La vittoria di Amsterdam è la più "pesante", oltreché prestigiosa e importante, degli ultimi quattro anni azzurri, diciamo a far data dallo strepitoso 2-0 inflitto alla Spagna negli ottavi di Euro 2016. Di sicuro un significativo esame universitario superato, perché dalla prova di maturità delle qualificazioni continentali l'Italia era già uscita a pieni voti, mentre una prova del nove sulla competitività di questa squadra serviva più che altro agli ipercritici, agli scettici ad oltranza, ai San Tommaso calcistici (della serie "se non li vedo battere una grande, non credo alla loro forza"). Discorso che personalmente non mi ha mai riguardato, e l'ho scritto tante volte su queste pagine, anche nei giorni scorsi: al di là della relativa caratura degli avversari, undici vittorie consecutive non si ottengono mai, e sottolineo mai, per caso. Nello specifico, dietro il filotto dei Mancini boys, interrotto venerdì dalla Bosnia, c'era qualcosa di estremamente concreto e sostanzioso, sol che lo si volesse vedere senza abbandonarsi alle trite tiritere sui calciatori italiani che non sono più quelli di una volta: c'era un progetto tattico ben definito, c'erano giocatori con doti di palleggio e personalità in sboccio, c'era uno spirito sbarazzino, aggressivo, propositivo.
AUTORITARI ALL'ESTERO, NON ACCADE SPESSO - Queste doti si erano intraviste anche al Franchi, pur nelle difficoltà di quella serata, dal ritorno all'impegno agonistico dopo dieci mesi alla condizione fisica approssimativa e all'assenza di uomini chiave. Queste doti son tornate ad emergere nitidamente nell'Arena intitolata a Cruijff. Il Club Italia post disastro Mondiale è un team che non ha paura di prendere l'iniziativa e che sa impadronirsi del gioco anche su campi difficili e contro rivali di rango. In senso assoluto, in quasi quarant'anni che seguo il calcio non mi è capitato spessissimo di vedere la nostra Nazionale andare all'estero a imporsi in maniera così autoritaria, perentoria, senza eccedere in gherminelle difensive. E' una rarità storica, credetemi, e questa giovane Azzurra manciniana l'ha fatto già ripetutamente, a partire da quella esibizione in punta di tecnica in Polonia, nell'autunno 2018, che segnò di fatto la nascita della nuova Selezione.
OCCASIONI A GO GO E MANOVRE DI PREGIO - Cito spesso la vittoria di Chorzow siglata in extremis da Biraghi, perché è l'esempio plastico di quelle partite che incidono più di altre nel percorso di costruzione e di crescita di una rappresentativa. Da lì è iniziato tutto, da lì si è vista la luce in fondo al tunnel. Da Chorzow 2018 ad Amsterdam 2020 un fil rouge ben definito, fatto di bel gioco e di piedi buoni in quantità persino inaspettata. Recuperato Jorginho e con più benzina nel motore, il che vuol dire maggior velocità di esecuzione e rapidità nel disegnare le azioni, l'Italia ha ripreso a giostrare come sa, prendendo letteralmente a pallonate i Paesi Bassi nel primo tempo per poi controllare con discreta sicurezza nella ripresa almeno fino alla mezz'ora, quando ha rinculato sotto l'ovvia pressione dei locali restando però pericolosissima nelle ripartenze. La splendida girata di Zaniolo alta di poco, i tiri ad effetto di Insigne ed Immobile a sfiorare il palo, infine la perentoria inzuccata di Barella su assist della Scarpa d'oro al culmine di una vertiginosa azione offensiva di ubriacante bellezza; e, nel secondo tempo, altre opportunità per Insigne (con prodezza di Cilessen) e due volte per Kean, che ha sprecato incredibilmente un contropiede ma che va nel complesso elogiato, perché si è calato nella parte con grande disponibilità al sacrificio, rientrando a tamponare nella zona di mezzo.
