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lunedì 31 agosto 2020

FINALMENTE TORNA LA NAZIONALE. IL CLUB ITALIA È IL MODELLO DA CUI RIPARTIRE DOPO IL DECENNIO ORRIBILE DEL NOSTRO CALCIO: VEDIAMO PERCHÉ

                              Chiesa e Jorginho, simboli del nuovo corso azzurro (foto Guerin Sportivo)

Finalmente il cielo del calcio italiano torna a tingersi d'azzurro. Sarà anche una metafora un po' usurata, ma sentir di nuovo parlare di Nazionale dopo dieci mesi è una boccata d'aria fresca. Era tempo, anche per la salvaguardia di uno dei pochi patrimoni tecnici rimasti al nostro movimento: l'atmosfera attorno alla Selezione stava infatti cominciando a farsi pesante, per via di certe voci riguardanti un raffreddamento di Mancini in seguito ai contatti Gravina - Lippi (contatti incauti e intempestivi, si può dire?). Meglio quindi che si ritorni a ragionare di cose di campo, e a giocare... La Nations League bussa alle porte: un test importante, per quanto svalutato da surreali modifiche regolamentari che hanno cancellato le retrocessioni della prima edizione, cioè il vero "sale" della neonata manifestazione. 

DECENNIO DA INCUBO - Ma non importa, perché, per noi, in ballo c'è molto di più dell'esito finale del torneo. Siamo agli sgoccioli del decennio più orribile della storia calcistica italiana: dieci anni senza che un club tricolore sia riuscito a portare a casa uno straccio di coppa europea; dieci anni costellati di magre figure azzurre, col culmine della mancata qualificazione al Mondiale russo; dieci anni di regressione non tanto in termini di qualità del materiale umano (che c'è stata, ma non così netta come direbbero i risultati) quanto economica, progettuale e organizzativa, col crimine della assoluta trascuratezza dei vivai coniugata con l'esterofilia più ottusa di sempre: ottusa e controproducente, non è un'opinione ma un dato di fatto, vista la perdita di competitività internazionale del sistema calcio - Italia. 

I QUATTRO ESEMPI DA SEGUIRE - Ebbene, al termine di questa decade da incubo, abbiamo un disperato bisogno di ripartire, e una ripartenza seria non può che prendere le mosse dagli unici esempi sani proposti dall'italico football agli alti livelli: l'Atalanta come modello di programmazione complessiva a lungo termine; il Milan per il coraggio di puntare sulla gioventù nostrana (Donnarumma, Conti, Romagnoli, l'ultimo arrivato Gabbia, e ora l'enfant prodige Tonali, se l'acquisto andrà in porto); la tanto bistrattata Inter, ebbene sì, se non altro perché ha raggiunto la finale di Europa League con un gruppo in cui ha assunto un'importanza notevole un mini nucleo di giocatori indigeni (Bastoni e Barella soprattutto, ormai consolidate certezze, con contributi importanti anche di Gagliardini e D'Ambrosio); e la Nazionale, appunto, che deve tornare a essere il principale volano dello sviluppo del nostro football. Anche perché fra 2018 e 2019 Mancini ha posto basi importanti, con una politica che ha concretamente sposato la linea verde e un modo più moderno di concepire il gioco. In pochi mesi abbiamo visto sbocciare una squadra nuova di zecca, capace di cercare il risultato attraverso una manovra piacevole e propositiva. Dell'abbordabilità del girone di qualificazione europeo si è già ampiamente parlato: indiscutibile, così come è innegabile che, in un passato anche recente, selezioni azzurre ben più referenziate abbiano penosamente stentato contro avversarie altrettanto se non più modeste. 

CONVOCAZIONI FIUME: I PRECEDENTI - La verità è che si riparte da un filotto di dieci sonanti vittorie (più una in amichevole) e da un progetto credibile. Si discute in queste ore delle convocazioni-fiume del Mancio, ben trentasette i chiamati, e non mancano le perplessità in merito. Un modus operandi che invece, personalmente, mi trova assolutamente d'accordo. Facciamo un po' di storia: il primo a percorrere questa via fu Arrigo Sacchi negli anni Novanta, ma, più che altro, per una affannosa e tormentata ricerca di uomini che si adattassero il meglio possibile ai suoi rigorosi disegni tattici. In seguito, invece, la Nazionale "allargata" è divenuta quasi una necessità, dettata da varie motivazioni. Dopo il fiasco nippo-coreano del 2002, Trapattoni decise di aprire le porte di Coverciano a seconde e terze linee: entrarono in gruppo fra gli altri Legrottaglie e Nervo, Perrotta e Camoranesi, Corradi e Di Natale, gente fin lì trascurata nonostante un rendimento sempre elevato, magari con la sola colpa di non militare nelle big metropolitane. Il Trap lo fece perché i titolarissimi extra lusso stavano segnando il passo, e la sua squadra, dopo aver fallito l'appuntamento iridato, rischiava di restare fuori anche dall'Europeo portoghese. I nuovi arrivati portarono voglia di emergere e indubbie qualità, e furono anche un pungolo per i "grandi", che ripresero ad esprimersi al meglio delle loro potenzialità. 

