C'era mai stata, prima di oggi, una finale mondiale così? Fra quelle che ho potuto personalmente vedere, in diretta o a distanza di anni, sicuramente no. Sfide ben giocate, intense, combattute, come Germania-Olanda del '74; sfide non bellissime ma ugualmente incerte, tese ed equilibrate, come quella che ci ha condotto al nostro ultimo titolo iridato nel 2006; atti conclusivi a senso unico dall'inizio, come Francia - Brasile del '98, o indirizzatisi nettamente solo dopo l'intervallo, come la notte azzurra di Madrid '82. Ma nessuna, nessuna come questa Argentina-Francia che ha riportato la Coppa FIFA nelle pampas dopo ben 36 anni, un digiuno inaccettabile per un Paese che, anche in questo lungo intervallo, è sempre rimasto ai vertici planetari per capacità di produrre talenti del pallone.
LA FINALE PIU' BELLA - Unica, unica davvero questa memorabile finalissima: per emozioni, altalena nel punteggio, classe dei protagonisti, spettacolo, qualità di gioco, siamo su livelli di eccellenza. Forse, andando molto indietro nel tempo e affidandoci alle cronache d'epoca dei giornali, qualcosa di simile può essersi visto in occasione del celebre "miracolo di Berna", il confronto del 1954 fra Germania Ovest e Ungheria, da 0-2 a 3-2 con tante occasioni, gol mancati di un soffio o annullati, prodezze d'alta scuola soprattutto da parte dei maestri magiari. Un incontro che però si concluse nei tempi regolamentari, senza prolungamenti. Quello del Lusail Stadium è stato un match infinito, ma senza cali di tensione, senza fasi di stanca neanche quando si sono superate le due ore di gioco, contando anche gli abbondanti recuperi. Un inno al calcio a cui non è mancato nulla, nemmeno la sfida nella sfida fra i due trascinatori. E sì, perché spesso in queste gare ultimative accade che i personaggi più attesi e più dotati stecchino, o comunque rendano al di sotto delle aspettative. Non vorrei risultare blasfemo, ma persino il Maradona dell'Azteca '86, ingabbiato tatticamente dai tedeschi, soffrì in apnea per larga parte di gara, prima di offrire a Burruchaga il pallone della sudatissima vittoria.
SCONTRO FRA TITANI - Ieri no, ieri i due assi, Messi e Mbappè, si sono presi la scena quasi per intero, lasciando briciole di gloria ad altri degnissimi campioni. Ha fatto letteralmente faville Di Maria, fin quando il fisico ha retto e fin quando il suo cittì l'ha tolto troppo frettolosamente dal campo, ma a pilotare la partita sono stati loro, gli attuali padroni del calcio mondiale a livello individuale, appurato che Cristiano Ronaldo pare ormai in parabola discendente. Due gol l'argentino, addirittura tre il francese, come Hurst dell'Inghilterra '66. E una presenza costante nel vivo dell'azione per Leo, mentre Kylian è stato, semplicemente, la Francia: si è preso sulle spalle una squadra smunta, spaurita, smarrita, rassegnata, e l'ha condotta a un passo da un un'impresa epocale, che avrebbe però rappresentato un premio eccessivo.
TANTE PARTITE IN UNA - La magnificenza forse inarrivabile di questa finalissima '22 è stata data anche dai suoi molteplici volti: tante partite in una sola, ognuna delle quali carica di significati tattici, psicologici, morali destinati a diventare argomento di studio, in futuro, per chi vorrà fare calcio ai massimi livelli. La prima partita è durata per tutto il primo tempo, e sembrava la citata Francia-Brasile di 24 anni fa: troppa Argentina per i Bleus, indemoniata, motivata, feroce, brillante, agile, rapida. Con le spalle ben coperte da un'impostazione tattica perfetta, in avanti il solito Messi faceva faville e si accendeva uno straripante Di Maria, che prima si procurava il rigore dell'1-0 e poi siglava il raddoppio finalizzando una vertiginosa azione corale in contropiede. Quell'Argentina dominava al punto da ridurre i rivali a spente comparse. Ma nella prima parte della ripresa commetteva il tremendo errore di cercare con scarsa convinzione il tris, che era ampiamente alla portata, mentre il trainer Scaloni rinunciava precipitosamente a Di Maria rimpiazzandolo con Acuna, dichiarando apertamente il proprio intento conservativo.
