Il giorno dopo la sparata di Zico sulla celeberrima Italia - Brasile del Mundial '82 ("Quella nostra sconfitta non fu positiva per il calcio, da allora cominciammo a mettere le basi per un football nel quale bisogna conseguire il risultato ad ogni costo, fondato sulla distruzione del gioco avversario e sul fallo sistematico"), è stata ufficializzata la nomina di Felipe Scolari a Commissario Tecnico della Seleçao. Racchiusi nel breve volgere di poche ore, due eventi che sono la sintesi delle meravigliose contraddizioni dell'inquieto futébol verdeoro.
E già: il Galinho non aveva ancora finito di urlare ai media mondiali l'ennesimo atto di dolore per quella ormai lontana batosta, una ferita destinata a rimanere eternamente aperta per tutta la torcida brasileira e per chi, come lui, il tonfo lo visse sul campo da protagonista, che la Federcalcio del suo Paese, sia pure indirettamente, lo sconfessava "moralmente", affidando la guida della Nazionale più vincente di sempre a un uomo, l'esperto Felipao appunto, che in buona sostanza rappresenta l'antitesi alla filosofia calcistica del grande Arthur Antunes de Coimbra. Una filosofia che, probabilmente, è ancora quella più diffusa in larghissima parte degli appassionati di pallone cariocas e paulistas: romantica, certo, ispirata al "bello" che il calcio può produrre nelle sue più alte espressioni tecniche: attacco a tutto spiano, giocate di alta scuola, cercare sempre di segnare un gol in più degli altri. Tutto meravigliosamente affascinante, ma è una visione del football che la storia stessa di questo sport si è incaricata di bollare come parziale, incompleta e quasi sempre infruttuosa. Diremmo anzi la storia stessa del calcio brasiliano, e in parte proprio tramite le gesta di Scolari.
SCOLARI E IL BRASILE 2002 - Luiz Felipe aveva già guidato la Seleçao ai Mondiali 2002, e come finì quella volta lo ricordano tutti gli appassionati: con la Coppa alzata al cielo di Yokohama. Il trainer di origini italiane (ahi, altra pugnalata per Zico...) allestì una formazione equilibrata, compatta, che badava al sodo ma non per questo anti - spettacolare. Bloccata su una difesa rocciosa (il sorprendente portiere Marcos, il trio centrale Lucio - Roque Junior - Edmilson) e su una solida diga di centrocampo (Kleberson - Gilberto Silva, abili a interdire ma anche in appoggio), si avvantaggiava della formidabile spinta dei due terzini d'attacco Cafu - Roberto Carlos, che davano il meglio in proiezione ma che sapevano anche coprire con sufficiente proprietà, mentre dalla trequarti in su producevano magie tre fulgidi esempi della miglior scuola sudamericana: Rivaldo, all'apice del rendimento, Ronaldinho, che di lì a poco avrebbe vissuto una breve ma intensissima stagione da numero uno mondiale, grazie alle gesta nel Barcellona, e un Ronaldo che, dopo i tanti infortuni, non aveva più le movenze e le intuizioni da Fenomeno del primo anno interista, ma aveva conservato e accentuato il suo fiuto da mortifero goleador. Oltre a conquistare il titolo, quella squadra chiuse il torneo vincendo tutti gli incontri senza mai dover ricorrere ai supplementari, con il miglior attacco (18 gol, mica pochi), la seconda miglior difesa (4 reti subite) e il capocannoniere della manifestazione (Ronie, 8 gol).
Ecco, era, quel Brasile 2002 costruito da Scolari, una compagine "europea" nella concezione più classica e positiva dell'espressione, ossia costruita per vincere senza eccedere in fronzoli e orpelli inutili. Ma era, anche, una formazione che non rinunciava al gusto del bel calcio, che sapeva offrire scampoli di gioco di buonissima fattura. Un esempio di intelligenza e realismo magari indigesto a Zico e ai puristi del futebol brasileiro, ma di sicuro il miglior modo di concepire il calcio. Perché nel calcio bisogna sì far sognare, stuzzicare l'immaginazione del tifoso, ma occorre anche portare a casa la pagnotta.
Zico ai tempi d'oro del Mundial '82
SCELTA LOGICA - Tutto questo forse spiega la scelta della Federazione verdeoro: il Brasile ha già perso un Mondiale in casa, nel lontano 1950, e non può permettersi di fallire anche il secondo, fra un anno e mezzo. Ecco perché si è optato per l'uomo che, più di altri, ha saputo realizzare la sintesi perfetta fra le due concezioni del calcio: spettacolo e concretezza. Le vie di mezzo, nella vita, rappresentano spesso le soluzioni migliori, e quella di Scolari di dieci anni fa costituì la via di mezzo ideale fra la Nazionale bella e perdente del 1982 e quella trionfatrice ma sostanzialmente brutta del 1994, targata Caros Alberto Parreira. Una via di mezzo vincente, magari non in grado di rubare gli occhi con prodezze fiammeggianti, ma di certo non sgradevole. Che poi Scolari riesca a ripetere tutto ciò nel Mondiale casalingo è ovviamente da dimostrare, ci mancherebbe, ma intanto la sua nomina ci appare, realisticamente, come la più ovvia in vista di un appuntamento da affrontare col massimo pragmatismo, senza inseguire ideali di gioco che hanno avuto rarissimi riscontri nella storia.