In seguito, nelle sue due gestioni, Marcello Lippi schierò più volte delle Nazionali "sperimentali", con largo utilizzo di emergenti e di esponenti  delle cosiddette "provinciali" (Mesto, Langella, Brienza, Di Michele, Foggia, Pellissier...) affinché il maggior numero possibile di calciatori di Serie A potesse sognare l'azzurro, accentuando così la voglia di migliorarsi dei singoli e il clima competitivo fra di loro, con benéfici effetti sia sul livello tecnico del campionato sia sul ventaglio di scelte a disposizione del cittì, che poteva pescare in un bacino sempre più ampio di elementi all'altezza dei palcoscenici importanti. 

Esempio che fu poi seguito anche da Prandelli, ma in un'ottica diversa: con le formazioni dei club già ingolfate di stranieri, si rendeva necessario offrire spazio in azzurro a ragazzi validi che quello spazio faticavano a trovarlo nelle società di appartenenza. Giovanissimi convocati prima di aver maturato un cospicuo minutaggio con il club (ricordo Perin e De Sciglio), al fine di forzarne la maturazione: una situazione per certi versi paradossale, che in tempi normali sarebbe stata inaccettabile ma che da allora è divenuta essenziale per costruire la caratura internazionale di tanti giovani di casa nostra, ricchi di talento ma impossibilitati a crescere in un campionato malato di esterofilia. E qui si torna al decennio terrificante che ci stiamo lasciando alle spalle: quanti ragazzi di assoluto valore ed enormi prospettive sono stati bruciati verdi per mancanza di pazienza da parte di tecnici e dirigenti! 

IL PIANO: PAZIENZA COI BABIES E SPAZI AZZURRI CONTRO L'OSTRACISMO DEI CLUB - Ecco dunque perché Mancini sta lavorando su una base azzurra così larga. Questi i concetti essenziali: vivere la rappresentativa e i suoi impegni per diventare giocatori da ribalta europea e mondiale, ciò che non potrà mai accadere giocando (a volte anche poco, oltretutto) in squadre di club dagli orizzonti limitati, e che pagano le loro poco lungimiranti politiche con ripetute figuracce fuori dei confini. Dei titolari o semi-titolari delle compagini di massima divisione, diciamo 15-16 elementi per squadra, gli italiani sono attorno al 40 per cento (calcolo fatto un po' a spanne, ma non lontano dalla realtà): il campo di scelta è risicatissimo, tenendo conto che difficilmente è convocabile chi milita in formazioni di bassa classifica (nelle quali si concentrano in massima parte i calciatori indigeni), e in una situazione del genere gli azzurrabili bisogna un po' anche costruirseli, valutando un ampio numero di uomini e azzardando su verdi speranze dal curriculum ancora scarno... 

E poi la pazienza coi giovani, da aspettare, costruire, perfezionare, e non da buttare via dopo i primi passi falsi: ecco dunque la rinnovata fiducia a Kean, reduce da una stagione fallimentare ma che deve solo essere disciplinato sul piano caratteriale, "smussato", perché ha classe da vendere e lo aveva già dimostrato nel suo perentorio esordio in Nazionale; ecco il coraggioso lancio di Luca Pellegrini; e riecco Zaniolo, che, secondo alcuni, dopo l'incidente... comportamentale dell'Euro Under 21 casalingo era già un calciatore finito, e che invece è ritornato più forte che mai, pronto anzi a diventare uno dei simboli di questa nuova generazione all'insegna della speranza. E ancora l'imberbe Tonali, su cui è giusto continuare a insistere nonostante qualche battuta a vuoto in campionato (comprensibile in un Brescia allo sbando), il ritrovato Caldara dell'ultima Atalanta, gli strepitosi Bastoni e Barella offerti dalla stagione interista, la giusta considerazione per Sensi, bruscamente frenato da guai fisici ma meritevole di attesa per quanto di buono, anzi ottimo, fatto vedere in azzurro l'anno passato. Il CT ha avuto anche la giusta attenzione alle indicazioni di una Serie A pur anomala come quella da poco finita: la conferma di Lasagna, attaccante fra i più positivi del dopo lockdown, l'esordio di Ciccio Caputo e uno Spinazzola dalle quotazioni in rialzo, alla luce degli ultimi confortanti mesi romanisti, senza dimenticare Locatelli, regista affidabile, continuo e dai piedi buoni; mancano Pessina e un Berardi che sembra finalmente essersi lasciato alle spalle i suoi irritanti alti e bassi, ma arriverà anche il loro momento.  

I NUOVI PUNTI FERMI DEL CLUB ITALIA - Parliamoci chiaro: questo Club Italia è un piccolo miracolo. Merito del caro vecchio Bobby-gol sampdoriano, certo, ma anche delle potenzialità inesauribili di un vivaio storicamente di prim'ordine, che può vivere fisiologiche fasi di stanca ma che, nonostante la mancanza di investimenti, il disinteresse, l'ostracismo verso le nuove generazioni, anche in questi ultimi sventurati anni ha saputo sfornare prospetti di livello. Perché non si perdano per strada, il ruolo della Nazionale sarà fondamentale, come lo è già stato per la crescita di Donnarumma, Di Lorenzo, Lollo Pellegrini, Barella (pluri-citato in questo articolo, ma è uno degli azzurri del momento), ormai punti fermi come un Acerbi non più di primo pelo ma all'apice della carriera, come Jorginho, Verratti e Insigne, campioncini fatti e finiti. Ricominciamo, dunque, con la massima fiducia. 

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