SUPER SPINAZZOLA, KEAN IN RIALZO - Kean pare avviato sulla strada del recupero a misure degne del suo talento, ma il discorso va allargato, perché questa Nazionale sta facendo del bene a tanti nostri calciatori e quindi a tutto il movimento. Il Donnarumma azzurro, ad esempio, non sbaglia un colpo, e ieri ha sventato, in avvio di secondo tempo, una clamorosa palla gol deviando in corner una conclusione ravvicinata di Van de Beek; uno dei pochi interventi difficili a cui è stato chiamato il milanista, che però sa mantenere alta la concentrazione anche quando non è sottoposto a "bombardamenti" avversari. E che dire di Spinazzola? Continuo, propositivo, ficcante: batte la corsia sinistra con inesausto furore, sa anche saltare l'uomo oltreché crossare, è un punto di riferimento per i compagni che lo cercano a ripetizione: visto che si indugia spesso in arbitrari accostamenti, spesso figli di nostalgia fine a se stessa, fra gli azzurri di oggi e quelli di ieri, bene, mi sento di poter dire che questo ragazzo sarebbe stato titolare fisso in molti club italiani di alta classifica degli anni Ottanta - Novanta, la nostra età dell'oro, e che al momento, in Nazionale, può giocarsi tranquillamente il posto con Emerson. Meno convincente è stato sull'altro versante D'Ambrosio, i cui limiti tecnici peraltro sono noti, ma ha raggiunto comunque la sufficienza e nel finale ha sbrogliato una situazione spinosa nell'area piccola. Continuo a pensare che, a destra, soluzioni più attendibili siano rappresentate da Di Lorenzo e anche dall'impeccabile Lazzari dell'ultima stagione laziale.
LOCATELLI, GRANDE "ACQUISTO" - Nel mezzo, come detto, fondamentale è stato il rientro di Jorginho, con la sua paziente tessitura e alcune verticalizzazioni di prima che hanno incrementato l'efficacia della manovra azzurra. Barella è andato più a corrente alternata rispetto a Firenze, ha fornito un contributo più di spada che di fioretto, confermando peraltro la sua straordinaria efficacia negli inserimenti in area, siglando il gol vittoria con un colpo di testa da centravanti vero. Senz'altro più cospicuo è stato l'apporto alla manovra di Locatelli, esemplare nelle due fasi, capace di lavorare una gran quantità di palloni con grande costrutto e pochissime sbavature: un acquisto importante e definitivo, per un reparto che da anni non avevamo così ricco di fosforo e di piedi educati.
IL PROBLEMA DEL GOL E L'ANNO NERO DI ZANIOLO - Rimane il problema dell'attacco: problema, perché dalla gran mole di gioco e occasioni prodotte è uscita la miseria di un golletto, realizzato per di più da un centrocampista. Intendiamoci: non si può non promuovere la prova di Insigne e Immobile, che hanno martellato la difesa arancione, hanno concluso direttamente, confezionato assist, aperto varchi, ma continua a latitare il killer instinct. Soprattutto Ciro, ora che è cannoniere principe europeo, ha una responsabilità in più e, in accordo con Mancini e coi compagni, deve trovare il modo di diventare una freccia acuminata anche in rappresentativa, così come devono al più presto raddrizzare la mira Kean e Chiesa, che hanno il gol nelle loro corde. Nell'immediato ci si potrebbe anche affidare a Caputo, peraltro tutto da scoprire sui palcoscenici internazionali: un salto nel buio, insomma. Infine, Zaniolo, evidentemente nel suo anno più buio. Si consoli: pagato il tributo alla malasorte, tanti campionissimi del passato sono tornati ai massimi livelli, in primis Roby Baggio, anche lui martoriato non poco nel primo periodo della carriera (e purtroppo anche in seguito). Coi suoi strappi, le sue incursioni, le sue accelerazioni, può diventare elemento chiave del gioco azzurro: la sua presenza è fondamentale nel futuro del progetto Mancini, ma ora occorrono calma, prudenza e circospezione nel percorso di recupero, senza forzare i tempi, e pazienza se dovrà rinunciare all'Europeo. Il ragazzo è ancora un talento in erba, non ha bisogno di bruciare le tappe.
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