Bearzot e Pertini si abbracciano al Bernabeu
Trent'anni fa. Nell'estate del 1982, il sottoscritto aveva otto anni, compiuti a maggio. E di calcio, onestamente, ne masticava pochino. I cartoni animati giapponesi erano la mia grande passione, e all'epoca la tv (Rai e private) ne trasmettevano a iosa, quasi a ogni ora del giorno. Guardavo, fra gli altri, Galaxy Express 999 e Astroboy, e parallelamente seguivo le gesta dei miei beniamini del Sol Levante sul mitico Corriere dei piccoli e su TV Junior, un settimanale per bambini edito dalla Eri (la casa editrice dell'Ente televisivo di Stato). Proprio questo giornale, inaspettatamente, ai primi di giugno mi calò nella realtà di quella colossale festa del football che stava andando a cominciare, con un giochino semplice semplice abbinato al Mundial: ritagliando alcuni "palloncini" da calcio (che riproducevano il pallone presente nel logo del Mondiale) e incollandoli su un tabellone si poteva tener conto dei gol segnati dai cannonieri del torneo. "Speriamo che vinca Pablito Rossi!", era il commento di un anonimo redattore scritto in calce al gioco.
IL MIO MUNDIAL "BAMBINO" - Ecco: in quei mesi, con la seconda elementare da poco finita e con tanto tempo libero, così vissi uno dei momenti più magici nella storia del calcio italiano. E, forse, nella storia italiana tout court. Anzi, senza forse. Il mito degli eroi di Spagna l'ho ampiamente coltivato negli anni successivi, quando si accese in me il fuoco della passione per il calcio, cosa che, stranamente, avvenne in occasione del Mundial successivo, quello messicano dell'86. Stranamente, perché per l'Italia fu un campionato amaro, e probabilmente molti si allontanarono dal pallone, in quella circostanza. Non io: da allora, nella mia... ansia di documentarmi sulla storia del football, ho avuto modo di sviscerare quel lontano torneo in terra iberica, di scoprirne e analizzarne ogni aspetto.
Dunque, un mito costruito "a posteriori", per quanto mi riguarda: eppure lo sento, lo percepisco, lo avverto come se quei momenti li avessi vissuti davvero, in presa diretta e con piena, totale e consapevole partecipazione. Le partite le guardavo a spizzichi e mozzichi: mi rivedo, durante il primo tempo della finale di Madrid, seduto sul balcone di casa mia, a Genova, il silenzio del quartiere rotto dalle urla degli abitanti, vere e proprie urla da stadio, perché in quel momento la mia via, la mia città, l'Italia tutta erano come un gigantesco stadio. Mi emoziono, a rivedere quelle immagini e a rileggere gli articoli del tempo, perché in fondo c'ero, anche se un po'... distratto e ancora troppo bimbo. Il ricordo più nitido, ecco, è quello dei festeggiamenti post vittoria, che osservai dalla finestra con mio fratello e i miei genitori e che quasi mi spaventarono, perché un trambusto così non lo avevo mai visto né sentito nemmeno a Capodanno.
Il logo del Mundial
NIENTE PARAGONI COL 2006 - Questo per quanto riguarda il "mio" Mundial '82. Sul trionfo azzurro e su quel lontano torneo, difficile scrivere qualcosa che non sia stato già scritto. Una premessa: spiace che ancora ci sia chi paragona quel successo italiano a quello del 2006, con l'intento di sminuire l'ultimo all'insegna del "una volta era tutto più bello". Sciocchezze: la conquista di una Coppa del Mondo è sempre qualcosa di meraviglioso. Non sempre è possibile vincere un Mondiale schiantando i colossi sudamericani e piegando nettamente l'avversario della finalissima; spesso il calendario ti propone altri ostacoli, e l'atto conclusivo può essere equilibrato e sofferto, non necessariamente una marcia trionfale: forse quei giorni di Spagna hanno calcisticamente viziato molti tifosi... Detto ciò, non sputerei su un titolo arrivato battendo, fra le altre, una Repubblica Ceca che all'epoca era considerata una delle migliori espressioni del calcio europeo, e la nascente "nuova Germania", quella che adesso è apprezzata per gioco e risultati, e che superammo sul suo terreno, nonché, ai rigori, una Francia alla fine del suo decennio d'oro ma ancora validissima, e a cui ci opponemmo con fatica ma con grande orgoglio, dopo averla anche messa in seria difficoltà nel primo tempo. Ma questa è un'altra storia, e sono sicuro che un giorno non lontano narreremo anch'essa con toni da epopea.
RIEVOCAZIONI POCO OBIETTIVE - Tornando a trent'anni fa, ciò che manca per una rievocazione veramente corretta di quel successo italiano è un pizzico di obiettività in più: ricordare ad esempio il rigore negato al Perù nella seconda partita, in un quadro di acuta sofferenza per la nostra squadra che già stava subendo il forcing dei sudamericani: forse, se concesso, avrebbe potuto cambiare il nostro Mondiale e la storia del calcio italiano, forse no, chi lo sa...; ricordare il fatto che la semifinale la giocammo contro una Polonia priva dello squalificato Boniek, e quindi depotenziata per un buon 80 per cento a livello offensivo (a noi mancava Gentile, ma non era la stessa cosa); e ricordare che in finale ci toccò una Germania Ovest in condizioni psicofisiche non dissimili da quelle in cui l'Italia di Prandelli ha affrontato la chiusura di Euro 2012. Ecco, ricordare tutto ciò farebbe onore alla stampa e all'editoria italiane, perché non è davvero più tempo di agiografie retoriche e incondizionate.
