Primi spifferi estivi sul Sanremo prossimo venturo. Che sarà diverso, molto diverso dagli ultimi, e non potrebbe essere altrimenti, perché il ritorno di Fabio Fazio sulla tolda di comando rappresenta una di quelle rivoluzioni che, periodicamente, sconvolgono il Festivalone: l'ultima, prima di quella in atto, fu nel 2009, con l'avvento al timone di Gianmarco Mazzi, il cui quadriennio di gestione (del quale avevo cercato di tracciare un bilancio qui e qui) ha mantenuto una "linea editoriale" piuttosto costante nel tempo, pur con qualche aggiustamento, al di là dell'alternarsi di presentatori sul palco dell'Ariston, da Bonolis alla Clerici al... doppio Morandi.
Si cambia, dunque, e del resto una ventata di novità è sempre auspicabile per una manifestazione dell'importanza di Sanremo, che ha l'esigenza di sperimentare, trovare sempre qualcosa di nuovo per mantenere vivo l'interesse di un pubblico televisivo oggi assai più volubile e severo che in passato (severo soprattutto nei confronti di un totem mediatico come quello sanremese, al quale non viene mai perdonato un eccessivo legame con la tradizione, con stilemi canori e... catodici a detta di molti troppo vetusti e sorpassati, nonostante lo svecchiamento operato nel citato quadriennio Mazzi sia stato massiccio ed evidente); una manifestazione che deve oltretutto misurarsi con le esigenze di un'industria discografica in crisi ma al contempo in costante evoluzione.
FRA PASSATO E FUTURO - Sarà, da quel che si apprende, un Sanremo a metà strada fra tradizione e futuribilità. Il ritorno al passato è rappresentato dalla cancellazione delle eliminatorie per i Big: giusto così, è la formula che, dopo un paio di tentativi negli anni Settanta ('74 e '76), ossia nel pieno della crisi del Festival, due patron storici, Gianni Ravera prima e Pippo Baudo poi, hanno portato avanti a partire dagli "eighties" con convinzione, facendone uno dei cardini della rassegna, con viva soddisfazione di tutti. Inutile girarci attorno: ai grandi della canzone la sfida col coltello fra i denti mai è piaciuta, loro preferiscono vivere l'avventura in Riviera come una formidabile occasione promozionale. Ecco invece la grande novità, lo sguardo lanciato verso il futuro: ogni big porterà in gara non uno, ma due brani; uno di questi verrà eliminato nel corso delle prime serate, quello più gradito dal pubblico resterà in lizza fino alla finalissima.
DUE BRANI A TESTA - Due canzoni in lizza per ognuno: non era mai accaduto nel Sanremo "moderno". Nella fase iniziale della sua esistenza, il Festival schierava spesso e volentieri pochi cantanti, ai quali venivano affidate due o anche più composizioni (Nilla Pizzi nel '52 fu prima, seconda e terza!): ma, va detto, erano altri tempi, nel senso che era un Festival più povero, aveva una filosofia diversa, era meno legato alle esasperate logiche commerciali che hanno cominciato a dominare la scena a partire dagli anni Sessanta. Insomma, il 2013 porterà un cambiamento autenticamente epocale: la regola "ad ogni cantante un solo brano" era uno dei pilastri apparentemente incrollabili del Festival: persino il vincolo del requisito dell'inedito, a parer mio una delle principali chiavi del duraturo successo del Sanremone, negli ultimi anni è stato allentato, con i pezzi dei giovani diffusi con qualche settimana di anticipo; ma la pluralità delle opere proposte da un singolo artista pareva cosa del tutto fuori discussione, nemmeno da prendere in considerazione. E invece...
Messa così, può essere una cosa buona: un modo per venire il più possibile incontro alle esigenze dei cantanti, soprattutto di quelli che hanno sempre visto con scarsa simpatia la partecipazione alla kermesse o che, se ci andavano, lo facevano di malavoglia, quasi obtorto collo, e vivendola con uno stress decisamente sopra le righe. Più in generale, per i cantanti di oggi la presentazione di un solo pezzo è stata sempre considerata una limitazione delle proprie capacità espressive e poetiche e, più prosaicamente, un grosso ostacolo alla realizzazione di una ottimale promozione dell'album in uscita: facendo ascoltare al pubblico in anteprima un'unica canzone, l'effetto vetrina risulta meno efficace di quanto loro auspicherebbero.
