, timido e privo di slancio; avendo in rosa la Scarpa d'oro europea, bisognerebbe trovare il modo di sfruttarla al meglio. Da troppe parti si legge che Immobile non rappresenti la soluzione ideale per il modulo - Mancini, ma credo sia un preciso dovere del trainer e dello stesso bomber laziale trovare un punto d'incontro tattico, per non privare la selezione di una bocca da fuoco potenzialmente devastante.
Poco da dire sugli altri singoli. Senza infamia e senza lode la prova della coppia centrale Acerbi - Bonucci, che si sono lasciati sfuggire Dzeko sul gol ma hanno almeno tentato di contribuire alla fase di rilancio, com'è nelle loro corde (soprattutto dello juventino). Il più attivo in assoluto è stato Insigne: spesso disordinato, raramente incisivo, alla fine è risultato comunque il più pericoloso della sterile squadra azzurra, sfiorando il palo su punizione, colpendo un legno di testa e, nel finale, mettendo sulla testa di Zaniolo un tiro-cross che ha portato il romanista a un passo dal gol. Ma l'occasione migliore è capitata sui piedi di Florenzi, che di destro ha chiamato il portiere Sehic a una gran deviazione. E' stata peraltro l'unica cosa positiva per il veterano azzurro ex Valencia, divenuto famoso per le sue percussioni offensive che invece, nella circostanza, raramente si sono manifestate. In questa nuova era azzurra rimane un buon ripiego per un ruolo in cui dovrebbe figurare come prima scelta il napoletano Di Lorenzo.
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