ZICO HA TORTO - Ecco perché il grande Zico ha sostanzialmente torto. Forse quella sfida del Sarrià fu unica anche nel senso che, rigiocandola altre dieci volte, il Brasile avrebbe sempre battuto l'Italia, ma non c'è la controprova, è come parlare del sesso degli angeli. Se avesse vinto la selezione di Tele Santana tutto sarebbe stato diverso, e il calcio avrebbe vissuto momenti più allegri, dice il Galinho... Può essere, ma non ci scommetteremmo. Senza scomodare l'esempio delle squadre di Zeman, il calcio non è solo spensierato offensivismo, il calcio, per essere vincente, o quantomeno per ambire ad essere tale, deve inseguire l'equilibrio, la completezza, mirare all'ottimizzazione del rendimento di tutti i reparti. Molto modestamente, e lo diciamo in tono sommesso, fu ciò che riuscì a fare Bearzot con la sua Italia '82.
MA QUALE DIFENSIVISMO ITALIANO... - Zico è prigioniero di un luogo comune che proprio quella Nazionale azzurra, anche (e forse di più) nella sua versione precedente datata Argentina '78, smentì categoricamente: il calcio italiano come espressione solamente speculativa e difensivista. Forse lo fu in certi periodi del passato, ma dai tempi della Coppa del mondo in Spagna il nostro football non è quasi mai più stato così: e quell'estate di trent'anni fa l'Italia non fece barricate e catenaccio, anzi. Zico dovrebbe ricordarselo bene, perché fu battuto da una squadra che accettò il confronto a viso aperto con la sua grande e incompiuta Seleçao, che non si rintanò ma fece gioco senza timori reverenziali, creò occasioni e le concretizzò. Proprio come il Brasile, certo, ma in più ci mise praticità e un atteggiamento più saggio, un'attenzione difensiva maniacale che però non andò a discapito della qualità propositiva della manovra.
Che, a distanza di tanto tempo, Zico e molti brasiliani non abbiano ancora capito il senso e lo spirito di quella sconfitta, meritata e non casuale, potrebbe suonare come un grave campanello d'allarme per il calcio brasiliano tutto. Per fortuna di quel popolo così innamorato del pallone, Scolari e altri prima di lui la lezione l'hanno invece capita e mandata a memoria. Perché dopo il 1982, il calcio è sopravvissuto, e la Seleçao si è sbloccata dopo un lungo digiuno, e ha preso a vincere Mondiali, Coppe America e Confederations Cup, senza che i grandi fuoriclasse auriverdes smettessero di far sognare la torcida e gli appassionati di tutto il mondo; perché dopo Zico, Eder e Socrates sono arrivati i Bebeto e i Romario, i Ronaldo e i Ronaldinho. Belli anche loro come gli illustri predecessori, ma pure vincenti.
SCOLARI E IL BRASILE 2002 - Luiz Felipe aveva già guidato la Seleçao ai Mondiali 2002, e come finì quella volta lo ricordano tutti gli appassionati: con la Coppa alzata al cielo di Yokohama. Il trainer di origini italiane (ahi, altra pugnalata per Zico...) allestì una formazione equilibrata, compatta, che badava al sodo ma non per questo anti - spettacolare. Bloccata su una difesa rocciosa (il sorprendente portiere Marcos, il trio centrale Lucio - Roque Junior - Edmilson) e su una solida diga di centrocampo (Kleberson - Gilberto Silva, abili a interdire ma anche in appoggio), si avvantaggiava della formidabile spinta dei due terzini d'attacco Cafu - Roberto Carlos, che davano il meglio in proiezione ma che sapevano anche coprire con sufficiente proprietà, mentre dalla trequarti in su producevano magie tre fulgidi esempi della miglior scuola sudamericana: Rivaldo, all'apice del rendimento, Ronaldinho, che di lì a poco avrebbe vissuto una breve ma intensissima stagione da numero uno mondiale, grazie alle gesta nel Barcellona, e un Ronaldo che, dopo i tanti infortuni, non aveva più le movenze e le intuizioni da Fenomeno del primo anno interista, ma aveva conservato e accentuato il suo fiuto da mortifero goleador. Oltre a conquistare il titolo, quella squadra chiuse il torneo vincendo tutti gli incontri senza mai dover ricorrere ai supplementari, con il miglior attacco (18 gol, mica pochi), la seconda miglior difesa (4 reti subite) e il capocannoniere della manifestazione (Ronie, 8 gol).
