Guberti: tre anni di squalifica in primo grado
Nausea. Un insopportabile senso di nausea mi avvolge e mi travolge, in questa estate che, pure, pareva averci dato qualche spunto incoraggiante per continuare a credere nello sport. Penso all'ottimo comportamento della Nazionale italiana di calcio agli Europei, o alla dignitosissima Olimpiade che gli atleti azzurri stanno conducendo, pur fra défaillance inattese (il fallimento pressoché totale del nuoto) e mille difficoltà legate alla crisi politica e organizzativa delle nostre istituzioni sportive. Penso, anche, a quelle promesse di rigore assoluto e inflessibilità, che avrebbero dovuto guidare i giudici nel punire le tante nefandezze venute a galla ultimamente nel mondo del pallone nostrano.
Ebbene, nel giro di poche settimane, anzi pochi giorni, è tutto svanito. Una serie di episodi e vicende avvilenti hanno fatto esplodere lo schifo per un ambiente, quello dello sport tricolore, che, per quanto mi riguarda, si è bruciato gli ultimi spiccioli di credito che vantava nei miei confronti. Le sentenze emesse oggi dalla giustizia sportiva sono un brutto colpo, uno schiaffo in faccia a chi si sforza ancora di credere sia alla volontà del movimento calcistico di guardarsi dentro e di fare pulizia vera, sia alla sostanziale efficienza dell'apparato giudiziario chiamato a decidere e sanzionare sul torbido che inquina i nostri campionati.
GUBERTI E SAMP - Spulciando il comunicato emesso in mattinata dalla Figc, contenente le sentenze (di primo grado, sempre bene precisare) del processo che ha avuto i suoi grandi imputati negli juventini Conte, Bonucci e Pepe, una cosa mi colpisce più di altre, per quanto ignorata dalla quasi totalità dei media (anche da quelli genovesi, e qui la faccenda è ancor più grave): Stefano Guberti, centrocampista ed ex grande promessa del nostro football, è stato condannato a tre anni di squalifica per aver messo in atto, assieme ad Andrea Masiello, un tentativo di alterazione della gara Bari - Sampdoria, giocata nell'aprile 2011. Tre anni per illecito sportivo, mica noccioline. Guberti all'epoca militava nelle file della Samp, che, deferita anch'essa per responsabilità oggettiva e responsabilità presunta (in relazione all'illecito imputato a Guberti per la suddetta gara), se l'è cavata con un punto di penalizzazione e 30mila euro di ammenda: in pratica, come punire con 1 euro di multa l'automobilista che passa col rosso.
La sproporzione fra le due sanzioni (per il calciatore ex blucerchiato carriera quasi finita e comunque compromessa agli alti livelli, per la società ligure un buffetto o quasi) è talmente evidente nella sua abnormità da non dover nemmeno essere spiegata. Lancia però un messaggio importante, e pericolosissimo: punizioni blande per i club in caso di coinvolgimento di loro tesserati in episodi di illecito. Quasi un anticipo del "pensionamento" del principio della responsbilità oggettiva, da più parti e da diversi anni auspicato nell'ambiente. Cosa possa significare tutto questo lo lascio alla libera interpretazione dei lettori: io dico solo che nessuno dovrà permettersi di cadere dal pero se, fra un anno o fra sei mesi, si scoprirà che si continuano a combinare partite in totale allegria e spensieratezza, visto che le sanzioni inflitte alle società sono di questo "terribile" peso.
LE "GUSTOSE" ANTICIPAZIONI DEI GIORNALI - Ma c'è dell'altro: la sentenza, nei suoi tratti mediaticamente più "appetitosi", ossia relativamente ai tre big bianconeri, era stata in pratica illustrata per filo e per segno dalla Gazzetta dello Sport con due giorni di anticipo. Parere personale, ma spero di essere in buona compagnia, è un fatto di inaudita gravità: che un giornale pubblichi atti giudiziari di condanna o assoluzione prima che lo facciano gli organi deputati è qualcosa che in un Paese civile e democratico non può, non deve assolutamente accadere, un corto circuito agghiacciante nel reale percorso di competenze e di gerarchie.
Il problema, certo, riguarda chi certe notizie le passa alla stampa, senza nemmeno un piccolo scrupolo di coscienza, senza porsi neanche una domanda sulla liceità etica del proprio comportamento. E' in questo corto circuito che risiede il peccato originale, l'ennesima dimostrazione che molte cose sono da rivedere nel funzionamento della macchina giudiziaria italiana, sportiva e non. Le Procure e i magistrati in cerca di visibilità non sono, purtroppo, solo una invenzione di certa stampa di destra. E le talpe interne sono una delle cose più odiose che possano esistere: stiamo parlando di una fuga di notizie da un tribunale, non da un circolo bocciofilo, con tutto il rispetto...