Allo stesso tempo, giusto sgombrare il campo da alcune ombre costruite già all'epoca e alimentate successivamente: il caso Camerun, ossia il presunto aggiustamento della gara con gli africani, l'ultima del primo turno a Vigo, non ha al momento ragione di essere, in quanto non esistono prove di combine. Per la Fifa, quella gara fu assolutamente regolare, non vedo perché si debba continuare a rimestare nel torbido; così come non ha molto senso discutere sull'arbitraggio di Rainea nel match con l'Argentina, ritenuto da alcuni troppo permissivo nei confronti di un Gentile alle prese con la ferrea marcatura di Maradona: all'epoca i parametri di valutazione erano diversi, c'era più manica larga, si ammoniva con più parsimonia, emergeva un po' la tendenza a favorire, in linea di massima, il difensore nei confronti dell'attaccante, tutto il contrario rispetto ad oggi. Bisogna immergersi nella mentalità e nell'atmosfera del momento in cui l'evento si svolse, per poterlo valutare serenamente.
Gentile contro Maradona al Sarrià
LE "VERE" CRONACHE - Il riferimento alla gara col Camerun apre un altro capitolo: quello riguardante il modo in cui le nostre gare di quel Mondiale vengono raccontate. Non sempre in maniera veritiera, a volte sbrigativa e superficiale, sovente riprendendo ciò che altri "storiografi" hanno scritto, senza curarsi di andare a verificare se fosse o meno la verità. Ancora oggi si parla di tre partite largamente deludenti, in relazione al primo turno. Falso, perché il debutto con la Polonia fu considerato del tutto dignitoso dalla critica dell'epoca, tanto che i nostri avrebbero potuto vincerlo con un po' di fortuna in più (occasioni per Graziani, salvataggio sulla linea su incornata di Collovati, traversa di Tardelli). Il match col Camerun viene raccontato come un semplice botta e risposta nel giro di un minuto, quello che fece registrare gli unici due gol del match (Graziani e M'Bida): invece, ci fu un primo tempo in cui i nostri sfiorarono a ripetizione la segnatura (clamorosa l'occasione mancata da Conti a tu per tu col portiere, così come la traversa colpita da Collovati), e nella ripresa, dopo l'1 a 1, il portiere africano N'Kono dovette opporsi di istinto a un colpo di testa ravvicinato di Cabrini.
ITALIA - BRASILE, LA PIU' BELLA - Dopodiché, il Mundial '82 fu, essenzialmente, Italia - Brasile. Nel mio personalissimo cartellino, la più bella partita azzurra di tutti i tempi, di molto superiore a quella con la Germania Ovest del '70: al contrario del 4 a 3 messicano, al Sarrià (lo stadiolo fra i palazzi, tipo Ferraris di Genova, e purtroppo oggi non esiste più: demolito, un "santuario laico" profanato) i ragazzi di Bearzot vinsero con testa e cuore una partita razionale, non folle come quella di dodici anni prima. E, al contrario del rocambolesco successo dell'Azteca, non trascorsero un tempo intero a fare le barricate in attesa del fischio finale. No, in Spagna i nostri accettarono la sfida coi maestri auriverdes sul piano del gioco, dimostrando di poter regalare sprazzi di grande calcio, parallelamente alla immutata capacità di rintuzzare gli attacchi avversari. Fu un successo limpido, meritato, ancorché sofferto (inevitabile, contro una squadra monumentale come quel Brasile di Tele Santana). Dopo quell'impresa non poteva esserci ragionevolmente storia, e non ce ne fu.
LA CAPORETTO DELLA STAMPA - Ancora: molti non ricordano che quell'Italia, fino a un minuto prima della sfida con l'Argentina, la prima della seconda fase, quella che diede la svolta, era considerata una squadra modesta. Brera, sì, proprio il sommo (non per me) Brera, esagerò: "Siam dei broccacci, inutile farci illusioni". Lo stesso Guerin Sportivo, che pure era schierato dalla parte degli azzurri, preferì non alimentare grosse speranze: "La logica - scrisse alla vigilia il grandissimo Adalberto Bortolotti - dice: passaggio del primo turno e poi ritorno a casa con dignità. Firmeremmo". Al di là della comprensibile prudenza del Guerin, l'atteggiamento del resto della stampa, quasi interamente sulle barricate contro il Club Italia, rimane ancora oggi ingiustificabile: un brocco non diventa fuoriclasse da un giorno all'altro; e dunque, come fu possibile, per dei presunti esperti, scambiare per mediocri pedatori i campioni che innervavano quella rappresentativa, i Cabrini e gli Scirea, i Conti e i Tardelli (per tacere di Zoff e Rossi, sulla cui caratura, almeno, dubbi non ne vennero manifestati)?
I meno cattivi consideravano i nostri giocatori, semplicemente, passati di cottura: ma li consideravano tali già da dopo il Mundial argentino del '78 (qualcuno anche da prima...), e invece quel gruppo regalò lo splendido e inadeguato quarto posto nelle pampas, il medesimo piazzamento all'Europeo casalingo dell'80 (in condizioni ambientali terribili, per via dello scandalo scommesse e della forzata rinuncia a Paolo Rossi) e la facile qualificazione a Spagna '82. Fu una dimostrazione di superficialità e incompetenza giornalistica rimasta impunita: molte delle prime firme di quei tristi (per la loro professionalità) giorni spagnoli hanno continuato per anni a scrivere di calcio con l'aurea dell'autorevolezza. Poi ci si chiede perché il giornalismo italiano non riesca a uscire (lui sì) da una insuperabile mediocrità.
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