SVOLTA EPOCALE - Chiedere ai Big di presentarsi in concorso con due composizioni significa operare una svolta concettualmente radicale per l'essenza stessa di Sanremo: è uno stimolo alla creatività, un incoraggiamento a proporre opere più "sostanziose" anche se pur sempre più o meno di facile impatto: lo... sconvolgimento storico sta pure nel fatto che una tale clausola restringerà fatalmente il campo dei potenziali aspiranti a un posto tra i big, tagliando fuori tutti coloro che hanno sempre preferito puntare sul semplice singolo da lanciare: una... fauna musicale, quella di quest'ultima categoria, per la verità in costante contrazione sulle sponde sanremesi; oramai quasi tutti coloro che tentano la fortuna all'Ariston cercano di farlo avendo un album pronto o, in alternativa, ristampando il cd uscito pochi mesi prima aggiungendovi il brano in concorso quale "bonus track" (col nuovo corso, le "tracce" da aggiungere all'incisione sarebbero due invece che una, poco cambierebbe). La generazione dei cantanti, diciamo così, "da 45 giri" è in buona parte tramontata con gli ultimi Festival baudiani (che in effetti, anche se qualcuno di essi particolarmente ben riuscito, sembravano dei piacevoli "residuati" di un'epoca discografica ormai obsoleta): il nuovo format anticipato in questi giorni da Fazio cerca semplicemente di avvicinare ulteriormente il carrozzone festivaliero alla realtà musicale odierna.
Alessandra Amoroso: Sanremo darà ancora spazio ai "figli dei talent"?
La controindicazione di una tale formula risiede nel rischio di creare un cast elitario: sembra un sistema studiato apposta per avvicinare il cantautorato nobile tanto caro al conduttore di "Vieni via con me", il che non è male, ma occorre non esagerare, così come in certe edizioni recenti si è esagerato con lo spazio concesso ai ragazzi dei talent show. Il Sanremo ideale è quello "ecumenico", equilibrato, che apre a tutte le tendenze, dai cantautori da "concept album" agli artisti più a loro agio coi singoli da rotazione radiofonica "a mille"; dalle composizioni raffinate a quelle più... biecamente commerciali. E' la cifra stilistica del festivalone, che è stata variamente declinata negli anni, ma che, se sapientemente dosata, garantisce ancora il successo. E se, come in molti temono, verrà gettato a mare il carico di giovani usciti dai talent, negli ultimi anni mattatori sulle scene rivierasche, l'errore sarebbe grosso: certo, al bando gli eccessi, ma le migliori espressioni di questi moderni vivai canzonettistici (penso a gente come Noemi, Marco Mengoni, Alessandra Amoroso) devono essere "salvate" da una eventuale "epurazione" (che, peraltro, finora rappresenta solo un processo alle intenzioni di Fazio), sia per qualità artistica sia per il bacino d'utenza che garantiscono, e che ha avuto un peso enorme nel rilancio del festival nella versione "Mazzi".
IL PRECEDENTE DI SAINT VINCENT '87 - Rimane da rilevare come anche ciò che pare ultra-nuovo e ultra-rivoluzionario non sia in realtà tale. La mia memoria storica, particolarmente forte in tema di concorsi canori nostrani, mi suggerisce che una formula simile a quella in rampa di lancio per Sanremo 2013 fu adottata da Marco Ravera, figlio di Gianni, per Saint Vincent Estate 1987: i 20 Big in gara portarono ciascuno tre brani (uno per ogni sera) tratti dal loro LP di fresca uscita, e vennero assegnati due premi: al miglior album e alla "canzone dell'estate", che veniva scelta fra i pezzi presentati nel corso della finalissima (per la cronaca, Luca Barbarossa primeggiò in entrambe le graduatorie). Non fu un successone, se è vero che il format venne subito abbandonato: ma anche in questo caso si può dire che fossero altri tempi, quella era davvero l'epoca dei 45 giri, del lancio del singolo da "one shot", di quando con un solo e semplice brano, se ben confezionato, potevi tirare avanti per mesi e mesi. In quegli anni, nelle gare di musica leggera, da Sanremo all'ex Disco per l'estate, presentare un solo pezzo era considerato ovvio e scontato, un cambiamento come quello tentato nell'87 difficilmente poteva essere digerito ai tempi del playback, dei festival straripanti di cantanti, della canzone a consumo rapido. Fra qualche mese, la risposta del pubblico dovrebbe essere decisamente migliore.
ottimo articolo!!! le mie perplessità le ho già espresse con te su facebook! ammetto tuttavia che mi sento di riporre fiducia a Fabio Fazio! quello che chiedo al Festival è di sentire buone canzoni! e poi mi piacciono atmosfere diverse, che ci sia un roster di artisti e generi variegato. ciaoo
RispondiEliminaE l'avremo, anche perché il Fazio di oggi è ancor più ben visto nell'ambiente rispetto ai tempi dei primi due Sanremi, in quanto portatore di un modo "alto ma non noioso" di fare intrattenimento. Ci saranno, credo, tutti i "registri" musicali; riguardo ai generi, alcuni continuano a essere poco compatibili col Festival (per ritrosia degli artisti o per la scarsa presa immediata sul pubblico), ma una maggior varietà dovrebbe comunque esserci.
RispondiEliminaSegnalo che su FB è nato il gruppo :"DON BACKY A SANREMO".
RispondiEliminaSarebbe bello, io lo aspetto da anni. Ci ha provato tante volte, ma non l'hanno mai preso.
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