A parte questo, una sentenza giudiziaria non è come una notizia di calciomercato, signori giornalisti della rosea: l'ultimo colpo del Milan o della Juve lo potete anche anticipare sulle vostre pagine prima che lo annuncino le rispettive società, ma il provvedimento di un Tribunale no. Un lettore maturo non dovrebbe chiedere una cosa del genere al "suo" giornale: non sono questi gli scoop che fanno crescere la credibilità di un prodotto editoriale. Certo il problema è più complesso, riguarda un certo modo di intendere la professione giornalistica, che sta prendendo una deriva pericolosa in più di una direzione: perché se da una parte ci sono i giornali che anticipano la magistratura (sportiva, in questo caso), dall'altra ci sono le home page di certi quotidiani sportivi che per attirare "clic" si riempiono progressivamente di donne svestite e di gossip. Due aspetti diversi di una triste deviazione dal binario principale della buona informazione.
A parte questo, una sentenza giudiziaria non è come una notizia di calciomercato, signori giornalisti della rosea: l'ultimo colpo del Milan o della Juve lo potete anche anticipare sulle vostre pagine prima che lo annuncino le rispettive società, ma il provvedimento di un Tribunale no. Un lettore maturo non dovrebbe chiedere una cosa del genere al "suo" giornale: non sono questi gli scoop che fanno crescere la credibilità di un prodotto editoriale. Certo il problema è più complesso, riguarda un certo modo di intendere la professione giornalistica, che sta prendendo una deriva pericolosa in più di una direzione: perché se da una parte ci sono i giornali che anticipano la magistratura (sportiva, in questo caso), dall'altra ci sono le home page di certi quotidiani sportivi che per attirare "clic" si riempiono progressivamente di donne svestite e di gossip. Due aspetti diversi di una triste deviazione dal binario principale della buona informazione.
SCHWAZER, NE' MASSACRO NE' BUONISMO - Certo, poi anche da universi sportivi più "poveri" e meno mediatici non è che ci siano arrivati, di recente, esempi molto più edificanti. Il caso Alex Schwazer è ancora negli occhi e sulla bocca di tutti. Si è già detto quasi tutto quel che si doveva dire, o forse no, sta di fatto che non è mia intenzione partecipare all'indiscriminato "dagli all'untore" degli ultimi giorni. Al contempo, però, guai a cadere nella tentazione del buonismo a tutti i costi, del "povero ragazzo, ha sbagliato come sbagliano tanti, e soprattutto ha avuto il coraggio di ammetterlo". E' vero, tanti atleti che lo hanno preceduto nella triste via crucis del doping (che porta solo guai, sia che ti becchino sia che resti impunito) si sono resi ridicoli negando fino all'inverosimile e inventando scuse puerili e incredibili. Onore dunque ad Alex, ma un dopato resta tale anche se lo ammette, non è che la sua colpa diminuisca.
Tutti sbagliamo, è vero, e pertanto nessuno, si dice, dovrebbe permettersi di tranciare giudici morali sulla "vittima" del momento (il marciatore azzurro, nella fattispecie). Però, se passasse questo principio sparirebbe il diritto di critica e, senza gli occhi delle persone puntati addosso, ognuno si sentirebbe libero di fare ciò che vuole, anche contro le regole. Ecco, non bisogna avere remore nel dire che Schwazer si è macchiato della colpa peggiore per uno sportivo: doparsi è, collegandosi a un tema affrontato poche righe più su, sullo stesso livello di combinare i risultati delle partite di calcio. Anche se ciò che più mi ha sconvolto, persin più dell'atto agonisticamente fraudolento, è stata la straordinaria dimostrazione di immaturità del ragazzo, un omone in apparenza fatto e finito e invece ancora disperatamente bisognoso di crescere, di formarsi un carattere e una personalità. Evidentemente non sempre lo sport fortifica e rende uomini, anzi. Poi si possono fare altre considerazioni: sul fatto che abbia compiuto il misfatto in totale autonomia o meno, sul fatto che nessuno del settore sapesse alcunché, su come possa essere davvero così pesante e insopportabile la pressione, mediatica e "istituzionale" (cioè da parte del tuo ambiente che ti chiede di vincere, vincere e solo vincere) in uno sport che, per quanto di nobili tradizioni, ha un'eco davvero infinitesimale se paragonato non solo al calcio, ma ad altre discipline come il basket, il volley, il ciclismo, persino la pallanuoto e la scherma.
ALEX, RIALZATI - Tutto questo si potrebbe dire, ma non se ne uscirebbe più. Io rimango coi miei dubbi e la mia amarezza verso uno sport sempre più lontano dal cuore della gente, mentre ad Alex auguro sinceramente di ritrovarsi, perché comunque lo merita: in questi casi si dice che le forze debba trovarle soprattutto dentro di sé, ma l'aiuto di parenti, amici e fidanzata sarà fondamentale, oltre a un ambiente ovattato e finalmente lontano dalle tensioni di un mondo che per lui, ragazzo fragile, era diventato insostenibile. La vita può, deve ricominciare a 28 anni.
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