Facile adesso parlare di errore, in realtà poteva benissimo funzionare, come mossa strategica, anche perché dall'altra parte i campioni uscenti marciavano in folle e avevano già vissuto un piccolo psicodramma, con la sostituzione-bocciatura di Giroud e Dembelè prima del 45'. La verità è che, nonostante il risultato non fosse ancora al sicuro, non era assolutamente nell'aria la rinascita dei galletti. E' bastata una disattenzione difensiva, il rigore su Kolo Muani e la trasformazione di Mbappè, per dare inizio alla terza partita, invero piuttosto breve, quella in cui in francesi prendevano a volare presi per mano da Mbappè, che trovava fulmineamente il pari con un gran destro al volo. Ancora tanta Francia fino all'occasionissima sottomisura di Rabiot su cross di Tchouameni, ma già prima della fine dei regolamentari la Seléccion rimetteva la testa fuori con un gran sinistro dalla distanza di Messi alzato da Lloris.
MEZZ'ORA STREPITOSA - Era l'inizio dell'ultima mini-partita, la più bella, quella in cui le due splendide rivali si sono scambiate colpi su colpi come due pugili indemoniati, ma erano colpi di finissima grana tecnica. Anche in questa fase equilibrata, incertissima, si vedeva però che l'Argentina aveva superato lo shock per la rimonta, mandava Lautaro due volte a un passo dal gol, e la terza, su respinta di Lloris, era pronto al tap-in l'impagabile Leo per quello che pareva essere il sigillo sulla finale. Niente affatto, incredibile braccio in area di Montiel su tiro di Mbappè, ancora lui, che trasforma il penalty resuscitando nuovamente i transalpini, prima che, nel finale del secondo supplementare, Emiliano Martinez si erga a salvatore della patria murando Kolo Muani presentatosi solo davanti a lui per il 3-4; il portiere completerà poi l'opera col rigore parato a Coman nella lotteria finale.
ARGENTINA CON MERITO - Una giostra mozzafiato che ha emozionato anche chi, come me, era fuori dalla mischia, senza simpatie particolari. E che ha premiato, alla fine, chi più lo meritava. L'Argentina ha fatto un signor Mondiale: non era facile rialzare la testa dopo la tremenda batosta al debutto con l'Arabia, e non tutti i cittì hanno la personalità e l'autorevolezza per togliere di squadra, senza colpo ferire, alcuni titolarissimi per dare spazio a ragazzi con meno fama ma più in palla. La squadra, fino ai quarti, non sempre ha incantato, anzi, ma ha mostrato pragmatismo, ordine tattico, saldezza mentale, trovando un Messi costantemente ispirato come mai nei precedenti Mondiali, e due giovani esplosi nel momento cruciale, Enzo Fernandez e Alvarez. Nelle ultime due uscite, e soprattutto ieri, i biancocelesti, ormai liberi dall'incubo dell'ennesimo fallimento iridato, hanno ritrovato compiutamente il gusto della manovra di qualità, dello svolazzo peraltro mai fine a se stesso.
FRANCIA IN CHIAROSCURO - Anche se sono sfumature, il cammino del team di Deschamps mi è parso leggermente meno brillante: buonissimo esordio con l'Australia, splendido ottavo con la Polonia (altra seratona magica di Mbappè), ma per il resto un'alternanza di momenti di altissimo spessore e altri di sofferenza e di pagnotta portata a casa col mestiere: perché nei quarti l'Inghilterra ha ben giocato, e ha lasciato il campo fra mille recriminazioni, non solo per il rigore fallito da Kane. E in semifinale, nella prima mezz'ora del secondo tempo, il Marocco ha fatto vedere i sorci verdi a Varane e compagni. Insomma, una Francia dalle potenzialità enormi ma solo parzialmente espresse, con l'ombra colossale di una finalissima giocata in totale sottomissione fino a dieci minuti dalla fine, perché al tirar delle somme solo il suo fuoriclasse l'ha tirata fuori dalle sabbie mobili regalandole un'altra ora di speranza. Ma il secondo titolo consecutivo non sarebbe stato del tutto meritato.