Ecco, era, quel Brasile 2002 costruito da Scolari, una compagine "europea" nella concezione più classica e positiva dell'espressione, ossia costruita per vincere senza eccedere in fronzoli e orpelli inutili. Ma era, anche, una formazione che non rinunciava al gusto del bel calcio, che sapeva offrire scampoli di gioco di buonissima fattura. Un esempio di intelligenza e realismo magari indigesto a Zico e ai puristi del futebol brasileiro, ma di sicuro il miglior modo di concepire il calcio. Perché nel calcio bisogna sì far sognare, stuzzicare l'immaginazione del tifoso, ma occorre anche portare a casa la pagnotta.
Zico ai tempi d'oro del Mundial '82
SCELTA LOGICA - Tutto questo forse spiega la scelta della Federazione verdeoro: il Brasile ha già perso un Mondiale in casa, nel lontano 1950, e non può permettersi di fallire anche il secondo, fra un anno e mezzo. Ecco perché si è optato per l'uomo che, più di altri, ha saputo realizzare la sintesi perfetta fra le due concezioni del calcio: spettacolo e concretezza. Le vie di mezzo, nella vita, rappresentano spesso le soluzioni migliori, e quella di Scolari di dieci anni fa costituì la via di mezzo ideale fra la Nazionale bella e perdente del 1982 e quella trionfatrice ma sostanzialmente brutta del 1994, targata Caros Alberto Parreira. Una via di mezzo vincente, magari non in grado di rubare gli occhi con prodezze fiammeggianti, ma di certo non sgradevole. Che poi Scolari riesca a ripetere tutto ciò nel Mondiale casalingo è ovviamente da dimostrare, ci mancherebbe, ma intanto la sua nomina ci appare, realisticamente, come la più ovvia in vista di un appuntamento da affrontare col massimo pragmatismo, senza inseguire ideali di gioco che hanno avuto rarissimi riscontri nella storia.
ZICO HA TORTO - Ecco perché il grande Zico ha sostanzialmente torto. Forse quella sfida del Sarrià fu unica anche nel senso che, rigiocandola altre dieci volte, il Brasile avrebbe sempre battuto l'Italia, ma non c'è la controprova, è come parlare del sesso degli angeli. Se avesse vinto la selezione di Tele Santana tutto sarebbe stato diverso, e il calcio avrebbe vissuto momenti più allegri, dice il Galinho... Può essere, ma non ci scommetteremmo. Senza scomodare l'esempio delle squadre di Zeman, il calcio non è solo spensierato offensivismo, il calcio, per essere vincente, o quantomeno per ambire ad essere tale, deve inseguire l'equilibrio, la completezza, mirare all'ottimizzazione del rendimento di tutti i reparti. Molto modestamente, e lo diciamo in tono sommesso, fu ciò che riuscì a fare Bearzot con la sua Italia '82.
MA QUALE DIFENSIVISMO ITALIANO... - Zico è prigioniero di un luogo comune che proprio quella Nazionale azzurra, anche (e forse di più) nella sua versione precedente datata Argentina '78, smentì categoricamente: il calcio italiano come espressione solamente speculativa e difensivista. Forse lo fu in certi periodi del passato, ma dai tempi della Coppa del mondo in Spagna il nostro football non è quasi mai più stato così: e quell'estate di trent'anni fa l'Italia non fece barricate e catenaccio, anzi. Zico dovrebbe ricordarselo bene, perché fu battuto da una squadra che accettò il confronto a viso aperto con la sua grande e incompiuta Seleçao, che non si rintanò ma fece gioco senza timori reverenziali, creò occasioni e le concretizzò. Proprio come il Brasile, certo, ma in più ci mise praticità e un atteggiamento più saggio, un'attenzione difensiva maniacale che però non andò a discapito della qualità propositiva della manovra.
Che, a distanza di tanto tempo, Zico e molti brasiliani non abbiano ancora capito il senso e lo spirito di quella sconfitta, meritata e non casuale, potrebbe suonare come un grave campanello d'allarme per il calcio brasiliano tutto. Per fortuna di quel popolo così innamorato del pallone, Scolari e altri prima di lui la lezione l'hanno invece capita e mandata a memoria. Perché dopo il 1982, il calcio è sopravvissuto, e la Seleçao si è sbloccata dopo un lungo digiuno, e ha preso a vincere Mondiali, Coppe America e Confederations Cup, senza che i grandi fuoriclasse auriverdes smettessero di far sognare la torcida e gli appassionati di tutto il mondo; perché dopo Zico, Eder e Socrates sono arrivati i Bebeto e i Romario, i Ronaldo e i Ronaldinho. Belli anche loro come gli illustri predecessori, ma pure vincenti.
Nessun commento:
Posta un commento