LIVELLO COMPLESSIVO: BUONO MA NON ECCELSO - La superfinale ha innalzato in extremis il livello qualitativo di un torneo senza dubbio piacevole ma non eccezionale, sul piano delle espressioni tecniche. Si diceva che la collocazione tardo autunnale avrebbe consentito di vedere le migliori rappresentative, e i campioni più attesi, al top della forma e quindi al massimo del rendimento possibile. Alla resa dei conti, mi pare non sia accaduto nulla di diverso rispetto al tradizionale andazzo dei Mondiali estivi, diventati improvvisamente oggetto di disprezzo quando in realtà la leggenda di questa manifestazione, e la leggenda del calcio tout court, è nata, cresciuta e si è consolidata proprio grazie a ventuno edizioni tenutesi a cavallo fra primavera ed estate europea. Fra le Nazionali in prima linea, son state più le delusioni che le conferme: il Belgio è giunto al capolinea di una straordinaria fioritura generazionale che ha però partorito il topolino, quanto a conquiste concrete; la Germania, seconda eliminazione consecutiva ai gironi, ha problemi di ricambio e lacune di organico non minori di quelle che affliggono l''Italia; loro, alla fase finale ci sono arrivati grazie a un gruppo eliminatorio senza avversari, in cui sono riusciti perfino ad ammortizzare una sconfitta interna con quella Macedonia che poi ha ripetuto lo scherzetto ai danni degli azzurri, i quali invece non hanno avuto possibilità di riscatto e, contrariamente ai teutonici, si sono trovati fra i piedi una Svizzera confermatasi ruvida e indigesta anche in Qatar, prima del crollo al cospetto dei lusitani.
SPAGNA E INGHILTERRA: LE INCOMPIUTE - E ancora: la Spagna è partita in pompa magna goleando la Costarica, ma negli impegni più probanti ha manifestato una sconfortante tendenza al "tutto fumo e niente arrosto", possesso palla e palleggio insistito ma con scarsissima forza penetrativa. L'Inghilterra, secondo gli esperti, era la squadra che più avrebbe dovuto avvantaggiarsi della nuova collocazione del torneo, ma, come tante volte in passato, non ha cavato un ragno dal buco: è rotolata quasi per inerzia fino ai quarti, grazie a un primo turno di tutto riposo e a un ottavo comodo contro il non trascendentale Senegal; con la Francia, lo si è detto, ha ben giocato ma ha mostrato le solite stimmate dell'incompiuta, già fatali nell'Europeo perso in casa: perché, ad esempio, Saka è un attaccante davvero interessante, rapido, sgusciante, pieno di iniziativa, ma ancora troppo poco incisivo e cattivo sotto porta, quando la posta in palio è pesante.
BALLETTI PREMATURI - Il gruppone delle grandi deluse ha avuto, ancora una volta, il suo esponente di punta nel Brasile. Quando ho visto il buon Tite mettersi a ballare coi suoi ragazzi nel bel mezzo della scampagnata con la Corea del Sud (altro ottavo facile facile) ho capito che era tornata la solita Seleçao, o meglio quella vista troppe volte in passato, prigioniera del suo mito, troppo impegnata a specchiarsi in una bellezza solo presunta, perché i verdeoro hanno faticato per piegare la Svizzera e hanno anche perso contro il Camerun, per poi, dopo aver preso a pallonate i coreani (promossi al secondo turno in maniera rocambolesca), andarsi a infilzare sulla praticità estrema dei croati, con la genialata finale di non far battere a Neymar uno dei primi rigori (quando avrebbe dovuto, infine, andare sul dischetto, i giochi erano già fatti). Era un buon Brasile, non un grande Brasile, con alcuni elementi troppo stagionati, alcuni ruoli non adeguatamente coperti (Richarlison va bene per le prime partite, ma quando il gioco si fa duro...), tanti ottimi giocatori ma non più di due-tre capaci di spostare gli equilibri nelle sfide al vertice, nessun trascinatore alla Messi o alla Mbappè: Neymar è uno splendido giocoliere e un finalizzatore micidiale, ma raramente prende per mano la squadra nei momenti topici o in quelli delicati; ha segnato ai croati uno dei gol più belli della kermesse, ma è stato l'unico vero acuto di un'avventura condizionata ancora una volta dai guai fisici.
CROAZIA: TERZA MA IN REGRESSO - Abbiamo citato la Croazia, straordinaria nell'ultimo quadriennio per continuità di risultati ai massimi livelli (mettiamoci anche il raggiungimento della prossima Final four di Nations League, tutto fa) ma regredita rispetto a Russia '18: arrivata in semifinale vincendo una sola gara nei tempi di gioco (col Canada), sovente in sofferenza (persino col Giappone e col decadente Belgio), salvata da singole fiammate, da una difesa di ferro raccolta attorno al fenomenale Gvardiol e dalle prodezze di un portiere di spessore, Livakovic, con Modric nel mezzo a dettare il suo immenso magistero calcistico, sprecato però da una prima linea non all'altezza. Anche se era dall'altra parte del tabellone, fra le semifinaliste avrebbe meritato di figurare maggiormente il Portogallo, che strada facendo stava acquisendo la sicurezza della grande squadra e si era anche elegantemente liberato della presenza ormai troppo ingombrante di un CR7 a scartamento ridotto, trovando nuove e fruttuose strade offensive. Ma poi è arrivato il Marocco...
RISCOSSA AFRICANA - Già, il Marocco. Attendevamo la riscossa dell'Africa dal Mundial '82, dagli sfortunati exploit di Algeria e Camerun. Nel frattempo, persino l'Asia aveva preceduto il Continente nero nella corsa alle semifinali, raggiungendole nel 2002 con la Corea del Sud, peraltro attraverso un percorso discutibile. Una lunga marcia durata 40 anni, decisamente troppi per un movimento calcistico ricchissimo di talenti, pieno di giocatori formatisi al calor bianco dei principali tornei di club europei, e con rappresentative allenate da coach di prestigio internazionale. Dovevano arrivare ben prima là in alto, il Marocco ha infine centrato il traguardo perché, in mezzo alle tante "piccole" Nazionali che hanno offerto prodezze più o meno isolate in Qatar, Hakimi e compagni sono stati i più continui, e i più sagaci tatticamente. Calcio tradizionale, di matrice difensiva ma senza mai indulgere al catenaccio, anzi, con "esplosioni" offensive travolgenti e mortifere. Hanno messo in difficoltà tutti, anche la Francia, come abbiamo visto. Tra l'altro, è dagli anni Ottanta che il Marocco si propone periodicamente per ospitare il massimo evento calcistico, venendo regolarmente bocciato. Non sarebbe il caso, prima o poi, di dargli una chance, visto che ora può anche vantare meriti acquisiti sul campo, al contrario del Qatar o del Sudafrica 2010?
POCA CONTINUITA', GIOCO DI STAMPO DIFENSIVO - Continuità: l'ha avuta il Marocco, è mancata a quasi tutte le protagoniste più attese, e soprattutto per questo non mi sento di parlare di Mondiale di alto livello, nel momento in cui le Selezioni-pilastro del calcio planetario alternano prove convincenti ad altre all'insegna del grigiore. Mancanza di continuità anche nell'ambito delle singole partite, in cui spesso si è assistito a isolate vampate di gioco che scaturivano da lunghi momenti di stasi. Tatticamente poche novità: si è tornati a curare maggiormente la copertura, ed è un bene, mentre latitano le idee per lo sviluppo della manovra d'attacco: a parte il citato Portogallo che, ripeto, aveva trovato una chiave di gioco offensiva che coinvolgeva diversi uomini e prescindeva dal suo ex trascinatore, le altre grandi hanno dovuto fare affidamento sugli estri delle loro star, che accendendosi facevano girare l'intero reparto, come Messi per tutto il Mondiale, come Di Maria nella finale, come Mbappè prima di ieri, perché contro l'Argentina, ribadiamolo, il futuro imperatore del calcio mondiale ha fatto tutto, proprio tutto, da solo. A proposito di Francia: in finale ha steccato come buona parte dei compagni, ma nelle gare precedenti ho visto un Griezmann sontuoso, il vero tuttocampista, fondamentale in appoggio ai compagni di attacco e utilissimo nei ripiegamenti; ancora una volta, come all'Euro 2016, gli è mancata la consacrazione conclusiva.
CHE ITALIA SAREBBE STATA? - Nell'ultimo numero del Guerin Sportivo, un bell'articolo di Tucidide affronta il tema della Nazionale italiana sotto vari aspetti, ma partendo da un punto: che Italia avremmo visto al Mondiale? Secondo l'autore del pezzo, non avremmo superato il primo turno, soprattutto, mi è parso di capire, per questioni atletiche. Rispetto l'opinione, ma non la condivido (del resto stiamo parlando del nulla: solo ipotesi, una vale l'altra): i campioni d'Europa non sarebbero diventati campioni del mondo, ma avrebbero trovato il modo di farsi onore. Come già scritto ripetutamente, e d'ora in poi vorrei non tornarci più sopra, la nostra seconda esclusione consecutiva è stata frutto più di circostanze contingenti, forse irripetibili, che dell'indubbia crisi che attanaglia il nostro movimento (e che nessuno pare voglia decidersi a prendere di petto, per cui prepariamoci ad altre delusioni). Ma, con la qualificazione in tasca, Mancini avrebbe sperimentato molto meno e si sarebbe presentato in Qatar con una squadra fatta più di esperti che di scommesse, e come per l'Euro, avrebbe senz'altro schierato giocatori in buone condizioni fisiche (a maggior ragione, essendo nel pieno della stagione agonistica). Dopodiché avremmo probabilmente pagato l'assenza di uno Spinazzola che chissà se tornerà l'imprendibile freccia di un tempo, e la precarietà di un Chiesa appena rientrato dal grave infortunio, ma, insomma, ce la saremmo giocata.
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